Autore: Davide Levi

 

3 maggio 2016

 

 

IL PERIODO CON LO TZADIK HAIM A ZADINA (estate 1981)

 

 

Scrivo qui alcune memorie relative al mese di studio con il Morè, il suo merito ci sia sempre di protezione, nel periodo della sua convalescenza a Zadina di Cesenatico, dal 21 giugno al 19 luglio 1981.

 

Fu il mio amato papà, Remo Levi, riposi in pace nell'Eden, che prese la mitzvà di ospitare Morè e la sua cara consorte, signora Mazal, di benedetta memoria, all'albergo "Meeting" di Zadina.

Morè aveva subito qualche mese prima due gravi interventi chirurgici all'esofago e all'intestino ed il suo stato fisico era alquanto debilitato.

Il mese di mare e di riposo giovò molto al Morè, che, piano piano, riacquistò uno stato di salute apprezzabile che riempì tutti noi di gioia.

 

In quei giorni ebbi il grande privilegio di essere vicino allo Tzadik e di abbeverarmi alla Fonte di Saggezza che era solito profondere costantemente e indefessamente a coloro che amavano ascoltare le sue parole e i suoi insegnamenti.

 

Riporto in questo breve scritto appunti, spiegazioni, chiarimenti che raccolsi allora per iscritto, quando il Morè mi insegnò ad amare e ad apprezzare l'opera del nostro più grande Maestro, Ha Rambam, Maimonide, attraverso uno dei suoi scritti, l'Iggheret Hashmad

(איגרת השמד – מאמר קדוש השם (, La Lettera sulla conversione forzata – Articolo sulla Santificazione del Nome.

 

Inoltre, nei giorni che passavamo nel giardino dell'albergo, lo Tzadik rispondeva alle domande che avevo scrupolosamente preparato nel quaderno che conservo gelosamente ancora oggi fra le mie carte.

 

Grazie EL SHADDAI, EL SHADDAI è Grande, EL SHADDAI è Uno

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Il Rambam (Rabbi Moshè ben Maimon) nacque alla vigilia di Pesah (che cadeva di sabato) nell'anno 1135 a Cordova, in Spagna. Così scrisse di se stesso:

"בטרם נוצרתי בבטן התורה ידעתני ובטרם אצא מרחם הקדשתני ולהפיץ מעיינותיה חוצה נתנתני והיא איילת אהבי ואשת נעורי אשר באהבתה שגיתי מבחורי".

Traduzione libera: "Prima ancora di venire concepito, la Torà mi conosceva e prima ancora di uscire dall'utero materno, la Torà mi santificò e mi destinò a diffondere le sue sorgenti e lei (la Torà) è la mia donna amata e la compagna della mia gioventù che con il suo amore mi ha custodito fin da fanciullo".

 

All'età di 23 anni, Rambam intraprese il commento, immane e portentoso, dei Sei Ordini della Mishnà. La sua opera venne portata avanti fra immense difficoltà pratiche, durante i suoi numerosi viaggi. Rambam aveva una memoria straordinaria e spesso, in assenza di libri, vi attingeva per scrivere i suoi commenti. Nella sua memoria erano incisi anche i libri del Talmud Babilonese e Gerosolimitano così come i libri dei Gheonim.

 

Rambam scrisse il commento alla Mishnà per quattro motivi di utilità pratica che così elencò:

-         Il commento fa risparmiare al lettore tempo prezioso, perché sintetizza l'essenziale.

-         Il commento riporta le decisioni della Halachà, riportate in più parti.

-         Il commento aiuta il lettore che può approfondire la saggezza del Talmud attraverso le diverse interpretazioni rabbiniche.

-         Il commento è sempre davanti agli occhi del lettore che lo può consultare in ogni momento e lo può persino studiare a memoria.

 

Dopo tredici anni di peregrinazioni fra diverse città arabe e cristiane della Spagna, la famiglia del Rambam si insediò a Fez, in Marocco, per cinque anni. Perché venne scelta proprio la città di Fez in cui vigeva un decreto di conversione forzata all'Islam decretato dalla setta fanatica degli Almohadjin?

Con tutta probabilità perché il padre del Maimonide sapeva che a Fez viveva e insegnava il grande rabbino Yehuda Ha Cohen, i cui progenitori provenivano dalla Babilonia ed era considerato un uomo santo, grande conoscitore di Torà. Yehuda Ha Cohen, tuttavia, non visse a lungo e preferì morire santificando il Nome piuttosto che convertirsi all'Islam.

 

Fu proprio in quel periodo che fra gli Ebrei si fece impellente la domanda: "Come bisogna comportarsi nei momenti in cui si è obbligati con la forza ad abbandonare la propria fede in Ha Shem e a convertirsi ad un'altra religione?".

Il padre di Rambam, il rabbino Maimon, aveva scritto una lettera,

 אגרת הנחמה (Lettera di Consolazione) , in cui scriveva, fra l'altro:

 

"ואם ירצה האדם לקיים תרי''ג מצוות בסתר יקיים ואין מונע לו. כל אחד יתאמץ למלא אחרי חוקי התורה כפי יכולתו וכפי מידת האפשרות בימי שמד וצרות כאלה מבלי לסכן נפשו...ואם מפני המת המציק והאנוס לא יוכל להתפלל התפילה הקבועה בזמנה יתפלל תפילה קצרה".

 

"E se la persona desidera osservare i 613 precetti (della Torà) di nascosto, lo faccia pure, se sa che non c'è nessuno che glielo impedisce. Ognuno deve sforzarsi di mettere in pratica i precetti della Torà così come può e secondo quanto è permesso in tempo di conversione forzata, senza tuttavia mettere in pericolo la propria vita…

E se a causa dei morti che lo funestano tutt'intorno e della conversione che viene imposta non gli viene permesso di fare la preghiera nei tempi prestabiliti, la faccia in modo breve e conciso".

 

Fu in detto periodo (anni 1162-1163) che un influente rabbino stabilì in una lettera comunitaria che la religione islamica era pura idolatria e se un ebreo, per evitare la morte, avesse finto di credere nella fede di Muhammad, avrebbe peccato d'idolatria e non si sarebbe più potuto annoverare fra i figli di Israele. E ciò anche se avesse continuato ad osservare di nascosto i precetti della Torà.

 

Tale decreto rabbinico fece grande scalpore fra le comunità e provocò una profonda costernazione fra gli ebrei che vivevano nei paesi in cui era in vigore l'apostasia e la conversione forzata alla fede islamica.

 

Fu allora che Maimonide, la Grande Aquila, per confutare questa sentenza rabbinica (psak halachà), scrisse alle varie comunità la Iggheret Hashmad (La Lettera sulla conversione forzata).

 

Nella sua prefazione, fra le altre cose, il Rambam, la pace sia su di lui, scrisse: "L'uomo non giudichi il suo prossimo fino a che non si sia trovato al suo posto:

"אין אדם דן את חברו עד שיגיע למקומו"

 

E anche:

 

"שאדם אין ראוי לו לדבר ולדרוש באוזני העם עד שיחזור על מה שרצונו לדבר פעם ושתיים ושלוש וארבע וישנן אותו היטב ואחר כך ידבר... על אחת כמה וכמה מה שיחוק האדם בידו ויכתבהו על ספר ראוי לו שיחזור עליו אלף פעמים"

 

"Non conviene che una persona parli e arringhi il popolo se non dopo aver ripensato bene a quello che sta per dire, una, due, tre e persino quattro volte e solo dopo parli… a maggior ragione, quando una persona detiene nelle proprie mani la Legge e la stabilisce per iscritto su un libro, è bene che se la ripassi mille volte".

 

Maimonide aggiunge che è pur vero che chi si rifiuta di convertirsi e di pronunciare frasi quali "Muhammad è il profeta di Allah" e viene perciò ucciso fa sì che la sua morte venga considerata 'Kiddush Ha Shem' (Santificazione del Nome); tuttavia, colui che viene costretto a pronunciarle sotto la minaccia della morte e lo fa non ha colpa alcuna davanti a Dio.

 

Per evitare le conversioni forzate, tuttavia, il Rambam consiglia ai suoi correligionari di abbandonare i paesi in cui vigono tali persecuzioni e di insediarsi nei paesi in cui esiste libertà di culto.

 

אגרת השמד – מאמר קדוש השם

 

Rambam, nella sua prefazione, alla Lettera sulla conversione forzata, critica aspramente il contenuto e lo spirito di quella Lettera in cui viene censurato e accusato di idolatria l'ebreo che è costretto a convertirsi.

 

Egli rammenta come nella storia del popolo ebraico più di una volta i figli di Israele si siano trovati in uno stato di totale impurità, come quando, all'uscita dall'Egitto, molti non osservavano più il precetto della circoncisione (tranne la tribù di Levi) e per questo il Signore ordinò che il sacrificio pasquale non fosse mangiato da chi era incirconciso; pertanto, per santificare il Pesach, Mosè ordinò che si ripristinasse il precetto della circoncisione.

 

Inoltre, i figli di Israele avevano peccato con pratiche incestuose e altre abominazioni idolatre. Nonostante ciò, afferma il Rambam, di benedetta memoria, bisogna giudicare i figli di Israele "al kaf hazechut" (sul piatto della bilancia dei meriti, delle buone azioni), come fece Dio Benedetto quando, rispondendo a Mosè, che affermava: (Esodo 4, 1) "essi non avranno fede in me", disse: "Mosè, essi sono credenti, figli di credenti" e lo punì immediatamente con la lebbra che gli piagò la mano.

La Torà ci insegna, infatti, che la lebbra è una malattia che colpisce chi pecca di maldicenza (lashon ha-rà). Per cui è anche scritto: "Chi sospetta sulle buone intenzioni del prossimo, viene colpito nel proprio corpo".

 

E per rafforzare la sua tesi, Maimonide riporta anche l'esempio del Profeta Elia.

Al tempo di Eliahu Ha-navì i figli di Israele erano tutti idolatri, tranne settemila fedeli che non si erano genuflessi al Baal. Quando Elia cominciò ad accusare Israele, Dio Benedetto lo ammonì: " Fino a quando accusi il mio popolo Israele? Va' e accusa coloro che risiedono a Damasco….smetti di sparlare contro il mio popolo Israele…va' per la tua strada verso il deserto, a Damasco e accusa quelli…".

 

E così venne ammonito dal Signore anche il Profeta Isaia, quando affermò: "E io risiedo in mezzo ad un popolo che ha la bocca impura". Subitamente, un angelo Saraf, con un tizzone ardente, gli colpì la bocca dicendo: "Ecco io ti colpisco sulle labbra e così viene cancellato il peccato e la tua mancanza sarà espiata".

 

Se dunque, conclude il Rambam, vennero castigati da Dio Benedetto tre Pilastri del Mondo (Mosè, Eliahu e Isaia) per aver criticato il popolo, a maggior ragione i nostri Saggi e i nostri Rabbini dovrebbero fare molta attenzione alle loro parole e non dovrebbero in alcun modo accusare i loro correligionari di essere "posh'im" (trasgressori), "reshaim" (malvagi) o "kofrim" (miscredenti).

 

Infatti, è anche scritto (Genesi, 27: 27) "E (Isacco) annusò l'odore dei suoi vestiti (di Esaù/Giacobbe)" (in ebraico: vairàch et reach begadàv). Non leggere "begadàv" (i suoi vestiti) bensì "bogadàv" (i suoi traditori); ossia, persino coloro che Lo tradiscono sono amati da Dio Benedetto come incenso profumato.

 

La Grande Aquila ricorda inoltre che anche ai tempi di Daniele, i soli Daniele, Hananià, Mishael e Azaria santificavano pubblicamente il Nome di Dio.

Durante la dominazione ellenica, poi, c'erano decreti perversi che limitavano la libertà di studio (un decreto vietava agli ebrei persino di chiudere l'uscio di casa per evitare che si riunissero in gruppo a studiare la Torà) e costringevano gli israeliti a celare la propria identità. Nonostante ciò, nessuno, in passato, si era permesso di definirli "idolatri" o "malvagi".

 

E, conclude il Rambam, avrebbe fatto bene quel rabbino a far proprie le parole di re Salomone: "La tua bocca non si affretti a parlare e il tuo cuore non si affretti a pronunciare parole davanti a Dio" (Ecclesiaste, 2: 5).

 

"Dio Santo concede la giusta mercede (non discrimina) a tutte le sue creature". Portando come esempi Achab ben Omri, Eglon re di Moav, Nabucodonosor ed Esaù, Maimonide sostiene che se il Signore ha concesso una giusta retribuzione ai malvagi perché non dovrebbe fare altrettanto con coloro che sono stati costretti a convertirsi a forza e continuano a praticare il loro ebraismo in modo occulto?

 

E' peccato terribile trasgredire la Torà volontariamente e altrettanto terribile è profanare il Nome pubblicamente. Chi però è forzato a farlo pena la morte non è punibile con le sette punizioni del Tribunale Celeste, dato che non ha agito di sua spontanea volontà.

 

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Ho sintetizzato i punti salienti dell'Iggheret del Rambam che ci insegnano alcuni criteri fondamentali che dobbiamo adottare quando siamo chiamati a giudicare un evento, in generale, o una persona, in particolare. Nello specifico, il Rambam usa termini inequivocabili che prendono in considerazione la situazione precaria, le vessazioni e le conversioni forzate di quegli ebrei che dovettero abbandonare la loro fede per salvare la loro vita e la vita dei loro cari.

 

Tre secoli più tardi (1492), anche gli ebrei della penisola iberica sarebbero stati vittime di altrettante persecuzioni, costretti a convertirsi al Cristianesimo, pur di restare in vita. Sono queste le Pecore Smarrite della Casa di Israele sparse nel mondo che torneranno all'Ovile quando il Signore Santo Benedetto lo riterrà opportuno ai tempi della Redenzione Finale, già scesa nel mondo per merito dello Tzadik Scelto, Ha Morè Haim. 

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Dall'Iggheret di Maimonide impariamo una lezione cardinale: è bene non ergerci a giudici. I parametri della vera Giustizia appartengono soltanto a Dio Benedetto, che è il Giudice Supremo dell'operato umano. Se, tuttavia, siamo chiamati ad esprimere una nostra opinione, è bene attenersi a criteri di moderazione (metinut ha din), di comprensione e di approfondimento, per capire le motivazioni e le intenzioni dell'individuo; i criteri di severità sono più consoni per giudicare le azioni di un malvagio che opera il male intenzionalmente.

 

Ha Morè era molto cauto nel giudicare e se lo faceva usava un'attitudine mite e bonaria, consapevole del fatto che l'uomo comune è un essere debole, che cade facilmente nelle insidie che gli tende lo Yetzer ha rà.

 

"עִם נָבָר תִּתְבָּרָר וְעִם עִקֵּשׁ תִּתְפַּתָּל" (תהילים, י"ח, 27)

 

"Tu ti mostri pietoso verso il pio, integro verso l'integro, ti mostri puro con il puro e ti mostri astuto con il malvagio". (Salmi 18: 26-27).

 

Questa massima dei Salmi, la sentii più volte pronunciare dalla bocca del Morè; era uno degli insegnamenti di vita che ricevettero i Talmidim e che esprime in poche parole l'atteggiamento speculare che dobbiamo adottare con il nostro prossimo; se lo rispetti, sarai rispettato, se lo ami, sarai amato, se ti comporti onestamente, sarai trattato onestamente.

E i malvagi? Con loro, l'atteggiamento è diverso; con chi vuole farti del male, sii pronto ad usare altri mezzi, altri espedienti, attiva la tua astuzia e la tua intelligenza per sopraffarlo.

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Ricordo che durante la lettura della Lettera del Rambam domandai allo Tzadik Haim quale fosse la concezione dell'Aldilà nell'ebraismo.

Il Morè disse che ci sono diverse idee sull'argomento, alcune fantasiose e altre inesatte, ma quella del Rambam è la più aderente alla realtà e alla fede. In un punto del suo "Mishnè Torà", Maimonide spiega come molti saggi e rabbini, in passato, si siano concentrati particolarmente sul tema della Resurrezione dei morti e abbiano trascurato il tema dell'altro mondo.

 

"E' pur vero – scrive il Rambam – che la Resurrezione dei morti è uno dei tredici Articoli di Fede e chi non ci crede è come se negasse la Torà intera, tuttavia, il fine ultimo è l'Aldilà". Qui, non esiste la materialità che caratterizza la vita umana, per cui non si mangia, non si beve, non si dorme, non ci si riproduce.

Secondo l'idea comune, solo la materia ha una sua realtà e ciò che è immateriale non si sa se esista. E' invece vero il contrario, spiega la Grande Aquila. Gli angeli, ad esempio, sono immateriali così come il senno, l'intelligenza (ha sèhel); essi esistono e hanno un potere ben più forte di ogni creatura corporea.

"Si creda pure a quello che si vuole" dice il Rambam "l'importante è che la gente non attribuisca a Dio alcuna forma materiale, alcuna corporeità. Una anima (neshamà) comune quando si stacca dal corpo (all'atto del trapasso) non rimane nell'Aldilà, ma ritorna a materializzarsi in questo mondo attraverso una riparazione (tikkùn) o per qualche altro obiettivo a noi ignoto. Soltanto dopo la Resurrezione dei morti, le anime potranno conseguire la conoscenza (da'at).

 

Maimonide scrive che uno dei rabbini di Damasco disse una volta in pubblico che la Resurrezione dei morti non esisteva e che gli accenni biblici al riguardo erano semplici allegorie e a sostegno di questa sua affermazione, portava le sue (del Rambam) parole, che aveva appunto scritto "che il fine ultimo è l'Aldilà".

 

A tale proposito, il Rambam aveva anche ricevuto una lettera dallo Yemen per avere chiarimenti sul tema della Resurrezione dei morti, dal momento che erano in molti a manifestare scetticismo e persino incredulità su quanto gli era stato attribuito.

 

Allo stesso tempo, un rabbino yemenita si era rivolto al Capo Rabbino di Bagdad per ottenere una risposta chiara e univoca sull'argomento. La risposta del rabbino di Bagdad non era piaciuta affatto a Maimonide che scrisse che "si pretenderebbe dai rabbini che dessero interpretazioni su tali questioni ben più consone all'intelligenza umana e non che riportassero le storielle che le comari raccontano al cimitero".

 

Rambam si era così espresso perché il Gaon di Bagdad aveva basato la sua risposta sulle opinioni dei 'filosofi', per cui si faceva una grande confusione fra il necessario, il probabile e l'impossibile.

 

Per fortuna – ironizzava Rambam - che il Gaon non ha menzionato nella sua risposta il termine 'senno' (sèhel)".

 

Rambam non volle tuttavia polemizzare con il Gaon di Bagdad e affermò che il tema non era semplice e, a tale proposito, ribadì concetti già espressi nei suoi precedenti scritti e commenti.

 

Egli scrisse che il verso in Daniele (12: 2):

 

"וְרַבִּים מִיְּשֵׁנֵי אַדְמַת עָפָר יָקִיצוּ אֵלֶּה לְחַיֵּי עוֹלָם וְאֵלֶּה לַחֲרָפוֹת לְדִרְאוֹן עוֹלָם" (דניאל, י"ב, 2)

"E molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno; gli uni per la vita eterna, gli altri per l'obbrobrio, per un'eterna infamia" andava interpretato alla lettera.

 

Egli non aveva mai affermato che l'Aldilà fosse una semplice allegoria.

 

Nel mondo della verità, le anime sono immateriali e, come gli angeli, non mangiano, non bevono e non hanno bisogni fisici.

Nell'Aldilà non esistono i criteri e i parametri di questo mondo, per cui non si può speculare su quanto vi avviene.

Chi nega l'esistenza della Resurrezione dei morti (come, a loro tempo, i Sadducei), arriverà a negare anche l'esistenza dei miracoli e, Dio ci salvi, a negare Dio.

 

"Chi sostiene che dai miei scritti si possa dedurre la negazione della Resurrezione dei morti o è in malafede o non ha capito e approfondito quello che ho detto" sostiene la Grande Aquila.

 

Rambam ribadisce nuovamente che i temi dell'Aldilà e della Resurrezione dei morti non vanno valutati secondo i parametri 'fisici' di questo mondo, in quanto trascendono l'ordine naturale delle cose e vanno considerati secondo la loro entità portentosa.

 

La Risurrezione è un prodigio che va accettato con un atto di fede da parte del credente ma non è il caso di soffermarsi sulla sua natura attraverso speculazioni filosofiche o rappresentazioni metafisiche.

 

Rambam si chiede "come mai nella Torà non viene menzionata espressamente la Resurrezione dei morti? Ci sono infatti solo delle allusioni, poche e occultate. Il motivo, spiega, è che la Torà tratta la realtà naturale, manifesta, rivelata.

"Le cose occulte appartengono a Dio e quelle rivelate a noi e ai nostri figli per sempre".

 

"Con la morte, il corpo torna alla terra e l'anima torna al Signore che l'aveva data" (Ecclesiaste, 12: 7).

 

"וְיָשֹׁב הֶעָפָר עַל-הָאָרֶץ, כְּשֶׁהָיָה; וְהָרוּחַ תָּשׁוּב, אֶל-הָאֱלֹהִים אֲשֶׁר נְתָנָהּ" (קהלת, י"ב, 7)

La Resurrezione, conclude Maimonide, è una realtà che trascende la nostra comprensione e la nostra esistenza fisica ed è un fatto che va accettato con la fede nel Signore Santo Benedetto, senza bisogno di inoltrarsi in inutili speculazioni filosofiche e metafisiche.

 

Alla domanda: "la Resurrezione dei morti può essere considerata un prodigio?" il Rambam risponde che essa non rientra nell'ordine dei fenomeni di questo mondo, per cui le leggi che governano l'Aldilà non possono essere approfondite con la mente umana, che è limitata a questo mondo.

 

Ciò che avviene nell'Altro Mondo è stato accennato con metafore e allusioni dai nostri Saggi, di benedetta memoria, ma guai a colui che specula e si inoltra in tale dimensione, chiusa al raziocinio umano. Bene fa colui che non tratta questi argomenti e procede fiducioso lungo le vie indicate dall'Onnipotente.

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Oggi, a distanza di anni (ne sono trascorsi trentacinque), quando ripenso allo Tzadik Haim e al suo sorriso bonario che eludeva la risposta ad alcune nostre domande che riguardavano la trascendenza, rimango ammirato da quella che era la dote che egli amava in sommo grado e che riuscì a trasmettere a noi allievi: la Temimut, ossia l'attitudine a considerare le cose del Creato con la fede semplice e umile del cuore e della mente; e ciò in ottemperanza al monito divino "tamim tihiyè im HaShem Eloecha" (sii semplice con il Signore tuo Dio).

 

Il Morè era il Capo dei 36 Giusti Nascosti in questo mondo, possedeva i Segreti dell'Ascesa, della Torà e del mondo, eppure era di un'umiltà disarmante e non faceva trasparire alcunché della sua reale natura.

 

Se penso alle persone che ho conosciuto e contattato nella mia vita, rabbini, studiosi, persone del mondo accademico, giornalisti, industriali, insegnanti, artisti, gente comune e via discorrendo, posso asserire, a mo' di testimonianza, che nessuno di loro ha mai concentrato in sé pari doti di umiltà, semplicità e saggezza come lo Tzadik Haim.

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Parlando delle anime (neshamot), il Morè mi raccontò un episodio straordinario della sua infanzia nello Yemen; ebbene, quando aveva 4 anni, pascolava il gregge paterno nella regione di Sa'ana.

Un giorno, quando si inoltrò in un boschetto vide cadere un albero a pochi passi da lui. Tornato a casa, raccontò l'accaduto a suo padre, Moshè, anch'egli Tzadik Nistar, che lo riportò sul luogo in un batter d'occhio e gli spiegò che l'albero caduto rappresentava un'anima che ritornava al mondo dopo il periodo di riparazione (Tikkun) nell'Aldilà.

Si trattava di una persona importante che aveva concluso il Tikkun e tornava al mondo sotto nuove spoglie.

 

Da questo episodio, si possono trarre alcune conclusioni di importanza rilevante:

-         Lo Tzadik ha una conoscenza profonda del mondo delle neshamot.

-         Lo Tzadik conosce il segreto dello spostarsi in pochi secondi da un luogo all'altro (kfitzat derech).

-         Tra gli Tzadikim Nistarim, la trasmissione del Segreto avveniva dalla bocca del padre all'orecchio del figlio.

-         L'anima della persona comune subisce un Tikkun nell'Aldilà.

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ה' מלך ה' מלך ה' ימלוך לעולם ועד

 

Il Signore regna, il Signore ha regnato, il Signore regnerà in eterno

 

Spiegava il Morè: Il Signore regna, si riferisce alla Santificazione del Suo Nome, iniziata da nostro padre Abramo e proclamata ogni giorno dal Suo popolo Israele, durante la lettura dello Shemà Israel quando si dice "Benedetto sia il Nome del Suo Regno in eterno".

 

Il Signore ha regnato, si riferisce da sempre, da prima dell'atto della Creazione.

 

Il Signore regnerà in eterno, si riferisce alla Redenzione Finale.

 

Il Morè spiegava anche che c'è qui un'allusione al fatto che il Terzo Santuario, a differenza del Primo e del Secondo, non verrà distrutto e al suo tempo, il Signore regnerà e verrà riconosciuto Re da tutto il mondo.

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Lo Tzadik è fondamento del mondo (Proverbi, 10, 25):

 

"וְצַדִּיק, יְסוֹד עוֹלָם" (משלי, י, כה).

 

Lo Tzadik è un pilastro del mondo perché in virtù della sua santità viene prescelto da Dio e grazie alle sue preghiere evita spesso che sul mondo si riversino decreti terribili di distruzione.

 

Ha Morè, che era a capo dei 36 Giusti Nascosti, evitava di rispondere alle domande sugli Tzadikim e si limitava a dare spiegazioni generali; gli allievi possono però affermare che il vero Tzadik vive solitamente in condizioni economiche precarie, evita gli onori, non è asservito al denaro, è umile, si comporta con semplicità con il prossimo, non fa distinzioni di razza o di religione, ha misericordia su ogni creatura, detesta la volgarità, l'ipocrisia e la cattiveria.

 

Si noti bene che è scritto che lo Tzadik è fondamento del mondo e non di Israele; da qui deduciamo che lo Tzadik, pur essendo circonciso ed ebreo, ha una dimensione universale, non circoscritta all'ambito ebraico.

 

I Giusti Nascosti vengono chiamati anche "Bnei Aliyà" ossia Figli dell'Ascesa, perché hanno la facoltà di 'ascendere' a livelli superiori, dove si decidono le sorti dell'umanità e degli individui.

 

Gli Tzadikim possiedono anche i Segreti della Torà, della natura, degli astri, così come i Segreti della Torà orale, che vengono trasmessi, appunto, oralmente.

 

Spesso il Morè scherniva i kabbalisti moderni, quelli dello Zohar per intenderci, e sorridendo diceva: "dicono di avere i segreti della Torà e li studiano in testi scritti; bene, ma se sono accessibili a tutti, che razza di segreti sono?".

 

Per questo, Ha Morè non lesinava aspre critiche a quelli che citavano lo Zohar e i testi kabalistici e si vantavano di essere esperti dell''intimità' (pnimiuth) della Torà.

Fu questo il motivo per il quale lo Tzadik mi esortò, qualche mese dopo, a cercare in Israele il libro "Milchamot Ha Shem" opera del grande rabbino yemenita Shlomo El Kapah (edito nel 1931), che dimostra che lo Zohar è un libro falso, apocrifo, fondamentalmente idolatra.

A settembre di quello stesso anno, trovai, per vie miracolose, il libro a Gerusalemme presso un orafo yemenita, che me lo regalò, quando gli spiegai che lo avremmo voluto tradurre in italiano.

 

E il lavoro di traduzione fu realizzato da Peretz, il Talmid Primo dello Tzadik da più di 13 anni, che oggi è il responsabile del Segno dell'Asino che mangia il Pane della Redenzione Finale.

 

Io curai la revisione della traduzione italiana del testo, che fu benedetta dallo Tzadik Haim un mese prima della sua dipartita, avvenuta il 24 giugno 1982.

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Molti degli insegnamenti del Morè riguardavano il tema della salute, che è considerata come un bene divino prezioso che bisogna preservare con la massima cura; di solito, il Morè citava il Rambam, che era medico e aveva profuso a piene mani le giuste regole di vita nei suoi trattati di medicina; il consiglio fondamentale per stare in buona salute, diceva il Rambam, è di essere morigerati e di non eccedere nell'alimentazione o in altre attività del corpo. In altre parole, l'equilibrio della salute viene preservato da un tenore di vita equilibrato.

 

In effetti, anche la medicina moderna si basa sul concetto di omeostasi; la malattia rappresenta una condizione di squilibrio dell'omeostasi; e così anche la medicina cinese spiega che la malattia è uno stato di disarmonia fra ying e yang, i due principi che regolano la natura umana (lo stesso concetto viene espresso dai Greci con soma e psiche e dai Latini con mens e corpus).

 

Ricordo un'interessante 'shiur' (lezione) del Morè a una mia domanda sul vegetarianesimo. Un tema che oggi è di grande attualità per le nuove mode alimentari, provenienti per lo più dagli Stati Uniti e dal mondo occidentale (veganismo, vegetalismo, crudismo e simili).

 

"כט וַיֹּאמֶר אֱלֹהִים, הִנֵּה נָתַתִּי לָכֶם אֶת-כָּל-עֵשֶׂב זֹרֵעַ זֶרַע אֲשֶׁר עַל-פְּנֵי כָל-הָאָרֶץ, וְאֶת-כָּל-הָעֵץ אֲשֶׁר-בּוֹ פְרִי-עֵץ, זֹרֵעַ זָרַע:  לָכֶם יִהְיֶה, לְאָכְלָה. ל וּלְכָל-חַיַּת הָאָרֶץ וּלְכָל-עוֹף הַשָּׁמַיִם וּלְכֹל רוֹמֵשׂ עַל-הָאָרֶץ, אֲשֶׁר-בּוֹ נֶפֶשׁ חַיָּה, אֶת-כָּל-יֶרֶק עֵשֶׂב, לְאָכְלָה; וַיְהִי-כֵן" (בראשית, א', 29-30).

 

In Genesi (1: 29-30) Dio disse: "Ecco, Io vi do tutte le erbe che fanno seme, che sono sulla faccia di tutta la terra, tutti gli alberi che danno frutto d'albero producente seme; vi serviranno come cibo. Agli animali tutti della terra, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli striscianti sulla terra, che hanno un afflato di vita, tutte le erbe verdi serviranno di cibo. E così fu. »

 

Ebbene, lo Tzadik mi spiegò che prima del Diluvio gli uomini erano fondamentalmente vegetariani e si cibavano di latticini, ortaggi, frutti e semi; erano di costituzione forte e sana; non esisteva l'inquinamento, l'aria era pura e l'acqua delle sorgenti cristallina. I cibi che mangiavano erano sani e infondevano loro forza e vigore.

Prima del Diluvio, gli uomini erano longevi e vivevano anche centinaia di anni (come Matusalemme che visse 969 anni).

 

Dopo il Diluvio, l'ordine delle cose cambiò e il Signore decretò che la natura umana si indebolisse, che gli uomini superassero a fatica il secolo di vita e per questo motivo permise di mangiare la carne degli animali, che, in precedenza, erano sacrificati alla divinità.

 

In Genesi (9, 1-3) è scritto che dopo il Diluvio:

 

"א וַיְבָרֶךְ אֱלֹהִים, אֶת-נֹחַ וְאֶת-בָּנָיו; וַיֹּאמֶר לָהֶם פְּרוּ וּרְבוּ, וּמִלְאוּ אֶת-הָאָרֶץ.  ב וּמוֹרַאֲכֶם וְחִתְּכֶם, יִהְיֶה, עַל כָּל-חַיַּת הָאָרֶץ, וְעַל כָּל-עוֹף הַשָּׁמָיִם; בְּכֹל אֲשֶׁר תִּרְמֹשׂ הָאֲדָמָה וּבְכָל-דְּגֵי הַיָּם, בְּיֶדְכֶם נִתָּנוּ.  ג כָּל-רֶמֶשׂ אֲשֶׁר הוּא-חַי, לָכֶם יִהְיֶה לְאָכְלָה:  כְּיֶרֶק עֵשֶׂב, נָתַתִּי לָכֶם אֶת-כֹּל" (שם, ט', 1-3).

 

Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro: "Siate prolifici e moltiplicatevi e riempite la terra. Il timore e il terrore di voi sia su tutti gli animali selvatici e su tutto il bestiame e su tutti i volatili del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono messi sotto il vostro potere. Quanto si muove e ha vita vi servirà come cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe".

 

Il permesso di mangiare la carne venne quindi codificato da Mosè con una serie di prescrizioni, la più importante delle quali è quella di non cibarsi del sangue dell'animale, che è sede dello spirito vitale infuso dall'Onnipotente.

 

Il Morè spiegava che una dieta vegeteriana a lungo andare indebolisce il cuore, per cui non è indicata per la buona salute dell'individuo.

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"רבי ינאי אומר, אין בידינו לא משלות הרשעים ואף לא מיסורי הצדיקים" (אבות, ד', ט"ו).

 

Rabbi Yannai dice: "Non è nelle nostre mani (cioè non possiamo capire il perché) il buon vivere dei malvagi e neppure le sofferenze dei giusti" (Massime dei Padri, 4, 15)

 

Ricordo bene anche questa mia domanda: "Ha Morè, come mai nel mondo vediamo spesso trionfare i malvagi e vediamo i Giusti soffrire e sopportare tribolazioni ?".

 

Lo Tzadik spiegava che la Giustizia di Dio è diversa da quella degli uomini; i calcoli di HaShem sono imperscrutabili e non seguono i nostri criteri di giudizio.

La nostra comprensione è molto limitata e non può afferrare le vie del Signore, che sono sempre e comunque perfette e giuste.

 

Rabbi Yannai afferma che non dipende da noi la realtà degli eventi, che molto spesso contrasta con l'idea comune che abbiamo, per cui pensiamo che chi fa del bene dovrebbe essere premiato e chi fa del male dovrebbe essere punito. Le cose non stanno esattamente così.

 

I giudizi di Ha Shem prendono in considerazione cose che noi non conosciamo e nemmeno immaginiamo, per cui è bene che ci rimettiamo alla Sua giustizia perfetta. E, del resto, chi siamo noi per poter sindacare le decisioni del Santo Benedetto?

 

Mi è successo spesso di sentire delle persone, anche religiose, pronunciare frasi di biasimo o di critica nei confronti del Signore, come se si trattasse di un giudice in carne ed ossa che sentenzia fra le quattro pareti di un tribunale.

Ciò avviene solitamente in seguito ad una disgrazia o ad una grave malattia o ad una morte improvvisa o ad un evento comunque devastante. Tali persone, accecate dal dolore, perdono il lume della ragione e della fede e non esitano ad incolpare il Signore per quanto è accaduto. Esse dovrebbero prendere esempio da Aharon, fratello di Mosè, che quando assiste alla morte dei suoi due figli, Nadav e Avihu, arsi vivi per aver presentato un fuoco non richiesto nel Santuario, rimane in silenzio וידום אהרון (Levitico, 10, 1-3).

 

Ecco, il silenzio, l'introspezione, l'esame di coscienza (in ebraico si chiama heshbon nefesh, che significa passare in rassegna il proprio operato) sono più indicati in questi frangenti.

 

Dobbiamo domandarci: in che cosa abbiamo peccato, in cosa abbiamo mancato? L'indice va puntato verso il nostro io e non verso il Santo Benedetto.

 

E dobbiamo prendere esempio anche da Giobbe (Yiob), diceva il Morè.

 

"ז וַיֵּצֵא, הַשָּׂטָן, מֵאֵת, פְּנֵי יְהוָה; וַיַּךְ אֶת-אִיּוֹב בִּשְׁחִין רָע, מִכַּף רַגְלוֹ עד (וְעַד) קָדְקֳדוֹ. ח וַיִּקַּח-לוֹ חֶרֶשׂ, לְהִתְגָּרֵד בּוֹ; וְהוּא, יֹשֵׁב בְּתוֹךְ-הָאֵפֶר. ט וַתֹּאמֶר לוֹ אִשְׁתּוֹ, עֹדְךָ מַחֲזִיק בְּתֻמָּתֶךָ; בָּרֵךְ אֱלֹהִים, וָמֻת. י וַיֹּאמֶר אֵלֶיהָ, כְּדַבֵּר אַחַת הַנְּבָלוֹת תְּדַבֵּרִי--גַּם אֶת-הַטּוֹב נְקַבֵּל" וגו' (איוב ב', 7-10).

 

E Satana si ritirò dalla presenza del Signore e colpì Giobbe con un'ulcera maligna dalla pianta dei piedi fino al sommo del capo… e sua moglie gli disse: "Persisti ancora nella tua fede semplice? Maledici (I commentatori interpretano al contrario il "barech"/benedici) Dio e muori!" E Giobbe le rispose: "Tu stai dicendo cose insensate! Accettiamo pure il bene dalla mano di Dio" (Giobbe 2: 7- 10).

 

Nel libro di Giobbe, il concetto tradizionale della retribuzione divina (Dio premia i buoni e punisce i peccatori) viene messo in discussione dalla figura di Giobbe, che attraverso la sua esperienza, perviene ad una conoscenza più profonda e vera della realtà di Dio.

 

L'Onnipotente è vicino all'uomo, ascolta ed esaudisce la sua preghiera, ma è Incomprensibile alla mente umana, ed è talmente trascendente nella Sua sapienza e giustizia che l'essere umano non può discutere con Lui intorno al proprio destino.

Il significato divino della sofferenza di Giobbe rimane nascosto, perché appartiene ai misteri della Provvidenza.

 

Il Libro si apre con l'accusa di Satana che chiede a Dio di mettere alla prova Giobbe, uomo di fede, con una serie di prove che egli dovrà superare. La prima riguarda il dolore fisico; Giobbe viene colpito da ulcere purulente su tutto il corpo a tal punto che sua moglie, temendo per la sua vita, gli dice di maledire Dio prima di lasciare questo mondo.

 

Il Morè mi spiegò che non si deve pensare che la moglie di Giobbe fosse una donna malvagia e augurasse la morte al marito. Anzi, è vero il contrario; lei intendeva dire che se il marito, che era da tutti conosciuto come un uomo buono, giusto e di fede fosse morto tra atroci sofferenze avrebbe indotto la gente ad avere pensieri sbagliati sulla giustizia divina, per cui meglio sarebbe stato per tutti che maledicesse Dio e poi morisse; in questo modo, la gente avrebbe pensato che la sua morte fosse una giusta punizione per iI suo peccato.

 

Dio non manda mai le sofferenze invano, per cui bisogna benedirLo in ogni circostanza, nel bene e nel male. Giobbe ritiene che la proposta della moglie sia insensata perché, in ogni caso, bisogna accettare ciò che il Signore ci manda.  

 

Ecco, diceva Ha Morè, Giobbe ci insegna ad amare Dio, a rimanere nella giusta fede e a sopportare virtuosamente le sofferenze fisiche e le esperienze difficili.

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Nel racconto della conquista della terra di Canaan da parte di Giosuè (Yehoshua), c'è il famoso episodio in cui il condottiero ebreo, prima di sbaragliare l'esercito degli Amorei ordina al sole di fermarsi a Ghivon e la luna sulla valle di Ayalon (Giosuè, 10: 12).

"וַיֹּאמֶר לְעֵינֵי יִשְׂרָאֵל, שֶׁמֶשׁ בְּגִבְעוֹן דּוֹם, וְיָרֵחַ, בְּעֵמֶק אַיָּלוֹן" (יהושע, י', 12).

 

Sole, fermati/zittisci su Ghivon e tu, luna, sulla valle di Ayalon; e il sole si fermò/zittì e la luna rimase nel suo luogo…

e il sole si fermò in mezzo al cielo per quasi un giorno intero; e mai, né prima né poi si è verificato un evento simile nel quale Dio abbia esaudito la voce di un uomo, perché il Signore combatteva per Israele.

Questo episodio mi aveva sempre incuriosito, per cui chiesi al Morè spiegazioni.

 

Lo Tzadik mi spiegò che il verbo ebraico d-o-m ha il doppio significato di tacere e stare fermo (qui apro una parentesi e dico che ho già prima menzionato questo verbo, quando si racconta di Aharon che vide morire i suoi due figli, Nadav e Avihu, "va-idom Aharon", tacque e rimase fermo al suo posto); ebbene, di solito, i commentatori spiegano che Giosuè pregò Dio per ottenere un Suo intervento portentoso che prolungasse le ore di luce.

 

Il midrash del Morè era però più suggestivo: Giosuè disse al sole "taci!" e questo perché il sole ogni giorno sale e scende 7 livelli (ma'alot) accompagnato dal canto degli Angeli, che inneggiano il Signore e ne lodano le Sue opere. Un'allusione a ciò si trova in alcuni Salmi di Davide che si aprono con la formula "Shir hama'a lot" o Cantico delle ascese.

 

Quando Giosuè combatteva a Ghivon e aveva bisogno ancora di qualche ora di luce per sconfiggere i nemici ordinò al sole di tacere e di restare al suo posto.

 

Dopo la battaglia, spiegava il Morè, il ministro del sole si presentò a Giosuè e lo apostrofò severamente: "Chi sei tu, essere in carne ed ossa, che hai osato vietarmi di cantare le lodi del Creatore? E mai possibile che un servo si permetta di impartire ordini al suo Padrone?".

E Giosué gli rispose: "Io faccio parte della tribù di Efraim che discende dai lombi di Giuseppe il giusto; non vide egli nel suo sogno che il sole, la luna e undici astri si inginocchiavano davanti a lui come fa un servo col suo padrone?".

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La notte del 14 luglio feci un sogno davvero interessante. Sognai di essere con il Morè, che teneva in mano una valigia piena di libri. Egli mi spiegò che doveva vendere i libri agli ebrei che abitavano il palazzo che ci stava di fronte. "Vai tu, David, al posto mio. Bisogna salire al quinto o al sesto piano". Contento di svolgere il compito assegnatomi, salii le scale del palazzo e arrivai a destinazione. Suonai il campanello e due signore anziane mi aprirono la porta e comprarono due libri. Poi, restando sullo stesso pianerottolo, suonai alla porta opposta a quella delle due signore. Notai che la targhetta con il nome era luccicante e sullo stipite c'era una mezuzà. La targhetta all'improvviso si trasformò (a mo' di porta girevole) e apparve il viso del Rambam. Dopo un istante, il viso scomparve. Nessuno però mi aprì la porta. A questo punto, scesi le scale e tornai dal Morè che mi aspettava giù.

 

Dopo aver ascoltato il mio sogno, il Morè sorrise e disse che si trattava di un sogno molto bello e che Rambam sarebbe tornato in sogno, in futuro, per parlarmi.

Il Morè aggiunse anche che "fra due anni farai delle cose molto importanti". In effetti, nel 1983, dopo la stampa del libro "Milchamot Ha Shem" mi diedi da fare per venderlo fra le comunità ebraiche italiane; riuscimmo a venderne più di 250 copie e a piazzarlo in qualche libreria di Milano, ma il libro fu osteggiato attivamente dal Rabbino Capo di Roma, Toaff, sostenitore della kabalà dello Zohar, che ne vietò la vendita nella comunità di Roma.

A Milano, il rabbino Laras accettò di esporlo per qualche giorno soltanto nella bacheca del Tempio Maggiore, ma, in seguito alle proteste dei correligionari più ortodossi e intransigenti, lo rimosse e mi invitò a riprenderlo. Ci furono tuttavia anche rabbini italiani che apprezzarono l'uscita del testo, come i rabbini Caro, Kahn, Bahbout. Fu per me motivo di orgoglio e di soddisfazione, quando ricevetti i complimenti dalla mia ex insegnante di italiano, latino e greco, prof. Annetta Levi, di benedetta memoria, che lodò il testo del rabbino yemenita.

 

Dall'esperienza di "Milchamot Ha Shem" capimmo che il peccato idolatra dello Zohar è ancora vivo nel campo di Israele e giorno verrà che nostro padre Giacobbe rimuoverà tutti gli idoli che lo hanno contaminato.

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"ודאשתמש בתגא, חלף" (אבות, א', 13).

 

Chiunque fa uso del Nome, viene fatto morire (Massime dei Padri)

 

Il Morè mi spiegò che coloro che sono in possesso dei Segreti della Torà e del Nome Santo (Tetragramma) devono essere estremamente cauti a farne uso.

 

A tale proposito, lo Tzadik mi parlò di Yeshua – Gesù, che quando aveva studiato nella scuola degli Esseni per tre anni con il suo maestro Perhaiyà (פרחיה) aveva acquisito molti segreti di Kabalà Ma'asit, che hanno la facoltà di far guarire le persone malate e invalide e di generare portenti (come ad esempio la moltiplicazione dei pani).

 

Naturalmente, la trasmissione dei Segreti, si attua se il ricevente è in uno stato di santità e di purità accertate dal suo Maestro. Prima di compiere un'azione miracolosa, tramite l'impiego del Nome Santo, il detentore dei Segreti, che è sotto giuramento, deve chiedere il permesso al proprio Maestro o, in sua assenza, al Signore Benedetto; se non lo fa, se ne assume la responsabilità e può pagare con la propria vita.

 

Gesù, spiegava il Morè, era di animo buono e soffriva nel vedere intorno a sé invalidi, lebbrosi e malati di ogni genere che lo imploravano per ottenere una guarigione. Fu per questo che egli ricorse alla Kabalà Ma'asit e usò il Tetragramma per aiutare il suo prossimo; lo fece in buona fede e disinteressatamente (le Shem Shamaim); tuttavia, contravvenne al giuramento fatto al momento della ricezione dei Segreti; per questo venne condannato dall'Alto.

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Terminato il giorno 11 maggio 2016.