Traduzione: Davide Levi

 

 

SEFER HA YASHAR

 

 

BERESHIT

 

 

QUESTO E' IL LIBRO DELLE ORIGINI DELL'UOMO CHE DIO CREO' SULLA TERRA NEL GIORNO IN CUI DIO FECE LA TERRA E I CIELI

 

 

– E Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza". E Dio creò l'uomo a sua immagine; e Dio formò l'uomo dalla polvere della terra e gli soffiò nelle narici uno spirito di vita; e l'uomo divenne un essere vivente parlante.

E Dio disse: "Non è bene che l'uomo rimanga solo, farò per lui un aiuto che lo completi (o lo contrasti)".

E Dio fece cadere l'uomo in uno stato di torpore ed egli si addormentò.

E Dio gli prese una delle costole e al suo posto vi mise della carne; e in questo modo Dio creò la donna e la presentò all'uomo.

E l'uomo si svegliò dal suo torpore ed ecco che la donna gli stava di fronte.

Ed egli disse: "Questa è osso delle mie ossa, per cui verrà chiamata ishà (donna), poichè è stata tratta da un ish (uomo)".

E l'uomo la chiamò Havà (Eva), poichè essa fu madre di ogni essere vivente. E Dio li benedì e chiamò l'uomo Adamo nel giorno in cui li creò.

E Dio disse loro: "Prolificate e moltiplicatevi sulla terra e riempitela".

E Dio prese Adamo e la sua donna e li mise nel Gan Eden per coltivarlo e vigilarlo.

E Dio ordinò loro: "Di ogni albero del giardino potrete mangiare; ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non mangiate, poichè nel giorno in cui ne mangerete il frutto, morirete".

E Dio dopo averli benedetti e avvisati, era presente su di loro. E Adamo e la sua donna risiedevano nel giardino, secondo il comandamento che aveva dato loro Dio.

E si presentò a loro il serpente, che Dio aveva creato sulla terra insieme a loro per far sì che essi trasgredissero al comandamento che Dio aveve loro impartito. E il serpente fuorviò la donna e la indusse a mangiare il frutto dell'albero della conoscenza, per cui la donna ascoltò la voce del serpente. E trasgredì così l'ordine di Dio e prese il frutto dall'albero della conoscenza del bene e del male e lo mangiò e poi ne diede anche al suo uomo che ne mangiò.

E l'uomo e la sua donna trasgredirono agli ordini di Dio che quando se ne accorse, si adirò e li maledì. E in quel giorno Dio li cacciò via dal giardino di Eden per lavorare la terra da cui erano stati tratti e se ne andarono e si insediarono ad oriente del giardino di Eden. E Adamo si unì carnalmente con sua moglie Eva, che partorì due figli e tre figlie; e chiamò il primogenito Caino, per significare "Con l'aiuto di Dio ho acquistato un uomo".

Il secondo figlio lo chiamò Abele (Hevel), poiché (Eva) disse: "Con un respiro (hevel) siamo venuti al mondo e con un respiro ne saremo tolti".

E i giovani crebbero e loro padre diede loro un possesso nella terra.

Caino lavorava la terra ed Abele era pastore di greggi. Dopo alcuni anni, i giovani portarono un sacrificio in offerta a Dio. Caino portò della frutta della terra ed Abele portò dei primogeniti dal suo gregge e delle loro parti più grasse. E Dio gradì l'offerta di Abele e un fuoco scese da Dio dal cielo e la consumò. Ma invece Dio non gradì l'offerta di Caino e non la accettò perché costui aveva presentato a Dio il frutto della terra più scadente.

E Caino si ingelosì del fratello Abele per questo fatto e cercò un modo per ucciderlo. E avvenne che Caino ed Abele erano nello stesso campo intenti ai loro lavori; Caino arava la terra mentre Abele curava il suo gregge; e il gregge di Abele passò sui solchi che Caino aveva tracciato con l'aratro e Caino si arrabbiò molto per questo fatto[1]. Caino si accostò con rabbia a suo fratello Abele e gli disse, "Cosa c'è in comune fra noi, che tu osi pascolare il tuo gregge sulla mia terra!" Ed Abele rispose a Caino suo fratello e gli disse, "E cosa c'è in comune fra noi che tu osi mangiare i prodotti del mio gregge e indossare la sua lana! Togliti subito gli abiti fatti con la mia lana e paga i prodotti e la carne che hai mangiato! E quando lo farai anch'io uscirò dalla tua terra come hai detto o volerò in cielo se potrò farlo".

E Caino disse a suo fratello Abele "Se ti uccido oggi stesso, chi verrà a cercare il tuo sangue da me?".

E Abele gli rispose "C'è Dio che ci ha creato sulla terra, Egli vendicherà la mia vendetta ed Egli cercherà il mio sangue da te, se tu mi uccidi. Poiché Iddio è il Giudice che giudica ed Egli fa ricadere il male su chi compie il male e ripaga il malvagio con la malvagità che ha commesso sulla terra. Se tu, quindi, mi uccidi, Iddio saprà ciò che nascondi e ti giudicherà per il male che ora dici di volermi fare".

E quando Caino sentì le parole di Abele suo fratello si infuriò contro di lui per ciò che aveva detto. Agì d'istinto, prese un ferro che usava come aratro e colpì suo fratello a morte. Caino sparse il sangue di Abele, che scorreva sulla terra davanti al gregge.

Dopo di ciò Caino si pentì di aver ucciso il fratello e si rattristò molto e pianse su di lui e fu estremamente angosciato. Caino si alzò e scavò una fossa nel campo e ci mise il cadavere del fratello e lo coprì con della terra[2].

E Dio seppe ciò che Caino aveva fatto a suo fratello e gli apparve (p. 2a) e gli disse: "Dov'è tuo fratello Abele che era con te?".

Caino, mentendo, rispose: "Non lo so, sono forse io il guardiano di mio fratello?".

E Dio gli disse, "Che cos'hai fatto, la voce del sangue di tuo fratello sta gridando a Me dalla terra su cui l'hai ucciso. Poiché tu l'hai ucciso ma Me lo neghi e pensi nel tuo cuore che non ti abbia visto e che non sappia tutto ciò che fai. Tu, invece, hai ucciso tuo fratello per niente solo perché ti aveva detto delle cose giuste. Ed ora tu sei più maledetto della terra che ha aperto la sua bocca per accogliere il sangue di tuo fratello dalle tue mani là dove tu l'hai sepolto. E avverrà che quando tu lavorerai la terra, essa non renderà più come prima. Poiché piante spinose ed erbacce spunteranno dalla terra e tu andrai errante e vagabondo sulla terra sino al giorno della tua morte".

Allora Caino uscì dal cospetto di Dio e dal posto dove era stato e andò girovagando ed errando per la terra, a est dell'Eden, lui con tutto ciò che aveva.

E Caino si unì con sua moglie in quei giorni e lei rimase incinta e partorì un figlio; lui lo chiamò Hanoch per dire che in quel periodo Dio aveva cominciato a rasserenarlo ed a farlo riposare.

In quello stesso periodo Caino si mise a costruire una città che chiamò Hanoch, come suo figlio. E Dio lo fece riposare in quei giorni per cui non andava più errando come prima.

Ed a Hanoch nacque Irad ed Irad generò Mehuyael; e Mehuyael generò Metushael e Metushael generò Lemech.

E Adamo quando viveva sulla terra da 130 anni si unì a sua moglie Eva e lei rimase incinta e partorì un figlio a sua propria somiglianza e immagine. Ed egli lo chiamò Shet poichè "Dio mi ha dato un'altra discendenza al posto di Abele ucciso da Caino".

Shet aveva 105 anni quando generò un figlio che chiamò Enosh per dire che in quel periodo le persone iniziarono a moltiplicarsi sulla terra e a far soffrire le loro anime ed il loro cuore, con azioni peccaminose e con la ribellione contro Dio.

Fu al tempo di Enosh che gli uomini perseverarono nella loro ribellione e nel peccare contro Dio, aumentando così l'ira divina nei loro confronti.

E gli uomini adoravano altri dei e dimenticarono Iddio che li aveva creati sulla terra.

In quei tempi si costruivano idoli di bronzo e di ferro, di legno e di pietra e s'inchinavano ad essi venerandoli. Ogni persona faceva un proprio idolo e lo adorava; la gente abbandonò Dio all'epoca di Enosh e di suo figlio.

E Dio s'adirò per le loro azioni e per le abominazioni che facevano sulla terra.

E Dio li inondò con il fiume Ghihon, che sommerse e distrusse un terzo della terra. Nonostante ciò, gli uomini non si pentirono della loro malvagità ed anzi continuarono a fare il male davanti a Dio.

In quei giorni non c'era semina o raccolto sulla terra e non c'era cibo per la gente, per cui ci fu una tremenda carestia. Le semenze che venivano piantate facevano crescere solo pruni spinosi ed erba gramigna.

E così dai tempi di Adamo si abbattè questa sciagura sulla terra, causata dal fatto che Dio aveva maledetto la terra per il peccato commesso da Adamo. E quanto più gli uomini si ribellavano e peccavano contro Dio e si comportavano male tanto più la terra si inaridiva e non dava frutti.

Enosh visse 90 anni e generò Kenan. E Kenan crebbe e all'età di 40 anni era saggio ed era a conoscenza di ogni tipo di saggezza. Ed egli regnò sugli uomini, che guidava con la sua saggezza e le sue conoscenze. Ed oltre ad essere molto saggio e competente in ogni tipo di saggezza, sapeva anche dominare gli spiriti e i demoni. E Kenan sapeva nella sua lungimiranza che Dio avrebbe distrutto l'umanità per i suoi peccati sulla terra e avrebbe procurato un diluvio alla fine dei giorni.

E Kenan scrisse ciò che sarebbe avvenuto in futuro su tavole di pietra, che ripose tra i suoi tesori. E Kenan regnò su tutta la terra e fece sì che gli uomini tornassero a servire Iddio.

E all'età di 70 anni Kenan generò tre figli e due figlie. Questi sono i nomi dei figli di Kenan: il nome del primogenito fu Mahalalel, il secondo Einan ed il terzo Mered. E le loro sorelle si chiamavano Ada e Tzila; questi sono i figli di Kenan, che generò cinque figli. E Lemeh, figlio di Metushael, prese le due figlie di Kenan come mogli. Ada rimase incinta e partorì e Lemeh chiamò il neonato Yabal. Ada rimase nuovamente incinta e partorì Yubal. E Tzila era invece sterile e non aveva figli. Poiché a quel tempo gli uomini avevano cominciato a peccare contro Dio ed a trasgredire al suo comandamento di moltiplicarsi e di prolificare sulla terra. Ed essi davano da bere ad alcune delle loro donne la bevanda della sterilità affinché rimanessero nella loro forma e non scemasse la loro bellezza e il loro aspetto giovanile. E anche Tzila si uniformò a questa usanza e bevve quella bevanda. E le donne che partorivano diventavano ripugnanti agli occhi dei loro mariti per cui venivano considerate come vedove vive.

E fu dopo molti anni, quando era in età avanzata che Dio aprì il grembo di Tzila. Lei rimase incinta e partorì un figlio e lo chiamò Tubal Cain dicendo "Dopo che ne ero priva, ho acquisito un figlio grazie a El Shaddai". E Tzila rimase nuovamenta incinta e partorì una figlia che chiamò Na'ama poiché disse: "Dopo che ne ero priva, è tornata la fertilità ed il piacere".

Lemech era ormai vecchio e i suoi occhi erano affaticati e, non potendo vedere bene, era guidato dal figlio Tubal Cain. Un giorno Lemech uscì all'aperto con Tubal Cain; e mentre camminavano insieme, si imbatterono in Caino, figlio di Adamo, che veniva verso di loro nel campo e Lemech, che era molto anziano e non vedeva praticamente niente procedeva col figlio Tubal Cain, che era ancora un ragazzo molto giovane. E Tubal Cain disse a suo padre di scoccare delle frecce e Lemech gli obbedì e colpì Caino con dei dardi, da una certa distanza, e lo uccise credendo che fosse un animale. E le frecce si conficcarono nel corpo di Caino che era lontano da loro, per cui stramazzò a terra morto.

Dio fece pagare a Caino il male che aveva fatto ad Abele suo fratello, come Dio gli aveva detto. E fu quando morì Caino che Lemech e Tubal Cain andarono a vedere l'animale che avevano colpito a morte ed ecco che invece Caino il loro antenato giaceva esanime a terra. Lemech, scosso moltissimo per l'azione compiuta, si disperò battendo le mani una contro l'altra e riempì di schiaffi il proprio figlio fino a farlo morire.

E le mogli di Lemech, venute a conoscenza di ciò che aveva fatto, lo volevano uccidere. Lo odiarono da quel giorno in poi perché aveva ucciso sia Caino che Tubal Cain. Esse si separarono da lui e non ne volevano più sentire parlare.

E Lemech si recò dalle proprie mogli e le implorò affinché ascoltassero ciò che aveva da dir loro. E Lemech disse alle proprie mogli Ada e Tzila: "Ascoltate la mia voce, mogli di Lemech, udite[3] la mia parola. Ora voi avete pensato ed avete detto che io ho ucciso senza motivo un uomo per (vendicare) una ferita ed un ragazzo per una contusione. Non sapete forse che sono diventato vecchio ed i miei occhi vedono a malapena e che ho fatto ciò senza volerlo?".

Le mogli di Lemech lo ascoltarono e tornarono da lui secondo il consiglio di Adamo loro primo padre. Esse, però, non vollero più figli poiché sapevano che la collera di Dio andava crescendo in quei giorni contro gli uomini volendoli distruggere con le acque del Diluvio a causa della loro malvagità.

Mahalalel, figlio di Kenan, aveva 65 anni quando generò Yered. Yered aveva 162 anni quando generò Hanoch. Hanoch aveva 65 anni quando generò Metushelach (Matusalemme).

E Hanoch procedeva con Dio dopo che ebbe generato Matusalemme e serviva l'Altissimo e odiava le vie peccaminose degli uomini. L'anima di Hanoch seguiva la morale, la conoscenza e la comprensione perchè procedeva con il Signore. E nella sua saggezza si separò dagli uomini e si nascose per molti giorni.

Dopo molti anni che serviva Dio e Lo pregava sempre nella sua stanza di casa, venne un angelo di Dio che lo chiamò e gli disse: "Hanoch, Hanoch" ed egli rispose "Eccomi". E gli disse: "Alzati, esci dalla tua casa e dal posto in cui ti sei nascosto, e regna su tutti gli uomini, così che tu possa insegnare loro la strada da seguire e le azioni da fare per procedere secondo le vie del Signore".

E Hanoch obbedì ed uscì dalla sua casa e dalla stanza in cui risiedeva, per compiere la parola di Dio. Egli andò dagli uomini ed insegnò loro le vie di Dio. Egli riuniva gli uomini in quel periodo e faceva conoscere loro le azioni amate da Dio. Egli dava regole ed insegnamenti laddove c'erano degli uomini, proclamando: "Chi è colui che desidera conoscere le vie del Signore ed il giusto comportamento; che venga da Hanoch".

Si raccolsero presso di lui moltissime persone in quel tempo. Chiunque voleva conoscere la verità andava da Hanoch. Hanoch regnava sugli uomini, come richiesto da Dio, e venivano da lui e gli si prostravano a terra e tutti insieme ascoltavano le sue parole.

E lo spirito di Dio fu su Hanoch che insegnava a tutti la saggezza di Dio e le Sue vie e gli uomini servivano Iddio nel periodo di Hanoch e veniva molta gente ad ascoltare la sua saggezza. Anche gli altri re, i primi ed i recenti, i loro ministri e giudici, venivano da Hanoch per ascoltare la sua saggezza e si inchinavano a lui. Anch'essi espressero il desiderio che Hanoch diventasse il loro re e Hanoch acconsentì alla loro richiesta.

Allora si raccolsero presso di lui circa 130 fra re e ministri e nominarono Hanoch loro re; tutti sottostavano a lui e ai suoi ordini. Hhanoch insegnò loro la saggezza, la conoscenza e le vie di Dio e mise pace fra tutti loro e ci fu la pace in tutta la terra nei giorni di Hanoch; e Hanoch regnò su tutti gli uomini per 243 anni ed egli agì con giudizio e con carità con tutto il suo popolo e lo guidò lungo le vie di Dio.

Queste sono le generazioni di Hanoch: Metushelach, Elisha e Elimelech, 3 figli e le loro due sorelle Malka e Na'ama. Metushelach aveva 187 anni quando generò Lemech. E quando Lemech aveva 56 anni, morì Adamo a 930 anni e lo seppellirono Shet ed i suoi figli e Hanoch e Metushelach suo figlio con grandissimo onore, come si addice ai funerali dei re, nella caverna che Dio aveva comunicato loro. Tutti gli uomini fecero un grande onore a quel posto e piansero la morte di Adamo. Perciò è diventata una regola fissa presso gli uomini sino a questo giorno.

Adamo morì perché aveva mangiato dall'albero della conoscenza, lui ed i suoi figli, come gli aveva detto Dio. L'anno in cui morì Adamo fu il 243esimo anno del regno di Hanoch.

In quel periodo Hanoch decise di separarsi dagli uomini e di nascondersi da loro come prima per servire Iddio. E così fece Hanoch, che però non si nascondeva tutti i giorni. Si nascondeva 3 giorni e nel quarto giorno si rivelava a loro. Nei tre giorni che era nel suo rifugio, egli pregava e lodava il Signore, suo Dio, e poi usciva dai suoi sudditi per dimostrare loro ed insegnare loro la via di Dio, ed ogni cosa che loro domandavano lui gliela spiegava. Cosi faceva per molti anni ma dopo di ciò si nascondeva 6 giorni e si rivelò un giorno al popolo, una volta ogni 7 giorni, e, dopo di ciò, un giorno ogni mese, e dopo di ciò un giorno all'anno, sino a quando lo cercarono tutti i re e tutti i ministri e tutte le persone. Tutti volevano vedere Hanoch e ascoltare le sue parole e non potevano perché tutti temevano molto Hanoch ed avevano paura di accostarsi a lui per motivo del timore di Dio che era sul suo viso. Perciò non potevano vederlo per paura di morire. Tutti i re ed i ministri decisero di radunarsi insieme con tutti gli uomini e di andare da Hanoch loro re così che tutto il popolo potesse parlargli quando si fosse presentato e così fecero. Nel giorno in cui Hanoch usciva, tutti si raccoglievano ed andavano insieme per parlargli e per convincerlo ad insegnare loro la saggezza e ad istruirli nel timore di Dio. E tutti quegli uomini si stupivano e si meravigliavano della sua saggezza, e si prostavano a terra davanti a lui e dicevano "Evviva il re, evviva il re".

Dopo alcuni giorni che tutti i re e ministri e gli uomini parlavano con Hanoch e questi insegnava loro le vie di Dio, un angelo di Dio chiamò Hanoch e gli ordinò di salire in cielo perché regnasse sui figli di Dio (angeli) nel cielo così come egli regnava sugli uomini in terra. In quel momento, quando Hanoch sentì questa cosa, egli convocò presso di sé tutti gli abitanti della terra e insegnò loro la saggezza e la conoscenza ed i comportamenti amati da Dio. Ed egli disse loro: "Mi hanno chiesto di salire nei cieli ma non so il giorno del mio cammino. Ed ora vi insegnerò la saggezza e il giusto comportamento da praticare in terra prima di andarmene via da voi". E così fece, insegnando loro la saggezza e la conoscenza ed i giusti comportamenti. E diede loro leggi e regole da rispettare in terra, e diede loro la pace e mostrò loro come vivere nel mondo. Egli restava con loro molti giorni sempre insegnando tutto ciò. E fu quando gli uomini stettero con Hanoch e lui parlava con loro ecco che essi innalzavano gli occhi e videro la forma di un grande cavallo scendere dal cielo ed il cavallo procedeva col vento della terra. Essi dissero a Hanoch ciò che videro e Hanoch rispose loro: "Per me è questo cavallo che scende per terra. Poiché è arrivato il giorno ed il momento che devo lasciarvi e non mi mostrerò più a voi". Scese poi il cavallo e stette davanti a Hanoch e tutti gli uomini che erano con Hanoch lo vedevano.

In quel momento Hanoch ordinò ancora una volta di far passare la voce che dichiarò: "Colui che vuole sapere le vie del Signore, suo Dio, che venga ogni giorno da Hanoch prima che egli ci venga tolto". Si radunarono tutti gli uomini e vennero da Hanoch in quel giorno e così anche i re della terra con i loro ministri e consiglieri, nessuno lo lasciò in quel giorno. Hanoch insegnò la saggezza e la conoscenza ed il giusto comportamento a tutti gli uomini in quel giorno e comandò loro con urgenza di servire Dio e di seguire le Sue vie tutti i giorni della loro vita e mise ancora la pace fra tutti loro. Dopo di ciò egli si alzò e cavalcò il cavallo e se ne andò. E tutti quanti andarono dietro a lui, circa 800.000 uomini. Andavano con lui per una giornata intera e nel secondo giorno egli disse loro: "Tornate alle vostre tende; perché venite con me? Fate ciò e non morirete!" La maggiore parte tornò ma quelli rimanenti proseguirono con lui sei giorni e Hanoch diceva loro ogni giorno: "Tornate alle vostre tende altrimenti morirete" ma essi non lo volevano abbandonare.

Nel sesto giorno Hanoch parlò con loro ancora dicendo:"Tornate alle vostre tende, via da me, perché domani salirò in cielo e chiunque sia ancora con me morirà". Molti tornarono ma rimasero ancora degli uomini che non volevano staccarsi da lui e gli dissero: "Verremo con te, dovunque tu vada, è vero Iddio che solo la morte ci separerà da te". E fu quando tentarono di seguirlo che egli smise di parlare con loro ed essi andarono dietro a lui e non tornarono. Gli altri re, invece, quando tornarono, vollero sapere il numero degli uomini che avevano seguito Hanoch. E fu nel settimo giorno e Hanoch salì in un turbine al cielo con cavalli di fuoco e carri di fuoco. I re che erano stati con Hanoch mandarono uomini nell'ottavo giorno in quel posto dove Hanoch era salito al cielo per riportare il numero degli uomini che erano rimasti con Hanoch; ed essi trovarono una terra piena di neve e sulla neve grosse 'pietre' fatte da palle di neve. E si dissero l'uno l'altro: "Spacchiamo questa neve per vedere se ci sono gli uomini che erano rimasti con Hanoch morti sotto questa neve". Così fecero e cercarono in tutta quella neve e trovarono gli uomini che erano rimasti con Hanoch; non trovarono Hanoch perché egli era salito al cielo[4].

E Hanoch visse sulla terra 365 anni. Nell'anno 113 della vita di Lemech, figlio di Metushelach, Hanoch salì in cielo. E fu quando Hanoch salì in cielo che tutti i re della terra presero Metushelach suo figlio e lo unsero e lo misero re su di loro al posto del padre. E Metushelach si comportò bene agli occhi di Dio come suo padre gli aveva insegnato. Anche lui insegnava agli uomini la saggezza, la conoscenza ed il timore di Dio e non deviò per tutti i suoi giorni, né a destra né a sinistra, dalla giusta strada.

Alla fine dei suoi giorni, però, gli uomini presero a deviare da Dio e a corrompere la terra, rubando e saccheggiando a vicenda. Si ribellarono contro Dio, peccando e corrompendo le loro vie e non vollero ascoltare la voce di Metushelach ribellandosi anche a lui. Dio s'adirò molto contro di loro e continuò a distruggere le semenze in quei giorni e non essendoci semi non c'erano raccolti sulla terra. Quando si mettevano i semi nella terra per far crescere gli alimenti per il sostentamento crescevano invece piante spinose ed erbacce. Nonostante ciò, gli uomini non si pentivano della loro malefatte e le loro mani continuavano a fare il male davanti a Dio. Fecero arrabbiare Iddio con le loro cattive azioni e Dio s'adirò molto e si pentì di aver creato l'uomo per cui decise di distruggerlo e di farlo scomparire dalla terra e così fece.

In quei giorni quando Lemech figlio di Metushelach aveva 168 anni, morì Shet figlio di Adamo. E Shet visse 922 anni e morì. Lemech aveva 181 anni quando prese per moglie Eshmoa, figlia di Elisha, figlio di Hanoch, suo zio, e lei rimase incinta. In quel periodo gli uomini seminarono la terra e trovarono un po' di cibo dalla terra[5]. Non si pentirono, comunque, dalle vie peccaminose e commisero sacrilegio e si ribellarono contro la terra.

La moglie di Lemech rimase incinta e gli diede un figlio in quel periodo dell'anno. Matusalemme chiamò il figlio Noè (Noah) per dire che la terra si era calmata e riposata nei suoi giorni. E suo padre Lemech lo chiamò Menahem, per dire, questo ci consolerà dalle nostre azioni e dalla sofferenza da noi causata alla terra che Dio aveva maledetto. Il bambino fu svezzato, crebbe e camminò secondo le vie di Metushelach e di suo padre ed era giusto e semplice con Dio. Tutti gli altri, però, deviavano in quel tempo (da quelle vie) quando si moltiplicarono sulla terra con figli e figlie. Ognuno insegnava al prossimo le cattive vie e tutti peccavano davanti a Dio. Ognuno si costruiva un proprio idolo, rubava e saccheggiava, sia il prossimo che i propri familiari e pervertiva la terra che era così al colmo della depravazione. I giudici e i preposti a far rispettare la legge si comportavano viziosamente con le donne e prendevano con la forza, a loro piacimento, le donne sposate. Gli uomini dell'epoca si accoppiavano anche con gli animali della terra e con le bestie della campagna e con gli uccelli del cielo ed insegnavano loro ad accoppiarsi anche con chi non era della stessa specie, per irritare Dio col loro comportamento. E Dio vide tutta la terra ed ecco si era corrotta poiché ogni uomo si pervertiva sulla terra, uomini e animali.

E Dio disse: "Cancellerò l'uomo che ho creato sulla terra, dall'uomo sino agli uccelli del cielo e agli animali ed alle bestie del campo perché mi sono pentito di averli creati".

In quei giorni ogni uomo che seguiva le vie del Signore morì prima che Dio riversasse sui viventi il male che aveva loro preannunciato. Ciò avvenne perchè Dio non voleva che vedessero il male che aveva predetto. E Noè trovò grazia agli occhi di Dio e Dio lo scelse, con i suoi figli, per dar vita alla progenie sulla faccia della terra.

 

 

 

NOAH (NOE')

 

 E quando Noè aveva 84 anni, morì Enosh, figlio di Shet, a 905 anni. E quando Noè aveva 197 anni morì Keinan, figlio di Enosh. E Keinan visse 910 anni e morì. E quando Noè aveva 243 anni morì Mehallalel, figlio di Keinan. E Mehallalel visse 895 e morì. E Yered, figlio di Mehallalel, morì in quei giorni quando Noè aveva 362 anni. E Yered visse 962 anni e morì. Ed anche tutti coloro che seguivano le vie di Dio perirono in quell'epoca, prima di poter vedere il male che Dio aveva dichiarato di riversare sulla terra. Alla fine di quei giorni ed anni, quando Noè aveva 480 anni, dopo che erano morti tutti coloro che avevano seguito le vie di Dio, era rimasto solo Matusalemme.

E Dio disse a Noè ed a Matusalemme, "Parlate e convocate tutti gli uomini e dite loro, 'Così ha detto Dio, "Pentitevi della vostra cattiva condotta e lasciate quelle vostre azioni e Dio recederà dal male che aveva pensato di fare in terra così da annullarlo. Poiché, parola di Dio, Io vi do 120 anni di tempo e se voi vi pentirete e tornerete a Me e abbandonerete le vostre cattive azioni, Io recederò dal male che avevo in progetto di fare".

Noè e Matusalemme riportavano tutte queste parole di Dio a tutta la gente, giorno dopo giorno, ogni mattina, in tutto quel periodo di tempo, ma la gente non prestava ascolto e non dava retta alle loro parole e induriva la propria cervice. Dio diede loro un periodo di 120 anni, dicendo, 'Se vi pentite e tornate a Dio, Egli si ravvederà e non distruggerà la terra'.

Noè, figlio di Lemech, non prese moglie per figliare perché disse, "Dio sta per distruggere tutta l'umanità sulla terra, che senso ha mettere al mondo dei figli?" E Noè era un uomo giusto, e semplice di cuore in quelle generazioni, e Dio lo scelse per far continuare la discendenza sulla terra. E Dio disse a Noè, "Prenditi una moglie e metti al mondo dei figli, poiché ho visto che sei giusto davanti a Me in questa generazione. Tu ed i tuoi figli vivrete sulla terra". E Noè obbedì e prese moglie scegliendo Na'ama la figlia di Hanoch e lei aveva 580 anni. Noè aveva 408 anni quando prese Na'ama[6] per moglie.

Na'ama rimase incinta e partorì un figlio e (Noè) lo chiamò Yaffet dicendo 'Dio mi moltiplicherà sulla terra'. E partorì ancora e (Noè) lo chiamò Shem dicendo, 'Dio mi ha concesso (samàni) una rimanenza per vivere sulla terra. Noè aveva 502 anni quando Na'ama partorì Shem. Crescevano i giovani e seguivano le vie di Dio come avevano loro insegnato Matusalemme e Noè loro padre. E Lemech, il padre di Noè, morì in quei giorni perché anche lui non seguiva la via di suo padre con tutto il cuore e morì quando Noè aveva 595 anni. Lemech visse 777 anni e morì. Ed anche tutti coloro che conoscevano Iddio morirono in quell'anno prima che Dio portasse il male sugli uomini. Poiché Dio volle fare morire coloro che avevano fatto conoscere Dio ai loro fratelli e al loro prossimo affinchè non vedessero il male che Dio si apprestava a fare.

In quel tempo Dio disse a Noè ed a Matusalemme: Andate a riferire alla gente tutte le parole che vi ho detto in questi giorni. Forse si pentiranno delle loro cattive azioni e anch'Io mi ravvederò del male evitando di mandarglielo. – E Noè e Matusalemme andarono a riferire a tutti ciò che Dio aveva loro detto. Gli uomini, però, non ascoltarono e non prestarono orecchio alle loro parole.

Fu dopo di ciò che Dio disse a Noè: la fine di ogni essere vivente è arrivata davanti a Me a causa delle loro malefatte ed ora li distruggerò sulla terra. E tu, prendi del legno di gofer (pino ?/cipresso?) e vai in un posto e qui costruirai per te una grande arca. Così la farai: 300 braccia di lunghezza, 50 di larghezza e 30 di altezza. Costruirai una porta al suo fianco della lunghezza massima di un braccio e la completerai di sopra, spalmandola di pece all'esterno e all'interno. Io manderò il diluvio, allagherò la terra e distruggerò ogni essere vivente sotto il cielo, ogni cosa in terra perirà. E tu ed i tuoi figli entrerete nell'arca, raccogliendo in essa ogni vivente, a coppie, maschio e femmina, e li farete entrare nell'arca per figliare una discendenza sulla terra. E raccogli nell'arca il cibo per ogni vivente, cibo che servirà a te e a loro. E sceglierai per i tuoi figli tre femmine giovani dalle figlie degli uomini per darle loro in moglie.

E Noè fece l'arca nel posto che Dio gli aveva prescritto e la fece esattamente come Dio gli aveva ordinato. Noè iniziò a costruire l'arca all'età di 595 anni e la finì in ogni dettaglio e misura all'età di 600 anni. Egli realizzò l'arca in 5 anni come gli aveva comandato Dio. Allora Noè prese le tre figlie di Eliakim, figlio di Matusalemme come mogli per i suoi figli, secondo il comandamento divino.

In quel periodo morì Matusalemme, figlio di Hanoch, a 969 anni. Dopo la sua morte, Dio disse a Noè "Entra tu e tutta la tua famiglia nell'arca. Ecco che Io raccolgo per te tutti gli animali della terra e dei campi e i volatili del cielo e si presenteranno tutti e circonderanno l'arca. Esci tu e stai sotto la porta dell'arca e tutte le bestie e tutti gli animali e gli uccelli del cielo verranno al tuo cospetto. E tutti quelli che si accucciano davanti a te, prendili e dalli ai tuoi figli, affinchè li facciano entrare nell'arca ma quelli che rimangono fermi lasciali stare.'

Il giorno dopo Dio fece così e venne una grande moltitudine di bestie, di animali e di volatili che circondarono l'arca. Noè uscì e stette all'ingresso dell'arca e quelli che si accucciavano davanti a lui, di ogni specie, li consegnò ai suoi figli nell'arca mentre tutti gli altri li lasciò a terra. E arrivò una giovane leonessa con due leoncini, uno maschio e una femmina, e stettero nel posto dei leoni; poi vennero e si accucciarono davanti a Noè tutti e tre. E i due figli della leonessa si levarono contro la loro madre e la colpirono, facendola scappare dal loro posto; lei abbandonò il posto e loro tornarono e si accucciarono a terra davanti a Noè. La leonessa fuggì dal posto dei leoni. E Noè vide tutto questo e si meravigliò molto, si alzò e prese i due leoncini e li portò nell'arca.

Noè fece entrare nell'arca ogni vivente sulla terra, non rimase specie che Noè non portò nell'arca. A coppie entrarono nell'arca e dagli animali puri e dagli uccelli puri egli ne fece entrare sette, come gli comandò Iddio. E tutte le bestie, gli animali e gli uccelli erano nel posto riservato a loro; circondarono l'arca da un estremo all'altro. Non c'era ancora la pioggia, che iniziò a cadere nel settimo giorno. Dio produsse un terremoto in quel giorno su tutta la terra e il sole fu oscurato e tremarono le fondamenta della terra. Tremò tutta la terra, si scatenarono lampi e tuoni ed il frastuono era terribile, mai si vide cosa simile.

Dio produsse questa cosa tremenda per impaurire la gente e farla pentire, scongiurarando il male. Tuttavia, gli uomini non si pentirono ed aggiunsero all'ira di Dio in quel momento poichè non Gli davano ascolto. Dopo una settimana, nell'anno in cui Noè aveva 600 anni, le acque del diluvio si riversarono sulla terra. Si aprirono le sorgenti degli abissi e le cateratte dei cieli e cadde pioggia incessante sulla terra per 40 giorni e 40 notti. E Noè entrò con tutta la sua famiglia e con ogni vivente che aveva preso con sé nell'arca, a causa delle acque del diluvio, e Dio chiuse (la porta) dietro a loro.

E tutti gli uomini rimasti sulla terra erano disperati per le acque che salivano e le bestie e gli animali stavano ancora intorno all'arca. Poi si radunarono tutti quanti, circa 700.000 persone, uomini e donne e si recarono da Noè vicino all'arca. E implorarono Noè dicendo "Aprici la porta e verremo con te sull'arca! Perché dobbiamo morire?"

Rispose Noè con una voce fortissima dall'arca e disse loro, "Non siete stati forse voi a ribellarvi tutti contro Iddio dicendo che non esisteva! Ora è Dio che porta contro di voi questa sciagura per farvi scomparire dalla faccia della terra! Non era forse di questo che vi ho parlato fino ad oggi per 120 anni, ma voi non avete voluto ascoltare la parola di Dio. Ed ora vorreste vivere sulla terra?!"

E dissero tutti a Noè, "Ecco che siamo pronti a fare penitenza, ti prego, aprici e vivremo e non moriremo".

Noè rispose loro dicendo, "Adesso parlate così perché vi vedete in pericolo vitale e chiedete di tornare a Dio. Perché non siete tornati in tutti questi 120 anni che Dio aveva stabilito per questo scopo? Solo ora venite e dite queste cose per il male che incombe su di voi; ma Dio non vi ascolterà e non vi udirà adesso, ed ora non riuscirete con le vostre parole."

Ed essi si accostarono per rompere l'arca ed entrarci perché non potevano più sopportare la pioggia incessante. E Dio mandò contro di loro tutti gli animali e tutte le bestie che stavano lì intorno all'arca. Gli animali li vinsero e li fecero fuggire via dall'arca. Molti di loro rimasero uccisi e quelli che fuggivano andavano ognuno per la sua strada e si dispersero sulla faccia della terra.

La pioggia continuava a scendere sulla terra per 40 giorni e 40 notti e le acque si rafforzarono assai sulla terra. Ed ogni vivente della terra morì annegato: gli uomini, gli animali, le belve, i rettili e gli uccelli del cielo. E rimasero solo Noè e chi era con lui nell'arca. E le acque divennero ancora più potenti, aumentarono di livello e sollevarono l'arca che galleggiò sulle acque. L'arca galleggiava sulle acque e veniva sballottata fortemente di qua e di là e ogni essere vivente al suo interno veniva rimescolato come brodo bollente nella pentola. Terribile fu la costernazione dentro l'arca e sembrava ormai certo che anche l'arca si sarebbe infranta. Ogni essere vivente dentro l'arca era sconvolto, i leoni ruggivano, i bovini muggivano e i lupi ululavano. Tutti emettevano lamenti che si sentivano in lontananza. Anche Noè ed i suoi figli gridavano e piangevano nella loro disperazione; ebbero grande paura ed arrivarono ai cancelli della morte.

E Noè pregò il Signore e Lo implorò dicendo: Ti prego, Dio, salvaci, poiché non abbiamo la forza di sopportare questo male che ci angoscia. Poiché ci hanno angariato le onde del mare e fiumi di acqua impetuosa ci hanno martoriato e il baratro della morte è aperto davanti a noi. Rispondici, oh Dio, rispondici e salvaci, vòlgiti a noi ed abbi pietà, aiutaci e salvaci. –

E Dio ascoltò la supplica[7] [8]di Noè, e si ricordò di lui e sollevò un vento sulla terra e le acque si abbassarono e l'arca si adagiò sulle acque calme. E si trattennero le sorgenti dell'abisso e le cataratte del cielo e cessò di piovere. Allora le acque cominciarono ad abbassarsi e l'arca si arenò sulle montagne di Ararat. E Noè aprì la finestra dell'arca e chiamò ancora il Signore in quel momento e disse: Ti prego, Signore, Dio di tutta la terra e di tutte le acque e di tutto ciò che esse contengono, fammi uscire da questa prigione, da questa cella in cui ci hai messi, poiché mi sono affaticato troppo nella mia angoscia. –

Dio ascoltò la voce di Noè e gli disse: Quando sarà completato un anno intero, potrai uscire.

E fu quando si completò il ciclo dell'anno ed era trascorso un anno esatto dal loro ingresso nell'arca, si asciugarono le acque sulla terra, e Noè tolse la botola dell'arca. In quel momento, nel 27esimo giorno del secondo mese, si asciugò la terra ma non uscirono Noè ed i suoi figli e tutti quanti nell'arca sino a quando Dio parlò con loro. E fu nel giorno in cui Dio disse loro di uscire ed uscirono tutti dall'arca, ogni essere vivente andò per la sua strada. Noè ed i suoi figli abitarono sulla terra che Dio aveva dato loro, e servirono Iddio tutti i loro giorni.

E Dio benedì Noè ed i suoi figli quando uscirono dall'arca. Dio disse loro: figliate e prolificate e riempite tutta la terra. Siate forti ed estendetevi su tutta la terra e moltiplicatevi in essa.

Questi sono i nomi dei figli di Noè, Yafet, Ham e Shem, (Giaffet, Cam e Sem) e generarono figli dopo il diluvio, poichè avevano preso moglie prima del diluvio.

Questi sono i figli di Yafet: Gomer, Magog, Madai, Yavan, Tubal, Meshech e Tirasi, 7 figli.

I figli di Gomer sono Ashkenaz, Rifat e Tugrama.

I figli di Magog sono Elichoref e Lobav.

I figli di Madai sono Ahhon, Zila, Honi e Liti.

I figli di Yavan sono Elisha, Tarshish, Chitim e Dudanim.

I figli di Tubal sono Aripi, Hesed e Te'eri.

I figli di Tiras sono Beniov, Ghira, Chizun, Luperion e Ghilak. Questi sono i figli di Yafet secondo le loro famiglie, ed il loro numero in quei giorni era di circa 460 uomini.

Questi sono i figli di Ham: Cush, Mitzraim, Put, Canaan, 4 figli.

I figli di Cush sono Seba, Havila, Sabta, Ra'ama, Sabtecha. I figli di Ra'ama sono Shva e Dedan.

I figli di Mitzraim sono Lud, 'Onam, Lahav, Naftuah, Patros, Chisloah e Caftor.

I figli di Put sono Ghevel, Hadan, Bana e 'Adan.

I figli di Canaan sono Tzidon, Het, Imri, Ghergashi, Hivi, Irki, Sini, Arudi, Tzemer e Hamat. Questi sono i figli di Cam, secondo le loro famiglie, ed il loro numero in quei giorni era di circa 730 uomini.

Questi sono i figli di Shem: Elam, Ashur, Arpachshad, Lud e Aram, 5 figli.

I figli di Elam sono Shushan, Mehol e Hermon.

I figli di Ashur sono Miras e Mokil.

I figli di Arpachshad sono Shelah, Aner e Eshcol.

I figli di Lud sono Patur e Asion.

I figli di Aram sono Utz, Hol, Gheter e Mash. Questi sono i figli di Shem secondo le loro famiglie ed il loro numero in quei giorni era di circa 370 uomini.

Queste sono le generazioni di Shem: Shem generò Arpachshad, Arpachshad generò Shelah e Shelah generò Eber.

Eber generò due figli, uno si chiamava Peleg perché nei suoi giorni si dimezzò la vita degli uomini e verso la fine dei suoi giorni si divise la terra. Il nome del secondo figlio era Yoktan, per dire, che era diminuita e si era accorciata la lunghezza della vita ai suoi giorni. I figli di Yoktan sono Elmodad, Shelef, Hatzermavet e Yerah, Haduram, Usal, Dikla, Ubal, Abimael, Shva, Ofer, Havila, Yobav; tutti questi sono i figli di Yoktan. E Peleg, suo fratello, generò Re'u. Re'u generò Srug. Srug generò Nahor e Nahor generò Terah. E quando Terah aveva 38 anni, generò Haran e Nahor.

E Cush, figlio di Cam, figlio di Noè, prese moglie in quei giorni, nei giorni della sua vecchiaia; lei partorì un figlio che chiamarono Nimrod, per dire, in quel periodo, iniziarono gli uomini a ribellarsi ancora ed a peccare contro Dio. Il bambino crebbe e suo padre lo amava molto perché era figlio della sua vecchiaia. Cush gli consegnò il 'Mantello di Luce' che Dio aveva fatto per Adamo ed Eva quando erano usciti dal Giardino. E fu dopo la morte di Adamo ed Eva che i mantelli furono consegnati a Hanoch figlio di Yered; e quando Hanoch fu preso da Dio, essi vennero dati a Matusalemme, suo figlio. Quando morì Matusalemme, li prese Noè e li portò con sé nell'arca e furono con lui sino alla loro uscita dall'arca, ma quando uscirono dall'arca Cam rubò i Mantelli a suo padre Noè e li nascose dai fratelli. E quando nacque Cush, il suo primogenito, glieli consegnò di nascosto. Essi erano con Cush per molto tempo, che li nascose dai suoi figli e dai fratelli. E quando Cush generò Nimrod, glieli consegnò perché amava molto questo suo figlio.

Quando Nimrod aveva 20 anni, egli indossò quei vestiti e Dio gli diede forza e potenza e Nimrod divenne un abile cacciatore sulla terra. Egli era un forte cacciatore di campo e cacciava gli animali e costruì altari e sacrificò gli animali a Dio. Si rafforzò Nimrod e si elevò fra i suoi fratelli combattendo battaglie contro i loro nemici e Dio diede i nemici dei suoi fratelli nella sua mano. Dio lo fece riuscire nelle sue guerre per cui regnò sui paesi. Egli era additato ad esempio in quei giorni e quando i suoi soldati sguainavano la spada per combattere dicevano davanti a lui 'Come Nimrod che era forte cacciatore sulla terra e riuscì nelle sue guerre; superò i suoi fratelli e salvò loro dai loro nemici, così Dio ci renda forti e ci salvi in ogni giorno'.

Quando Nimrod aveva 40 anni, scoppiò una guerra fra i suoi fratelli ed i figli di Yafet, ed i primi ebbero la peggio. Nimrod si rafforzò in quel momento e radunò tutti i figli di Cush e tutte le famiglie di Ham, circa 460 uomini. Egli assoldò pure uomini fra i suoi amici e conoscenti da 80 anni e li pagò perché lo seguissero in guerra. Strada facendo, Nimrod esortava il loro animo dicendo, "Non temete e non abbiate paura poiché di sicuro tutti i nostri nemici saranno dati nelle nostre mani e farete con loro tutto ciò che vorrete. E quelli lo seguirono, 540 uomini, che combatterono contro i loro nemici, li sconfissero, li resero loro sudditi e Nimrod mise degli ufficiali sopra di loro. Nimrod prese da loro dei figli come pegno e tutti divennero servi di Nimrod e dei suoi fratelli; poi Nimrod ed il suo seguito tornarono alle loro destinazioni.

Quando Nimrod tornò dalla guerra, felice per la vittoria contro i nemici, tutti i suoi fratelli e tutti i suoi conoscenti di prima si radunarono e lo nominarono re e misero la corona del regno sulla sua testa. Ed egli mise ministri e giudici e guide su tutti i sudditi e tutto il suo popolo, come è legge dei re. Come ministro della guerra egli nominò Terah, figlio di Nahor e lo innalzò e lo mise sopra tutti i ministri. E mentre Nimrod regnava come desiderava e conquistava tutti i nemici circostanti, i suoi consiglieri decisero di costruire una città come sede del suo Regno e così fecero. Essi trovarono una valle verso est e lì costruirono una grande e vasta città. Nimrod chiamò la città costruita Shinar poiché aveva sottomesso tutti i suoi nemici e li aveva conquistati e qui regnò al sicuro e combatté e vinse ogni nemico e riuscì in tutte le sue guerre ed estese di molto il suo regno.

Tutti i popoli sapevano della sua fama e si radunarono tutti insieme presso di lui e gli portarono offerte e si inchinavano a lui e lodavano il 'signore' ed il re e tutti andavano a vivere nella città di Shinar. E Nimrod regnò sulla terra su tutti i figli di Noè e tutti erano sotto il suo potere e sotto la sua volontà. E tutta la terra usava una sola lingua e le stesse espressioni. Nimrod, però, non seguì le vie di Dio e fece il male più di chiunque lo aveva preceduto, dal tempo del diluvio sino ai suoi giorni. Egli fece idoli di legno e di pietra e si prostrò a loro, e si ribellò contro Dio ed insegnò a tutti i suoi sudditi le cattive strade; anche Merdon suo figlio peccò peggio di lui, e chiunque sentisse della malvagità di Merdon, figlio di Nimrod, diceva di lui, "Da un malvagio (=rashà) vieni fuori un malvagio". Così fu proverbiale da allora in poi.

E Terah, il figlio di Nahor, ministro della guerra di Nimrod era già molto avanzato negli anni agli occhi del re ed agli occhi di suoi servi e il re e tutti i ministri lo amavano e lo lodavano assai. E Terah prese una moglie di nome Amtalai, figlia di Karnebò. E rimase incinta e partorì un figlio in quei giorni. Terah aveva 70 anni quando nacque il figlio che fu chiamato Avram, dicendo che il re lo aveva innalzato in quel tempo al di sopra di tutti gli altri Ministri.

La moglie di Lemech rimase incinta e gli diede un figlio in quel periodo dell'anno. Matusalemme chiamò il figlio Noè (Noah) per dire che la terra si era calmata e riposata nei suoi giorni. E suo padre Lemech lo chiamò Menahem, per dire, questo ci consolerà dalle nostre azioni e dalla sofferenza da noi causata alla terra che Dio aveva maledetto. Il bambino fu svezzato, crebbe e camminò secondo le vie di Metushelach e di suo padre ed era giusto e semplice con Dio.

Tutti gli altri, però, deviavano in quel tempo (da quelle vie) quando si moltiplicarono sulla terra con figli e figlie. Ognuno insegnava al prossimo le cattive vie e tutti peccavano davanti a Dio. Ognuno si costruiva un proprio idolo, rubava e saccheggiava, sia il prossimo che i propri familiari e pervertiva la terra che era così al colmo della depravazione. I giudici e i preposti a far rispettare la legge si comportavano viziosamente con le donne e prendevano con la forza, a loro piacimento, le donne sposate. Gli uomini dell'epoca si accoppiavano anche con gli animali della terra e con le bestie del campo e con gli uccelli del cielo ed insegnavano loro ad accoppiarsi anche con chi non era della stessa specie, per irritare Dio col loro comportamento.

E Dio vide tutta la terra ed ecco si era corrotta poiché ogni uomo si pervertiva sulla terra, uomini e animali. E Dio disse "cancellerò l'uomo che ho creato sulla terra, dall'uomo sino agli uccelli del cielo e agli animali ed alle bestie del campo perché mi sono pentito di averli creati". In quei giorni ogni uomo che seguiva le vie del Signore morì prima che Dio riversasse sui viventi il male che aveva loro preannunciato. Ciò avvenne perchè Dio non voleva che vedessero il male che aveva predetto. E Noè trovò grazia agli occhi di Dio e Dio lo scelse, con i suoi figli, per dar vita alla progenie sulla faccia della terra.

 

La moglie di Lemech rimase incinta e gli diede un figlio in quel periodo dell'anno. Matusalemme chiamò il figlio Noè (Noah) per dire che la terra si era calmata e riposata nei suoi giorni. E suo padre Lemech lo chiamò Menahem, per dire, questo ci consolerà dalle nostre azioni e dalla sofferenza da noi causata alla terra che Dio aveva maledetto. Il bambino fu svezzato, crebbe e camminò secondo le vie di Metushelach e di suo padre ed era giusto e semplice con Dio.

Tutti gli altri, però, deviavano in quel tempo (da quelle vie) quando si moltiplicarono sulla terra con figli e figlie. Ognuno insegnava al prossimo le cattive vie e tutti peccavano davanti a Dio. Ognuno si costruiva un proprio idolo, rubava e saccheggiava, sia il prossimo che i propri familiari e pervertiva la terra che era così al colmo della depravazione. I giudici e i preposti a far rispettare la legge si comportavano viziosamente con le donne e prendevano con la forza, a loro piacimento, le donne sposate. Gli uomini dell'epoca si accoppiavano anche con gli animali della terra e con le bestie del campo e con gli uccelli del cielo ed insegnavano loro ad accoppiarsi anche con chi non era della stessa specie, per irritare Dio col loro comportamento.

E Dio vide tutta la terra ed ecco si era corrotta poiché ogni uomo si pervertiva sulla terra, uomini e animali. E Dio disse "cancellerò l'uomo che ho creato sulla terra, dall'uomo sino agli uccelli del cielo e agli animali ed alle bestie del campo perché mi sono pentito di averli creati". In quei giorni ogni uomo che seguiva le vie del Signore morì prima che Dio riversasse sui viventi il male che aveva loro preannunciato. Ciò avvenne perchè Dio non voleva che vedessero il male che aveva predetto. E Noè trovò grazia agli occhi di Dio e Dio lo scelse, con i suoi figli, per dar vita alla progenie sulla faccia della terra.

Ed in quel tempo Sarai, moglie di Abramo era sterile e senza figli.

E trascorsi due anni, da quando Abramo era uscito indenne dal fuoco, a 52 anni della vita di Abramo, e Nimrod sedeva sul trono del suo regno a Babele, che il re sognò: Ed ecco, egli stava assieme ai suoi soldati ed eserciti nella valle davanti alla fornace. Egli guardò in alto e vide la figura di Abramo uscire dal calderone e porsi davanti al re con la spada sguainata. E quella figura si scagliò verso il re con la spada in mano. Il re fuggì perchè aveva paura di quell'uomo e mentre scappava l'uomo gli gettò un uovo in testa e l'uovo si trasformò in un grande fiume. E tutto il suo esercito annegò nel fiume e morì mentre il re riuscì a fuggire con tre uomini che erano davanti a lui e si salvò. Il re guardò quei tre uomini ed essi indossavano vestiti regali come quelli del re ed avevano l'aspetto e la statura simile al re stesso. Poi mentre fuggivano, il fiume ridivenne un uovo, come all'inizio, contro il re, e dall'uovo uscì un piccolo pulcino che venne davanti al re, volò sulla sua testa e gli beccò un occhio.

Il re tremò molto per questa visione e quando si destò aveva lo spirito agitato e spaventato. Era mattina, il re si alzò impaurito e chiamò a sé tutti i saggi e gli indovini e raccontò loro il sogno. Uno dei servi del re, di nome Anuko, gli disse: "Questo non è che il male di Abramo e la sua discendenza che fiorirà contro il re alla fine dei giorni. Ecco giorni arrivano che verrà Abramo e la sua discendenza ed i figli della sua dinastia per portare la guerra contro il mio signore, il re, e colpiranno tutto l'esercito del re. E ciò che hai visto, quando scappavi con tre uomini uguali al re e ti salvasti significa che solo tu ti salverai con altri tre re della terra che ti accompagneranno in guerra. E il fiume che ridiventava un uovo e il pulcino che beccava l'occhio del re stanno a significare la progenie di Abramo che ucciderà il re alla fine dei giorni. Questo è il sogno e questa è la sua interpretazione, vero è il sogno e vera è l'interpretazione, come il tuo servo ha interpretato. Ed ora, mio signore, il re, saprai che 52 anni fa videro ciò i tuoi saggi con la nascita di Abramo e perché il mio signore sia in terra con Abramo che farà male al re! Poiché tutti i giorni in cui Abramo è vivo sulla terra, non reggerai tu né reggerà il tuo regno, poiché così si sapeva già alla sua nascita. Perché il re non lo uccide per allontanare il male da sé fino alla fine dei giorni?

Il re ascoltò Anuko e mandò di nascosto dei suoi emissari per catturare Abramo e portarlo davanti a lui per poterlo uccidere. Eliezer, il servo di Abramo datogli dal re, in quel momento era davanti al re e aveva sentito le parole di Anuko e la decisione del re di uccidere Abramo. Eliezer uscì di corsa da quel luogo e raggiunse Abramo prima che arrivassero gli emissari del re. Eliezer disse ad Abramo, "Sbrigati e salva la tua vita dalla morte che il re in persona vuole infliggerti. Poiché così e così vide il re nel sogno riguardante te e Anuko così e così lo interpretò al re."

Abramo ascoltò la voce di Eliezer e si precipitò a casa di Noè e Shem, suo figlio, dove si nascose e si salvò.

I servi del re arrivarono alla casa di Abramo, lo cercarono e non lo trovarono, cercarono, poi, in tutto il paese ma inutilmente, lo cercarono in tutte le strade ma invano. Non trovandolo, gli emissari tornarono dal re, ma la rabbia del re contro Abramo che non si trovava si era placata e la faccenda venne dimenticata da Nimrod. Abramo si nascose nella casa di Noè per un mese sino a quando il re lo dimenticò ma Abramo ancora temeva il re per quanto avvenuto. E venne Terah di nascosto per vedere Abramo nella casa di Noè e Terah era ancora un uomo molto importante agli occhi del re.

Abramo disse a suo padre: "Non sai tu che il re intende ammazzarmi e distruggere il mio nome dalla terra, secondo il consiglio dei suoi consiglieri del male? Ed ora chi hai qui e cos'hai qui in questa terra?! Leviamoci e andiamo insieme nella terra di Canaan e salviamoci da lui, affinché non aggiunga anche te nel suo male alla fine dei giorni. Non sai forse o non hai sentito che non è per amore che il re ti ha dato tutto questo onore ma solo per il suo interesse ti ha fatto tutto questo bene. Ed anche se ti facesse un bene tante volte maggiore di questo, ecco che tutto ciò non è che vanità di questo mondo. Poiché non aiutano ricchezza o possessi nel giorno della rabbia e della collera. Ascolta ora la mia voce, alziamoci ed andiamo nella terra di Canaan, lontano dalla cattiveria di Nimrod, e servi Iddio che ti ha creato e sarà per te un beneficio quando abbandonerai le vanità che tu segui."

Abramo finì di parlare e dissero Noè e Shem a Terah: "E' vero tutto ciò che ti ha detto Abramo". Terah ascoltò la voce di Abramo suo figlio e fece tutto ciò che gli aveva detto perché il fatto che il re non avesse ucciso Abramo veniva da Dio. E Terah prese Abramo, suo figlio, (p. 19b) e Lot, figlio di Haran, suo nipote, e Sarai, moglie di Abramo e tutti quelli della sua casa ed uscirono da Ur Casdim in Babilonia per andare nella terra di Canaan. Arrivarono sino a Haran e qui vi si insediarono perché videro che quella terra era molto fertile ed estesa per essere conquistata. E la gente della terra di Haran vide che Abramo era buono e giusto con Dio e con gli uomini ed il Signore suo Dio era con lui. E vennero da lui anche gli abitanti di Haran e si unirono ad Abramo che insegnava loro le parole e le vie di Dio. E questi uomini vissero con Abramo nella sua casa e abbracciarono la sua fede.

Abramo dimorò a Haran tre anni. E fu alla fine dei tre anni che Dio apparve ad Abramo e gli disse ' Io sono Iddio che ti ho fatto uscire da Ur Casdim e ti ho salvato dalle mani di tutti i tuoi nemici. Ed ora se tu ascolterai la mia voce e custodirai i Miei precetti e le mie leggi e le mie istruzioni io farò cadere i tuoi nemici davanti a te. E moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e ti manderò la Mia benedizione su tutte le opere delle tue mani e non ti mancherà nulla. Ed ora alzati, prendi tua moglie e tutto ciò che hai e vai nella terra di Canaan e lì vi abiterai, Io sarò il tuo Dio e ti benedirò.'

Abramo si levò e prese sua moglie e tutto ciò che aveva ed andò nella terra di Canaan come gli aveva ordinato Iddio. Abramo aveva 55 anni quando uscì da Haran. Abramo arrivò nella terra di Canaan e visse in città, estese lì la sua tenda in mezzo ai Cananei, gli abitanti del paese. E Dio apparve ad Abramo quando arrivò nella terra di Canaan e gli disse:

"Questa è la terra che ho dato a te ed alla tua discendenza dopo di te per sempre. E aumenterò la tua discendenza come le stelle del cielo e farò ereditare alla tua discendenza tutte queste terre che tu vedi."

Abramo costruì un altare nel luogo in cui gli aveva parlato Dio e qui chiamò nel nome di Dio. In quel tempo, alla fine dei tre anni che Abramo risiedeva nella terra, morì Noè, quando Abramo aveva 58 anni. E Noè visse 950 anni e morì. Abramo visse nella terra di Canaan con sua moglie e tutto quello che aveva e tutto il suo seguito. E Nahor, fratello di Abramo, e Terah suo padre e Lot, il figlio di Haran, con il loro seguito dimorarono a Haran.

E fu al quinto anno da quando Abramo si era insediato nella terra di Canaan che gli uomini di Sodoma e di Gomorra e tutte le città di Kikar si ribellarono contro Cheddarlaomer re di Ilam. Per 12 anni tutti i re delle città di Kikar avevano servito Cheddarlaomer e gli avevano dato dei contributi annuali ma nel tredicesimo anno si ribellarono.

E nel decimo anno della permanenza di Abramo in terra di Canaan scoppiò una guerra fra Nimrod il re di Shinar e Cheddarlaomer, il re di Ilam. Poiché Nimrod aveva sentito che gli uomini di Sodoma si erano ribellati a Cheddarlaomer, decise di combattere contro Cheddarlaomer per assoggettarlo sotto il suo dominio. Poiché Cheddarlaomer era tra i ministri della guerra di Nimrod in quei giorni e quando caddero gli uomini dalla torre ed i rimanenti furono dispersi su tutta la terra, Cheddarlaomer fu mandato nella terra di Ilam e qui vi regnò per procura, e poi si ribellò ai suoi superiori. E fu in quei giorni quando Nimrod fu informato che tutte le città di Kikar si erano ribellate a Cheddarlaomer che decise di muovergli guerra con astio e disprezzo. Nimrod radunò tutti i suoi ministri e sudditi, circa 7000 uomini, e mosse guerra contro Cheddarlaomer e costui uscì verso di lui con 5000 uomini e si scontrarono nella valle di Babele che sta fra Ilam e Shinar. E ci fu una battaglia in quel luogo e Nimrod venne sconfitto con tutto il suo esercito davanti agli uomini di Cheddarlaomer. Caddero circa 600 soldati di Nimrod in quella guerra e morì con loro anche il figlio Mardon.

E Nimrod fuggì e tornò nella sua terra con vergogna ed onta e fu soggiogato a Cheddarlaomer per molto tempo. E Cheddarlaomer tornò alla sua terra e mandò dei ministri di guerra ai re confinanti, ad Arioch re di Elassar e a Tidal, re di Goiim, e strinse con loro un patto e li incorporò sotto il suo comando. E dopo 15 anni in cui Abramo era in quella terra, a 70 anni di età, Dio gli apparve e gli disse: 'Io sono Iddio che ti fece uscire da Ur Casdim per darti questa terra in eredità. Ora cammina davanti a Me e sii integro (tamim) e custodisci la Mia Parola, poiché a te ed alla tua discendenza darò questa terra in eredità, dal fiume d'Egitto sino al grande fiume Eufrate. E tu ti unirai ai tuoi padri in pace e sazio di anni. E la quarta generazione tornerà qui in questa terra e la erediterà per sempre.'

Abramo costruì un altare e invocò il Nome di Dio che gli apparve. Ed offrì a Dio degli olocausti sull'altare. In quel tempo Abramo tornò a Haran per vedere suo padre, la casa di suo padre e sua madre. Vi tornarono Abramo, sua moglie e tutta la loro casata e dimorarono a Haran per 5 anni. C'erano molte persone a Haran che seguivano Abramo, circa 72 uomini. Abramo li istruì su come servire Dio e le Sue vie ed insegnò loro a conoscerLo. In quei giorni Dio apparve ad Abramo a Haran e gli disse, "Ti parlai già vent'anni fa quando ti dissi".

 

 

 

LECH LECHA'

 

 

"Vattene dal tuo paese, dal luogo della tua nascita e dalla casa di tuo padre, e va' nella terra che ti mostrerò e che darò a te ed ai tuoi discendenti. Poiché lì in quella terra ti benedirò e lì ti farò diventare una grande nazione ed ingrandirò il tuo nome e saranno benedetti in te tutti i popoli della terra. Levati ora ed esci da questo luogo, tu e tua moglie e tutto ciò che ti appartiene, anche quelli che sono nati nella tua casa e tutti coloro che hai avvicinato (a Dio) a Haran e recati nella terra di Canaan."

Abramo andò e tornò nella terra di Canaan, secondo la parola di Dio, e a lui si unirono Lot, figlio di Haran, suo fratello, ed Abramo aveva 75 anni quando uscì da Haran per tornare nella terra di Canaan. E quando la raggiunsero, Abramo piantò la sua tenda e dimorò ad Elonei Moreh e Lot, suo nipote, con tutto ciò che aveva, era con lui.

E Dio apparve nuovamente ad Abramo e gli disse: "Alla tua discendenza darò questa terra" ed Abramo stabilì lì un altare a Dio che gli era apparso; esso sta ad Elonei Moreh fino ad oggi.

In quei giorni, nella terra di Shinar, ci fu un saggio, conoscitore di ogni saggezza e molto bello d'aspetto. Era un uomo povero e privo di beni; si chiamava Rikayon. L'uomo era estremamente angosciato perché privo di ogni sostentamento e gli venne consigliato di andare in Egitto presso Asviras, figlio di Anam, re d'Egitto, per dimostrare al re la sua saggezza; forse avrebbe trovato favore ai suoi occhi e lo avrebbe innalzato provvedendo al suo mantenimento.

E quando Rikayon arrivò in Egitto e chiese agli abitanti del posto sul re, costoro gli spiegarono la legge del re d'Egitto. La regola del regno in quei giorni era che il re usciva dal suo palazzo un giorno solo all'anno e poi vi faceva ritorno. Nel giorno in cui il re usciva, ogni persona che aveva un qualche motivo poteva presentarsi davanti a lui ed il re faceva per quella persona tutto ciò che gli veniva chiesto. Rikayon sentendo che non sarebbe potuto andare dal re, si rattristò molto e si arrabbiò.

Di sera egli trovò una casa abbandonata dei fornai che c'erano in Egitto e si coricò lì amareggiato ed affamato e non riuscì ad addormentarsi. Egli parlò col proprio cuore domandandosi cosa avrebbe potuto fare nella città sino a quando avrebbe potuto incontrare il re ed in che modo poteva mantenersi. Si alzò di mattino e camminò per la città. E avvenne che incontrò degli ortolani e lui fece loro delle domande e costoro risposero che loro si mantenevano con la compravendita di ortaggi e spezie.

Rikayon decise di fare come loro per mantenersi ma non conosceva le abitudini della gente e fu come un cieco fra di loro. Egli si levò e prese verdure per venderle ma si radunarono dei malvagi intorno a lui e lo beffeggiarono e gli rubarono tutta la merce e lui rimase senza niente. Se ne andò via amareggiato e disperato e tornò alla panetteria e dormì lì una seconda volta.

Quella notte egli guardò nella sua saggezza per trovare la propria salvezza e trovò una soluzione. Si alzò presto di mattino e con astuzia si recò in città ed 'assunse' trenta uomini fortissimi, malvagi, armati con armi da guerra e li condusse nelle caverne delle sepolture degli egizi e li fece restare lì. Poi egli comandò loro: Così ha parlato il re: siate forti come soldati coraggiosi e non lasciate che nessun morto venga sepolto sino a quando non paghino (i parenti) 200 argenti e solo allora il morto verrà sepolto.

Quegli uomini fecero come disse Rikayon a tutti gli egiziani in quell'anno. Dopo 8 mesi, Rikayon ed i suoi uomini raccolsero una grande ricchezza, argento ed oro e innumerevoli diamanti, e Rikayon comprò cavalli e altri animali ed ingaggiò altri uomini, rifornendoli di cavalli, e costoro diventarono suoi soldati. Alla fine del periodo dell'anno, all'uscita del re dal Palazzo, tutti gli abitanti di Egitto si radunarono insieme e decisero di raccontare al re le gesta di Rikayon e dei suoi uomini.

Il re uscì nel giorno fissato e vennero davanti a lui i sudditi che si lamentavano dicendo: Viva il re per sempre! Cos'è questa cosa che fa il re ai suoi sudditi che non permette loro di seppellire il proprio morto senza pagare argento ed oro? Mai ci fu prima un simile decreto in tutto il paese, anche presso i primi re, e dal tempo di Adamo sino ad oggi, di non permettere la sepoltura se non dietro pagamento. Conosciamo la legge del re che riscuote annualmente le tasse dai vivi, ma tu, ora le esigi anche dai morti! Ed ora, o re, non possiamo continuare così altrimenti si corrompe tutta la città e tu non ne sei al corrente.

E quando il re udì le loro parole andò su tutte le furie poiché non era al corrente di questo fatto. Disse il re: "Chi ha osato fare una cosa tanto ignobile sulla mia terra, senza che io l'abbia ordinato? Ditemelo!" E così gli raccontarono le gesta di Rikayon e dei suoi uomini. Il re si adirò e fece portare Rikayon coi suoi uomini davanti a lui.

 Rikayon poi prese mille bambini, fra maschi e femmine e fece loro indossare seta e lino puro e li fece cavalcare su cavalli e li mandò al re accompagnati dai suoi uomini. Egli prese anche un'offerta per il re di argento, oro e diamanti ed un cavallo imponente e leggiadro e si presentò davanti al re e gli si prostrò a terra. Il re si meravigliò, e così tutti i servi e la gente d'Egitto, dello sfarzo di Rikayon e videro tutti la sua ricchezza e la sua offerta al re. La cosa piacque molto al re che se ne stupì. Rikayon si sedette davanti al re ed il re gli fece alcune domande. Rikayon rispondeva ad ogni domanda con sagacia, al cospetto del re, dei suoi servi e dei sudditi.

Il re ascoltò le parole di saggezza di Rikayon, che piacquero molto al re, a tutti i servi del re e alla gente d'Egitto, e Rikayon fu amato assai da quel giorno in poi. E disse il re a Rikayon, "Non ti chiamerai più Rikayon (vuoto) bensì Faraone (colui che ripaga) poiché hai riscosso le tasse dai morti". E gli impose il nome di Faraone (Par'ò). Il re e i suoi sudditi amavano Rikayon per la sua saggezza e si radunarono in consiglio tutti gli abitanti della terra e decisero di nominarlo re sotto il comando supremo del monarca. E così fecero gli abitanti d'Egitto ed i suoi saggi, e fu promulgata una legge in Egitto e Rikayon diventò Faraone re sotto il re Asviros (o Ashvirosh), re d'Egitto. E Rikayon Faraone regnò sull'Egitto tutto l'anno, giudicando la città giorno dopo giorno mentre il re Ashvirosh giudicava il popolo un solo giorno all'anno nel tempo prescritto della sua uscita annuale.

Rikayon Faraone (poi) prese il regno d'Egitto con la forza e con l'astuzia e ripagò tutti gli abitanti d'Egitto, perciò lo chiamavano Faraone. E gli abitanti d'Egitto amavano molto Rikayon Faraone e deliberarono una legge scritta, secondo cui ogni re che avrebbe regnato sull'Egitto e sui loro discendenti in Egitto avrebbe assunto il titolo di 'Faraone'. Ecco perché tutti i re d'Egitto da allora in poi furono chiamati Faraone fino ai giorni nostri.

E in quell'anno ci fu una grave carestia in tutta la terra di Canaan e gli abitanti del luogo furono costretti a lasciare il paese per questo motivo. E Abramo con tutto ciò che possedeva e tutto il suo seguito si recò in Egitto a causa della carestia; arrivarono al Nahal Mitzraim (il Nilo) e ci restarono alcuni giorni per riposarsi. Abramo e Sarai camminavano lungo la riva del fiume ed Abramo, guardando l'acqua, vide riflessa l'immagine di Sarai, sua moglie, e notò la sua straordinaria bellezza.

Disse Abramo a Sarai, "Siccome Dio ti ha creato con un aspetto così bello, io temo che gli egiziani mi uccidano e prendano te, poiché non esiste il timore di Dio da queste parti. Per cui fa' così per me, dì, ti prego, che sei mia sorella, per tutto ciò che ti chiederanno su di me, affinché mi ricambino con il bene e vivremo e non moriremo."

Ed Abramo comandò di fare altrettanto anche a tutto il suo seguito che veniva con lui in Egitto a causa della carestia, ed anche a Lot figlio di suo fratello ordinò "Quando gli egiziani ti chiederanno qualcosa su Sarai, di' che è la sorella di Abramo".

Ad ogni modo, Abramo non si fidò di loro e prese Sarai e la fece entrare in una grossa cesta e la nascose sotto i bagagli, poiché temeva molto per Sarai a causa dell'iniquità degli egizi. Ed Abramo partì con tutto il suo seguito da Nahal Mitzraim per raggiungere l'Egitto. Quando arrivarono alle porte della città, i guardiani intimarono a loro "Date la decima al re di tutto ciò che avete e dopo potrete entrare in città".

 Ed Abramo ed i suoi uomini eseguirono l'ordine. Quando Abramo ed i suoi uomini arrivarono in Egitto, sollevarono la cassa in cui si trovava Sarai e gli egiziani se ne accorsero. I guardiani del re si accostarono ad Abramo e dissero, "Cos'hai in questa grossa cesta che non avevamo visto prima? Aprila e dà la decima al re di tutto ciò che contiene".

E Abramo disse, "Questa cassa non si apre ma tutto ciò che mi dite io darò". I guardiani del Faraone risposero ad Abramo, "E' una cassa di diamanti e di pietre preziose, dacci la decima". Disse Abramo '"Tutto ciò che mi dite darò, basta che la cassa non venga aperta". Ma quelli insistettero e si avvicinarono alla cassa e, apertala con la forza, videro che al suo interno c'era una donna bellissima. Quando i guardiani del re videro Sarai, si meravigliarono molto della sua bellezza e si radunarono insieme tutti i ministri e i sudditi del Faraone per vedere Sarai perché era estremamente bella. Poi corsero a raccontare al Faraone ciò che avevano visto e lodavano la bellezza di Sarai al re. Il Faraone ordinò di portarla davanti a lui e così fu fatto. Il Faraone vide Sarai che gli piacque moltissimo e si meravigliò e si stupì tantissimo della sua bellezza ed il re si rallegrò molto per la cosa e diede doni a coloro che gliel'avevano portata. La donna fu condotta alla residenza del Faraone ed Abramo era molto angosciato per la sorte della moglie e pregò Dio di salvarla dalle mani del Faraone. Ed anche Sarai pregava in quel momento dicendo: "O Signore Dio, Tu dicesti al mio signore Abramo, di lasciare la sua terra e la casa di suo padre e di andare nella terra di Canaan, e Tu gli promettesti il bene se avesse compiuto le Tue parole. Ora abbiamo fatto ciò che Tu ci comandasti ed abbiamo lasciato la nostra terra e le nostre famiglie e siamo venuti in una terra straniera e tra gente che non conoscevamo prima d'ora. E siamo venuti in questa terra per salvare la nostra casa dalla carestia ed ora ci è capitata questa sciagura e questa brutta storia. Per cui, ora, o Signore, Dio nostro, salvami Ti prego e liberami dalla mano di questo nemico e sii con me benigno per la Tua grazia".

E Dio ascoltò la voce di Sarai e mandò un angelo per salvarla dalle mani del Faraone. Il re venne e si sedette davanti a Sarai ed ecco un angelo di Dio se ne stava tra di loro. E, apparendo a Sarai, la rassicurò "Non temere poiché Dio ha ascoltato la tua preghiera".

Il re si accostò e le disse: "L'uomo che qui ti ha portato, chi è per te?" Ella rispose: "E' mio fratello". Disse il re: "Dobbiamo allora onorarlo ed elevarlo in sommo grado e fargli ogni tipo di bene che tu ci ordinerai".

Il re mandò ad Abramo, in quell'occasione, argento, oro, diamanti, pietre preziose, pecore, bestiame, servi e serve; ed ordinò di condurre a corte Abramo che fu messo nel cortile del re; ed il re elevò in sommo grado Abramo in quella notte. Il re, poi, si accostò per parlare con Sarai e allungò la sua mano per toccarla ma l'angelo lo colpì con un forte colpo ed egli si spaventò ed evitò di toccarla. Ma quando il re si avvicinò nuovamente a Sarai, l'angelo lo colpì scaraventandolo a terra; e così fece tutta la notte ed il re rimase sconvolto ed ebbe paura. Anche tutti i sudditi del Faraone e tutta la sua casa furono colpiti in quella notte da un malanno a causa di Sarai e si elevò un urlo disperato nelle loro case. E Faraone, vedendo il male che li aveva colpiti, disse: "Ecco che tutto questo ci è capitato a causa di questa donna" e si allontanò da lei ma le parlò con buona disposizione d'animo.

E disse il re a Sarai: "Ti prego, dimmi la verità sull'uomo con il quale sei arrivata qui". E Sarai rispose: "Quell'uomo è mio marito ma ti dissi che era mio fratello poiché temevo che lo avreste ucciso per una vostra cattiva azione". Il re evitò di toccare Sarai ed ebbero termine i malanni che l'angelo di Dio aveva mandato ai suoi sudditi e Faraone capì che ciò era avvenuto a causa di Sarai e si meravigliò moltissimo.

Di mattino, il re chiamò Abramo e gli disse: "Cos'è questa cosa che mi hai fatto? Perché hai detto "E' mia sorella" ed io la volevo prendere come moglie ed è per questo che è capitata a me e a tutto il mio seguito una disgrazia terribile! Ecco tua moglie, prendila subito e vattene dalla nostra terra affinché non si perisca tutti a causa vostra". E il Faraone raccolse ancora pecore, bestiame, servi, serve, argento ed oro e li diede ad Abramo insieme a Sarai. Il re prese anche una giovane ancella che gli aveva generato una sua concubina e la diede a Sarai come inserviente. E disse il re a questa sua figlia: "E' meglio per te, figlia mia, essere una serva nella casa di questa donna che non una signora importante a casa mia, dopo che abbiamo visto il male che ci è capitato a causa sua".

Ed Abramo partì e lasciò l'Egitto, lui e tutto il suo seguito e Faraone lo accompagnò con una scorta di guerrieri. Abramo tornò alla terra di Canaan nel posto dell'altare che aveva costruito, là dove aveva eretto la sua tenda all'inizio del viaggio. Anche Lot, figlio di Haran, nipote di Abramo, possedeva molti greggi e armenti e tende, poiché Dio lo aveva beneficiato grazie ad Abramo. E avvenne che quando Abramo dimorò in quella terra, i pastori di Lot cominciarono a litigare con quelli di Abramo, che avevano molti pascoli nel paese, che, invero, non poteva contenerli entrambi a causa dell'abbondanza dei loro greggi. E così i pastori di Abramo, quando uscivano a pascolare, non sconfinavano nei terreni altrui mentre i pastori di Lot non facevano altrettanto e lasciavano che i loro greggi brucassero l'erba nei pascoli altrui. La gente del posto, che vedeva questa cosa ogni giorno, andò a riferire ad Abramo ciò che facevano i pastori di Lot.

E Abramo disse a Lot: "Cos'è questa cosa che fai per mettermi contro la gente del paese, permettendo che i tuoi greggi pascolino nei terreni altrui? Non capisci che io sono straniero in questa terra tra la gente di Canaan? Perché ti comporti così?" Abramo discuteva ogni giorno con Lot su questa faccenda ma Lot non gli dava retta e continuava a farlo.

Venne la gente del posto e lo riferì ad Abramo. E Abramo disse a Lot: "Fino a quando sarai per me un inciampo davanti agli abitanti di questa terra? Ma ora, per evitare discordie fra me e te, dato che siamo fratelli, separati da me, ti prego, vai e scegli il posto che preferisci, tu ed i tuoi greggi e tutto ciò che possiedi. Allontanati da me, tu e il tuo seguito. E non temere, quando te ne vai, poiché se avverrà qualche sciagura, me lo dirai e ti verrò in aiuto, ma adesso separati da me".

E dopo queste parole di Abramo, Lot si levò e vide che la pianura del Giordano era una terra fertile, buona per gli uomini e per il pascolo degli armenti. E Lot si separò da Abramo ed andò in quella terra e vi si insediò, dimorando a Sodoma. Abramo risiedeva a Elonei Mamreh, a Hebron, e lì si accampò e vi restò per molti anni .

Fu in quel tempo che Chedarlaomar, re di Ilam, inviò dei messi a tutti i re vicini, a Nimrod, re di Shinar, che a lui sottostava, a Tidal, re di Goiim e ad Arioch, re di Elassar, coi quali aveva pattuito un accordo, per dire loro: "Venite subito in mio soccorso e sconfiggeremo tutte le città di Sodoma ed i loro abitanti, poiché dopo tredici anni non vogliono più sottostare al mio comando".

Questi quattro re, con tutti i loro armati, arrivarono uniti, circa 800.000 uomini, e strada facendo, colpivano a morte tutti quelli che incontravano. E i re di Sodoma e di Gomorra ed i cinque re, Shinar, re di Adma, Shemever, re di Tzevoim, Bera, re di Sodoma, Birsha, re di Gomorra, e Bela, re di Tzoar, uscirono per contrastarli e si radunarono nella valle di Siddim. E nella valle di Siddim avvenne la battaglia fra questi nove monarchi e i re di Ilam ebbero il sopravvento. La valle di Siddim era piena di pozzi di argilla ed i re di Ilam inseguirono i re di Sodoma e di Gomorra, che, fuggendo con tutti i loro armati, caddero nei pozzi di argilla; e quelli che sopravvissero ripararono sul monte per mettersi in salvo. Ma i cinque re di Ilam li inseguirono sino alle porte di Sodoma e presero tutto ciò che c'era in città e saccheggiarono Sodoma e Gomorra. E catturarono anche Lot, nipote di Abramo, con tutta la sua ricchezza e, saccheggiata la città, se ne andarono.

Ughi, il servo di Abramo, che era presente alla battaglia, raccontò al suo padrone ciò che i re vincitori avevano fatto ai re di Sodoma e che Lot era stato fatto prigioniero con altri suoi uomini. A questo punto Abramo si organizzò con i suoi uomini, 318 in tutto, ed inseguì i quattro re in quella notte. Li inseguì e li colpì e caddero tutti sotto i colpi di Abramo e dei suoi uomini, per cui non rimase nessuno all'infuori dei quattro re che fuggirono, andando ciascuno in una diversa direzione. Ed Abramo restituì tutti gli averi a Sodoma, e liberò Lot con i suoi beni, le sue mogli e i suoi figli e tutto ciò che possedevano; ed a Lot non mancava nulla.

E fu quando egli tornò dalla sconfitta di questi re, che egli ed i suoi uomini passarono nella valle di Siddim dove avevano combattuto. Ed uscì Bera, re di Sodoma e gli altri suoi uomini dai pozzi di argilla in cui erano caduti ed andarono da Abramo e dai suoi uomini. Ed anche Adoni Tzedek, re di Gerusalemme, (egli è Shem) uscì con i suoi uomini verso Abramo ed i suoi uomini con pane e vino, e si sedettero nella valle del Re. Ed Adoni Tzedek benedisse Abramo ed Abramo gli consegnò la decima di tutto ciò che aveva portato dal bottino dei nemici, poiché Adoni Tzedek era sacerdote a Dio.

Ed i re di Sodoma e di Gomorra si presentarono, con i loro sudditi, al cospetto di Abramo, e lo implorarono di restituire loro i servi che erano stati catturati e di prendere pure tutto il bottino di guerra. Abramo replicò ai re di Sodoma: "Come è vivo Dio che creò il cielo e la terra e mi liberò da ogni angustia e mi salvò da ogni nemico sino ad oggi dandoli nelle mie mani, se io prenderò una qualsiasi cosa da tutto ciò che è di vostra proprietà! Affinchè non avvenga che un domani vi vantiate 'che Abramo si è arricchito con le nostre proprietà'. Poiché il Signore, mio Dio, in cui ho fede, mi disse: Non ti mancherà nulla, poiché Io ti benedirò in tutto ciò che farai. Ed ora, prendete tutto ciò che vi appartiene e andate per la vostra strada. Come è vivo Dio, io personalmente non prenderò da voi nè una persona, nè un laccio di scarpa, se non ciò che spetta ai giovani che mi hanno accompagnato per combattere ed anche ciò che spetta ad Aner, Eshcol e Mamre, a loro ed ai loro uomini, e a coloro che stavano in guardia per vigilare, prenderanno la loro porzione dal bottino".

I re di Sodoma diedero agli uomini di Abramo tutto ciò che egli aveva richiesto e lo implorarono di prendere anche lui ciò che avrebbe scelto ma egli rifiutò.

E Abramo congedò i re di Sodoma con il resto dei loro uomini ed essi tornarono alle loro città e congedò anche Lot, suo nipote, con tutti i suoi averi. Lot tornò a Sodoma ed Abramo ed i suoi uomini tornarono ad Elonei Morè a Hebron.

In quel tempo, Dio apparve ad Abramo, a Hebron, e gli disse: "Non temere! La ricompensa che riceverai sarà grandissima. Poiché non ti lascerò sino a quando ti avrò moltiplicato, e ti avrò benedetto, ed avrò reso la tua discendenza come le stelle del cielo che non si possono misurare o contare. E concederò alla tua discendenza tutte queste terre che tu vedi con i tuoi occhi, le darò a loro in eredità per sempre. Sii forte e non temere, cammina davanti a Me e sii integro".

Abramo aveva 78 anni quando morì Reù, figlio di Peleg. E Reù visse 293 anni.

E Sarai, figlia di Haran, la moglie di Abramo, era ancora sterile in quei giorni e non aveva dato ad Abramo né un figlio né una figlia. E vedendo che era sterile, prese Hagar, la sua serva, che Faraone le aveva regalato, e la diede ad Abramo, suo marito, come moglie. Poiché Hagar aveva imparato a seguire in tutto le vie che Sarai le aveva insegnato, per cui non le mancavano le buone qualità di Sarai. E disse Sarai ad Abramo: "Ecco la mia serva, Hagar; giaci con lei e così partorirà sulle mie ginocchia, e forse ne avrò da lei". E Sarai diede Hagar ad Abramo, alla fine del decimo anno che dimorava con loro, nella terra di Canaan, quando Abramo aveva 78 anni.

Ed Abramo ascoltò la voce di Sarai, sua moglie, e prese la serva, Hagar, e giacque con lei e lei rimase incinta. E quando Hagar vide che era rimasta incinta, cominciò a trattare la sua padrona in modo altezzoso pensando in cuor suo, ciò è avvenuto perché io sono migliore della mia signora Sarai. Poiché in tutti gli anni che la mia padrona Sarai era con il mio signore non è rimasta incinta, mentre Dio ha voluto che io, in pochi giorni, rimanessi gravida da lui.

E Sarai, vedendo che Hagar era rimasta incinta da Abramo, ne fu gelosa e pensò in cuor suo 'ciò è perchè lei è migliore di me'. E disse Sarai ad Abramo: "La mia collera è contro di te, perché quando tu pregasti Dio per la tua discendenza non pregasti per me? che fossi io il tramite della tua discendenza? Ed anche quando parlo con Hagar davanti a te, lei disprezza la mia parola perché è rimasta incinta, e tu non le dici niente. Sia giudice il Signore fra me e te su ciò che m'hai fatto!"

E Abramo replicò a Sarai: "La tua schiava è in tuo potere, disponi di lei come più ti piace!".

Sarai trattò Hagar in malomodo, per cui Hagar fuggì da lei e andò nel deserto. E un angelo di Dio la trovò nel luogo in cui era scappata e le disse: "Non temere, poiché moltiplicherò molto la tua discendenza. Poiché ecco partorirai un figlio e lo chiamerai Yishma'el (Ismaele). Ed ora torna da Sarai, la tua signora, e sta' sottomessa a lei". Ed Hagar chiamò il pozzo in quel luogo Beer Lehhai Ro'i (pozzo del (Dio) Vivente che mi vede); esso sta fra Kadesh e Bared. Ed Hagar fece ritorno alla casa del suo padrone Abramo.

Ed alla fine della gravidanza, Hagar partorì un figlio ad Abramo ed Abramo lo chiamò Yishmael. Abramo aveva 86 anni quando Hagar partorì.

E avvenne in quei giorni, quando Abramo aveva 91 anni, che i figli di Chittim mossero guerra contro i figli di Tubal. Poiché quando Dio disperse gli uomini sulla faccia della terra, i Chittiti se ne andarono e si insediarono nella valle di Chenafia e qui costruirono delle città e dei villaggi vicino al fiume Tevere. I figli di Tubal risiedevano in Toscana ed il loro confine era contrassegnato dal fiume Tevere. I figli di Tubal costruirono una città in Toscana e la chiamarono Sabina come il figlio di Tubal e qui vi si insediarono fino ad oggi.

In quel tempo i Chittiti mossero guerra contro i figli di Tubal e li sconfissero, uccidendo 370 loro uomini. E i figli di Tubal giurarono in quel frangente che mai si sarebbero sposati coi Chittiti e mai nessuno di loro avrebbe dato la propria figlia in sposa a un chittita. Ciò perché le figlie di Tubal erano molto belle ed in tutta la terra non si trovavano in quel tempo belle fanciulle come loro. Ed ogni uomo che cercava la bellezza di una donna andava dalle figlie di Tubal e sceglieva la moglie che desiderava. Tutti gli uomini, i re ed i ministri, prendevano le mogli che desideravano da loro.

E dopo tre anni dal giuramento che avevano fatto i figli di Tubal in merito ai figli di Chittim, avvenne che una ventina di Chittiti andò nel paese di Tubal per cercare delle donne ma non le trovarono. Ciò perché i figli di Tubal avevano mantenuto il giuramento senza sposarsi con loro e non volevano invalidare il giuramento fatto. E fu nei giorni del raccolto quando i figli di Tubal andarono nei loro campi per raccogliere le messi, che tutti i giovani chittiti andarono a Sabina ed ognuno di loro rapì una giovane ragazza dalle figlie di Tubal e la portò nella propria città. E i figli di Tubal, venuti a conoscenza del ratto, uscirono per muovere guerra ai vicini ma non riuscirono a farlo perché la montagna che li separava da loro era troppo alta da scalare. E così tornarono al loro paese.

E fu verso la fine dell'anno che i figli di Tubal assoldarono degli uomini da tutte le città vicine a loro, circa 10.000 uomini, e mossero guerra contro i figli di Chittim, con l'intento di invadere e conquistare il loro paese. E questa volta i Tubal erano più forti. I Chittiti, vedendo che erano in grande difficoltà, fecero salire su una muraglia che avevano costruito, davanti agli occhi dei figli di Tubal, tutti i bambini che i Chittiti avevano fatto con le figlie di Tubal. I Chittiti dissero loro, "Siete, dunque, venuti a far guerra con i vostri figli e le vostre figlie? Non siamo noi, forse, carne della vostra carne da allora e fino ad oggi ?"

Quando i figli di Tubal sentirono queste parole cessarono di assediare i Chittiti e fecero ritorno alle loro città. I Chittiti, poi, si radunarono in quel tempo e costruirono delle città, due sul mare, una si chiamava Porto (Livorno?) e l'altra si chiamava Ariza (Arezzo).

Abramo, figlio di Terah, aveva allora 99 anni. In quel tempo Dio gli apparve e gli disse, "Farò un patto fra Me e te, e moltiplicherò moltissimo la tua discendenza. Questo è il patto che ci sarà fra Me e te, il circoncidere ogni maschio, tu e la tua discendenza dopo di te. Ad otto giorni si farà la circoncisione e questo sarà il Mio patto nella vostra carne quale patto eterno. E tu, non ti chiamerai più Abram bensì Abraham, ed anche Sarai, tua moglie, non si chiamerà più Sarai bensì Sara. Poiché Io vi benedirò e moltiplicherò la vostra discendenza dopo di voi, e sarete una grande nazione e re usciranno da voi."

Abramo si alzò e fece tutto ciò che gli aveva ordinato Dio; prese tutti gli uomini della sua casa e quelli che aveva comprato e li circoncise come Dio aveva comandato. Non ci fu alcuno che non fu circonciso. Anche Abramo e Ismaele, suo figlio, circoncisero la carne del loro prepuzio, e Ismaele aveva 13 anni quando circoncise la carne del prepuzio. E fu nel terzo giorno che Abramo uscì dalla sua tenda e si sedette alla porta della tenda per scaldarsi al calore del sole, per alleviare il dolore della sua carne.

 

 

 

VA-YERA'

 

 

E Dio gli apparve ad Elonei Mamre, e gli mandò tre angeli dai Suoi servitori per fargli visita. Egli, che stava all'ingresso della sua tenda, alzò gli occhi e vide arrivare tre uomini da lontano; si alzò e corse verso di loro, si prostrò a terra e li fece entrare a casa sua. Egli disse a loro, "Vi prego, se ho trovato grazia ai vostri occhi, non andatevene e mangiate, vi prego, del pane". Egli li implorò ed essi acconsentirono; egli diede loro dell'acqua per lavare i piedi e li fece accomodare sotto l'albero che stava all'entrata della tenda. Ed Abramo corse e prese un vitello giovane e buono, lo macellò subito e lo consegnò al suo assistente Eliezer per prepararlo. Ed Abramo entrò nella tenda di Sara e le disse, "Presto, prendi tre misure di fior di farina, impastala e fai delle focacce per intingerle nel sugo della carne". E Sara eseguì.

Abramo, poi, si affrettò e portò davanti a loro burro di bovino e latte di pecora e li mise come antipasto sulla tavola prima che la carne di vitello fosse pronta e mangiarono. Poi portò la carne di vitello che era cotta e la mise davanti a loro e mangiarono. Quando finirono di mangiare, gli dissero, "Tornerò da te di qui a un anno e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio".

Dopo gli uomini si alzarono per congedarsi per proseguire la loro missione.

In quei giorni tutta la popolazione di Sodoma e Gomorra e di tutte le cinque città era malvagia e peccava contro Dio, e le loro abominazioni aumentavano la collera divina. Essi peccavano di superbia e commettevano azioni obbrobriose e blasfeme contro Dio e aumentava la loro cattiveria e sempre più numerose erano le lamentele che salivano a Dio. Essi avevano una valle nella loro terra, molto estesa, a un giorno e mezzo di cammino, con sorgenti d'acqua e campi erbosi tutt'intorno. E tutta la popolazione di Sodoma e Gomorra vi ci si recava quattro giorni all'anno e gli uomini, le loro mogli ed i loro figli e figlie festeggiavano con timpani e danze. E al culmine dei loro festeggiamenti, si accoppiavano tutti insieme e ognuno prendeva la moglie e la figlia vergine dell'altro e la violentava e giaceva con lei. E chi vedeva ciò che veniva fatto alla propria moglie o alla propria figlia non diceva nulla. Così facevano dalla mattina alla sera e di notte tornavano alle loro dimore e alle loro tende. Così erano soliti fare in tutti quei quattro giorni dell'anno.

Anche quando arrivava un mercante straniero nelle loro città con della merce da vendere, la gente del posto, uomini, donne, bambini, giovani e vecchi gli andava incontro. Poi si accostava a lui e con la forza ognuno si prendeva un po' di quella mercanzia, sino a quando non restava niente di ciò che l'uomo aveva portato in città. E se egli si lamentava dicendo, "Che cos'è che mi avete fatto?" essi gli si avvicinavano, uno dopo l'altro, e gli facevano vedere di non aver preso quasi niente e gli dicevano "Cosa vuoi che sia questa cosina che tu mi hai dato". E il mercante, a queste parole, prendeva su e se ne andava via, amareggiato e sconsolato. E quelli gli andavano dietro e lo cacciavano via dalla città tra urla e sberleffi.

C'era un uomo che veniva da Ilam e viaggiava per la sua strada. Aveva con sè un asino che trasportava una coperta di valore, a più colori e la coperta era legata con lacci alla soma dell'asino. L'uomo procedeva per la sua strada e al tramonto arrivò alle porte di Sodoma. Egli pernottò in quel posto ma nessuno venne per offrirgli ospitalità. A quel tempo, a Sodoma, viveva un uomo malvagio e imbroglione, che si chiamava Hidor. Costui alzò gli occhi e vedendo il viandante per strada, gli andò incontro e gli disse, "Da dove vieni e dove sei diretto?" E l'uomo gli rispose, "Vengo da Ilam e sono diretto a Hebron. Sono arrivato qui quando si è fatto buio e mi sono fermato per la notte ma nessuno è venuto per ospitarmi a casa sua. Ho anche pane ed acqua, e grano e biada per l'asino, non mi manca proprio nulla."

Hidur rispose, "Tutto ciò che ti manca te lo offro io, basta che non dormi per strada". Hidur lo portò a casa sua e scaricò la coperta dalla soma dell'asino con una fune. L'ospite mangiò e bevve a casa di Hidur e vi pernottò. La mattina seguente l'ospite si apprestò a riprendere il suo cammino ma Hidur gli disse, "Vieni, mangia e bevi a tuo piacimento e dopo partirai". E così fece. Si sedette con lui e mangiarono e bevvero insieme e poi l'ospite si alzò per andarsene. Ma Hidur gli disse, "Ma ora, ti prego, la sera si avvicina e il sole sta per tramontare. Vieni, ti prego, rimani per questa notte ancora e riposati." Insistette e l'ospite dormì lì; l'indomani si alzò di buon'ora per mettersi in viaggio ma Hidur lo fermò e gli disse, '' Vieni a mangiare del pane e dopo ti metterai in viaggio''. Egli si sedette e mangiò con lui anche nel secondo giorno. L'uomo poi si apprestò a partire ma Hidur lo trattenne, dicendogli ''Ecco che la giornata sta per finire e il sole per tramontare; dormi qui e fa riposare il tuo cuore e la mattina ti alzerai presto e riprenderai il tuo cammino''.

L'uomo non voleva dormire lì e si mise ad assellare il suo asino e mentre era occupato, la moglie di Hidur disse al marito, ''Ascolta, quest'uomo è stato a casa nostra per due giorni, ha mangiato e bevuto e non ci ha dato niente in cambio per il cibo e le bevande e adesso se ne va senza dare niente''. Hidur le disse, ''Taci''. E dopo aver assellato il suo asino per mettersi in viaggio, il viandante chiese ad Hidur di restituirgli la fune e la coperta per poterle legare alla soma dell'asino e Hidur gli disse, ''Di che cosa stai parlando''? L'uomo rispose ''Che tu, signore mio, mi restituisca la fune e la coperta colorata che hai nascosto a casa tua per custodirla''.

E Hidur rispose all'uomo, ''Questa è l'interpretazione del sogno che hai fatto. La fune significa che la tua vita sarà molto lunga sulla terra, come una fune. E la coperta variopinta che hai visto significa che avrai una vigna e in essa pianterai alberi di frutta di ogni genere''.

L'ospite rispose ''No, signore mio, io da sveglio ti ho dato la fune e la coperta ricamata con tutti i colori che tu hai scaricato dall'asino e hai occultato". Ma Hidur insistette ''Eppure ti ho detto che l'interpretazione del tuo sogno è positiva e così e così va spiegato. Tu non sai che la gente mi paga con quattro soldi d'argento per le interpretazioni che fornisco ai loro sogni mentre a te non chiedo che tre soldi d'argento''.

L'uomo si arrabbiò molto con Hidur e cacciò un urlo potente ed amaro. E l'uomo portò Hidur davanti al giudice di Sodoma che si chiamava Sherek. L'uomo espose la sua versione dei fatti davanti al giudice Sherek e Hidur rispose che le cose non erano andate così, ma così. Il giudice disse all' ospite, ''Ciò che ti ha detto Hidur corrisponde al vero, poiché in queste città è noto che sa interpretare i sogni in modo giusto''.

L'uomo si infuriò sentendo le parole del giudice e disse, ''No, signore mio, poiché di giorno io gli ho dato la fune e la coperta che era sull'asino affinchè la custodisse a casa sua''. E i due litigavano ad alta voce, e ognuno dava la propria versione dei fatti. Hidur poi disse all'uomo, ''E adesso dammi i quattro soldi d'argento che mi spettano per la spiegazione del sogno che hai fatto; non ti sconto nulla, e anzi pagami anche i quattro pasti che hai mangiato a casa mia gratuitamente''. E l'uomo disse a Hidur, ''E' vero ciò che dici; ti pagherò per quello che ho mangiato a casa tua ma tu ridammi la fune e la coperta che hai nascosto a casa tua''. Hidur, al cospetto del giudice, disse all'ospite ''Eppure ti ho già spiegato il significato del tuo sogno! La fune significa una vita lunga e la coperta significa che avrai una vigna e pianterai in essa alberi di frutta di ogni genere. Questa è la giusta interpretazione del tuo sogno ed ora dammi i quattro soldi d'argento che mi spettano e non ti sconto nulla''.

L'uomo andò su tutte le furie ascoltando le parole di Hidur e i due, litigando, urlavano al cospetto del giudice. E costui ordinò agli inservienti di cacciarli via e così fu subito fatto. E i due uscirono dal tribunale accusandosi a vicenda, e, nel frattempo, la gente di Sodoma si era accalcata tutt'intorno; e cominciò ad inveire contro l'ospite che fu cacciato via in malo modo dalla città. E il viandante riprese il suo cammino sul suo asino, amareggiato e triste e piangendo per ciò che gli era stato fatto nella città corrotta di Sodoma.

Nella regione di Sodoma c'erano quattro giudici, uno per ogni città, e questi erano i loro nomi: Sherek per la città di Sodoma, Shereker per Gomorra, Zabnach per Adma, Minun per Tzevoim. Eliezer, servo di Abramo, aveva dato loro dei nomignoli: Sherek lo chiamava Shikra (bugiardo), Shereker - Shakrura (false accuse), Zabnach - Kazban (menzognero) e Minun - Matzlèdin (colui che distorce il diritto).

E tutta la popolazione di Sodoma e di Gomorra, seguendo le direttive dei loro giudici, aveva costruito dei letti da mettere nella strada principale della città. E se accadeva che un viandante entrava in una di queste città lo prendevano e lo mettevano su uno di questi letti e lo legavano con la forza. E quando era legato, tre uomini lo afferravano per la testa e tre uomini per i piedi e ne misuravano l'altezza. Se l'uomo era più corto del letto, i sei uomini lo tiravano, chi da un'estremo e chi dall'altro; e quando il malcapitato urlava non gli rispondevano. E se costui era troppo alto di statura rispetto al letto, lo tiravano dai due lati del letto, chi da una parte e chi dall'altra, fino a quando il malcapitato arrivava ai cancelli della morte. E se costui urlava gli rispondevano ''Così venga fatto a chi viene nel nostro paese''.

E fu così che la gente cessò di recarsi in quelle città, dopo aver sentito ciò che vi succedeva. E se avveniva che un povero entrasse nelle loro città, gli abitanti gli davano argento e oro ma facevano passar la voce in tutta la città di non dargli un pezzo di pane da mangiare. E se quel poveretto restava in città per alcuni giorni, ecco che moriva di fame poiché non trovava pane da mangiare. E una volta morto, la gente della città tornava a prendersi l'argento e l'oro che gli aveva dato, ognuno secondo la propria quantità. Poi spogliavano il povero dai suoi vestiti e facevano una gara per accappararseli; il più forte li prendeva. Dopo la gara, lanciavano in aria la salma che veniva seppellita nuda sotto un arbusto del deserto. Così facevano sempre: chi arrivava nel loro paese faceva una brutta fine.

Fu in quei giorni che Sara mandò Eliezer a Sodoma a trovare Lot e a vedere come stava. Mentre Eliezer si recava a Sodoma, vide un uomo di Sodoma andarsene, dopo che aveva aggredito e spogliato un povero viandante da tutti i suoi vestiti. Il poveretto gridò chiedendo aiuto ad Eliezer per ciò che gli aveva fatto quel sodomita. Eliezer raggiunse di corsa l'uomo di Sodoma e gli disse, ''Perché fai così a un uomo povero che viene nel tuo paese''? Il sodomita rispose ad Eliezer, ''E' forse quello un tuo fratello o forse gli uomini di Sodoma ti hanno nominato giudice oggi che tu parli in sua difesa?"

Eliezer litigò con quell'uomo di Sodoma a causa di quel povero; Eliezer gli si accostò per riprendergli i vestiti ma il sodomita fu lesto a tirargli una pietra che colpì la fronte di Eliezer, facendogli uscire molto sangue. E, vedendo il sangue sgorgare dalla fronte, il sodomita afferrò Eliezer e gli disse ''Questo è il prezzo per il cattivo sangue che ho fatto uscire dalla tua fronte; poiché questa è la legge e questo è l'insegnamento nel nostro paese''. Eliezer gli disse, ''Tu mi ferisci e io ti devo dare anche una ricompensa?'' Eliezer non volle ascoltare le parole del sodomita ma costui lo prese di forza dal giudice di Sodoma, Shikra, per il giudizio. L'uomo disse al giudice ''O mio signore, così e così mi ha fatto quest'uomo ed io l'ho colpito con una pietra ed è uscito sangue cattivo dalla sua fronte e lui non vuole ridarmi ciò che mi spetta''. E il giudice disse ad Eliezer ''Quest'uomo dice la verità; dagli la sua ricompensa poiché questa è la legge nel nostro paese''. E quando Eliezer ascoltò le parole del giudice, prese una pietra e la scagliò contro il giudice colpendolo proprio sulla fronte e facendogli uscire molto sangue. Eliezer disse ''Se tale è il giudizio in questo paese, ciò che io devo dare a quest'uomo daglielo tu poiché questa è la giustizia che vi piace''. Eliezer lasciò il sodomita con il giudice e se ne andò per la sua strada.

E fu quando i re di Ilam fecero guerra contro i re di Sodoma e presero tutti i loro possessi catturando anche Lot, la cosa fu riferita ad Abramo che si levò per muovere guerra contro i re di Ilam e salvò così tutta la ricchezza di Lot con quella di Sodoma; e avvenne che la moglie di Lot partorì una figlia e la chiamò Paltit, per dire che Dio lo aveva salvato con tutta la sua famiglia dai re di Ilam. E quando divenne grande, Paltit, figlia di Lot, si maritò con uno degli abitanti di Sodoma. E' avvenne che un povero arrivò in città per cercare lavoro e vi si fermò per qualche giorno.

Tutta la gente di Sodoma si passò la voce, come era loro consuetudine, di far morire di fame quell'uomo e così fu fatto. Paltit, figlia di Lot, vide quell'uomo gettato per strada e affamato e poichè nessuno gli dava qualcosa da mangiare, era in punto di morte. La donna provò compassione e, di nascosto, gli portò da mangiare per molti giorni, per cui l'uomo sopravvisse. Quando usciva per attingere dell'acqua nascondeva il pane dentro il secchio e quando vedeva il povero glielo dava. E così fece per molti giorni.

E tutta la gente di Sodoma e di Gomorra si meravigliò molto di questa faccenda; come faceva costui a sopravvivere per così tanti giorni? E si dissero tra loro costui mangia e beve perché nessuno potrebbe sopravvivere così a lungo senza cibo e il suo viso non si è incattivito. Tre uomini si nascosero nel luogo in cui giaceva il povero per sapere chi gli dava da mangiare.

Ed uscì Paltit, figlia di Lot, di giorno, per prendere acqua dal pozzo e mise il pane nel suo secchio e passò dove giaceva il povero, tirò fuori la pagnotta dal secchio e gliela diede.

I tre uomini nascosti videro ciò che faceva Paltit e dissero. 'Bene, adesso sappiamo che è lei che gli dava da mangiare ed ecco perché non moriva e il suo viso non si imbruttiva come gli altri'. I tre uomini uscirono fuori dal nascondiglio e presero Paltit e la pagnotta dalla mano di quel povero; la arrestarono e la portarono dai giudici spiegando che così e così aveva agito per quell'uomo, per cui erano già passati molti giorni e quello non era morto: Diteci voi qual è la pena che spetta a chi trasgredisce la nostra legge. E si radunarono tutti gli abitanti di Sodoma e di Gomorra ed eressero una pira nella piazza della città e vi portarono la donna e la gettarono nel fuoco e lei bruciò e divenne cenere.

Era successo anche nella città di Adma un fatto analogo che riguardò una giovane fanciulla, figlia di uno degli uomini ricchi della città; ecco che cosa avvenne: Un viandante era arrivato ad Adma per passarvi la notte e l'indomani sarebbe tornato a casa sua; egli si fermò davanti alla porta della casa del padre di quella ragazza per passarvi la notte perché il sole era appena tramontato. La giovane lo vide vicino alla porta di casa ed egli le chiese dell'acqua da bere. Lei gli domandò "Chi sei?" E lui rispose "Durante il mio viaggio, sono arrivato oggi qui perchè è tramontato il sole e così mi fermo per la notte e domani riprenderò presto il mio cammino".

E la ragazza entrò in casa e portò all'uomo del pane da mangiare e dell'acqua da bere. La cosa fu riferita agli abitanti di Adma, che si riunirono in assemblea e condussero la ragazza dai giudici per processarla. Il giudice disse "Questa ragazza deve essere condannata a morte perché ha trasgredito la nostra legge". E tutti gli abitanti della città si radunarono e portarono fuori la giovane; la spalmarono con del miele dai piedi alla testa, come aveva sentenziato il giudice, e la appesero davanti a tanti alveari e qui tutte le api le piombarono addosso e la punsero su tutte le parti del corpo. La ragazza urlava dalla disperazione ma nessuno se ne curò o ne ebbe compassione; tuttavia le sua urla strazianti salirono al Cielo. E il Signore giudicò severamente questa loro azione e tutte le cattiverie che facevano gli abitanti di Sodoma, che, pur avendo cibo e tranquillità, evitavano di aiutare i poveri e i bisognosi.

E in quei giorni, il loro male aumentava costantemente con i loro peccati verso Dio; e il Signore mandò due angeli, fra quelli che avevano visitato la casa di Abramo, per distruggere Sodoma e le città limitrofe. Quando quegli angeli si congedarono da Abramo, dopo aver mangiato e bevuto, arrivarono a Sodoma verso sera. In quell'occasione, Lot, che si trovava alle porte della città, li vide arrivare; egli andò loro incontro e si prostrò a terra. Poi li pregò di entrare a casa sua e diede loro da mangiare e da bere, ospitandoli per la notte. E gli angeli dissero a Lot "Alzati, esci da questo posto tu e tutti i tuoi, affinchè non dobbiate perire nella punizione alla città, poiché Dio sta per distruggere questo luogo".

Gli angeli presero per mano Lot, sua moglie e le sue figlie e con tutto ciò che possedeva li accompagnarono fino alle porte della città. E qui dissero a loro "Mettetevi in salvo" e Lot fuggì con tutto ciò che aveva.

E nello stesso istante Dio fece cadere dal cielo una pioggia di zolfo e di fuoco su Sodoma, Gomorra e le città limitrofe; e distrusse tutte quelle città, tutta la pianura, tutti gli abitanti e tutta la vegetazione. Ed Irit, la moglie di Lot, si voltò per guardare la distruzione delle città perché era preoccupata per le sue figlie che erano rimaste a Sodoma e non erano uscite con lei. E quando si voltò indietro per guardare, fu trasformata in una statua di sale, che fino ad oggi si trova in quel posto. E gli armenti che passano oggi in quel posto la leccano sino alle dita dei piedi ma ogni mattina ricresce ciò che avevano leccato, sino ai giorni nostri.

Lot e le sue due figlie rimaste con lui fuggirono nella grotta di Adullam e vi rimasero per qualche giorno.

Ed Abramo si alzò presto di mattino per vedere cos'era successo alle città di Sodoma; e osservò e vide il fumo delle città che saliva come quello di una fornace.

E quando Lot e le sue due figlie rimasero nella caverna, queste fecero ubriacare con del vino il loro genitore, e poi si accoppiarono con lui, poiché dissero che non c'era più un uomo sulla terra che avrebbe potuto fecondarle, dato che la terra intera era stata distrutta.

E ambedue si unirono carnalmente con il loro padre, e concepirono e partorirono figli; la primogenita chiamò il proprio figlio Moab, dicendo "Da mio padre io lo concepii"; egli è il capostipite dei Moabiti sino ai giorni nostri.

E la più giovane chiamò il proprio figlio Ben Ami (= figlio del mio popolo); egli è il capostipite degli Ammoniti sino ai giorni nostri.

E dopo questo Lot e le sue due figlie partirono da lì e si stabilirono al di là del Giordano con i loro figli; ed i figli di Lot divvenero grandi, lasciarono la casa paterna e presero mogli dalla terra di Canaan e generarono figli e si moltiplicarono.

Ed in quel tempo, Abramo, che viaggiava nella pianura di Mamre, arrivò nella terra dei Filistei e dimorò a Gerar; era questo il 25esimo anno di residenza di Abramo nella terra di Canaan ed anche il suo centesimo anno di vita.

E quando furono a Gerar, Abramo disse a sua moglie Sara, "Dì che sei mia sorella a chiunque te lo chiederà affinchè possiamo salvarci dalla cattiveria degli abitanti del posto".

E mentre Abramo abitava nel paese dei Filistei, i servitori di Avimelech, re dei Filistei, videro che Sara era molto bella, e chiesero ad Abramo chi lei fosse e lui disse "E' mia sorella".

Ed i servitori andarono da Avimelech e gli dissero "Un uomo dalla terra di Canaan è venuto a dimorare presso di noi e lui ha una sorella bellissima".

Ed Avimelech, udendo le lodi che i suoi servitori tessevano su Sara, mandò degli ufficiali che la portarono al re.

E quando Sara entrò nella casa di Abimelech, il re vide che Sara era bella e le piacque moltissimo.

Le si avvicinò e le domandò "Che relazione hai con l'uomo con cui sei venuta nel nostro paese?" E Sara gli rispose "E' mio fratello, e noi siamo venuti dalla terra di Canaan per trovare qui un posto in cui poter abitare".

Ed Avimelech disse a Sara "Vedi, la mia terra è davanti a te, metti pure tuo fratello dove più ti aggrada, e noi penseremo a promuoverlo e ad elevarlo al di sopra degli abitanti del paese, dato che è tuo fratello".

Ed Avimelech fece portare Abramo, che si presentò davanti al re.

Ed Avimelech disse ad Abramo "Vedi, io ho dato ordine che tu venga onorato come più ti aggrada, grazie a tua sorella Sara.

Ed Abramo uscì dalla reggia con i doni del re che lo seguivano.

E al calar della sera, prima che la gente si corichi per la notte, il re stava seduto sul suo trono e si addormentò pesantemente e dormì fino al mattino.

Ed egli sognò che un angelo di Dio si presentava davanti a lui con una spada sguainata e voleva trafiggerlo a morte; ed il re, terrorizzato, gli disse "In che cosa ho peccato che vuoi uccidermi con la tua spada?".

E l'angelo rispose e disse ad Abimelech "Vedi, tu devi morire a causa della donna che hai portato ieri notte a casa tua, dato che è sposata ed è la moglie di Abramo, che è venuto a casa tua; ora perciò restituisci ad Abramo colei che è la sua legittima moglie; e se non lo farai, sappi che certamente morirai, tu e chi ti appartiene.

Ed in quella stessa notte si levò un immenso grido tra i Filistei che videro la figura di un uomo che si stagliava con in mano una spada sguainata e percuoteva con violenza tutti gli abitanti del paese.

E in quella notte l'angelo di Dio colpì tutta la terra dei Filistei e ci fu un grande trambusto fino alla mattina seguente.

Ed ogni utero fu ostruito, e così ogni eiaculazione, e la mano di Dio colpì quel popolo a causa di Sara, moglie di Abramo che Avimelech aveva preso.

E l'indomani mattina, Avimelech si alzò tremante e confuso e con una grande paura addosso, e mandò subito a chiamare i suoi servitori e riferì loro il sogno fatto; e costoro furono presi dal terrore.

Ed un suddito, che era presente tra i servitori del re, prese la parola e disse "O supremo re, restituisci questa donna a suo marito, perchè si tratta di una donna sposata; e la stessa cosa è successa anche al re d'Egitto, quando questo uomo andò in Egitto.

Ed anche in quell'occasione disse che quella donna era sua sorella, poiché così fa quando va ad abitare in una terra che lo ospita.

E dopo che il Faraone l'aveva presa per sé come moglie, Dio lo colpì con terribili piaghe così da costringerlo a far tornare la donna al proprio marito.

Per cui, adesso, o re, signore mio, sappi che ciò che è avvenuto ieri notte nel nostro paese, che ha generato grande sofferenza e alti lamenti, è dovuto al fatto che hai preso quella donna.

Pertanto, restituiscila a suo marito, affinché non succeda anche a noi ciò che avvenne a Faraone re d'Egitto ed ai suoi sudditi, e così non moriremo; ed Avimelech fece chiamare subito Sara e lei si presentò al suo cospetto; e fece la stessa cosa con Abramo, che venne davanti a lui.

Ed Avimelech disse a loro "Cos'è questa cosa che avete fatto nel dire che siete fratello e sorella, ed io stavo per prendere questa donna per moglie?"

Ed Abramo rispose "Perchè avevo pensato che mi avreste ucciso per prendere mia moglie". Ed Avimelech prese greggi ed armenti, servitori maschi e femmine e mille pezzi d'argento e li donò ad Abramo, riconsegnandolgli anche sua moglie Sara.

Ed Avimelech disse ad Abramo "Guarda, il paese tutto è di fronte a te, abita pure dove più ti aggrada".

Ed Abramo e Sara si congedarono dal re tra grandi onori ed andarono ad abitare a Gerar.

E tutti i Filistei ed i sudditi del re soffrivano ancora per la piaga che l'angelo aveva inflitto loro a causa di Sara.

Ed Avimelech mandò una delegazione ad Abramo che così gli parlò "Prega il tuo Dio affinchè tolga da noi questa terribile piaga".

Ed Abramo pregò per Avimelech ed i suoi sudditi e Dio ascoltò la sua preghiera e guarì Avimelech e tutti i suoi sudditi.

E in quel tempo, dopo un anno e quattro mesi che Abramo dimorava nella terra dei Filistei a Gerar, Dio si ricordò di Sara, che concepì e partorì un figlio ad Abramo.

Ed Abramo diede al figlio che gli era nato e che Sara aveva partorito, il nome di Isacco.

Ed Abramo circoncise suo figlio Isacco dopo otto giorni, come Dio gli aveva comandato di fare con la sua discendenza dopo di lui; ed Abramo aveva cento anni, e Sara novanta anni, quando nacque Isacco.

E quando il bambino crebbe e fu svezzato, Abramo fece una grande festa nel giorno in cui Isacco fu svezzato.

E Shem ed Eber e tutti i dignitari della terra ed Avimelech, re dei Filistei, ed i suoi sudditi, e Pichol, il comandante dei suoi eserciti, parteciparono al banchetto e si rallegrarono alla festa che Abramo aveva fatto nel giorno in cui suo figlio Isacco venne svezzato.

E anche Terah, il padre di Abramo e Nahor suo fratello, vennero da Haran, loro e il loro seguito, poiché si rallegrarono molto nell'udire che un figlio era nato a Sara.

E vennero da Abramo, e mangiarono e bevvero alla festa che Abramo aveva organizzato nel giorno in cui Isacco venne svezzato.

E Terah e Nahor si rallegrarono con Abramo, e rimasero con lui molti giorni nella terra dei Filistei.

E in quel tempo morì Serug, figlio di Reù, dopo un anno dalla nascita di Isacco, figlio di Abramo.

E quando morì Serug aveva 239 anni.

Ed Ismaele, figlio di Abramo, cresceva in quei giorni; lui aveva quattordici anni quando Sara partorì Isacco ad Abramo.

E Dio era con Ismaele, figlio di Abramo, che crescendo imparò ad usare l'arco e divenne un arciere.

E quando Isacco aveva cinque anni, stava seduto con Ismaele all'ingresso della tenda.

Ed Ismaele prese Isacco, lo fece sedere di fronte a lui, impugnò l'arco, lo tese e ci mise una freccia con l'intenzione di colpirlo.

E Sara, vedendo ciò che Ismaele intendeva fare a suo figlio Isacco, si rattristò molto e mandò a chiamare Abramo e gli disse, "Caccia via quella serva con suo figlio, perchè costui non erediterà insieme a mio figlio, in quanto oggi voleva trafiggerlo".

Ed Abramo ascoltò la voce di Sara e si alzò presto la mattina, prese dodici pagnotte ed un otre di acqua e li consegnò ad Hagar, e la mandò via con suo figlio, e Hagar si recò con suo figlio nel deserto di Paran con gli abitanti del deserto, ed Ismaele era un arciere e dimorò nel deserto per molti giorni.

E Ismaele e sua madre andarono poi nella terra d'Egitto, e qui vi dimorarono e Hagar prese una moglie per suo figlio dall'Egitto, che si chiamava Merissa.

E la moglie di Ismaele concepì e partorì quattro figli e due figlie, ed Ismaele e sua madre e sua moglie ed i bambini tornarono a vivere nel deserto.

E si accamparono nel deserto e per tutto il tempo fecero una vita da nomadi.

E Dio procurò ad Ismaele greggi, armenti e tende, in grazia di Abramo suo padre, e così aumentarono i suoi beni.

Ed Ismaele visse nei deserti e dimorò nelle tende, vagabondando da un posto all'altro, per cui non poté vedere suo padre.

E dopo qualche tempo, Abramo disse a Sara sua moglie "Andrò a trovare mio figlio Ismaele, ho voglia di vederlo, perché è da molto tempo che non lo vedo".

Ed Abramo cavalcò su uno dei suoi cammelli nel deserto e andò a cercare Ismaele, perché aveva sentito che era attendato nel deserto con tutte le sue proprietà.

Ed Abramo si mise in viaggio nel deserto ed arrivò alla tenda di Ismaele a mezzogiorno, e chiese del figlio, e trovò la moglie di Ismaele nella tenda coi suoi figli, ma Ismaele suo marito e la suocera non erano con loro.

Ed Abramo domandò alla moglie di Ismaele "Dov'è andato Ismaele?" E lei rispose "E' andato a caccia" Ed Abramo riprese il cammino sul suo cammello, senza scendere a terra, come aveva giurato a sua moglie Sara che non sarebbe sceso dal cammello.

Ed Abramo disse alla moglie di Ismaele "Figlia mia, dammi un po' di acqua da bere, perchè sono affaticato dal lungo viaggio".

E la moglie di Ismaele rispose ad Abramo "Noi non abbiamo né acqua né pane" E rientrò nella tenda senza guardare Abramo, né gli chiese chi fosse.

La donna picchiava i suoi bambini nella tenda e li insultava e maledisse anche suo marito Ismaele con frasi disdicevoli ed Abramo, sentendo le invettive della moglie di Ismaele ai propri figli, rimase molto turbato e adirato.

Ed Abramo richiamò la donna affinchè uscisse dalla tenda, e costei uscì e stette in piedi di fronte ad Abramo, che era ancora in groppa al cammello.

Ed Abramo disse alla moglie di Ismaele: Quando tornerà tuo marito, Ismaele, riferiscigli queste parole: "Un uomo molto vecchio, dalla terra dei Filistei, è venuto a cercarti qui, e questo era il suo aspetto e il suo sembiante; io non gli ho chiesto chi fosse, e vedendo che tu non c'eri, mi ha chiesto di riferirti queste parole al tuo ritorno: Quando Ismaele tuo marito ritornerà gli dirai così. Quando tuo marito entrerà alla tenda, digli di togliere il piolo che hai conficcato qui, e di sostituirlo con un altro".

E quando finì di parlare alla donna, Abramo si girò e ripartì in sella al sul cammello.

E quando Ismaele tornò dalla caccia con sua madre, ed entrò nella tenda, sua moglie gli riferì queste parole: "Un uomo molto vecchio, dalla terra dei Filistei è venuto a cercarti, e questo era il suo aspetto e il suo sembiante; io non gli ho chiesto chi fosse e vedendo che tu non eri a casa, lui mi ha detto: Quando tuo marito arriverà a casa digli di togliere il piolo della tenda che hai conficcato qui e di sostituirlo con un altro".

Ed Ismaele, dopo aver ascoltato le parole della moglie, capì che si trattava di suo padre e che sua moglie non l'aveva onorato.

Ed Ismaele intese le parole che suo padre aveva detto a sua moglie, e gli obbedì e ripudiò quella donna, che se ne andò via.

Ed Ismaele andò quindi nella terra di Canaan dove prese un'altra moglie e la portò nella tenda in cui aveva dimorato.

E trascorsi tre anni, Abramo disse: "Andrò nuovamente a trovare mio figlio Ismaele, perchè non lo vedo da molto tempo".

E salì in groppa al suo cammello e andò nel deserto e arrivò alla tenda di Ismaele verso mezzogiorno.

Egli chiese di Ismaele e la moglie uscì dalla tenda e disse: "Egli non è qui, mio signore, perché è andato a cacciare nei campi e a pascolare i cammelli" E la donna disse ad Abramo: "Mio signore, accomodati nella tenda, e mangia del pane, perché certamente il tuo corpo sarà stanco dopo il lungo viaggio".

Ed Abramo le disse: "Non mi fermo perché vado di fretta e devo continuare il mio viaggio, ma dammi un po' d'acqua da bere, perchè sono assetato". E la donna si affrettò e corse dentro la tenda e portò fuori acqua e pane per Abramo e li mise davanti a lui esortandolo a mangiare; Abramo mangiò e bevve ed il suo spirito si rinfrancò e benedisse suo figlio Ismaele; egli finì di mangiare e disse alla moglie di Ismaele: "Quando Ismaele tornerà a casa, digli queste parole: Un uomo molto vecchio dalla terra dei Filistei è venuto qui e ha chiesto di te in tua assenza; e gli ho dato acqua e pane ed egli ha mangiato e bevuto ed il suo spirito era rinfrancato. Ed egli mi disse queste parole: Quando Ismaele arriverà a casa, digli così "Il piolo che hai conficcato nella tua tenda è molto buono, non sostituirlo".

E dopo aver parlato con la donna, Abramo tornò a casa nella terra dei Filistei; e quando Ismaele fece ritorno alla sua tenda, sua moglie uscì e lo accolse festante e allegra.

E gli disse: "E' passato qui un vecchio uomo dalla terra dei Filistei e tale era il suo aspetto, e lui ha chiesto di te ma tu non c'eri e tale era il suo portamento. Egli ha chiesto di te e gli ho detto che non c'eri e gli ho dato del pane e dell'acqua, e lui ha mangiato e bevuto ed il suo spirito era rinfrancato.

Ed egli mi ha detto di riferirti queste parole: "Quando Ismaele tuo marito tornerà a casa, digli così: 'Il piolo che hai conficcato nella tua tenda è molto buono, non sostituirlo".

Ed Ismaele capì che era suo padre, e che sua moglie l'aveva onorato, ed Ismaele benedisse Dio.

Ed Ismaele si levò e prese sua moglie, i suoi figli ed il suo bestiame ed ogni cosa che aveva, e lasciò quel posto per andare da suo padre nella terra dei Filistei.

Ed Abramo riferì al figlio Ismaele quanto era accaduto con la prima sua moglie e su come si era comportata.

Ed Ismaele ed i suoi figli dimorarono presso Abramo per molto tempo ed Abramo visse nella terra dei Filistei per un lungo periodo.

E il tempo passò e scorsero ventisei anni; e dopo di ciò, Abramo, con i suoi servi e con tutti i suoi beni lasciò la terra dei Filistei e si recò a Hebron, e qui si stanziò, ed i servi di Abramo scavarono dei pozzi d'acqua, ed Abramo e tutto il suo seguito si attendarono vicino ai pozzi d'acqua. Ed i servitori di Avimelech, re dei Filistei, vennero a sapere che i servitori di Abramo avevano scavato dei pozzi d'acqua ai confini del paese.

E vennero e litigarono con i servitori di Abramo e si appropriarono del grande pozzo che avevano scavato.

Ed Avimelech, re dei Filistei, informato su quanto era avvenuto, con il generale del suo esercito, Pichol e venti dei suoi guerrieri, arrivò da Abramo; ed Avimelech parlò con Abramo sull'operato dei suoi servitori, ed Abramo rimproverò Avimelech per il pozzo che i suoi uomini gli avevano rubato.

Ed Avimelech disse ad Abramo: "Come è vero il Dio Vivente che creò tutta la terra, io non sapevo fino ad ora ciò che i miei uomini avevano fatto ai tuoi sudditi".

Ed Abramo prese sette pecore femmine e le diede ad Avimelech, dicendo, "Prendile, ti prego, dalle mie mani, ed esse siano testimoni per me che fui io a scavare il pozzo".

Ed Avimelech prese le pecore che Abramo gli aveva dato, oltre al bestiame e alle mandrie che gli aveva fornito in grande quantità; ed Avimelech fece un giuramento con Abramo su quel pozzo, che fu chiamato Beersheba (Pozzo del Giuramento), perché ambedue vi avevano giurato sopra.

Ed entrambi fecero un'alleanza a Beersheba, e Avimelech si congedò con Pichol, il capo del suo esercito e gli altri suoi guerrieri, per far ritorno alla terra dei Filistei; ed Abramo e tutto ciò che gli apparteneva dimorò a Beersheba e ci rimase per molto tempo.

Ed Abramo piantò un grande giardino a Beersheba, e vi costruì quattro ostelli ai quattro angoli della città, e vi piantò una vigna, per cui se un viandante arrivava si fermava all'ostello per ristorarsi e riposarsi e riprendeva poi il proprio cammino.

Poiché la casa di Abramo era sempre aperta a chiunque vi passava e ripassava ogni giorno e qui poteva ristorarsi a proprio piacimento.

E chi era affamato e arrivava a casa di Abramo, riceveva da lui cibi e bevande e ne usciva soddisfatto, e chi vi entrava privo di indumenti, riceveva vestiti e Abramo dava ai bisognosi argento ed oro e faceva loro conoscere Dio che li aveva creati sulla terra; così agì Abramo durante tutta la sua vita.

Ed Abramo con i suoi figli e tutto ciò che possedeva abitava da Beersheva a Hebron.

Ed il fratello di Abramo, Nahor, e suo padre, con tutto ciò che avevano, dimoravano a Haran, perché non avevano seguito Abramo nella terra di Canaan.

E figli nacquero a Nahor che Milcà, figlia di Haran e sorella di Sara, gli generò.

E questi sono i nomi dei suoi otto figli: Uz, Buz, Kemuel, Kesed, Hasò, Pildash, Tidlaf e Bethuel; essi sono i figli che Milcà partorì a Nahor, il fratello di Abramo.

E Nahor aveva una concubina di nome Reumah, ed anche lei gli generò figli, Zebach, Gahash, Tahash e Maacha, quattro figli.

Ed i figli nati a Nahor erano dodici oltre alle figlie, ed anche esse partorirono figli a Haran.

Ed i figli di Uz, il primogenito di Nahor, erano Abi, Heref, Gadin, Melus, e Debora, loro sorella.

Ed i figli di Buz erano Berachel, Naamath, Sheva e Madonu.

Edi figli di Kemuel erano Aram e Rehob.

Ed i figli di Kesed erano Anamlech, Meshai, Benon e Yifi; ed i figli di Hasò erano Pildash, Mehì ed Ofer.

Ed i figli di Pildash erano Arud, Hamum, Mered e Moloch.

Ed i figli di Tidlaf erano Mushan, Cushan e Mutzì.

Ed i figli di Bethuel erano Sehar, Lavan e la loro sorella Rebecca.

Queste sono le famiglie dei figli di Nahor nati a Haran; ed Aram, il figlio di Kemuel, e Rehob, suo fratello, partirono da Haran e si stanziarono in una valle nella terra vicina al fiume Eufrate.

E qui vi costruirono una città, che chiamarono Pethor, il figlio di Aram, cioè Aram Naharayim fino ai giorni nostri.

E anche i figli di Kesed se ne andarono a cercare un luogo dove stabilirsi e lo trovarono in una valle di fronte alla terra di Shinar, e qui si stanziarono.

E vi costruirono una città, che chiamarono Hesed col nome del loro padre, cioè la terra di Hasdim sino a questo giorno, ed i Hasdim dimorarono in quella terra ed erano prolifici e si moltiplicarono.

E Terah, padre di Nahor e di Abramo, in vecchiaia prese un'altra moglie, che si chiamava Pelilah, e lei concepì e partorì un figlio che fu chiamato Zoba.

E Terah visse venticinque anni dopo che generò Zoba.

E Terah morì in quell'anno, nel trentacinquesimo anno dalla nascita di Isacco, figlio di Abramo.

E Terah visse 205 anni e fu sepolto a Haran.

E Zoba, figlio di Terah, a trent'anni generò Aram, Ahlis e Merik.

Ed Aram, figlio di Zoba, figlio di Terah, aveva tre mogli e generò dodici figli e tre figlie; e Dio diede ad Aram, figlio di Zoba, ricchezze e poderi e abbondanza di bestiame, greggi ed armenti, e l'uomo si arricchì molto.

Ed Aram, figlio di Zoba, e suo fratello e tutta la sua famiglia partirono da Haran e si stabilirono in un luogo che trovarono, perchè la loro proprietà era troppo grande per rimanere a Haran; e non poterono fermarsi a Haran insieme ai loro fratelli, i figli di Nahor.

Ed Aram, figlio di Zoba, andò con i suoi fratelli, e trovarono una valle, a una certa distanza, verso oriente e qui si stabilirono.

E vi costruirono una città, che chiamarono Aram, dal nome del loro fratello più anziano; si tratta di Aram Zoba fino ad oggi.

Ed Isacco, figlio di Abramo, cresceva in quei giorni, ed Abramo, suo padre, gli insegnava le vie per conoscere Dio, ed il Signore era con lui.

E quando Isacco aveva trentasette anni, Ismaele, suo fratello, viveva con lui nella stessa dimora.

Ed Ismaele si vantava davanti ad Isacco e diceva: "Avevo tredici anni quando Dio ordinò a mio padre di circonciderci ed io seguivo la parola di Dio che parlava con mio padre, ed io diedi la mia anima a Dio, e non trasgredii la Sua parola che aveva comandato a mio padre".

Ed Isacco rispondeva ad Ismaele: "Perché te ne vanti con me, per un po' di carne che ti fu tolta dal corpo, come Dio comandò?

Come è vivo Iddio, Dio di mio padre Abramo, se Dio dovesse dire a mio padre, ora prendi tuo figlio, Isacco, e portalo come un'offerta davanti a Me, io non mi opporei ma l'accetterei gioiosamente".

E Dio sentì la parola detta da Isacco ad Ismaele, ed essa piacque, ed Egli pensò di mettere alla prova Abramo.

Ed il giorno arrivò quando i figli di Dio vennero e si misero di fronte al Signore, e Satana si aggregò a loro al Suo cospetto.

E Dio disse a Satana:"Da dove vieni"? e Satana rispose: "Dal mio procedere avanti e indietro e su e giù per la terra".

E Dio disse a Satana: "Che cosa puoi dire riguardo ai figli della terra"? e Satana rispose a Dio: "Ho visto che tutti i figli della terra Ti servono e Ti ricordano quando Ti devono richiedere qualcosa.

E quando Tu dai loro la cosa che hanno richiesto, loro si adagiano e Ti abbandonano e non si ricordano più di Te.

Tu hai visto Abramo, il figlio di Terah, che prima non aveva figli e Ti serviva ed aveva eretto altari in Tuo onore dovunque andava e vi portava offerte, e proclamava il Tuo nome sempre a tutti i figli della terra. Ed ora che gli è nato suo figlio Isacco, Ti ha abbandonato; egli ha fatto una grande festa per tutti gli abitanti della terra, ma ha dimenticato Dio. Poiché in tutto ciò che ha fatto non Ti ha portato un'offerta; nessun olocausto, né offerta di pace, nessun bue o agnello o capra di tutto ciò che macellò nel giorno in cui suo figlio fu svezzato. Anche dalla nascita di suo figlio ad oggi, trentasette anni, non ha costruito un altare in Tuo onore, né Ti presentò alcuna offerta, poiché vide che Tu hai esaudito la sua preghiera e per questo Ti ha abbandonato".

E Dio disse a Satana, "E' così che tu consideri il Mio servo, Abramo? Poiché non c'è nessuno come lui sulla terra, un uomo integro e retto davanti a Me, un uomo che teme Dio ed evita ogni male; come Io sono Vivo, se Io dicessi a lui, 'Porta tuo figlio, Isacco, davanti a me', lui non esiterebbe a farlo, quanto di più se io gli dicessi di portare un olocausto a Me dal suo gregge o dai suoi armenti."

E Satana rispose a Dio e disse: "Ebbene, parla allora ad Abramo come Tu hai detto, e Tu vedrai oggi stesso se egli eseguirà il Tuo volere oppure trasgredirà il Tuo comando".

E in quel tempo, la parola di Dio fu rivolta ad Abramo, che lo chiamò "Abramo"; ed egli disse: "Eccomi".

E Dio gli disse: "Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio, che tu ami, Isacco, e va' nella terra di Moriah e offrilo in sacrificio su una delle montagne che ti sarà indicata, su cui apparirà una nube e la Gloria di Dio".

Ed Abramo pensò in cuor suo: "Come farò a separare mio figlio Isacco da sua madre Sara per offrirlo in sacrificio a Dio?".

Ed Abramo entrò nella tenda e si sedette di fronte a Sara, sua moglie, e così le parlò:

"Nostro figlio Isacco è ormai cresciuto e da tempo non studia in che modo servire Dio, per cui domani lo prenderò con me da Shem ed Eber suo figlio, e lì potrà apprendere le vie del Signore, dato che gli insegneranno a conoscere Dio e così saprà che quando Lo prega con assiduità, Dio gli risponderà, e in questo modo saprà come servire il Signore, suo Dio".

E Sara rispose: "Hai parlato bene, va', mio signore, e fa' come hai detto, ma non lo allontanare troppo da me, né fallo rimanere lì troppo a lungo, perché la mia anima è legata alla sua."

Ed Abramo disse a Sara: "Figlia mia, preghiamo il Signore, nostro Dio, che ci usi misericordia".

E Sara prese suo figlio, Isacco, ed egli restò tutta quella notte con lei, e lei lo baciò e lo abbracciò e lo riempì di raccomandazioni fino alla mattina.

E gli disse: "O figlio mio, come può la mia anima separasi da te"? Ed ancora lo baciò, lo abbracciò, pianse con lui e si raccomandò molto con Abramo per suo figlio.

E Sara disse ad Abramo, "O mio signore, io ti prego di fare attenzione a tuo figlio e di custodirlo bene, perchè io non ho un altro figlio o un'altra figlia, ho solo lui. Non abbandonarlo. Se ha fame, dagli del pane e se ha sete dagli dell'acqua; non farlo camminare troppo e non esporlo al sole. Non lasciarlo solo, non obbligarlo a fare cose che non ama e fa' come lui ti dice."

E Sara pianse amaramente tutta quella notte per Isacco, che riempì di raccomandazioni fino al mattino.

E la mattina Sara scelse un abito molto elegante e bello di quelli che teneva in casa e che le aveva dato in dono Avimelech.

E lo fece indossare a suo figlio Isacco e gli mise un turbante in testa con in cima una pietra preziosa, e li rifornì di viveri per il viaggio; ed essi si misero in viaggio e Isacco partì con suo padre Abramo e con alcuni dei loro servitori.

E Sara uscì con loro, e li accompagnò per un tratto di strada, e loro le dissero: "Ritorna alla tenda".

E quando Sara sentì le parole di suo figlio Isacco, pianse amaramente, ed Abramo, suo marito, pianse con lei, e così anche Isacco; anche i loro accompagnatori piansero molto.

E Sara prese suo figlio Isacco, lo abbracciò forte e continuò a piangere con lui, e disse: "Chissà mai se dopo questo giorno ti rivedrò ancora?".

E piansero insieme, Abramo, Sara ed Isacco e tutti quelli che li accompagnavano e Sara, tornando alla tenda, non cessò di piangere amaramente, e i suoi servitori e le sue servitrici tornarono con lei alla tenda.

Ed Abramo andò con Isacco, suo figlio, per sacrificarlo a Dio, come gli aveva comandato.

Ed Abramo prese con sé due dei suoi giovani aiutanti, Ismaele, il figlio di Hagar, ed Eliezer il suo servitore, che durante il cammino, parlavano tra di loro.

Ed Ismaele disse ad Eliezer, "Ora mio padre Abramo sta andando con Isacco per sacrificarlo a Dio, come Egli gli comandò. E quando tornerà egli darà a me in eredità tutto ciò che possiede, dato che io sono il suo primogenito".

Ed Eliezer rispose ad Ismaele: "Tu sai che Abramo ti cacciò via con tua madre e giurò che tu non avresti ereditato alcunché di tutto ciò che lui possiede; ed a chi erediterà tutto ciò che possiede, con tutti i suoi tesori, se non a me, il suo servitore che gli è stato fedele nella sua casa e che lo ha servito notte e giorno e ha fatto tutto ciò che egli desidera? A me lascerà in eredità tutto ciò che possiede".

E mentre Abramo camminava con suo figlio, Satana venne e gli apparve nelle sembianze di un uomo molto anziano, umile e di spirito contrito, che gli si avvicinò e gli disse: "Sei tu sciocco o malvagio, che ti accingi a fare un'azione simile al tuo unico figlio? In quanto Dio ti diede un figlio nella vecchiaia, e tu adesso lo vai a scannare, senza che lui abbia commesso alcun crimine, e tu farai sì che l'anima del tuo unico figlio scompaia dalla terra? Ma non sai tu o non capisci che ciò non può venire da Dio? Dio non farebbe mai ad un uomo una tale cattiveria in terra dicendogli, 'Va' e sgozza tuo figlio!".

Ed Abramo lo ascoltò e capì che erano le parole di Satana che cercava di traviarlo da Dio, ma Abramo non diede retta alla voce di Satana, e lo rimproverò e costui se ne andò via.

Ma Satana ritornò e venne da Isacco nelle sembianze di un giovane aitante e di bell'aspetto.

Si avvicinò ad Isacco e gli disse: "Non lo sai o non lo capisci che in questo giorno il tuo vecchio e stolto genitore intende scannarti per niente? Ma tu, figlio mio, non ascoltarlo e non dargli retta, perchè lui è uno stupido vecchio, e non lasciare che la tua anima preziosa e il tuo bel viso spariscano dalla terra".

Ed Isacco, sentite queste parole, disse a suo padre: "Hai sentito, padre mio, ciò che ha detto quest'uomo, dicendo così e così?".

Ed Abramo rispose a suo figlio Isacco: "Fai attenzione a costui e non ascoltare le sue parole e non dargli retta, perchè si tratta di Satana, che cerca di sviarci in questo giorno dai comandi di Dio".

Ed Abramo rimproverò ancora Satana, che se ne andò, e vedendo che non poteva prevalere su di loro, si nascose e li precedette per trasformarsi in un grande fiume; ed Abramo ed Isacco ed i suoi due giovani uomini arrivarono in quel luogo, e videro un grande fiume con le acque che vi scorrevano impetuosamente.

Ed essi entrarono nel fiume e mentre lo attraversavano le acque arrivavano alle loro ginocchia.

Ed essi proseguirono e le acque arrivarono fino al collo; e, a questo punto, erano impauriti; e mentre erano immersi nel fiume, Abramo riconobbe quel luogo, e si ricordò che lì non c'era mai stato un corso d'acqua.

Ed Abramo disse a suo figlio Isacco, "Io conosco questo posto e qui non c'è mai stato né fiume, né torernte; per cui è questa opera di Satana che vuole farci traviare dai comandi di Dio."

Ed Abramo sgridò Satana e gli disse: "Che Dio ti rimproveri, o Satana, e lasciaci stare perchè noi stiamo eseguendo gli ordini di Dio".

E Satana si spaventò alla rampogna di Abramo, e scappò via ed il luogo tornò ad essere asciutto, come prima.

Ed Abramo proseguì con Isacco verso il luogo di cui Dio gli aveva parlato.

E al terzo giorno, Abramo alzò lo sguardo e, da lontano, vide il posto che Dio gli aveva indicato.

E vide una colonna di fuoco, dalla terra al cielo, ed una densa nube sulla cima della montagna, nella quale si manifestò la gloria di Dio.

Ed Abramo disse ad Isacco: "Figlio mio, vedi anche tu su quella montagna in lontananza ciò che vedo io?".

Ed Isacco rispose a suo padre: "Io vedo una colonna di fuoco ed una nube, e la gloria di Dio è nella nube".

Ed Abramo capì che suo figlio Isacco era stato accettato davanti a Dio in sacrificio.

Ed Abramo disse ad Eliezer e a suo figlio Ismaele: "Vedete anche voi ciò che noi vediamo su quella montagna lontana?".

Ed essi risposero: "Noi vediamo solo delle montagne". Ed Abramo capì che loro non erano stati accettati da Dio per accompagnarli, per cui Abramo disse loro: "Fermatevi qui con l'asino mentre io e mio figlio Isacco saliremo su quella montagna per adorare Dio e poi torneremo da voi".

Ed Eliezer ed Ismaele si fermarono in quel luogo, come aveva comandato loro Abramo.

Ed Abramo prese della legna per ardere l'olocausto e la caricò su suo figlio Isacco e, dopo aver preso gli arnesi per accendere il fuoco ed il coltello, si diressero entrambi verso il luogo indicato.

E mentre salivano sul monte, Isacco disse a suo padre: " Io vedo qui il fuoco e la legna, ma dove è l'agnello per l' olocausto da offrire al Signore?".

Ed Abramo rispose a suo figlio Isacco: "Dio ha scelto te, figlio mio, come olocausto perfetto, al posto dell'agnello".

Ed Isacco disse a suo padre: "Io farò tutto ciò che Dio ti ha detto, gioiosamente e serenamente".

Ed Abramo disse ad Isacco: "Se c'è in te qualche pensiero o qualche impedimento inopportuno, dimmelo, figlio mio, ti prego, non nascondermelo".

Ed Isacco rispose a suo padre Abramo: "O padre mio, come è vivo Dio, e come è vivo il tuo spirito di vita, non c'è niente nel mio cuore che mi faccia deviare a destra o a sinistra dalla parola che Dio ti disse. Nessun osso delle mie ossa, né alcun arto del mio corpo è contrariato, né tanto meno in me albergano pensieri o sentimenti negativi. Anzi, il mio cuore è contento ed io proclamo Benedetto è Dio che mi ha scelto in questo giorno per essere sacrificato a Lui."

Ed Abramo era molto contento per le parole di Isacco, e i due proseguirono e arrivarono nel luogo indicato da Dio.

Ed Abramo si mise a costruire l'altare; e mentre lo erigeva, Isacco gli passava le pietre e i materiali e così terminarono di costruire l'altare.

Ed Abramo prese la legna e la dispose sull'altare che avevano eretto.

E prese poi Isacco e lo legò sulla pira per sacrificarlo come olocausto a Dio.

Ed Isacco disse a suo padre: "Legami forte e poi mettimi sull'altare perché non mi possa girare o muovermi o sciogliermi dalla lama del coltello, profanando così il sacrificio".

Ed Abramo lo esaudì. Ed Isacco aggiunse: "O padre mio, dopo che mi avrai ucciso e mi avrai bruciato come olocausto completo, prendi con te ciò che rimane delle mie ceneri e portalo a mia madre Sara e dille 'Questo è il profumo di Isacco'; ma non farlo se lei è seduta vicino ad un pozzo o ad un luogo elevato, poiché potrebbe gettarvisi a causa mia e morire".

E quando Abramo sentì le parole di Isacco alzò la sua voce e pianse amaramente; e le lacrime di Abramo bagnavano suo figlio; ed anche Isacco pianse amaramente e disse a suo padre: "Fa' in fretta, padre mio, e fa' la volontà del Signore, Dio nostro, come Lui ti ha comandato".

Ed i cuori di Abramo ed Isacco si allietarono per quanto Dio aveva loro comandato; ma l'occhio lacrimava amaramente mentre il cuore gioiva.

Ed Abramo legò suo figlio e lo mise sulla pira ed Isacco allungò il collo davanti a suo padre, ed Abramo stese la sua mano per afferrare il coltello e scannare suo figlio come olocausto davanti a Dio.

E in quell'istante gli Angeli della misericordia si presenatrono davanti a Dio e Gli parlarono di Isacco e dissero: "O Dio, Tu sei un Re misericordioso e hai pietà su tutto ciò che hai creato in cielo ed in terra e assisti tutto il creato; pertanto, riscatta e salva il Tuo servo, Isacco, ed abbi pietà e compassione di Abramo e di suo figlio Isacco, che in questo momento stanno eseguendo la Tua volontà. Hai Tu visto, O Dio, come Isacco, figlio del Tuo servo Abramo, è legato a testa in giù per la macellazione, come un animale? Ora, fa' sì che la Tua misericordia si risvegli su loro, O Signore Dio".

E in quel momento, Dio apparve ad Abramo e lo chiamò dal cielo e gli disse: "Non mettere la tua mano addosso al giovane e non fargli niente, poichè ora ho constatato che tu temi Dio per aver compiuto questo atto e non mi hai negato tuo figlio, il tuo unico figlio".

Ed Abramo alzò i suoi occhi e vide che un montone era rimasto impigliato per le corna ad un fitto cespuglio; quello era l'ariete che Dio aveva creato in terra nel giorno in cui aveva fatto il cielo e la terra.

Poiché Dio aveva preparato questo montone fin da quel giorno, per essere sacrificato al posto di Isacco.

E questo ariete stava avanzando verso Abramo quando Satana lo afferrò e lo trattenne impigliandogli le corna tra i cespugli e ciò per far passare del tempo affinché Abramo uccidesse suo figlio.

Ed Abramo, vedendo l'ariete che avanzava verso di lui e Satana che lo tratteneva, andò a prenderlo e lo portò davanti all'altare, e dopo aver sciolto suo figlio Isacco dalle corde che lo legavano, mise al posto suo il montone; ed Abramo scannò l'ariete sull'altare, e lo diede come offerta sacrificale al posto di suo figlio Isacco.

Ed Abramo versò il sangue dell'ariete sull'altare, e disse, "Questo è al posto di mio figlio, e che questo sia considerato in questo giorno come il sangue di mio figlio davanti a Dio".

E tutto ciò che faceva Abramo con l'ariete sull'altare esclamava e diceva: "Questo è al posto di mio figlio, e che ciò che faccio questo giorno sia considerato davanti a Dio al posto di mio figlio"; ed Abramo completò l'intero servizio, che fu accettato da Dio, e fu considerato come se si fosse trattato di Isacco; e in quel giorno Dio benedisse Abramo e la sua discendenza.

E Satana andò da Sara, e le apparve nelle sembianze di un vecchio uomo molto umile e mite, mentre Abramo era ancora affaccendato nel sacrificio davanti a Dio.

E le disse: "Sai che cosa ha fatto oggi Abramo al tuo unico figlio? Lo ha preso, ha costruito un altare, e lo ha ucciso, e l'ha offerto in sacrificio sull'altare, ed Isacco ha pianto molto davanti a suo padre, ma lui non se ne è curato, né si è impietosito."

E Satana ripeté queste parole e poi se ne andò via; e Sara, dopo aver ascoltato le parole di Satana, pensò che fosse un vecchio che aveva assistito alla scena ed era venuto ad informarla.

E Sara levò alta la sua voce, scoppiò in pianto e si lamentò per la sorte del proprio figlio; e si gettò a terra e sparse polvere sulla sua testa, dicendo: "O figlio mio, Isacco, figlio mio, magari fossi morta io in questo giorno al posto tuo!". E continuò a piangere e a dire, "Che dolore, o figlio mio, magari fossi morta io in questo giorno al posto tuo!".

E continuava a lamentarsi e a dire: "Quanto mi dispiace per te, dopo che ti ho allevato e ti ho tirato su; ora la mia gioia si è trasformata in pianto; io che ti desideravo così tanto, e piangevo e pregavo Dio sino a che ti partorii a novanta anni; ed ora, in questo giorno, col coltello e col fuoco, sei stato sacrificato come olocausto.

Mi conforto, comunque, per te, figlio mio, in quanto è stata la volontà di Dio e tu hai compiuto il comando di Dio; poiché chi potrebbe mai trasgredire alla parola del nostro Dio nelle cui mani è l'anima di ogni creatura vivente? Tu sei giusto, O Signore, nostro Dio, poiché tutte le Tue opere sono buone e rette; poiché anch'io mi sono allietata con la parola che Tu hai comandato, e mentre il mio occhio piange amaramente, il mio cuore gioisce."

E Sara adagiò la sua testa sul petto di una delle sue serve e divenne silenziosa come una pietra.

Quindi si alzò ed indagò, sino ad arrivare a Hebron, e faceva domande a tutti coloro che incontrava, strada facendo, ma nessuno poteva dirle cos'era accaduto a suo figlio.

E quando arrivò con il suo seguito a Kiriat-Arba, che è Hebron, e chiese di suo figlio, rimase lì mentre spedì alcuni dei suoi servitori alla ricerca di Abramo ed Isacco; costoro andarono a cercarlo nella casa di Shem ed Eber, ma non li trovarono e cercarono invano in tutto il paese.

Ed ecco che Satana tornò da Sara sotto le sembianze di quel vecchio uomo e si presentò a lei e le disse, "Io ti ho raccontato il falso, perchè Abramo non ha ucciso suo figlio e lui non è morto"; e quando lei udì queste parole, la sua gioia fu così forte, a motivo del figlio, che la sua anima uscì; e così morì e fu raccolta alla sua gente.

E dopo che Abramo ebbe terminato il suo servizio, ritornò con suo figlio Isacco, dai suoi giovani, e loro si alzarono ed andarono insieme a Beersheba, per fare ritorno a casa.

Ed Abramo cercò Sara, e non la trovò, e domandando a più persone gli fu detto: "Lei è andata a Hebron per cercarvi, perchè così l'avevano informata".

Ed Abramo ed Isacco andarono a cercarla a Hebron, e quando videro che era morta, alzarono le loro voci e piansero amaramente per lei; ed Isacco si gettò sulla faccia di sua madre e pianse, e diceva, "O madre mia, come mi hai lasciato, e dove sei andata? O come, come mi hai lasciato!"

Ed Abramo ed Isacco piansero amaramente e tutti i loro servitori piansero con loro per Sara, e fecero un

 

 

HAJEI SARA (La vita di Sara)

 

E la vita di Sara fu di 127 anni; e Sara morì ed Abramo vegliò davanti alla defunta, e cercò un luogo adatto per seppellire sua moglie Sara; e andò a parlare con i figli di Heth, gli abitanti del posto, e disse loro:

"Io sono uno straniero che dimora con voi nella vostra terra; datemi in possesso un luogo di sepoltura nella vostra terra, affinché possa seppellire il mio morto".

Ed i figli di Heth dissero ad Abramo: "Ecco la terra sta di fronte a te, scegli uno dei nostri sepolcri per seppellire il tuo morto, poiché nessuno ti impedirà di farlo".

Ed Abramo disse loro: "Se voi siete d'accordo, andate da Efron, il figlio di Zohar, e chiedetegli di darmi la grotta di Machpelah, che si trova ai margini del suo campo, ed io l'acquisterò da lui per qualsiasi prezzo richieda".

Ed Efron dimorava fra i figli di Heth, che andarono a chiamarlo; ed egli si presentò ad Abramo, ed Efron gli disse: "Ecco, tutto ciò che chiedi, il tuo servo lo farà". E Abramo disse: "No, io voglio comprare la grotta ed il campo che tu hai in possesso, affinché diventi un luogo di sepoltura per sempre".

Ed Efron gli rispose: "Ecco il campo e la grotta ti stanno davanti, dammi quanto desideri"; e Abramo disse: "Io l'acquisterò secondo il suo pieno valore, riscattandola dalle tue mani e dalle mani di coloro che entrano dal portone della tua città, e dalle mani della tua discendenza per sempre".

Ed Efron e tutti i suoi fratelli ascoltarono le sue parole, ed Abramo consegnò ad Efron 400 sicli di argento nelle sue mani e nelle mani di tutti i suoi fratelli; ed Abramo scrisse questa transazione, la firmò e la vidimò alla presenza di quattro testimoni.

E questi sono i nomi dei testimoni: Amigal, figlio di Avishna l'ittita, Adihorom, figlio di Ashunach il hivita, Abdon, figlio di Ahiram il gomerita e Bakdil, figlio di Abudish lo zidonita.

Ed Abramo prese il contratto dell'acquisto, e lo mise nei suoi forzieri, e queste sono le esatte parole che Abramo vi scrisse:

"Questi sono la grotta ed il campo che Abramo ha acquistato da Efron Hittita e dalla sua discendenza, e dai suoi concittadini e dalla loro discendenza per sempre; essi rappresentano un acquisto per Abramo e per la sua discendenza e per coloro che usciranno dai suoi lombi e questa proprietà sarà luogo di sepoltura per sempre". E Abramo vi appose il sigillo e lo vidimò con dei testimoni.

Ed il campo, la grotta e tutto il luogo furono assicurati ad Abramo ed alla sua discendenza dopo di lui, dai figli di Heth; essi stanno di fronte a Mamre, a Hebron, che è nella terra di Canaan.

E dopo l'acquisto Abramo vi seppellì sua moglie Sara, e quel posto e tutto il suo confine divennero proprietà di Abramo e della sua discendenza come luogo di sepoltura.

Ed Abramo seppellì Sara con grandi onori, come si fa con i re, e Sara fu sepolta con indosso vesti di ottima fattura.

Ed intorno al suo letto funebre c'erano Shem e i suoi figli, Eber ed Avimelech, insieme con Aner, Eshcol e Mamre, e tutti i dignitari del paese seguirono il suo corteo funebre.

E la vita di Sara fu di 127 anni e quando morì Abramo fece un grande e pesante lutto, che durò una settimana.

E tutti gli abitanti del paese confortarono Abramo e suo figlio Isacco, a motivo di Sara.

E trascorsi i giorni del lutto, Abramo mandò suo figlio, Isacco, alla dimora di Shem ed Eber per apprendere le vie e i precetti di Dio, ed Isacco vi rimase tre anni.

In quel tempo, Abramo riprese le sue attività con tutti i suoi servitori, ed essi tornarono a Beersheba e qui vi rimasero.

E fu alla fine di quell'anno che morì Avimelech, re dei Filistei; egli aveva 193 anni alla sua morte; ed Abramo andò con i suoi sudditi nella terra dei Filistei per confortare tutta la famiglia e tutti i suoi servitori, e poi si congedò e tornò a casa.

E avvenne, dopo la morte di Avimelech, che la gente di Gherar prese suo figlio Benmalich, che aveva solamente dodici anni, e lo nominò loro capo al posto di suo padre.

E lo chiamarono Avimelech, come suo padre, perchè così si usava fare a Gherar, ed Avimelech figlio regnò al posto di Avimelech padre, e si insediò sul suo trono.

E Lot, il figlio di Haran, morì in quei giorni, nel trentanovesimo anno della vita di Isacco; e Lot visse 140 anni.

E questi sono i figli di Lot, che aveva avuto dalle sue figlie; il nome del primogenito era Moab ed il nome del secondogenito era Ben-amì.

Ed i due figli di Lot presero mogli dalla terra di Canaan, e generarono figli; e Moab ebbe quattro figli: Ed, Mayon, Tarso e Kanvil; costoro sono i padri dei Moabiti sino ai giorni nostri.

E tutte le famiglie dei figli di Lot si insediarono in più luoghi perchè erano prolifici e si moltiplicarono in gran quantità.

E costruirono città nei paesi che abitavano e le chiamarono coi loro propri nomi.

E Nahor, figlio di Terah, fratello di Abramo, morì in quei giorni nel quarantesimo anno della vita di Isacco; e Nahor visse 172 anni e fu sepolto a Haran.

E quando Abramo sentì che suo fratello era morto, si addolorò molto e pianse suo fratello per molti giorni.

Ed Abramo convocò Eliezer, che sopraintendeva ai suoi beni, per dargli disposizioni sulla sua casa, e lui si presentò subito al suo cospetto.

Ed Abramo gli disse: "Ecco, io sono vecchio, e non conosco il giorno della mia morte; ma sono molto anziano; ora, perciò, datti da fare, ma non prendere una moglie per mio figlio da questo luogo e da questa terra, dalle figlie dei Canaaniti, in mezzo ai quali abitiamo. Va' invece nel mio paese e dal mio parentado e prendi di là una moglie per mio figlio, ed il Signore, Dio del cielo e della terra, che mi prese dalla casa di mio padre e mi portò in questo luogo, e mi disse, 'Alla tua discendenza darò questa terra in eredità', Egli ti manderà un Suo angelo e ti farà trovare una moglie per mio figlio dalla mia famiglia e dalla casa di mio padre".

Ed il servo rispose al suo padrone Abramo: "Ecco, io vado nel paese in cui sei nato e nella casa di tuo padre per prendere una moglie per tuo figlio; ma se la donna non fosse disposta a seguirmi in questo paese, dovrò forse far tornare tuo figlio al paese dal quale uscisti?".

Ed Abramo gli disse: "Guardati bene dal far tornare là mio figlio, perchè il Signore, davanti al quale ho proceduto, ti manderà un suo angelo e ti farà riuscire nella tua impresa".

Ed Eliezer fece come Abramo gli aveva ordinato; ed Eliezer giurò al suo padrone di eseguire la sua volontà; ed Eliezer si levò e prese con sé dieci cammelli e dieci servitori di Abramo e si misero in viaggio ed arrivarono a Haran, la città di Abramo e di Nahor, per prendere una moglie per Isacco, figlio di Abramo; e mentre erano per strada, Abramo mandò a chiamare suo figlio Isacco dalla casa di Shem ed Eber.

Ed Isacco tornò alla casa paterna, a Beersheba, mentre Eliezer ed i suoi uomini arrivavano a Haran; ed essi si fermarono nella città presso una fonte d'acqua e qui fecero riposare i cammelli vicino ad un pozzo e fecero tappa in quel luogo.

Ed Eliezer, il servitore di Abramo, pregò e disse: "O Dio del mio signore Abramo, Ti prego, fammi fare oggi un buon incontro e usa benignità verso il mio padrone, e fa' che possa trovare, oggi stesso, una moglie per il figlio del mio signore, dalla sua famiglia".

E Dio ascoltò la preghiera di Eliezer, in virtù del suo servo Abramo e lo fece incontrare con la figlia di Bethuel, il figlio di Milcah, la moglie di Nahor, il fratello di Abramo, ed Eliezer venne a casa sua.

Ed Eliezer riferì loro tutte le sue preoccupazioni, e che lui era il servitore di Abramo e loro si allietarono molto di sentirlo.

Ed essi benedissero Dio che aveva fatto accadere una cosa simile, e gli diedero Rebecca, la figlia di Bethuel, come moglie per Isacco.

E la giovinetta era molto bella, era vergine e aveva dieci anni in quei giorni.

E Bethuel e Labano ed i suoi figli fecero una festa in quella notte, ed Eliezer ed i suoi uomini vennero e mangiarono e bevvero e si rallegrarono molto.

Ed Eliezer si alzò il mattino seguente con i suoi uomini, e chiamò tutta la casata di Betel dicendo: "Lasciatemi tornare dal mio padrone"; e si levarono e mandarono Rebecca e la sua nutrice Debora, figlia di Uz, e diedero loro argento ed oro, servi e servitrici, e la benedissero.

E congedarono Eliezer con i suoi uomini, ed i servi presero Rebecca; ed egli andò e tornò dal suo padrone nella terra di Canaan.

Ed Isacco prese Rebecca e lei divenne sua moglie, e lui la portò nella tenda.

Ed Isacco aveva quaranta anni quando prese per moglie Rebecca, la figlia di suo zio Bethuel.

Ed in quel tempo, nella sua maturità, Abramo prese di nuovo una moglie, di nome Keturah, dalla terra di Canaan.

E lei gli generò sei figli: Zimran, Jokshan, Medan, Midian, Ishbak e Shuach. Ed i figli di Zimran furono Abihen, Molich e Narim.

Ed i figli di Jokshan furono Sheba e Dedan; ed i figli di Medan furono Amida, Joab, Gohì, Elisha e Nothach; ed i figli di Midian furono Efah, Efer, Hanoch, Abida ed Eldaah.

Ed i figli di Ishbak furono Makiro, Beyodua e Tator.

Ed i figli di Shuach furono Bildad, Mamdad, Munan e Meban; tutte queste sono le famiglie dei figli di Keturah, la donna canaanita che generò ad Abramo l'ebreo.

Ed Abramo li congedò e diede loro dei regali; ed essi si separarono da suo figlio, Isacco, e si stanziarono in altri paesi.

Ed andarono a vivere nelle montagne a oriente dove costruirono sei città che abitano fino ai giorni nostri.

Ma i figli di Sheba e Dedan, figli di Jokshan, coi loro figli, non seguirono i loro fratelli e preferirono dimorare nel deserto sino ad oggi.

Ed i figli di Midian, figlio di Abramo, andarono a oriente della terra di Cush, e vi trovarono un'estesa vallata dove vi costruirono una città, che è il paese di Midian fino ai giorni nostri.

E Midian visse nella città che aveva costruito, lui ed i suoi cinque figli ed ogni cosa che gli apparteneva.

E questi sono i nomi dei figli di Midian, secondo i loro nomi nelle loro città: Efah, Efer, Hanoch, Abida ed Eldaah.

Ed i figli di Efah furono Metach, Meshar, Avi e Tzanua; ed i figli di Efer furono Efron, Zur, Alirun e Medin; ed i figli di Hanoch furono Reuel, Rekem, Azi, Alyoshub ed Alad.

Ed i figli di Abida furono Hur, Melud, Kerury e Molchi; ed i figli di Eldaah furono Miker, Reba, Malchiyah e Gabol; questi sono i nomi dei Midianiti, secondo le loro famiglie; e le famiglie di Midian si diffusero su tutta la terra di Midian.

E queste sono le generazioni di Ismaele, figlio di Abramo e di Hagar, la serva di Sara.

Ed Ismaele prese una moglie dalla terra d'Egitto, ed il suo nome era Ribah, la stessa Meribah.

E Ribah generò ad Ismaele Nevayoth, Kedar, Adbeel, Mibsam e la loro sorella Bosmath.

Ed Ismaele ripudiò sua moglie Ribah, e lei se ne andò via e tornò in Egitto nella casa di suo padre, dove vi abitò, perchè non aveva trovato grazia agli occhi di Ismaele e agli occhi di suo padre Abramo.

Ed Ismaele prese quindi una moglie dalla terra di Canaan, che si chiamava Malhuth, e lei gli generò Nishmà, Dumah, Massà, Haddad, Temà, Yetur, Nafish e Kedmà.

Questi sono i figli di Ismaele e questi sono i loro nomi, dodici principi secondo le loro nazioni; e le famiglie di Ismaele si moltiplicarono, ed Ismaele prese i suoi figli e tutta le proprietà che aveva prodotto, insieme con le persone della sua famiglia ed ogni cosa che gli apparteneva, ed andarono ad abitare nei luoghi che trovarono.

E si insediarono vicino al deserto di Paran, e la loro abitazione era da Havilah a Shur, cioè di fronte all'Egitto andando verso l'Assiria.

Ed Ismaele ed i suoi figli dimorarono in quella terra, e generarono figli, e poichè erano prolifici aumentarono molto di numero.

E questi sono i nomi dei figli di Nebayoth, primogenito di Ismaele: Mend, Send, Mayon; ed i figli di Kedar furono Alyon, Kezem, Hamad ed Eli.

Ed i figli di Adbeel furono Hamad e Jabin; ed i figli di Mibsam furono Ovadiah, Ebedmelech e Yeush; queste sono le famiglie dei figli di Ribah, moglie di Ismaele.

Ed i figli di Mishma, figlio di Ismaele, furono Shamua, Zecaryon ed Obed; ed i figli di Dumah furono Kezed, Eli, Mahmad ed Amed.

Ed i figli di Massà furono Melon, Mula ed Ebidadon; ed i figli di Haddad furono Azur, Minzar ed Ebedmelech; ed i figli di Temà furono Seir, Sadon e Yakol.

Ed i figli di Yetur furono Merith, Yaish, Alyo e Pahoth; ed i figli di Nafish furono Ebed-Tamed, Abiyasaf e Mir; ed i figli di Kedma furono Kalip, Tachtì ed Omir; questi furono i figli di Malhuth, la moglie di Ismaele, secondo le loro famiglie.

Tutte queste sono le famiglie di Ismaele secondo le loro generazioni, che abitarono in quelle terre dove avevano costruito città, sino ai nostri giorni.

E Rebecca la figlia di Bethuel, la moglie di Isacco, figlio di Abramo, era sterile in quei giorni e non aveva prole; ed Isacco dimorò con suo padre nella terra di Canaan; e Dio era con Isacco; ed Arpachshad, figlio di Shem, figlio di Noè, morì in quei giorni, nel 48esimo anno di vita di Isacco, e Arpachshad visse 438 anni.

 

 

 

TOLEDOT

 

 

E nel 59esimo anno di vita di Isacco, figlio di Abramo, sua moglie Rebecca, era ancora sterile.

E Rebecca disse ad Isacco, "Veramente io ho sentito, o mio signore, che tua madre, Sara, era sterile nei suoi giorni fino a quando il mio signore, Abramo, pregò per lei e lei rimase gravida. Per cui, ora, prega Dio anche tu ed Egli ascolterà la tua preghiera e ci ricorderà nella Sua misericordia".

Ed Isacco rispose a sua moglie Rebecca: "Abramo pregò Dio per me a suo tempo affinchè moltiplicasse la sua progenie, forse questa sterilità dipende da te".

E Rebecca gli disse: "Ma ora alzati anche tu e prega, che Dio possa sentire la tua preghiera ed accordarmi prole". Ed Isacco ascoltò le parole di sua moglie, ed Isacco e sua moglie si alzarono ed andarono nel paese di Moriah per pregare là e per cercare Iddio, e quando arrivarono lì Isacco si alzò in preghiera e invocò Dio a favore della moglie sterile.

Disse Isacco: "O Signore, Dio dei cieli e della terra, la cui bontà e misericordia riempiono la terra, Tu che traesti mio padre dalla sua casa paterna e dalla sua patria, e lo portasti in questa terra e gli dicesti 'Alla tua discendenza io darò la terra, e gli promettesti 'Io moltiplicherò il tuo seme come le stelle del cielo e come la sabbia del mare', fa' sì che le Tue parole si attuino, come hai promesso a mio padre. Poiché Tu sei il Signore, nostro Dio, i nostri occhi sono rivolti a Te affinchè tu ci dia una discendenza, come prometteesti, poiché Tu sei il Signore, Dio nostro, ed i nostri occhi sono rivolti solamente a Te."

E Dio ascoltò la preghiera di Isacco, figlio di Abramo, ed esaudì la sua preghiera e Rebecca, sua moglie, concepì.

E al settimo mese di gravidanza i gemelli lottavano nel suo grembo, e questo le causò un forte dolore, per cui era molto affaticata a causa loro, e domandava alle donne che la circondavano, "Anche a te è successa una cosa simile?" E loro le dissero di no.

E domandò loro: "Perché succede solo a me fra tutte le donne sulla terra?". E si recò nella terra di Moriah per domandare a Dio il motivo di questo dolore; e andò da Shem ed Ever, suo figlio, per chiedere loro il perchè, e perchè gli dessero una risposta ispirata da Dio.

E lei chiese anche ad Abramo di cercare e di chiedere a Dio a proposito di ciò che le succedeva.

E tutti insieme chiesero a Dio il motivo, e loro riferirono la parola di Dio e le dissero, "Due figli sono nel tuo ventre, e due nazioni ne verranno fuori; ed una nazione sarà più forte dell'altra, ed il più grande servirà il più giovane."

E quando i giorni della sua gravidanza furono completati, lei partorì in ginocchio e vide che erano usciti due gemelli dal suo utero, come Dio aveva detto.

Ed il primo uscì ricoperto completamente da una peluria rossa e tutte le persone della terra lo chiamarono Esaù, dicendo, 'Questo era in una forma completa già dall'utero'.

E dopo uscì suo fratello, e la sua mano teneva il calcagno di Esaù, perciò lo chiamarono Giacobbe.

Ed Isacco, figlio di Abramo, aveva 60 anni quando divenne padre.

Ed i gemelli crebbero e al loro quindicesimo anno entrarono a far parte della comunità degli uomini. Esaù era un uomo astuto ed ingannevole, ed un abile cacciatore da campo e Giacobbe era un uomo di perfetta saggezza, dimorava nelle tende, pascolava le greggi e seguiva gli insegnamenti di Dio ed i comandi di suo padre e di sua madre.

Ed Isacco ed i figli della sua casa dimoravano con loro padre Abramo, nella terra di Canaan, come Dio aveva loro comandato.

Ed Ismaele, figlio di Abramo, partì con i suoi figli e con ogni loro proprietà per tornare alla terra di Havilah, e qui si stanziarono.

E tutti i figli delle concubine di Abramo andarono ad abitare nelle terre ad oriente, perchè Abramo li aveva allontanati da suo figlio, e aveva dato loro regali, e loro se ne erano andati.

Ed Abramo diede tutto ciò che possedeva a suo figlio Isacco e gli diede anche tutti i suoi tesori.

Ed egli così gli parlò: "Sai che Dio è nel cielo e nella terra, e non c'è altri all'infuori di Lui? E fu Lui che mi trasse dalla mia casa paterna e dal mio luogo di nascita, e mi diede tutte le delizie sulla terra; che mi liberò dal consiglio dei malvagi, perchè in Lui io riposi la mia fede. E mi portò in questo luogo, e mi allontanò da Ur Casdim; e mi disse: "Alla tua discendenza darò tutte queste terre, e loro le erediteranno se custodiranno i Miei comandamenti, i Miei precetti e i Miei giudizi che io ti ho comandato, e che Io comanderò loro".

Ora perciò, figlio mio, ascolta la mia voce e custodisci i precetti del Signore, tuo Dio, che io ti comando, non voltare a destra o a sinistra, affinchè ci sia benedizione per te e per la tua discendenza dopo di te in eterno. E ricorda le opere meravigliose di Dio, e la bontà che Egli ci ha mostrato, quando ci ha salvati dalle mani dei nostri nemici, ed il Signore, nostro Dio, li fece cadere nelle nostre mani; ed ora perciò custodisci tutto ciò che io ti ho comandato, e non sviare dai comandamenti del tuo Dio, e non servire nessuno all'infuori di Lui, affinchè tu e la tua discendenza dopo di te siate benedetti. Ed insegna ai tuoi figli ed alla tua discendenza i precetti di Dio ed i Suoi comandamenti, ed insegna loro la via retta da seguire, affinchè siano sempre benedetti."

Ed Isacco rispose a suo padre e gli disse: "Ciò che ha comandato il mio Dio, che Egli vuole che io faccia, lo farò, e non devierò dai comandi del Signore, mio Dio, io custodirò tutto ciò che Egli mi comanda; ed Abramo benedisse suo figlio, Isacco, ed anche i suoi figli; ed Abramo insegnò i precetti e le vie di Dio a Giacobbe.

E fu in quel tempo che Abramo morì, nel quindicesimo anno della vita di Giacobbe e di Esaù, i figli di Isacco, e Abramo visse 175 anni e lui morì e fu raccolto con la sua gente in età avanzata e sazio di anni, ed Isacco ed Ishmael, i suoi figli, lo seppellirono.

E quando gli abitanti di Canaan sentirono che Abramo era morto vennero con i loro re e principi e tutti i loro uomini per assistere alla sepoltura di Abramo.

E tutti gli abitanti della terra di Haran, e tutte le famiglie della casa di Abramo, e tutti i principi e notabili, ed i figli di Abramo dalle concubine, tutti arrivarono quando vennero a sapere della morte di Abramo, e loro contraccambiarono la bontà di Abramo, e confortarono Isacco, suo figlio, e seppellirono Abramo nella grotta acquistata da Efron l'ittita ed i suoi figli, per il possesso di un luogo di sepoltura.

E tutti gli abitanti di Canaan, e tutti quelli che avevano conosciuto Abramo, piansero Abramo un anno intero e uomini e donne fecero lutto per lui.

E tutti i piccoli e tutti gli abitanti della terra piansero Abramo, perchè Abramo era stato buono con tutti loro, e perchè lui era stato retto con Dio e con gli uomini.

E non ci fu un altro uomo che temette Dio come Abramo, perchè lui aveva temuto Dio fin dalla sua adolescenza, ed aveva servito Dio, e aveva camminato lungo le Sue vie durante la vita, dalla sua infanzia fino al giorno della sua morte.

E Dio fu a suo fianco e lo protesse dal giudizio di Nimrod e della sua gente, e quando lui fece guerra con i quattro re di Elam, egli li sottomise.

Ed Abramo portò tutti i figli della terra al servizio di Dio e insegnò loro le vie di Dio, e fece conoscere loro Dio.

E Abramo aveva coltivato un orto in cui aveva piantato una vigna, e teneva sempre a disposizione cibi e bevande nella tenda per i viandanti che passavano attraverso la sua terra, per poterli ristorare e ospitare.

Ed il Signore, Dio, affrancò tutta la terra per merito di Abramo.

E dopo la morte di Abramo, Dio benedisse suo figlio Isacco e gli altri suoi figli, perché Dio era con Isacco come Egli era stato con suo padre Abramo, perché Isacco aveva preservato tutti i comandamenti di Dio come Abramo suo padre gli aveva raccomandato; egli non deviò a destra o a sinistra dal percorso retto che suo padre gli aveva indicato.

 

 

Ed Esaù, in quel tempo, dopo la morte di Abramo, andava spesso nei campi a cacciare.

Ed anche Nimrod, re di Babilonia, e Amrafel, andavano spesso a caccia nei campi con i loro forti uomini o passeggiavano con loro durante le ore fresche della giornata.

E Nimrod osservava Esaù ogni giorno, affetto da una gelosia che lo tormentava da molto tempo.

E un bel giorno, mentre Esaù cacciava nel campo, vide Nimrod che camminava nel deserto con due dei suoi uomini.

E tutti i suoi uomini possenti e il suo seguito lo accompagnavano nel deserto, ma a una certa distanza, perchè ognuno seguiva una diversa pista per cacciare; ed Esaù si nascose di proposito dalla vista di Nimrod, per fargli un agguato nel deserto.

E Nimrod e gli uomini che lo accompagnavano ne erano ignari e camminavano alla ricerca degli altri uomini del seguito.

E quando Nimrod e i due uomini che erano con lui furono a portata di mano, Esaù balzò fuori dal suo nascondiglio, sguainò la spada, si avventò velocemente su Nimrod e gli mozzò la testa.

Ed Esaù lottò accanitamente con i due uomini di Nimrod, e quando costoro si misero a urlare contro di lui, Esaù li colpì a morte con la sua spada.

E tutti i forti guerrieri di Nimrod, che erano disseminati nella zona, sentirono le urla a distanza, le riconobbero e quando accorsero per conoscerne il motivo, trovarono il loro re ed i suoi due uomini colpiti a morte.

E quando Esaù vide arrivare gli uomini potenti di Nimrod da lontano, scappò via; e fece a tempo a prendere gli indumenti preziosi di Nimrod che suo padre (Cush) gli aveva ereditato, e con i quali Nimrod aveva dominato su tutta la terra, ed Esaù fuggì e li nascose a casa.

Ed Esaù, con quegli indumenti in mano, corse in città per evitare gli uomini di Nimrod, ed arrivò sino alla casa di suo padre, spaventato, stanco ed esausto dalla lotta, ed era pronto a morire per il dolore e l'angoscia quando si avvicinò a suo fratello, Giacobbe, e si sedette di fronte a lui.

E disse a suo fratello Giacobbe: "Ecco, io mi espongo alla morte e a che mi vale la primogenitura?" E Giacobbe agì saggiamente con Esaù in quel frangente, ed Esaù vendette la sua primogenitura a Giacobbe, poiché così fu voluto da Dio.

Ed Esaù vendette a Giacobbe anche la propria porzione nella grotta del campo di Machpelah, che Abramo aveva comprato dai figli di Heth per avere un terreno di sepoltura, e Giacobbe la comprò a un prezzo caro da suo fratello Esaù.

E Giacobbe scrisse tutto ciò in un libro e lo attestò con testimoni, e lo sigillò, ed il libro rimase nelle mani di Giacobbe.

E quando Nimrod, figlio di Cush, morì, i suoi uomini lo innalzarono, lo portarono con costernazione e lo seppellirono nella sua città; e Nimrod visse 215 anni.

E Nimrod regnò sui popoli della terra 185 anni; e Nimrod morì ucciso dalla spada di Esaù svergognato e disprezzato, ed il seme di Abramo provocò la sua morte, come vide in un suo sogno.

E dopo la morte di Nimrod, il suo regno venne suddiviso in molte parti che vennero riconsegnate ai rispettivi re, che così le recuperarono, ed i sudditi di Nimrod furono asserviti per lunghi anni a questi re.

Ed in quel tempo, dopo la morte di Abramo, Dio fece arrivare una grande e grave carestia sulla terra; e mentre la fame colpiva duramente la terra di Canaan, Isacco si accinse a scendere in Egitto per la fame, come aveva fatto suo padre Abramo.

E Dio apparve in quella notte ad Isacco e gli disse: "Non scendere in Egitto, alzati e va' a Gherar, da Avimelech, re dei Filistei, e rimani lì fino a quando finirà la carestia".

Ed Isacco si levò ed andò a Gherar, come Dio gli aveva comandato e qui vi rimase per un anno intero.

E quando Isacco arrivò a Gherar, la gente del posto vide che sua moglie Rebecca era molto bella; e quando gli fu chiesto chi fosse, Isacco rispose "è mia sorella", perché temeva che, dicendo la verità, la gente del posto lo avrebbe ucciso a causa di lei.

E i dignitari di Avimelech andarono dal re e lodarono la bellezza della donna ma lui non rispose loro, né diede retta alle loro parole.

Ma sentì dire da loro che Isacco l'aveva dichiarata sua sorella, e così il re tenne questo per sé.

E dopo tre mesi di permanenza in quel luogo, Avimelech, affacciatosi alla finestra, vide che Isacco si trastullava con sua moglie Rebecca, perché Isacco alloggiava in una casa esterna, che si trovava però dirimpetto alla sua reggia.

Ed il re disse ad Isacco: "Che cosa ci hai combinato! Perchè hai detto che tua moglie è tua sorella? Non sarebbe stato difficile che uno dei nostri notabili fosse giaciuto con tua moglie e ci avresti portato addosso una grave colpa!".

Ed Isacco disse ad Abimelech, "Perché temevo di essere ucciso a causa sua; perciò dissi che era mia sorella".

Fu allora che Avimelech impartì severi ordini a tutti i suoi principi e dignitari; e Isacco e sua moglie Rebecca furono presi e portati davanti al re.

Ed il re comandò di far loro indossare vestiti regali e di farli cavalcare lungo le strade della città, proclamando pubblicamente: "Questo è il marito e questa è sua moglie; chiunque tocchi questo uomo o sua moglie sarà punito con la morte". Ed Isacco dimorò con sua moglie nella casa del re, e Dio fu con Isacco che continuò a crescere grandemente e non gli mancò niente.

E Dio fece sì che Isacco trovasse grazia agli occhi di Avimelech e di tutti i suoi sudditi ed Avimelech si comportò bene con Isacco, perchè Avimelech ricordava il giuramento e l'alleanza che aveva fatto suo padre con Abramo.

Ed Avimelech disse ad Isacco: "Ecco tutta la terra di fronte a te; dimora dovunque ti piaccia fino a quando ritornerai alla tua terra"; ed Avimelech diede ad Isacco campi e vigne e la migliore parte della terra di Gherar, per seminare e mietere e mangiare i frutti della terra, fino alla fine della carestia.

Ed Isacco seminò in quella terra e il raccolto dell'anno superò cento volte la sementa, tanto il Signore lo benedisse.

Ed egli si fece sempre più riccoe e possedeva bestiame minuto e grosso e molta servitù.

E terminati i giorni della carestia, Dio apparve ad Isacco e gli disse: "Alzati, vattene da questo luogo e torna alla tua terra, alla terra di Canaan". Ed Isacco obbedì e tornò a Hebron, nella terra di Canaan, lui ed ogni cosa che possedeva, come Dio gli aveva ordinato.

E, dopo ciò, Shelah, figlio di Arpachshad morì in quell'anno, che era il diciottesimo anno di vita di Giacobbe ed Esaù; e Shelah visse 433 anni.

In quel tempo, Isacco mandò il suo figlio più giovane, Giacobbe, nella dimora di Shem ed Ever, e qui imparò le leggi di Dio, e Giacobbe rimase presso Shem ed Ever per 32 anni, ma Esaù, suo fratello, non ci volle andare per cui rimase nella casa paterna nel paese di Canaan.

Ed Esaù cacciava nei campi per portare sempre qualcosa a casa, così era solito fare Esaù tutti i giorni.

Ed Esaù era un uomo che sapeva come ingannare e conquistare il cuore di ogni persona per mezzo dell'adulazione; ed era anche un prode cacciatore; e nelle sue incursioni di caccia arrivò lontano, sino ai campi di Seir, in terra di Edom. Ed egli soggiornò nella terra di Seir, cacciando nei campi per un anno e quattro mesi.

Ed Esaù vide nella terra di Seir la figlia di un abitante di Canaan, che si chiamava Jehudit, figlia di Beeri, figlio di Efer, della progenie di Heth, figlio di Canaan.

Ed Esaù la prese per moglie e giacque con lei; Esaù aveva 40 anni quando la sposò e la portò a Hebron, nella casa paterna e qui dimorò.

E avvenne in quell'anno, nel centodecimo anno della vita di Isacco, che corrispondeva al 56esimo anno di vita di Giacobbe, che morì Shem, figlio di Noè; Shem morì a 600 anni.

E quando Shem morì, Giacobbe tornò da suo padre a Hebron, in terra di Canaan.

E nel 56esimo anno di vita di Giacobbe, venne gente da Haran, e Rebecca fu informata dell'arrivo di suo fratello, Labano, figlio di Bethuel.

Poichè la moglie di Labano era sterile in quei giorni, e non aveva generato figli ed anche tutte le sue serve non avevano figliato.

E Dio si ricordò di Adina, la moglie di Labano, e lei concepì e generò due figlie gemelle, e Labano chiamò la prima figlia Lea e la seconda Rachele.

E costoro vennero e raccontarono queste cose a Rebecca, e Rebecca si rallegrò molto perchè Dio aveva esaudito suo fratello e gli aveva dato della prole.

Ed Isacco, figlio di Abramo, ormai vecchio e sazio di anni, aveva la vista talmente offuscata che non poteva vedere più.

E avvenne che Isacco chiamò suo figlio Esaù e gli disse, "Prendi, ti prego, le tue armi, la faretra e l'arco, va' in campagna e prendimi della caccia; preparami una pietanza gustosa, portamela e la mangerò affinchè io ti benedica prima di morire, dato che sono ormai vecchio e incanutito".

Ed Esaù obbedì, prese le sue armi ed uscì in campagna a cacciare, come era solito fare, per esaudire la volontà di suo padre e ricevere la sua benedizione.

E Rebecca, che aveva sentito tutte le parole che Isacco aveva detto ad Esaù, si affrettò e chiamò suo figlio Giacobbe e gli disse: "Così e così ha parlato tuo padre con tuo fratello Esaù, e io ho sentito ogni parola, perciò adesso sbrigati e fa' quello che ti dico. Va', ti prego, al gregge e prendimi di là due bei capretti, con i quali preparerò per tuo padre una gustosa vivanda, affinchè la possa mangiare prima che tuo fratello torni dalla caccia e ti possa così benedire".

E Giacobbe s'affrettò e fece come sua madre gli aveva ordinato e preparò una vivanda squisita e la portò davanti a suo padre prima dell'arrivo di Esaù.

Ed Isacco disse a Giacobbe: "Chi sei tu, figlio mio"? E lui disse:" Sono il tuo primogenito, Esaù, ho fatto come mi hai ordinato, ora, ti prego, siediti e mangia della mia cacciagione, affinché la tua anima mi benedica, come tu mi hai richiesto".

Ed Isacco si alzò e mangiò e bevve, ed il suo cuore si confortò ed egli benedisse Giacobbe, che uscì dalla stanza di suo padre; ed appena Isacco aveva finito di benedire Giacobbe e lui se n'era andato, ecco che Esaù arrivò dalla sua caccia nei campi ed anche lui preparò carne squisita e la portò a suo padre che avrebbe mangiato e lo avrebbe benedetto.

Ed Isacco disse ad Esaù, "E chi è, dunque, colui che ha preso la cacciagione e me l'ha portata prima che tu venissi ed io l'ho benedetto?". Ed Esaù capì che era stato suo fratello Giacobbe a farlo, per cui la collera di Esaù si accese contro suo fratello che aveva agito così verso di lui.

E disse Esaù: "Non è forse per questo che si chiama Giacobbe? Perchè mi ha imbrogliato già due volte, prima, quando mi ha preso la primogenitura ed ora mi ha preso la mia benedizione". Ed Esaù scoppiò in un forte pianto e quando Isacco sentì il pianto di Esaù, gli disse: "Cosa posso fare, figlio mio? Tuo fratello è venuto con l'inganno ed ha preso la tua benedizione". Ed Esaù serbò odio a Giacobbe per la benedizione che suo padre gli aveva dato e la collera nei suoi confronti andò crescendo sempre di più.

E Giacobbe ebbe grande paura di suo fratello Esaù, per cui fuggì nella casa di Ever, il figlio di Shem, e qui si nascose dalla collera del fratello e Giacobbe aveva 63 anni quando partì dalla terra di Canaan, da Hebron, e rimase nascosto nella casa di Ever per 14 anni e qui continuò ad apprendere i precetti di Dio ed i suoi comandamenti.

E quando Esaù vide che Giacobbe era scappato da lui e aveva ottenuto con inganno la benedizione, si addolorò moltissimo e si adirò anche con suo padre e sua madre; e si alzò anche lui e prese la moglie e lasciò suo padre e sua madre e partì per la terra di Seir e qui vi dimorò; ed Esaù vide una donna fra le figlie di Heth di nome Bosmat, figlia di Elon, il chitteo, e la prese per moglie, oltre alla sua prima moglie; ed Esaù la chiamò Ada, per dire che la benedizione era passata via da lui.

Ed Esaù dimorò nella terra di Seir per sei mesi senza vedere i suoi genitori; quindi, prese le sue mogli e tornò nella terra di Canaan, ed Esaù mise le sue due mogli nella casa paterna a Hebron.

E le mogli di Esaù irritarono e provocarono Isacco e Rebecca con i loro idoli, perché non seguivano le vie di Dio, ma veneravano le statue di legno e di pietra dei loro padri, secondo le loro usanze, ed erano peggiori di loro padre; e seguivano i cattivi pensieri dei loro cuori, e sacrificavano e ardevano incensi alle divinità del Baal, ed Isacco e Rebecca erano amareggiati a causa loro.

E Rebecca disse: "Io sono disgustata della vita a causa delle figlie di Heth; se anche Giacobbe prenderà una moglie dalle figlie di Heth, come costoro, che senso avrà la mia vita?".

Ed in quei giorni Ada, la moglie di Esaù, concepì e partorì un figlio, ed Esaù lo chiamò Elifaz; ed Esaù aveva 65 anni quando lei lo partorì.

Ed Ismaele, il figlio di Abramo morì in quei giorni, nel sessantesimo anno di vita di Giacobbe; e Ismaele morì a 137 anni.

E quando Isacco venne a sapere che Ismaele era morto, pianse per lui e fece lutto per molti giorni.

Ed alla fine dei quattordici anni in cui aveva dimorato presso Ever, Giacobbe desiderò vedere suo padre e sua madre, e andò a casa loro a Hebron; ed Esaù, in quei giorni, aveva dimenticato ciò che Giacobbe gli aveva fatto a riguardo della benedizione.

E quando Esaù vide Giacobbe che veniva da suo padre e sua madre, si ricordò di ciò che Giacobbe gli aveva fatto e l'ira si riaccese in lui fortemente e cercò di ucciderlo.

Ed Isacco, figlio di Abramo, era molto vecchio ed Esaù disse, "E' vicino il giorno della morte di mio padre e quando morirà, io farò fuori mio fratello Giacobbe".

E ciò venne riferito a Rebecca, che si affrettò e mandò a chiamare Giacobbe, suo figlio, e gli disse: "Alzati, va' e fuggi a Haran, da mio fratello Labano, e rimani lì per un po' di tempo, finché sbollisca la collera di tuo fratello verso di te e poi ritorna."

Ed Isacco chiamò Giacobbe e gli disse: "Non prendere una moglie dalle figlie di Canaan, perchè così faceva nostro padre Abramo, secondo la parola che gli fu comandata da Dio, che gli disse "Alla tua discendenza darò questa terra; se i tuoi figli cusdodiranno la mia alleanza che ho fatto con te, allora anch'Io farò ai tuoi figli ciò che ho promesso a te e non li abbandonerò. Ora, perciò, figlio mio, ascolta la mia voce, a tutto ciò che io ti comando, e non prendere una moglie fra le figlie di Canaan; levati e va' a Haran alla casa di Betel, il padre di tua madre, e prenditi una moglie da là, dalle figlie di Labano, il fratello di tua madre. Pertanto, fa' molta attenzione a non dimenticare il Signore, tuo Dio, e tutte le Sue vie, nella terra dove tu ora vai, affinché non ti leghi con le persone della terra che perseguono la vanità e abbandonano il Signore, tuo Dio. Ma quando arriverai in quella terra, servi il tuo Dio, non deviare nè a destra nè a sinistra dalla via che ti ho comandato e che tu hai imparato. E possa Iddio Eccelso concederti il favore alla vista della gente del posto, cosicchè tu possa prendere una moglie secondo la tua scelta, una che è buona e segue le vie di Dio. E possa EL SHADDAY dare a te ed alla tua discendenza la benedizione di tuo nonno, Abramo, e ti faccia fertile e ti moltiplichi, e tu possa diventare una moltitudine di persone sulla terra dove stai andando, e possa Dio farti ritornare a questa terra, la terra della dimora di tuo padre, con figli e grande ricchezza, con gioia e con piacere."

Ed Isacco finì di raccomandarsi con Giacobbe e lo benedì e gli diede molti regali, argento ed oro, e lo congedò; e Giacobbe ascoltò suo padre e sua madre; lui li baciò e si levò ed andò a Padan-Aram; e Giacobbe aveva 77 anni quando uscì dalla terra di Canaan, da Beersheba.

E quando Giacobbe era in cammino per raggiungere Haran, Esaù chiamò suo figlio Elifaz e di nascosto gli parlò diocendo: "Ora, sbrigati, prendi in mano la tua spada ed insegui Giacobbe e superalo, e poi stai in agguato, ed uccidilo con la tua spada in una delle montagne, e prendi tutto ciò che gli appartiene e ritorna qui."

Ed Elifaz, il figlio di Esaù, era un giovane veloce ed un ottimo arciere, come suo padre gli aveva insegnato, ed era anche un provetto cacciatore ed un soldato ardito.

Ed Elifaz obbedì a suo padre; all'epoca, Elifaz aveva tredici annil ed egli partì subito e prese con sè dieci dei fratelli di sua madre per inseguire Giacobbe.

Ed egli pedinò Giacobbe da vicino, e si mise in agguato nel confine della terra di Canaan di fronte alla città di Sh'hem.

E quando Giacobbe vide Elifaz coi suoi uomini che lo tallonavano rimase silenzioso nel luogo dov'era per conoscere le loro intenzioni; ed Elifaz sguainò la sua spada e continuò ad avanzare, coi suoi uomini, verso Giacobbe; e Giacobbe disse loro "Cosa volete, che siete venuti qui? e perchè mi inseguite con le vostre spade?"

Ed Elifaz si avvicinò a Giacobbe e gli rispose: "Così mio padre mi ha comandato, per cui non disobbedirò ai suoi ordini; e quando Giacobbe capì che Esaù aveva ordinato ad Elifaz di usare la forza, gli si avvicinò e supplicò Elifaz ed i suoi uomini, dicendo loro: " Ecco, tutto ciò che io ho e che il mio padre e la mia madre mi hanno dato, prendili tu e lasciami vivere, e non uccidermi, e che ciò venga considerato per te come un merito davanti a Dio".

E Dio fece sì che Giacobbe trovasse grazia agli occhi di Elifaz, figlio di Esaù, e dei suoi uomini, e loro ascoltarono la voce di Giacobbe, e non lo uccisero, ed Elifaz ed i suoi uomini presero ogni cosa che apparteneva a Giacobbe insieme all'argento ed all'oro che aveva portato con sé da Beersheba; loro non lasciarono nulla.

Ed Elifaz ed i suoi uomini se ne andarono e tornarono da Esaù a Beersheba, e gli riferirono ciò che era accaduto loro con Giacobbe, e gli diedero tutto ciò che avevano preso da Giacobbe.

Ed Esaù si arrabbiò con Elifaz, suo figlio, e con i suoi uomini che erano con lui, perché non avevano ucciso Giacobbe.

E loro gli risposero: "Perché Giacobbe ci ha supplicato di non ucciderlo, e abbiamo avuto pietà di lui, e noi gli abbiamo portato via ogni cosa e l'abbiamo portata a te". Ed Esaù prese tutto l'argento e l'oro che Elifaz aveva preso da Giacobbe e lo mise nella sua casa.

In quel tempo, quando Esaù vide che Isacco aveva benedetto Giacobbe, e gli aveva comandato "Non prendere una moglie fra le figlie di Canaan" e che le figlie di Canaan non erano gradite a Isacco e di Rebecca, si recò alla casa di suo zio Ismaele ed oltre alle sue mogli più vecchie, prese per moglie Machlath, la figlia di Ismaele, la sorella di Nebayoth.

 

 

 

VA-YETZE' YAAKOV

 

 

E Giacobbe proseguì per la strada verso Haran e arrivò fino al monte Moriah, e rimase lì tutta la notte, vicino alla città di Luz; e Dio apparve a Giacobbe in quella notte e gli disse: "Io sono il Signore, Dio di Abramo e Dio di tuo padre Isacco; Io darò a te e alla tua discendenza la terra sulla quale tu giaci. Ed ecco, Io sono con te, non temere e ti preserverò dovunque tu andrai, e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo, e farò cadere tutti i tuoi nemici davanti a te; e quando ti faranno guerra non prevarranno su di te, ed Io ti riporterò in questa terra con gioia, con figli e con una grande ricchezza".

E Giacobbe si destò dal suo sonno e si allietò assai per la visione che aveva visto; e chiamò quel luogo Bethel.

E Giacobbe si alzò molto contento da quel luogo e mentre camminava, i suoi piedi si sentivano leggeri, tanta era la felicità, e da lì si diresse verso il paese dei figli dell'Est, e tornò a Haran e si fermò vicino a un pozzo di pastori.

E qui incontrò delle persone che erano venute da Haran per pascolare i loro greggi e Giacobbe domandò loro: "Di dove siete?" ed esse risposero: "Noi siamo di Haran".

E chiese: "Conoscete forse Labano, il figlio di Nahor?" e loro dissero, "Certo che lo conosciamo, ed ecco sua figlia Rachele sta venendo per abbeverare il gregge di suo padre".

E proprio mentre parlava con loro, Rachele, la figlia di Labano, giungeva per dar da bere alle pecore di suo padre perchè lei era una pastorella.

E quando Giacobbe vide Rachele, la figlia di Labano, il fratello di sua madre, le corse incontro e la baciò, ed alzò la sua voce e scoppiò in pianto.

E Giacobbe disse a Rachele di essere il figlio di Rebecca, la sorella di suo padre; e Rachele corse subito a riferirlo al padre, e Giacobbe continuò a piangere perchè non aveva niente con sé da portare a casa di Labano.

E quando Labano sentì che era arrivato Giacobbe, il figlio di sua sorella, gli corse incontro, lo baciò, lo abbracciò e lo condusse a casa e gli diede da mangiare.

E Giacobbe raccontò a Labano ciò che gli avevano fatto suo fratello Esaù e il figlio Elifaz, mentre era per strada.

E Giacobbe dimorò, mangiò e bevve nella casa di Labano per un mese; quindi Labano disse a Giacobbe: "Dimmi, per favore, che salario richiedi; perché mai dovresti servirmi gratuitamente?".

E Labano non aveva figli maschi ma solo figlie, e le sue altre mogli e concubine erano ancora sterili in quei giorni; e questi sono i nomi delle figlie di Labano, avute dalla moglie Adina: la più grande si chiamava Lea e la più giovane Rachele; e Lea aveva gli occhi languidi e Rachele era molto bella di viso e di aspetto e Giacobbe se ne innamorò.

E Giacobbe disse a Labano: "Io ti servirò sette anni per Rachele, la tua figlia più giovane; e Labano acconsentì alla sua proposta e Giacobbe lavorò presso Labano per sette anni per avere Rachele.

E nel secondo anno in cui Giacobbe dimorava a Haran, cioè nel 79esimo anno di vita di Giacobbe, morì Ever, il figlio di Shem, a 464 anni.

E quando Giacobbe lo venne a sapere, ne fu molto dispiaciuto e fece lutto per lui e lo pianse per molti giorni.

E nel terzo anno in cui Giacobbe dimorava a Haran, Bosmat, la figlia di Ismaele, la moglie di Esaù, gli generò un figlio che Esaù chiamò Reuel.

E nel quarto anno in cui Giacobbe abitava da Labano, Dio benedisse Labano grazie a Giacobbe, e gli nacquero figli maschi; il suo primogenito fu Beor, il secondo fu Aluv ed il terzo Morash.

E Dio diede a Labano ricchezza ed onori, figli e figlie, e l'uomo si arricchì molto per merito di Giacobbe.

E Giacobbe, in quei giorni, servì Labano con ogni tipo di lavoro, tra le mura domestiche e nei campi, e la benedizione di Dio fu su tutto ciò che apparteneva a Labano, a casa e nei campi.

E nel quinto anno morì Yehudith, la figlia di Beeri, la moglie di Esaù, nella terra di Canaan; e lei non aveva figli maschi ma solo figlie.

E questi sono i nomi delle figlie che generò ad Esaù: il nome della più grande era Marzith e quello della più giovane Puith.

E quando Yehudit morì, Esaù andò a caccia nelle campagne di Seir, come era solito fare, e dimorò nella terra di Seir per molto tempo.

E nel sesto anno Esaù prese un'altra moglie, oltre alle precedenti, che si chiamava Ahlibamah, figlia di Tziv'on, il Hivvita ed Esaù la portò nel paese di Canaan.

Ed Ahlibamah concepì e generò ad Esaù tre figli: Yeush, Yaalam e Korah.

Ed in quel tempo, nella terra di Canaan, scoppiò una lite tra i mandriani di Esaù e quelli degli abitanti della terra di Canaan, perché gli armenti di Esaù ed i suoi beni erano troppo numerosi perché lui potesse risiedere in Canaan, nella casa paterna, dato che il paese non poteva accoglierlo a causa del suo bestiame.

E quando Esaù vide che la disputa con i Canaaniti assumeva toni sempre più violenti, se ne andò e prese le sue mogli, i suoi figli, il bestiame che possedeva e tutte le proprietà che aveva accumulato in Canaan, e lasciò quella terra; e andò a vivere con tutti i suoi beni nella regione di Seir.

Ma di volta in volta Esaù andava a visitare suo padre e sua madre nella terra di Canaan; ed Esaù si imparentò con gli Oriti, e diede le sue figlie ai figli di Seir, l'orita.

E diede Marzit, la sua figlia maggiore, ad Anah, il figlio di Tziv'on, il fratello di sua moglie, e diede Puith ad Azar, figlio di Bilhan l'orita; ed Esaù dimorò sulla montagna, lui coi suoi figli, che erano prolifici e si moltiplicarono.

E nel settimo anno si completò il servizio di Giacobbe a Labano; e Giacobbe disse a Labano: "Dammi la mia sposa perchè i giorni del mio servizio si sono conclusi". E Labano acconsentì e i due riunirono tutte le persone di quel luogo per fare una festa.

E la sera Labano tornò a casa, e quando Giacobbe arrivò con i convitati, Labano spense tutte i fuochi che illuminavano la casa.

E Giacobbe disse a Labano: "Perché ci fai questo?". E Labano rispose: "Questa è la nostra usanza".

E dopo Labano prese sua figlia Lea e la portò da Giacobbe, e lui si accoppiò con lei ma Giacobbe non sapeva che fosse Lea.

E Labano aveva dato a sua figlia Lea, una sua serva, Zilpah, affinché la servisse.

In seguito, i convitati vennero a sapere quello che Labano aveva fatto a Giacobbe, ma essi non glielo riferirono.

E tutti i vicini di casa vennero quella notte a casa di Giacobbe, mangiarono, bevvero e si allietarono, e suonarono i tamburelli di fronte a Lea, ballarono e di fronte a Giacobbe esclamavano "Hileah, Hileah".

E Giacobbe sentiva le loro voci ma non ne capiva il significato, e pensava che tale fosse la loro usanza.

Ed i vicini di casa cantarono queste parole davanti alla tenda di Giacobbe per tutta la notte, e tutte le luci che erano nella casa di Labano erano spente.

E la mattina, quando apparve la luce del giorno, Giacobbe si rivolse a sua moglie e la guardò ed ecco era Lea che stava giacendo sul suo petto, e Giacobbe disse: "Ora capisco ciò che i vicini di casa dicevano stanotte, Hileah, (lei è Lea) ma io non lo avevo capito".

E Giacobbe chiamò Labano e gli disse: "Cos'è questa cosa che mi hai fatto? Io ti ho servito per Rachele e perché tu mi hai imbrogliato, dandomi Lea?".

E Labano rispose a Giacobbe: "Da noi non si usa dare in sposa la più giovane prima della più grande. Se tu desideri prendere la sorella minore, fallo pure, ma dovrai servirmi per altri sette anni".

E Giacobbe accettò e prese anche Rachele per moglie, per cui servì Labano per altri sette anni; e Giacobbe si accoppiò anche con Rachele, e lui amò Rachele più di Lea, e Labano le diede la sua serva Bilha per servirla.

E quando Dio vide che Lea era odiata, la rese fertile e così concepì e generò a Giacobbe quattro figli in quel periodo.

E questi sono i loro nomi: Reuven, Shimon, Levi e Giuda e quindi smise di rimanere incinta.

Ed in quel tempo Rachele era sterile, per cui non aveva un erede e Rachele provava invidia per la sorella Lea, e quando capì che non poteva figliare a Giacobbe, prese la sua serva Bilhah, la quale generò a Giacobbe due figli, Dan e Naftali.

E quando Lea vide che i suoi parti si erano interrotti, prese la sua serva Zilpa e la diede a Giacobbe come moglie, e Giacobbe si unì anche con Zilpa ed anche lei gli generò due figli, Gad ed Asher.

E Lea riprese a figliare e partorì a Giacobbe in quei giorni due figli ed una figlia, e questi sono i loro nomi: Issachar, Zevulon e la loro sorella, Dina.

E Rachele, che continuava ad essere sterile in quei giorni, pregò Dio in quel tempo e disse, "O Signore, mio Dio, ricordati di me ed esaudisci la mia preghiera, Ti imploro, perchè ora mio marito mi ripudierà dato che non gli ho dato nemmeno un figlio. Ora, o Signore, mio Dio, ascolta la mia supplica, e vedi la mia afflizione, e dammi un figlio come una delle serve, che io non debba più sopportare questa vergogna."

E Dio la ascoltò ed aprì il suo utero e Rachele concepì e generò un figlio e lei disse: "Dio ha cancellato la mia onta" e lo chiamò Giuseppe, dicendo, possa Iddio aggiungermi un altro figlio; e Giacobbe aveva 91 anni quando Rachele partorì.

E in quel tempo, la madre di Giacobbe, Rebecca, spedì la sua balia, Debora, la figlia di Uz, e due dei servitori di Isacco a Giacobbe.

Ed essi arrivarono da Giacobbe a Haran e gli dissero: "Rebecca ci ha mandato da te perché ritorni alla casa di tuo padre, alla terra di Canaan". E Giacobbe li ascoltò e obbedì al comando di sua madre.

In quel tempo, furono completi i sette anni supplementari per i quali Giacobbe aveva servito Labano per Rachele, e si era alla fine del 14esimo anno di soggiorno in Haran e Giacobbe disse a Labano: "Dammi le mie mogli e lasciami partire, affinché possa tornare alla mia terra, perché mia madre mi ha chiesto dalla terra di Canaan di far ritorno alla casa di mio padre".

E Labano gli disse: "Non in questo modo, ti prego, se io ho trovato favore ai tuoi occhi, non mi lasciare; dimmi il prezzo che ti spetta ed io te lo darò, ma rimani con me."

E Giacobbe gli disse: "Ecco ciò che tu mi darai come salario: io passerò fra tutti i tuoi greggi e prenderò ogni agnello chiazzato e macchiato e quello che sarà marrone fra le pecore e fra le capre; se tu farai ciò per me, io ritornerò ad alimentare il tuo gregge ed a tenerlo come prima".

E Labano accettò la proposta e fece come Giacobbe gli aveva detto, e gli diede gli ovini che aveva richiesto.

E Giacobbe diede tutto ciò che era stato preso dalle greggi di Labano ai suoi figli e Giacobbe continuò ad alimentare il resto del gregge di Labano.

E quando i servitori di Isacco, che lui aveva mandato da Giacobbe, videro che Giacobbe non tornava con loro alla terra di Canaan da suo padre, fecero ritorno a Canaan.

E Debora rimase con Giacobbe a Haran, e non ritornò coi servitori di Isacco a Canaan; e Debora abitò con le mogli ed i figli di Giacobbe a Haran.

E Giacobbe servì Labano ancora sei anni, e quando le pecore figliavano, Giacobbe toglieva quelle chiazzate e macchiate, come aveva pattuito con Labano, e Giacobbe fece così con Labano per sei anni, e in questo modo si arricchì molto e aveva bestiame, servitori e serve, cammelli ed asini.

E Giacobbe possedeva 200 mandrie di bestiame, ed il suo bestiame era di grande taglia e di bell'aspetto ed era molto prolifico, e tutte le famiglie del paese desideravano avere i capi di bestiame di Giacobbe, perché erano molto prolifici.

E molti abitanti di quelle terre venivano per comprare degli animali dalle greggi di Giacobbe, e Giacobbe dava loro una pecora in cambio di uno schiavo o di una schiava o per un asino o un cammello, e qualsiasi cosa Giacobbe desiderava da loro gliela davano.

E Giacobbe accumulò ricchezze ed onori e beni tramite queste transazioni con la gente locale ed i figli di Labano lo invidiavano per questo onore.

E nel corso del tempo egli sentì le parole dei figli di Labano che dicevano: "Giacobbe ha portato via tutto ciò che era di nostro padre, e di quello che apparteneva a nostro padre, grazie a lui ha acquisito tutto questo onore".

E Giacobbe vide l'espressione di Labano e dei suoi figli, ed ecco non erano verso di lui in quei giorni come una volta.

E Dio apparve a Giacobbe alla fine di sei anni, e gli disse: "Lèvati, esci da questa terra e torna alla tua terra natale ed Io sarò con te".

E Giacobbe si levò e caricò i suoi figli, le sue mogli e tutti i suoi beni sui cammelli, e si mise per strada diretto verso la terra di Canaan, da suo padre Isacco.

E Labano non sapeva che Giacobbe se ne era andato via perchè in quel giorno era occupato a tosare le pecore.

E Rachele rubò gli idoli di suo padre, li prese e li nascose nella soma del cammello che cavalcava, e proseguì.

E questo era il modo di farsi un idolo: si prendeva un uomo primogenito, lo si uccideva e gli si tagliavano i capelli della testa; poi si prendeva del sale e si salava la testa e la si ungeva con l'olio; si prendeva poi una tavoletta di rame o di oro, vi si scriveva il nome e la si metteva sotto la sua lingua; poi si prendeva la testa con la tavoletta sotto la lingua e la si teneva in casa, accendendo in suo onore dei lumi e prostrandovisi al suo cospetto. E ciò facendo, egli faceva delle richieste invocando il potere del nome che era scritto sulla tavoletta. Ed altri li costruivano con le figure di uomini, di oro e di argento e li invocavano nei tempi da loro conosciuti, e gli idoli ricevevano l'influenza dalle stelle, e dicevano loro le cose future; e questo era il genere di idoli che Rachele sottrasse a suo padre.

E Rachele rubò gli idoli di suo padre, cosicché Labano non sapesse, tramite loro, dove Giacobbe fosse diretto.

E Labano tornò a casa e chiese di Giacobbe e della sua famiglia, perché non c'era e Labano cercò i suoi idoli per sapere dove Giacobbe fosse andato ma non potendoli trovare, si recò presso altri idoli, e chiese loro ed essi gli dissero che Giacobbe era scappato via per tornare da suo padre, nella terra di Canaan.

E Labano si alzò e prese i suoi fratelli e tutti i suoi servitori, e si mise in testa per inseguire Giacobbe, e lo raggiunse vicino al monte Ghilad.

E Labano disse a Giacobbe: "Cos'è questa cosa che mi hai fatto, sei fuggito e mi hai ingannato e ti sei portato via le mie figlie ed i loro figli come fossero dei prigionieri di guerra? Non mi hai perfino permesso di baciarli e di congedarmi da loro con gioia e hai anche rubato i miei dei e te ne sei scappato."

E Giacobbe rispose a Labano "Perché temevo che mi avresti sequestrato le tue figlie con la forza; e per quanto riguarda i tuoi idoli, chiunque li abbia rubati, egli morirà".

E Labano cercò gli idoli ed ispezionò tutte le tende di Giacobbe, ma non li trovò.

E Labano disse a Giacobbe: "Noi faremo insieme un'alleanza e sarà una testimonianza tra me e te; se tu affliggi le mie figlie, o che prendi altre mogli oltre alle mie figlie, Dio ne sarà testimone tra me e te."

E presero delle pietre e fecero un mucchio e Labano disse: "Questo mucchio sia testimone tra me e te"; perciò lui chiamò quel posto Gal'ed (mucchio della testimonianza).

E Giacobbe e Labano fecero un sacrificio di offerta sul monte, e mangiarono lì vicino al mucchio, e rimasero sul monte tutta la notte, e Labano si alzò presto di mattina e lui pianse con le sue figlie e le baciò, e ritornò a casa sua.

E si affrettò e mandò via il suo figlio, Beor, che aveva diciassette anni con Abichor, il figlio di Uz, il figlio di Nahor e con loro c'erano dieci uomini.

E si affrettarono ed andarono e passarono sulla strada di fronte a Giacobbe, ed andarono da un'altra strada alla terra di Seir.

E vennero da Esaù e gli dissero, "Così dice il tuo fratello ed il tuo parente, il fratello di tua madre, Labano, figlio di Betuel: Hai sentito cosa mi ha fatto tuo fratello Giacobbe?! Che quando arrivò da me nudo e senza nulla, io gli andai incontro e lo portai a casa mia con grandi onori ed io l'ho arricchito e gli ho dato le mie due figlie per mogli ed anche due delle mie serve. E Dio lo ha benedetto per merito mio e si è arricchito immensamente e adesso ha figli, figlie e servi e serve. Ed ha anche abbondanza di greggi e di armenti, cammelli ed asini e molto argento ed oro; e quando ha visto che la sua ricchezza era immensa, mi ha lasciato, mentre io ero alla tosatura delle mie pecore ed è fuggito di nascosto. E ha caricato le sue mogli e figli sui cammelli e ha portato via tutto il suo bestiame e le proprietà che aveva accumulato nella mia terra, e si è messo per strada diretto alla terra di Canaan, da suo padre Isacco. E non mi ha neppure permesso di baciare le mie figlie ed i loro figli, e li ha portati via come fossero prigionieri di guerra, e ha rubato anche i miei idoli e si è dato alla fuga. Ed ora io l'ho lasciato sulla montagna del torrente Yabbok, lui e tutto il suo seguito, non gli manca nulla. Se lo desideri, va' e là lo troverai, e potrai fargli ciò che anela la tua anima".

Ed i messaggeri di Labano vennero e riferirono tutto ciò ad Esaù.

E quando Esaù sentì tutte le parole dei messaggeri di Labano, si infuriò e la sua collera si accese assai contro Giacobbe, e ricordò i torti subiti e la sua rabbia bruciò dentro di lui.

Ed Esaù si affrettò e prese i suoi figli e servitori e le persone della sua famiglia, sessanta uomini, e radunò tutti i figli di Seir l'orita e la loro gente, 340 uomini e con questi 400 uomini, con le spade sguainate, si diresse contro Giacobbe per colpirlo.

Ed Esaù divise i suoi uomini in alcune schiere, prendendo i sessanta uomini dei suoi figli e servitori e le persone della sua famiglia come un'unità, e li mise sotto la guida di Elifaz, il suo figlio maggiore.

E le unità rimanenti le mise sotto la guida dei sei figli di Seir l'orita, che mise sotto il comando dei propri figli.

E tutto questa schiera partì, ed Esaù si diresse con loro verso Giacobbe a spron battuto.

Ed i messaggeri di Labano partirono da Esaù ed andarono alla terra di Canaan e arrivarono alla casa di Rebecca, la madre di Giacobbe ed Esaù.

E le dissero: "Ecco, tuo figlio Esaù si dirige verso suo fratello Giacobbe, alla testa di 400 uomini, perché ha sentito che sta venendo qui e ha intenzione di combatterlo e di colpirlo e di prendere tutto ciò che possiede".

E Rebecca si affrettò e mandò 72 uomini dei servitori di Isacco perchè andassero incontro a Giacobbe, perchè disse: "Forse Esaù potrebbe attaccarlo per strada quando lo incontra."

E i servitori partirono per andare incontro a Giacobbe e lo trovarono sul lato opposto del torrente Yabbok; e quando li vide, Giacobbe disse loro: "Questo campo è destinato a me da Dio" e Giacobbe chiamò quel luogo Mahanaim.

E Giacobbe riconobbe tutti gli uomini di suo padre e li baciò e li abbracciò ed andò con loro; e Giacobbe chiese a loro di suo padre e di sua madre, e loro dissero: "Stanno bene".

Ed essi dissero a Giacobbe: "Tua madre Rebecca ci ha mandati da te, per riferirti questo messaggio: "Ho sentito, figlio mio, che tuo fratello Esaù ti sta inseguendo con alcuni uomini di Seir l'orita. Per cui, figlio mio, ascolta la mia voce e vedi nella tua saggezza ciò che devi fare, ma quando lui ti raggiungerà, supplicalo e non gli parlare incautamente e offrigli molti regali da ciò che possiedi e dagli pure tutte le cose per le quali Dio ti ha benedetto. E quando lui ti chiederà dei tuoi affari, non nascondergli niente, forse lui distoglierà il suo furore nei tuoi confronti e così potrai salvare la vita tua e ogni cosa che ti appartiene, perché è tuo dovere onorarlo, essendo lui il tuo fratello maggiore".

E quando Giacobbe sentì le parole di sua madre che i messaggeri gli avevano comunicato, scoppiò in un pianto amaro e fece ciò che sua madre gli aveva ordinato.

 

 

 

VA-ISHLACH

 

 

E in quel tempo Giacobbe inviò dei messi a suo fratello Esaù al paese di Seir affinché fossero portatori di parole di supplica.

E comandò loro di dire così: "Così direte ad Esaù, mio signore: così dice il tuo servo Giacobbe, non pensi il mio signore che la benedizione con la quale mio padre mi benedisse mi abbia recato benefici. Dal momento che in questi venti anni ho dimorato presso Labano, che mi ha imbrogliato e ha cambiato il mio salario dieci volte, come ebbi già modo di dire al mio signore. E io l'ho servito a casa sua molto alacremente e dopo che il Signore vide la mia afflizione, la mia fatica e il lavoro delle mie mani, fece sì che trovassi grazia e favore ai Suoi occhi. Per cui, grazie alla grande misericordia e bontà del Signore, ho acquisito buoi, asini e bestiame, servi e serve. E adesso mi sto dirigendo verso la mia terra e la casa di mio padre e mia madre, che sono nella terra di Canaan; e ho mandato dei messi al mio signore perché sappia tutto ciò e possa così trovare favore ai suoi occhi, che non abbia a credere che io abbia conseguito la ricchezza o che la benedizione di mio padre mi abbia recato benefici".

E questi messi vennero da Esaù e lo trovarono ai confini della terra di Edom, in procinto di dirigersi verso Giacobbe, e 400 uomini di Seir l'Orita erano pronti con le spade sguainate.

E i messi di Giacobbe riferirono ad Esaù tutto quanto aveva detto loro Giacobbe.

Ed Esaù rispose loro altezzosamente e sprezzantemente e disse loro: "Certamente ho sentito e mi hanno raccontato ciò che Giacobbe ha fatto a Labano, il quale lo ha innalzato ad un'alta posizione a casa sua e gli ha dato le sue figlie come mogli, che gli hanno generato figli e figlie e come egli si sia arricchito a dismisura grazie alle proprietà del suocero. E quando ha visto che era diventato potente e la sua ricchezza era abbondante è fuggito dalla casa di Labano con i beni accumulati, e ha tolto le figlie di Labano dalla presenza del loro genitore, senza riferirglielo, come se fossero delle prigioniere catturate con le armi. E Giacobbe si è comportato così non solo con Labano ma anche con me, dato che per due volte mi imbrogliò e dovrei forse io starmene zitto? Ora perciò è arrivato il giorno in cui lo posso incontrare con le mie schiere e lo tratterò secondo quanto mi dirà il mio cuore".

E i messi fecero ritorno e riferirono a Giacobbe le parole del fratello: "Siamo arrivati da tuo fratello Esaù, e gli abbiamo riferito tutte le tue parole e lui ci ha risposto dicendo che si accinge a raggiungerti con 400 uomini. Ora lo sai e vedi tu ciò che devi fare e invoca il tuo Dio che ti salvi da lui".

E dopo aver ascoltato le parole che suo fratello aveva riferito ai suoi inviati, Giacobbe fu preso da grande paura e angoscia.

E Giacobbe pregò il Signore suo Dio e disse: "O Signore, Dio dei miei padri, Abramo e Isacco, fosti Tu a dirmi quando me ne andai dalla casa di mio padre Io sono il Signore Dio di tuo padre Abramo e Dio di Isacco, a te e alla tua progenie dopo di te Io darò questa terra, e farò diventare la tua discendenza come stelle del cielo e ti espanderai ai quattro angoli del cielo e in te e nel tuo seme saranno benedette tutte le famiglie della terra. E Tu hai confermato le Tue parole e mi hai dato ricchezze, prole e bestiame, così come hai esaudito i massimi desideri del mio cuore concedendoli al tuo servitore; Tu mi hai concesso tutto ciò che Ti avevo chiesto, sicché non mi manca nulla. E in seguito Tu mi dicesti: Torna dai tuoi genitori e al tuo paese natìo e ti farò ancora del bene. Ed ora che sono arrivato e Tu mi hai liberato da Labano, cadrò nelle mani di Esaù che mi ucciderà, sì, insieme alle madri dei miei figli. Ora perciò, O Signore Dio, Ti prego, salvami dalle mani di mio fratello Esaù, perché ho tanta paura di lui. E se non ne sono degno io, fallo per l'amore di Abramo e di mio padre Isacco. Perché io so che per la Tua misericordia e bontà ho acquisito questa ricchezza; ora pertanto Ti supplico di salvarmi in questo giorno e di esaudire la mia preghiera".

E Giacobbe cessò di pregare il Signore e divise la gente che era con lui in due schiere con i greggi e le mandrie e ne diede una metà con i suoi figli alle cure di Damesek, il figlio di Eliezer, servo di Abramo, mentre l'altra metà con gli altri figli la consegnò alle cure di Elianus, anch'egli figlio di Eliezer.

Ed egli ordinò loro: "Tenetevi a debita distanza tra i vostri campi e non avvicinatevi troppo l'un l'altro, e se Esaù arriva in un campo e lo colpisce, l'altro campo, che è a distanza, potrà mettersi in salvo da lui ".

E Giacobbe rimase lì in quella notte e durante l'intera nottata diede istruzioni ai suoi servi per quanto riguardava le sue forze e i suoi figli.

E in quel giorno il Signore ascoltò la preghiera di Giacobbe e lo salvò in quel frangente dalle mani del fratello Esaù.

E il Signore inviò tre angeli dalle schiere celesti che precedettero Esaù e lo raggiunsero.

E questi angeli apparvero ad Esaù e ai suoi uomini sotto le sembianze di centinaia e migliaia di guerrieri, in sella a cavalli e armati con ogni sorta d'armamenti, e comparvero alla vista di Esaù e dei suoi uomini, suddivisi in quattro schiere, con alla testa un capo per ogni schiera.

Ed una schiera si avvicinò e vide che Esaù si stava dirigendo con 400 armati verso suo fratello Giacobbe; e questa schiera corse verso Esaù e la sua gente e li terrorizzò ed Esaù cadde spaventato dal suo cavallo e tutti i suoi uomini si allontanarono da lui perché in preda al panico.

E mentre l'intera schiera di Esaù gridava terrorizzata e si dava alla fuga, gli uomini, nelle sembianze di armati, rispondevano loro a gran voce: "Noi siamo i servitori di Giacobbe, servo di Dio e chi dunque potrà contrastarci?". Ed Esaù disse loro: "Or bene, se il mio signore e fratello Giacobbe è il vostro signore, sono già vent'anni che non lo vedo e ora che è arrivato il giorno in cui lo posso rivedere, perché mi trattate in questo malo modo?".

E gli angeli gli risposero: "Come è vivo Iddio, se tu non avessi detto che Giacobbe è tuo fratello, non avremmo lasciato in vita né te né alcuno dei tuoi uomini, ma soltanto per grazia di Giacobbe, non vi faremo male alcuno".

E questa schiera lasciò Esaù e i suoi uomini e se ne andò via. Ed Esaù e i suoi ripresero la loro strada e dopo un tratto di cammino videro una seconda schiera di uomini, armati di tutto punto, che si dirigeva verso loro; e costoro fecero ad Esaù e ai suoi esattamente ciò che aveva fatto la prima schiera.

E quando anch'essi se ne furono andati, ecco arrivare una terza schiera verso di lui. A questo punto, essi furono presi dal terrore ed Esaù fu disarcionato dal suo cavallo e gli armati della schiera gridarono ad alta voce: "Noi siamo i servitori di Giacobbe, servo di Dio, e chi dunque potrà contrastarci?".

Ed Esaù nuovamente rispose loro: "Or bene, se il mio signore e fratello Giacobbe è il vostro signore, sono già vent'anni che non lo vedo e ora che è arrivato il giorno in cui lo posso rivedere, perché mi trattate in questo malo modo?".

E loro gli risposero: "Come è vivo Iddio, se tu non avessi detto che Giacobbe è tuo fratello, non avremmo lasciato in vita né te né alcuno dei tuoi uomini, ma soltanto per grazia di Giacobbe, non vi faremo male alcuno".

E dopo che la terza schiera se ne andò per la propria strada, ecco arrivare verso Esaù una quarta schiera e anch'essa fece a lui e ai suoi uomini ciò che avevano fatto le tre precedenti schiere.

E quando Esaù vide il male che avevano fatto i quattro angeli a lui e ai suoi uomini, fu colto da grande paura, a causa di suo fratello Giacobbe, per cui pensò bene di andargli incontro in pace.

Ed Esaù simulò il suo astio nei confronti di Giacobbe, perché temeva per la propria vita a causa del fratello, e perché pensava che le quattro schiere di armati che aveva incontrato fossero servi di Giacobbe.

E Giacobbe sostò quella notte con i suoi servitori nell'accampamento e si consigliò con loro per dare ad Esaù un dono da tutto ciò che possedeva e così fece; e Giacobbe si levò di buon mattino, lui con i suoi uomini, per scegliere dei capi di bestiame da offrire in dono al fratello.

E questo è il dettaglio dell'offerta che Giacobbe prelevò dal suo gregge per offrirlo al fratello Esaù: egli selezionò 240 ovini, 30 cammelli, 30 asini e 50 bovini.

E formò una decina di mandrie e mise in ogni mandria gli animali prescelti e consegnò le mandrie così assortite a dieci suoi servitori, uno per ogni mandria.

E comandò loro: Tenetevi a distanza l'uno dall'altro e lasciate uno spazio fra una mandria e l'altra, e quando Esaù e chi con lui vi incontrerà e vi chiederà: "Chi siete? Dove siete diretti? E a chi appartengono questi animali davanti a voi?" dovrete rispondere: "Noi siamo i servi di Giacobbe e andiamo incontro ad Esaù in pace, e Giacobbe è dietro noi. E tutto ciò che è davanti a noi è un dono offerto da Giacobbe a suo fratello Esaù".

E se loro vi diranno: "Perché ritarda dietro di voi per venire incontro a suo fratello e vederlo di persona?" voi gli risponderete: "Ecco ci sta seguendo gioiosamente per andare incontro a suo fratello, per cui ci ha detto: Voglio sdebitarmi con un dono che mi precede e gli va incontro, quindi lo vedrò in viso e forse acconsentirà a vedermi".

Così tutta quell'offerta, che passò nelle mani dei suoi servitori, lo precedette in quel giorno, ed egli dimorò in quella notte con le sue schiere sulla riva del torrente Yabbok e si alzò in piena notte e prese le sue mogli, le sue serve e tutti i suoi averi e li fece passare oltre il torrente Yabbok.

E dopo aver fatto passare tutti i propri averi oltre la riva del torrente, Giacobbe rimase solo e un uomo gli venne incontro; ed egli lottò con quell'uomo in quella notte fino allo spuntare dell'alba e costui, lottando con Giacobbe, lo ferì alla coscia.

E all'alba quell'uomo abbandonò Giacobbe sul posto, lo benedisse e se ne andò via e Giacobbe, che guadò il torrente alle prime luci del giorno, camminava zoppicando su una coscia.

E il sole spuntò su di lui quando attraversò il torrente e raggiunse il luogo in cui sostavano i suoi armenti e i suoi figli.

E si misero in cammino fino a mezzogiorno e mentre camminavano, il dono passò davanti a loro.

E Giacobbe alzò lo sguardo e vide Esaù arrivare da lontano con molti uomini, circa quattro centinaia, e Giacobbe fu preso da grande timore a causa del fratello.

E Giacobbe si affrettò e divise i suoi figli con le mogli e le ancelle e mise la figlia Dina in una grossa cesta che consegnò nelle mani dei suoi servitori.

Ed egli stesso passò davanti ai propri figli e mogli per andare incontro a suo fratello; e si prostrò a terra per ben sette volte prima di avvicinarsi a lui; e il Signore fece sì che Giacobbe trovasse grazia e pietà agli occhi del fratello Esaù e dei suoi uomini, in quanto Dio aveva ascoltato la preghiera di Giacobbe.

E la paura di Giacobbe e il suo terrore per il fratello caddero su Esaù, in quanto costui era rimasto molto impaurito, a causa degli angeli che il Signore gli aveva mandato incontro, e la collera di Esaù nei confronti di Giacobbe si trasformò in misericordia.

E quando Esaù vide Giacobbe gli corse incontro, e la stessa cosa fece Giacobbe ed Esaù gli si gettò al collo e i due si baciarono e scoppiarono in lacrime.

E Dio ispirò timore e pietà per Giacobbe nei cuori degli uomini di Esaù e anch'essi lo baciarono e lo abbracciarono.

Ed anche Elifaz, il figlio di Esaù, con i suoi quattro fratelli, figli di Esaù, piansero con Giacobbe, lo baciarono ed abbracciarono, poiché il timore verso Giacobbe si era impossessato di tutti loro.

Ed Esaù alzò gli occhi e vide le donne con i loro figli, prole di Giacobbe, arrivare dietro Giacobbe e prostarsi per strada davanti a lui.

Ed Esaù domandò a Giacobbe: "Chi sono costoro per te, fratello mio? Sono i tuoi figli o i tuoi servi?". E Giacobbe rispose ad Esaù e disse: "Sono i miei figli, di cui Dio ha fatto grazia al tuo servo".

E mentre Giacobbe parlava ad Esaù e ai suoi uomini, le schiere di Giacobbe arrivarono davanti ad Esaù; ed egli ne fu intimorito e chiese al fratello: "Che cos'è per te tutta questa schiera che ho incontrato ieri notte?". E Giacobbe gli rispose: "Per riuscire grato al mio signore e ciò è quanto Dio ha dato nella Sua benevolenza al tuo servo".

E quando il dono arrivò davanti ad Esaù, Giacobbe insistette e gli disse: "Ti prego, accogli questo dono che ho portato al mio signore". Ed Esaù rispose: "Perché mai, fratello mio? Tieniti pure ciò che ti appartiene".

Ma Giacobbe insistette: "E' mio dovere darti in dono tutto ciò, poiché dopo che ti ho visto di persona, tu vivi ancora in pace (con me)".

Ed Esaù rifiutò il dono, e Giacobbe gli disse: "Ti supplico, mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, ti prego di accettare questo dono dalle mie proprie mani, poiché vedendo che mi hai accolto così benevolmente, mi è sembrato di vedere Dio".

Ed Esaù accettò il dono e Giacobbe diede al fratello anche argento, oro e pietre preziose e lo supplicò molto affinché accettasse di prenderli.

Ed Esaù divise le mandrie offertegli in dono in due parti; una metà la diede come ricompensa agli uomini che lo avevano accompagnato e l'altra metà la consegnò nelle mani dei suoi figli.

E diede l'argento, l'oro e le pietre preziose ad Elifaz, il suo primogenito; ed Esaù disse a Giacobbe: "Fammi restare con te, e ti accompagneremo lentamente fino ad arrivare insieme ad un punto in cui potremo dimorare insieme".

E Giacobbe rispose al fratello: "Potremmo fare come il mio signore ha detto; tuttavia, il mio signore sa che ho dei figli in tenera età e il gregge e gli armenti con i loro piccoli, che sono con me, procedono molto lentamente; e se procedessero più in fretta potrebbero tutti morire, per i carichi e la fatica che dovrebbero affrontare. Per cui, passi pure il mio signore avanti al suo servo e io camminerò lentamente per la salute dei piccoli e del gregge, fino a che raggiungerò il mio signore a Seir".

Ed Esaù disse a Giacobbe: "Ti lascerò una parte dei miei uomini affinché vi scortino durante il tragitto e trasportino le some e i fardelli". Ed egli rispose: "Perché il mio signore vuole dimostrarmi tanta benevolenza ? Ecco io verrò con te fino a Seir per dimorare insieme come tu hai proposto; va' pure con i tuoi uomini e io ti seguirò".

E Giacobbe disse ciò ad Esaù con l'intenzione di allontanare da sé il fratello e i suoi uomini, così da poter raggiungere poi la casa di suo padre nella terra di Canaan.

Ed Esaù accettò la proposta di Giacobbe, e fece ritorno con i suoi 400 uomini per la strada che portava a Seir e Giacobbe con tutti i suoi averi si diresse verso l'estremità della terra di Canaan e ci rimase per qualche tempo.

E dopo qualche tempo Giacobbe lasciò i confini del paese e arrivò nel territorio di Shalem, dove si trova la città di Sh'hem, nella terra di Canaan, e si accampò di fronte alla città.

E acquistò un appezzamento del terreno del posto dai figli di Hamor, che abitavano il luogo, per cinque shekel.

E Giacobbe si costruì lì una dimora e vi eresse la sua tenda, e fece delle capanne per i suoi armenti, per cui chiamò quel posto Succot (capanne).

E Giacobbe stazionò a Succot per un anno e sei mesi.

E in quel tempo, alcune delle donne di quel territorio arrivarono nella città di Sh'hem per danzare e far festa insieme alle ragazze del posto; e durante i festeggiamenti, anche Rachele e Lea, le mogli di Giacobbe, con le loro ancelle, uscirono per assistere alle feste delle donne del paese.

E anche Dina, la figlia di Giacobbe, uscì con loro per vedere le ragazze della città e rimasero lì a guardare; e tutta la popolazione della città si riversò sul posto per assistere ai festeggiamenti ed erano presenti anche i notabili della città.

E anche Sh'hem, figlio di Hamor, principe del paese, era presente per assistere ai festeggiamenti.

E Sh'hem vide Dina, la figlia di Giacobbe, seduta con sua madre, davanti alle ragazze della città; e la fanciulla gli piacque molto; e Sh'hem domandò ai suoi amici e alla sua gente: "Chi è quella giovane seduta tra le donne, che io non conosco in questa città?"

Ed essi gli risposero: "E' la figlia di Giacobbe, figlio di Abramo, l'Ebreo, che abita nella città da qualche tempo; e dopo aver ascoltato che le ragazze del paese sono qui arrivate per far festa, è uscita con sua madre e le sue ancelle per assistervi e ora siede in mezzo a loro".

E quando Sh'hem vide Dina, la figlia di Giacobbe, se ne invaghì fortemente e mandò degli uomini per prenderla con la forza.

E quando Dina arrivò alla casa di Sh'hem, costui la sequestrò con la forza, giacque con lei, la violentò, se ne innamorò moltissimo e la rinchiuse nella sua casa.

E vennero e raccontarono l'accaduto a Giacobbe; e Giacobbe venne a sapere che Sh'hem aveva disonorato sua figlia Dina; e Giacobbe mandò due suoi uomini per riportare a casa Dina, ed essi andarono a casa di Sh'hem per riprendere Dina.

E quando arrivarono, Sh'hem uscì loro incontro con le sue guardie e li cacciò via da casa e non permise loro di raggiungere Dina, tanto più che Sh'hem si mise a baciare ed abbracciare Dina al loro cospetto.

E i servitori di Giacobbe fecero ritorno da lui e gli raccontarono: "Quando siamo arrivati, Sh'hem e i suoi guardiani ci hanno buttato fuori e hanno fatto così e così a Dina davanti ai nostri occhi".

E a Giacobbe fu confermato che Sh'hem aveva disonorato la figlia, ma non disse niente, mentre i suoi figli pascolavano i suoi armenti nei campi; e Giacobbe tacque fino al loro ritorno.

E prima del loro ritorno a casa, Giacobbe inviò due ancelle delle figlie delle sue serve affinché si prendessero cura di Dina a casa di Sh'hem e restassero con lei; e Sh'hem mandò tre suoi compagni da suo padre Hamor, figlio di Hiddekem, figlio di Pered, per dirgli: "Dammi questa fanciulla in sposa".

E Hamor, figlio di Hiddekem, il chivveo, andò a casa del figlio Sh'hem, e si sedette davanti a lui; e Hamor disse al figlio: "Non c'è forse una donna tra le figlie del tuo popolo che tu debba prenderti una ragazza ebrea, che non appartiene al tuo popolo?".

E Sh'hem gli rispose: "Prendila solo per me, perché mi piace tanto". E Hamor esaudì suo figlio, vedendo che era molto innamorato di lei.

E Hamor andò da Giacobbe per parlargli di questa faccenda; e mentre stava per uscire dalla casa del figlio, prima di recarsi a colloquio da Giacobbe, ecco che i figli di Giacobbe, venuti a conoscenza di ciò che aveva fatto Sh'hem, figlio di Hamor, tornarono subito dal pascolo.

Ed essi si addolorarono molto per quanto accaduto e si adirarono molto per ciò che aveva subito loro sorella, e fecero ritorno a casa infuriati, ancor prima di raccogliere le mandrie.

Giunti a casa, si sedettero davanti al loro genitore e gli parlarono incolleriti, dicendo: "La pena di morte va comminata a un tale individuo e alla sua casata; perché il Signore, Dio di tutta la terra, comandò a Noè e ai suoi figli, per sempre, di non estorcere con la forza, né di fornicare; ed ora questo Sh'hem ha sia estorto che commesso fornicazione con nostra sorella e nessuno tra tutta la gente della città gli ha detto una parola di biasimo. Certamente sapete e comprendete che la pena di morte è quanto spetta a Sh'hem, a suo padre e a tutta la città per ciò che ha commesso".

E mentre parlavano in questo modo con il loro genitore, videro arrivare Hamor, il padre di Sh'hem, che veniva a parlare con Giacobbe per quello che aveva fatto suo figlio a Dina; ed egli si sedette davanti a Giacobbe e ai suoi figli.

E Hamor disse loro: "Mio figlio Sh'hem si è invaghito di vostra figlia; vi prego di dargliela per moglie; imparentatevi con noi, dateci le vostre figlie e voi prendete le nostre; risiedete con noi nel nostro paese e saremo un unico popolo nel paese, dato che il nostro paese è spazioso, abitatelo, percorretelo e acquistatevi possesso e fate ciò che volete, nessuno vi dirà niente".

E quando Hamor cessò di parlare a Giacobbe e ai suoi figli, ecco arrivare suo figlio Sh'hem, che si sedette al loro cospetto.

E Sh'hem parlò a Giacobbe e ai suoi figli e disse: "Pur di esservi gradito per poter avere vostra figlia, farò per lei tutto ciò che mi direte. Imponetemi un premio nuziale rilevante e molti regali e ve li darò nella misura che mi chiederete, e qualsiasi cosa mi direte di fare, la farò e chiunque dovesse ribellarsi ai vostri ordini sarà messo a morte, solo datemi in moglie la fanciulla".

E Simeone e Levi risposero a Hamor e Sh'hem suo figlio con inganno e gli dissero: "Tutto ciò che ci avete detto, lo faremo per voi. Tenete pure nostra sorella nella vostra dimora, ma state lontani da lei fino a che ci saremo consigliati con nostro padre Isacco, poiché non possiamo fare nulla senza il suo consenso. Siccome egli conosce le vie di nostro padre Abramo e qualunque cosa egli ci dirà, ve la riferiremo e non ve la terremo nascosta".

E Simeone e Levi parlarono così a Sh'hem e a suo padre per prendere tempo e consultarsi su quanto doveva essere fatto nei confronti di Sh'hem e della sua città.

E a Sh'hem e a suo padre piacquero molto le parole dette da Simeone e Levi, per cui fecero ritorno a casa.

E dopo che se ne furono andati, i figli di Giacobbe dissero al loro padre: "Ecco, sappiamo bene che la pena di morte spetta a codesti malvagi e alla loro città, in quanto hanno trasgredito i comandamenti che Dio impartì a Noè, ai suoi figli e alla sua discendenza. E anche perché Sh'hem si è comportato in tal modo con nostra sorella Dina, disonorandola, poiché mai e poi mai dovrà essere compiuta tra noi un'ignominia simile. E ora sappiate e considerate ciò che farete e cercate un consiglio e un pretesto per ciò che dovrà essergli fatto, con l'intento di uccidere tutti gli abitanti di questa città".

E Simeone disse loro: "Eccovi una giusta proposta: dite loro di circoncidere ogni loro maschio, essendo noi circoncisi; e se non vorranno farlo, diremo che ci prendiamo nostra sorella e ce ne andiamo via. Ma se invece acconsentiranno e lo faranno, allorquando giaceranno sofferenti, noi piomberemo con le nostre spade sulla popolazione che si considera in pace e sicura e passeremo a fil di spada ogni loro maschio".

E la proposta di Simeone piacque e Simeone e Levi decisero di metterla in pratica.

E l'indomani Sh'hem e Hamor suo padre tornarono da Giacobbe e dai suoi figli per parlare sulla questione di Dina e sentire la risposta dei figli di Giacobbe alla loro proposta.

E i figli di Giacobbe parlarono loro ingannevolmente, dicendo: "Abbiamo riportato a nostro padre Isacco le vostre parole, che gli sono piaciute molto. Tuttavia, egli ci ha così parlato: "Così ordinò a suo padre Abramo il Signore, Dio dell'intera terra: chi non appartiene alla sua discendenza e vorrebbe prendere in moglie una delle sue figlie, dovrà essere circonciso, così come noi siamo circoncisi, e solo allora potrà sposare una delle nostre figlie. Ora vi abbiamo fatto conoscere quali sono le vie che nostro padre ci ha indicato, per cui non possiamo fare ciò che ci avete proposto, dando la nostra figlia a un uomo che ha il prepuzio, poiché per noi questa è un'ignominia. Ma soltanto a questa condizione potremmo convivere con voi, dandovi le nostre figlie e prendendo noi le vostre figlie, abitando insieme a voi, per essere un unico popolo, così come avete proposto; se ci ascolterete e acconsentirete ad essere come noi, a circoncidere ogni vostro maschio, così come facciamo noi. Ma se non acconsentirete a circoncidere ogni vostro maschio, come facciamo noi, allora, prenderemo la nostra figlia e ce ne andremo".

E Sh'hem e suo padre Hamor ascoltarono le parole dei figli di Giacobbe e la proposta piacque loro moltissimo; e Sh'hem e suo padre Hamor si affrettarono a compiere le volontà dei figli di Giacobbe, dal momento che Sh'hem era molto innamorato di Dina e spasimava per lei.

E Sh'hem e suo padre Hamor si recarono subito alle porte della città e arringarono tutti gli uomini della città e riportarono loro le parole dei figli di Giacobbe, dicendo:

"Siamo andati da quei signori, i figli di Giacobbe, e gli abbiamo parlato della loro figlia, ed essi si sono detti disposti ad accettare la nostra volontà, anche perché la nostra terra è di grande estensione e li può ospitare e potremo così diventare un unico popolo; noi prenderemo le loro figlie e le nostre figlie daremo loro in matrimonio. Tuttavia, solo ad una condizione questi signori acconsentiranno a farlo, e cioè che ogni nostro maschio venga circonciso, come è loro usanza fare, siccome il loro Dio glielo ha comandato; e dopo che avremo fatto la circoncisione, come da loro richiesto, solo allora abiteranno insieme a noi, con i loro armenti e le loro proprietà, e ci fonderemo con loro in un unico popolo".

E dopo aver ascoltato le parole di Sh'hem e di suo padre Hamor, tutti gli abitanti dissero di accettare la loro proposta e di essere pronti ad essere circoncisi, dal momento che stimavano molto Sh'hem e suo padre Hamor, essendo loro i principi del paese.

E l'indomani, Sh'hem e suo padre Hamor si levarono presto al mattino e riunirono tutti gli uomini in mezzo alla città e chiamarono i figli di Giacobbe, i quali circoncisero ogni maschio che apparteneva al loro popolo, in quello stesso giorno e nel giorno successivo.

Ed essi circoncisero Sh'hem e suo padre Hamor e i cinque fratelli di Sh'hem, e quindi ognuno di loro si alzò e tornò a casa sua; perché quanto era accaduto proveniva dal Signore contro la città di Sh'hem, e dal Signore proveniva anche la proposta di Simeone, affinché la città di Sh'hem cadesse nelle mani dei due figli di Giacobbe.

E il numero dei maschi adulti che fu circonciso fu di 645 e quello dei bambini fu di 276.

Tuttavia Hiddekem, figlio di Pered, padre di Hamor, e i suoi sei fratelli non ascoltarono Sh'hem e suo padre Hamor, e non si fecero circoncidere, poiché ritenevano vergognosa la proposta dei figli di Giacobbe; e andarono su tutte le furie anche perché gli abitanti della città non li volevano ascoltare.

E alla sera del secondo giorno, furono scovati otto piccoli bambini che non erano stati circoncisi perché le loro madri li avevano nascosti dalle mani di Sh'hem, di suo padre Hamor e della gente della città.

E Sh'hem e suo padre Hamor mandarono dei messi per portarli loro e farli circoncidere, ma Hiddekem e i suoi sei fratelli si opposero con le loro spade e minacciarono di ammazzarli.

Ed essi si dissero pronti ad uccidere Sh'hem, suo padre Hamor e con loro anche Dina a motivo di tutta questa storia.

Ed essi dissero loro: "Cos'è tutta questa faccenda che avete combinato? Non ci sono abbastanza donne tra le figlie di Canaan, che vi dobbiate prendere una figlia degli Ebrei, che non avevate mai prima d'ora conosciuto? E perché mai dovreste fare una cosa che i vostri padri non vi ordinarono mai di fare? Non considerate ciò che succederà per questa vostra azione? e cosa risponderete su quest'affare ai vostri fratelli cananei, quando un domani vi chiederanno spiegazioni su ciò che avete fatto? E se la vostra azione non sembrerà loro giusta e opportuna, cosa pensate di fare delle loro vite, e attualmente della nostra vita, nel caso non ci ascoltaste?".

E allorquando gli abitanti del paese e tutti i vostri fratelli, discendenti di Cam, ascolteranno quanto avete fatto e diranno: "A causa di una donna ebrea, Sh'hem e suo padre Hamor e tutti gli abitanti della loro città hanno fatto una cosa che non conoscevano e che non era mai stata loro comandata dai loro antenati; come potrete mai fuggire o cancellare questa vostra onta, davanti ai vostri fratelli, che abitano la terra di Canaan? E adesso vi sia ben chiaro che noi non possiamo più tollerare ciò che avete fatto, né, tanto meno, possiamo portare su di noi questo tipo di vergogna, che i nostri padri mai ci ordinarono di fare. Ecco, domani noi riuniremo tutti i nostri fratelli Cananei, che abitano l'intero paese, e tutti insieme vi raggiungeremo; e colpiremo voi e tutti coloro che credono in voi, cosicché non rimarrà né di loro, né di voi alcun sopravvissuto".

E dopo che Hamor, suo figlio Sh'hem e tutta la gente della città ebbero ascoltato le parole di Hiddekem e dei suoi fratelli, furono colti da una terribile paura per la loro vita, per cui si pentirono di ciò che avevano fatto.

E Sh'hem e suo padre Hamor risposero a Hiddekem e ai suoi fratelli: "Tutto ciò che avete detto è vero. Ora, però, non dovete dire o pensare che a causa dell'amore per gli Ebrei abbiamo fatto una cosa che i nostri antenati mai ci comandarono di fare. Ma, in verità, abbiamo visto che non era loro intenzione e desiderio esaudire la nostra volontà per ciò che riguardava la loro figlia, per averla con noi, se non a quella condizione; in tal modo, abbiamo accettato la loro proposta e abbiamo fatto ciò che avete visto, per ottenere quanto gli avevamo richiesto. Ma dopo che avremo ottenuto da loro ciò che abbiamo richiesto, faremo ritorno da loro e faremo loro ciò che avreste voluto fare a noi. Vi preghiamo solo di attendere fino a quando la nostra carne sarà guarita e ritorneremo ad essere forti; e a quel punto li raggiungeremo e faremo loro ciò che desiderano i vostri cuori, così come i nostri.

E Dina, figlia di Giacobbe, ascoltò tutte le parole che avevano detto Hiddekem e i suoi fratelli, e ciò che avevano risposto loro Hamor, suo figlio Sh'hem e gli abitanti della città.

E si affrettò a mandare una delle sue ancelle, che le aveva mandato suo padre per prendersi cura di lei nella dimora di Sh'hem, al padre Giacobbe e ai suoi fratelli, riportando tutto quanto avevano parlato tra di loro; e disse loro: "Così e così hanno parlato di voi Hiddekem e i suoi fratelli e così e così gli hanno risposto Hamor, Sh'hem e la gente della città".

E quando Giacobbe e i suoi figli ascoltarono tali parole, andarono su tutte le furie e ne rimasero molto indignati, e la loro ira si riversò contro costoro.

E Simeone e Levi fecero un giuramento e dissero: "Così come è vivo il Signore, Dio di tutta la terra, da qui a domani non resterà di loro un solo sopravvissuto in tutta la città!"

E venti giovani, che si erano nascosti e non si erano circoncisi, piombarono su Simeone e Levi e combatterono con loro; e Simeone e Levi ne uccisero diciotto, mentre i restanti due riuscirono a scappare e a rifugiarsi in alcuni pozzi di asfalto della città; e Simeone e Levi li cercarono ma non li trovarono.

E Simeone e Levi si precipitarono contro la città e passarono a fil di spada tutti gli uomini della città e non lasciarono alcun superstite.

E ci fu una grande confusione in città e le grida della gente si alzarono al cielo e si sentivano forti gli strilli delle donne e dei bambini.

E Simeone e Levi fecero strage in tutta la città, non risparmiando alcun uomo adulto.

E passarono a fil di spada Hamor e Sh'hem suo figlio e presero Dina dalla casa di Sh'hem e si ritirarono dal posto.

E i figli di Giacobbe fecero ritorno in città, si gettarono sugli uccisi e depredarono tutte le loro proprietà, presenti in città e in campagna.

E mentre facevano incetta del bottino, 300 donne si scagliarono contro di loro tirandogli addosso sabbia e pietre; e Simeone le contrastò e le passò tutte a fil di spada; e Simeone e Levi finirono così di depredare la città.

E si presero anche i greggi, gli armenti e tutti gli altri animali, insieme alle rimanenti donne e ai bambini; e li condussero via, e, aperta la porta principale della città, uscirono tutti fuori, dirigendosi verso loro padre Giacobbe, da vincitori.

E quando Giacobbe seppe tutto ciò che avevano fatto alla città, e vide il bottino che avevano depredato, si adirò molto contro di loro e disse loro: "Cosa mi avete combinato? Adesso che avevo trovato la tranquillità con gli abitanti di Canaan e nessuno di loro aveva qualcosa da rinfacciarmi contro. E ora, con la vostra azione, mi avete messo in cattiva luce presso gli abitanti del paese, Cananei e Perizei, e io ho un numero esiguo di uomini e se si unissero tutti contro di me, mi batterebbero e sarei annientato con la mia famiglia".

E Simeone e Levi con tutti i fratelli insieme risposero al loro padre Giacobbe: "Ecco, noi viviamo in questo paese e Sh'hem ha fatto questo torto a nostra sorella. Perché hai taciuto del tutto su ciò che ha fatto Sh'hem? Avrebbe dovuto la nostra sorella essere considerata come una prostituta?"

E il numero di donne della città di Sh'hem, fatte prigioniere da Simeone e Levi, che vennero risparmiate alla morte e non avevano conosciuto uomo, fu di 85.

E tra queste c'era anche una giovane ragazza di bell'aspetto e di bella presenza, che si chiamava Bunah e Simeone la prese come moglie; e il numero di uomini, che vennero fatti prigionieri e risparmiati alla morte, fu di 47.

E tutti i giovani e le giovani della città di Sh'hem, che furono fatti prigionieri da Simeone e Levi, diventarono servi dei figli di Giacobbe e dei loro discendenti, fino ai giorni in cui i figli di Giacobbe uscirono dalla terra di Egitto.

E dopo che Simeone e Levi si furono allontanati dalla città, uscirono alla scoperto i due giovani che si erano nascosti nei pozzi della città e non erano perciò rimasti uccisi; ed essi si recarono in città e, percorrendo le strade, videro che la città era desolata e non c'era anima viva, se non qualche donna che piangeva; ed essi scoppiarono in pianto e gridarono: "Ecco questo è il male che i figli di Giacobbe l'Ebreo ha commesso contro questa città, in quanto hanno oggi distrutto una delle città cananee e non hanno temuto per la loro vita di fronte agli abitanti della terra di Canaan".

E questi due ragazzi lasciarono la città e si diressero verso la città di Tapuah e quando vi arrivarono raccontarono agli abitanti del posto tutto quanto era loro accaduto e tutto ciò che avevano fatto i figli di Giacobbe nella città di Sh'hem.

E il loro racconto raggiunse Yashuv, re di Tapuah, il quale inviò dei suoi uomini a Sh'hem per constatare se ci fosse del vero nelle parole di quei ragazzi; il re, infatti, non aveva creduto alle loro parole e aveva detto che era impossibile che due soli uomini fossero riusciti a distruggere una grande città come Sh'hem.

E, una volta tornati, gli uomini di Yashuv dissero al loro re: "Siamo entrati in una città completamente devastata, dove non ci sono uomini e si vedono solo donne piangenti; e neppure si vedono ovini o bovini, in quanto i figli di Giacobbe si sono portati via tutto ciò che c'era in città".

E Yashuv rimase stupito dal loro racconto ed esclamò: "Ma come è possibile che due soli uomini abbiano potuto distruggere una grande città e nessuno degli abitanti sia riuscito a contrastarli?"

Poiché mai era avvenuto un fatto simile, se non ai tempi di Nimrod, né tanto meno nei tempi antichi; e Yashuv, re di Tapuah, disse al proprio popolo: "Siate coraggiosi, poiché andremo a combattere contro questi Ebrei e faremo loro ciò che essi hanno fatto alla città di Sh'hem e vendicheremo così gli abitanti della città".

E Yashuv, re di Tapuah, si consigliò sul da farsi con tutti i suoi consiglieri; ed essi gli dissero: "Tu da solo non potrai prevalere sugli Ebrei, in quanto sono certamente forti se hanno raso al suolo un'intera città. Se due di loro hanno devastato un'intera città e nessuno è riuscito a contrastarli, a maggior ragione se ti alzerai per combatterli, avverrà che si leveranno contro di noi e ci distruggeranno allo stesso modo. Tuttavia, se farai in modo che si alleino con noi tutti i re intorno a noi, potremo tutti insieme combattere contro i figli di Giacobbe e sconfiggerli".

E Yashuv ascoltò le parole dei suoi consiglieri; e i loro consigli piacquero a lui e alla sua gente, e li mise in pratica; e Yashuv, re di Tapuah, mandò dei messi a tutti i re Amorei intorno a Sh'hem e Tapuah, per dir loro: "Venite da me e aiutatemi a combattere contro Giacobbe l'Ebreo e i suoi figli, e li faremo scomparire dalla faccia della terra per quello che hanno fatto alla città di Sh'hem; ne siete al corrente ?".

E tutti i monarchi amorei vennero a sapere il male che avevano fatto i figli di Giacobbe alla città di Sh'hem e ne rimasero molto impressionati.

E i sette re degli Amorei si radunarono con i propri eserciti, circa 10.000 uomini armati, con le spade sguainate, e si mossero per combattere i figli di Giacobbe; e Giacobbe venne a sapere che i monarchi amorei si erano alleati per muovere guerra contro i suoi figli e Giacobbe ne ebbe paura e ne fu dispiaciuto.

E Giacobbe sgridò Simeone e Levi, dicendo: "Cosa avete fatto!? Perché mi avete danneggiato, aizzando contro di me tutti i Cananei intenzionati ora a distruggere me e la mia casata? Dal momento che me ne stavo tranquillo con la mia famiglia e con la vostra azione avete scatenato l'ira degli abitanti contro di me".

E Giuda, rispondendo a suo padre, disse: "Non è per niente che i miei fratelli Simeone e Levi hanno ucciso gli abitanti di Sh'hem! E perché Sh'hem ha disonorato nostra sorella e ha trasgredito il comandamento del nostro Dio che impartì a Noè e ai suoi figli, in quanto Sh'hem rapì nostra sorella e le usò violenza carnale. E Sh'hem ha commesso tutto questo male e nessuno degli abitanti della città ha fatto alcunché per impedirglielo, dicendogli: perché fai questo? E sicuramente per questo che i miei fratelli si sono scatenati per distruggere la città e il Signore gliel'ha data nelle loro mani, giacché i suoi abitanti hanno trasgredito i precetti del nostro Dio. Non è per niente che lo hanno fatto! E adesso perché hai paura e sei preoccupato e perché mai sei dispiaciuto con i miei fratelli e sei adirato con loro? E certamente il nostro Dio che ha dato nelle loro mani la città di Sh'hem e la loro gente, ed Egli darà nelle nostre mani anche tutti i re cananei che sono in marcia contro di noi e faremo loro ciò che i miei fratelli hanno fatto a Sh'hem. Perciò stai tranquillo e non avere timori, ma abbi fede nel Signore nostro Dio e pregaLo per noi affinché ci assista, ci salvi e dia i nostri nemici nelle nostre mani".

E Giuda chiamò uno dei servitori di suo padre e gli disse: "Va' ora a vedere dove si trovano i re che stanno dirigendosi contro di noi con i loro armati".

Ed il servitore partì per osservare a distanza i loro movimenti e salì sul versante opposto del monte Sihon, e vide dove si erano accampati i re. Egli ritornò da Giuda e disse: "Ecco ho visto i re schierati nei loro accampamenti; si tratta di una schiera numerosa come i grani della sabbia del mare".

E Giuda disse a Simeone e Levi e a tutti gli altri fratelli: "Siate forti e coraggiosi, perché il Signore nostro Dio è con noi, non abbiate paura di loro. Contrastateli a uno a uno, armatevi di archi e spade, e andiamo a combattere questi incirconcisi; il Signore nostro Dio ci salverà".

E partirono, ognuno con i propri paramenti da guerra, grandi e piccoli, gli undici figli di Giacobbe e con loro tutti i servitori di Giacobbe.

E tutti i servitori di Isacco che erano con lui a Hebron, si aggregarono a loro equipaggiati con i loro paramenti da guerra, e con i figli di Giacobbe con i loro servitori, in totale 112 uomini, si diressero verso i re cananei e Giacobbe si unì a loro.

E i figli di Giacobbe inviarono un messo al loro nonno Isacco, figlio di Abramo, a Hebron, in Kiriat-Arba, che gli disse: "Deh, prega per noi al Signore nostro Dio, affinché ci protegga dalle mani dei Cananei che si stanno dirigendo contro di noi, dandoceli nelle nostre mani".

65 E Isacco, figlio di Abramo, pregò il Signore per i suoi figli, dicendo: "O Signore Dio, Tu facesti una promessa a mio padre Abramo, dicendo: Io moltiplicherò la tua progenie come le stelle del cielo, e hai fatto anche a me la stessa promessa e l'hai mantenuta e adesso i re di Canaan si sono alleati per muovere guerra contro i miei figli, che non hanno commesso alcuna violenza. E ora, Signore Iddio, Dio di tutta la terra, Ti prego, rendi vano il piano di questi re sicché non debbano combattere contro i miei figli. Ed infondi nei cuori di questi re e dei loro popoli la paura verso i miei figli e umilia il loro orgoglio, cosicché indietreggino davanti a loro. E con la Tua possente mano e il Tuo braccio disteso salva tutti i miei figli e i loro servitori da costoro, perché la potenza e il valore di compiere ciò sono solo nelle Tue mani".

E i figli di Giacobbe con i loro servitori, che si dirigevano verso i re cananei, avevano fede nel Signore loro Dio e, mentre erano in cammino, anche il loro padre Giacobbe pregò il Signore, dicendo: "O Signore Iddio, possente e temibile, che regni da sempre su tutto il creato, e per sempre regnerai su di esso; Tu sei Colui che istiga le guerre e le fa cessare; nella Tua mano risiede la potenza e solo Tu puoi alzare o umiliare. E ora, deh, accetta la mia preghiera, sicché Tu abbia pietà di me e possa infondere nei cuori di tali re la paura verso i miei figli così da evitare la guerra; e umilia la prepotenza loro e dei loro uomini, gettando il terrore in loro e nei loro accampamenti; e salva tutti coloro che confidano in Te, nella Tua immensa misericordia, perché solo Tu puoi sottomettere i popoli a noi e le nazioni al nostro potere".

E tutti i re amorei si adunarono in un accampamento per consultarsi con i loro consiglieri su cosa fare ai figli di Giacobbe, perché avevano ancora paura di loro, dopo che due di essi avevano devastato tutta la città di Sh'hem.

E il Signore ascoltò le preghiere di Isacco e di Giacobbe, e incutè nei cuori di tutti i consiglieri dei re una grande paura e il terrore per i figli di Giacobbe, per cui, rivolgendosi ai loro re, dissero: "Avete forse perso il senno e il discernimento in questo giorno? Da mettervi a combattere con gli Ebrei andando incontro a sicura morte? Considerate bene come due di loro siano entrati nella città di Sh'hem, senza alcun timore o paura, e abbiano ammazzato tutta la gente della città, mentre nessuno degli abitanti è riuscito ad opporvisi. E voi come potrete combattere contro tutti loro uniti? Sapete bene che il loro Dio li predilige e ha fatto portenti per loro, mai fatti prima d'ora, oltre al fatto che non c'è tra gli dèi delle nazioni un dio che può compiere altrettanti portenti. E il loro Dio che salvò il loro padre Abramo, l'Ebreo, dalle mani di Nimrod e del suo popolo, che, a più riprese, tentarono di ucciderlo. E il loro Dio lo salvò pure dalla fornace bollente in cui lo aveva gettato Nimrod. E quale altro dio avrebbe potuto fare un simile portento? Ed è lo stesso Abramo che sbaragliò i cinque re di Elam, allorquando essi avevano percosso il figlio di suo fratello che in quel tempo abitava a Sodoma. Ed egli (Abramo), con il suo servitore fedele e alcuni suoi uomini, inseguirono i re di Elam in una sola notte e li sbaragliarono, restituendo al nipote tutti i beni che quelli gli avevano portato via. E certamente sapete che il Dio di questi Ebrei è molto affezionato a loro e altrettanto loro a Lui, per cui sono sicuri che Lui li salverà dai loro nemici. Ed ecco che per dimostrare l'amore al proprio Dio, Abramo prese il suo unico e amato figlio con l'intento di sacrificarglielo; e se non fosse stato per Dio che glielo impedì, lui lo avrebbe ucciso per dimostrarGli il proprio amore. E il suo Dio, dopo aver constatato ciò, fece un giuramento e gli promise che avrebbe salvato i suoi figli e la sua discendenza da ogni disgrazia in cui sarebbero incorsi, dal momento che egli si era comportato in quel modo e non aveva avuto compassione del figlio per amore del proprio Dio. E avrete anche sentito ciò che il loro Dio fece a Faraone, re di Egitto e ad Avimelech, re di Gerar, dopo che ebbero preso per se stessi la moglie di Abramo, il quale aveva detto loro che era sua sorella, temendo che lo avrebbero ucciso; e dopo che l'ebbero presa come loro donna, il loro Dio colpì loro e il loro popolo nel modo che voi tutti conoscete. E noi stessi abbiamo visto con i nostri occhi in che modo Esaù, il fratello di Giacobbe, lo raggiunse con 400 suoi uomini, intenzionato ad ucciderlo, memore del fatto che suo fratello gli aveva portato via la benedizione di suo padre. E in che modo gli era andato incontro, quando proveniva da Padam Aram, per ammazzarlo insieme alle mogli e ai figli; e chi lo salvò dalla sua mano se non il Dio in cui egli confidava? Egli lo salvò dalle mani del fratello e di tutti i suoi nemici e sicuramente lo proteggerà ancora in futuro. E chissà che non sia stato il loro Dio ad infondere ai due figli di Giacobbe la forza per fare alla città di Sh'hem tutto il male che avete sentito. Potrebbero infatti due soli uomini con tutta la loro forza distruggere una grande città come Sh'hem se non fosse per il loro Dio in cui confidano? Egli invero ha fatto loro tutto ciò, facendo morire tutti gli abitanti nella loro città. E come potreste voi, che siete usciti dalle vostre città e vi siete alleati insieme, riuscire a sopraffarli? Anche se vi venissero in aiuto molti altri per più di mille volte. Sapete e avete sentito, infatti, che non contro di loro combattete bensì contro il loro Dio, che li ha prescelti, per cui siete votati fin d'oggi alla distruzione. Per cui evitate, per il vostro bene, di compiere il male che volevate fare e sarà meglio per voi non combatterli, anche se sono pochi di numero, dal momento che il loro Dio è con loro".

E dopo aver ascoltato le parole dei loro consiglieri, i re amorei furono colti dal terrore ed ebbero paura dei figli di Giacobbe ed evitarono di combatterli.

Ed essi porsero ascolto alle parole dei consiglieri e agirono di conseguenza.

Ed i re amorei decisero di ritirarsi e di evitare la guerra contro i figli di Giacobbe, in quanto li temevano molto e nei loro cuori albergava il terrore.

Poiché la cosa proveniva dal Signore, che aveva esaudito le preghiere dei suoi servitori Isacco e Giacobbe, che in Lui confidavano; e tutti i re si ritirarono in quel giorno con le loro schiere armate, ognuno nella propria città, e non mossero guerra contro i figli di Giacobbe.

Ed i figli di Giacobbe stazionarano in quel giorno di fronte al monte Sihon, fino al calar della sera e quando videro che i re non si erano mossi per combatterli, fecero ritorno a casa.

E in quel tempo, Dio apparve a Giacobbe e gli disse: "Alzati, va' a Beth-El e qui fermati ed erigi un altare a Dio che ti apparve e salvò te e i tuoi figli dalle angustie".

E Giacobbe si levò con i suoi figli e tutto il suo seguito per recarsi a Beth-El, seguendo la parola del Signore.

E Giacobbe aveva 99 anni quando arrivò a Beth-El; e Giacobbe, con i figli e tutto il suo seguito, rimase a Beth-El, nella regione di Luz e qui eresse un altare al Signore che gli era apparso; e Giacobbe e i suoi figli rimasero a Beth-El per sei mesi.

E in quel tempo morì Debora, figlia di Uz, la nutrice di Rebecca, che aveva vissuto presso Giacobbe; e Giacobbe la seppellì a Beth-El sotto una quercia.

E anche Rebecca, figlia di Bethuel, madre di Giacobbe, morì in quei giorni a Hebron, alias Kiryat-Arbà, e fu sepolta nella grotta di Machpelà, che Abramo aveva acquistato dai figli di Heth.

E Rebecca visse 133 anni; e quando Giacobbe venne a sapere che sua madre era morta, pianse amaramente e fece un grande funerale per lei e per la nutrice Debora, che fu sepolta sotto una quercia, per cui il luogo venne chiamato Alon-Bachuth (= la Quercia del Pianto).

E Labano, l'arameo, morì in quei giorni, per la punizione che gli inflisse Dio, per aver trasgredito il patto che esisteva tra lui e Giacobbe.

E Giacobbe aveva 100 anni quando gli apparve Dio, che lo benedisse e gli impose il nome di Israele; e Rachele, moglie di Giacobbe, concepì in quei giorni.

E in quel tempo, Giacobbe, con tutto il suo seguito, partì da Beth-El per andare alla casa di suo padre Isacco, a Hebron.

E durante il viaggio, quando mancava ancora un breve tratto di strada per arrivare ad Efrath, Rachele partorì un figlio e morì durante il travaglio del parto.

E Giacobbe la seppellì sulla via di Efrath, che è Betlemme, ed eresse un monumento sulla sua sepoltura, che esiste ancora oggi; e Rachele morì all'età di 45 anni.

E Giacobbe chiamò il figlio, partorito da Rachele, Beniamino (Ben yamin), perché gli era nato nella parte destra del paese.

E dopo la morte di Rachele, Giacobbe spostò il suo giaciglio nella tenda della sua concubina Bilhà.

E questa azione provocò la gelosia di Reuben per sua madre Lea, scatenando la sua collera; e, infuriato, entrò nella tenda di Bilhà e rimosse il giaciglio di suo padre.

E in quel momento, fu tolta alla discendenza di Reuben la parte di primogenitura, di reame e di sacerdozio, in quanto egli aveva disonorato il giaciglio di suo padre, e la primogenitura sarebbe passata a Giuseppe, il reame a Giuda e il sacerdozio a Levi, perché Reuben aveva profanato il giaciglio di suo padre.

E queste sono le discendenze di Giacobbe, nategli in Padan-Aram: Giacobbe ebbe dodici figli.

I figli di Lea furono: Reuben, il primogenito, Simeone, Levi, Giuda, Issachar e Zevulun, e la loro sorella Dina; e i figli di Rachel furono Giuseppe e Beniamino.

I figli di Zilpà, ancella di Lea, furono Gad e Asher; e i figli di Bilhà, ancella di Rachele, furono Dan e Naftalì; questi furono i figli di Giacobbe, natigli in Padan-Aram.

E Giacobbe partì con i suoi figli e tutto il suo seguito e arrivò a Mamrè Kiriath-Arbà, che è a Hebron, dove vi avevano risieduto Abramo e Isacco; e Giacobbe con i suoi figli e tutto il suo seguito abitò con suo padre a Hebron.

E suo fratello Esaù, i suoi figli e tutto il suo seguito si diressero nella terra di Seir e qui si insediarono; e si stanziarono nella terra di Seir, e i figli di Esaù prolificarono e si moltiplicarono in gran numero nel paese di Seir.

E queste sono le discendenze di Esaù nategli nella terra di Canaan; ed Esaù ebbe cinque figli.

E Ada partorì ad Esaù il suo primogenito Elifaz; e Basemath gli partorì Reuel; e Aholivamà gli partorì Yeush, Yaalam e Còrah.

Questi sono i figli di Esaù natigli in terra di Canaan; e i figli di Elifaz, figlio di Esaù, furono Teman, Omar, Tzefò, Gatam, Kenaz e Amalek; e i figli di Reuel furono Nachath, Zerach, Shamah e Mitzà.

E i figli di Yeush furono Timnah, Alvah, Jetheth; e i figli di Yaalam furono Alah, Finor e Kenaz.

E i figli di Còrah furono Teman, Mivzar, Magdiel ed Eram; queste sono le famiglie dei figli di Esaù, secondo i loro filarcati nella terra di Seir.

E questi sono i nomi dei figli dell'orita Seir, abitanti del paese di Seir: Lotan, Shoval, Tsiv'on, Anà, Dishan, Ezer e Dishon, in totale sette figli.

E i figli di Lotan furono Horì, Heman e la loro sorella Timnà; quella stessa Timnà che venne da Giacobbe e dai suoi figli, i quali non la vollero ascoltare, per cui se ne andò via e diventò la concubina di Elifaz, figlio di Esaù, alla quali partorì Amalek.

E i figli di Shoval furono Alvan, Manahath, Eval, Shefò, e Onam; e i figli di Ziveon furono Ajà e Anà; lo stesso Anà che incontrò i Yemim nel deserto mentre pascolava gli asini di suo padre Ziveon.

E quando pascolava gli asini di suo padre li portava di tanto in tanto nel deserto.

E avvenne un giorno che dal deserto li condusse verso la spiaggia del mar Rosso; e mentre pascolava in quel luogo, si scatenò una forte tempesta da oltremare, che investì gli asini che pascolavano, obbligandoli a rimanere sul posto.

Dopo di ciò, circa centoventi grandi e terribili bestie spuntarono fuori dal deserto al di là del mare e raggiunsero il luogo dove stazionavano gli asini.

E queste bestie, avevano una forma umana nella loro metà inferiore, mentre la metà superiore aveva l'aspetto o di orsi o di scimmie; e a tergo avevano delle code che, dalle spalle, scendevano fino a terra, simili a quelle dell'upupa; e questi mostri si avventarono addosso agli asini, li cavalcarono e li portarono via, per non farsi più vedere da quel giorno.

E uno di questi mostri si avventò contro Anà, lo colpì con la sua coda, e lo fece fuggire da quel luogo.

E quando vide ciò, Anà temette molto per la propria vita e si mise in salvo fuggendo di corsa verso la città di Seir.

Ed egli raccontò a suo padre e ai suoi fratelli quanto gli era successo, e molti andarono alla ricerca degli asini che però non trovarono; e, da quel giorno in poi, Anà e i suoi fratelli non si recarono più in quel posto, temendo assai per la propria vita.

E i figli di Anà, figlio di Seir, furono Dishon e sua sorella Aholivamà; e i figli di Dishon furono Hemdan, Eshban, Itran e Keran; e i figli di Ezer furono Bilhan, Zaavan e Akan; e i figli di Dishon furono Uz ed Aran.

Queste sono le famiglie dei figli di Seir, l'orita, secondo i loro filarcati nella terra di Seir.

Ed Esaù ed i suoi figli dimorarono nella terra di Seir, primi indigeni del paese, e presero possesso della terra e prolificarono e si moltiplicarono in gran numero; e Giacobbe, con i suoi figli e tutto il suo seguito, abitò con suo padre Isacco nel paese di Canaan, come il Signore aveva comandato a suo padre Abramo.

E nel 105esimo anno di vita di Giacobbe, che era anche il nono anno di permanenza con i suoi figli nelle terra di Canaan, da quando erano arrivati da Padan-Aram, avvenne che Giacobbe partì con i suoi figli da Hebron.

Ed essi si misero in cammino e fecero ritorno nella città di Sh'hem, con tutto ciò che possedevano, e qui si fermarono; nella città di Sh'hem, infatti, i figli di Giacobbe trovarono fertili e ricchi pascoli; e la città di Sh'hem era stata ricostruita e in essa abitava una popolazione di 300 uomini e donne.

E Giacobbe con i suoi figli e tutto il suo seguito si insediò nella parte del terreno che un tempo aveva acquistato da Hamor, padre di Sh'hem, quando era arrivato da Padan-Aram, prima della distruzione della città, operata da Simeone e Levi.

E tutti i monarchi cananei e amorei, che abitavano intorno alla città di Sh'hem, vennero a sapere che i figli di Giacobbe erano tornati in città e vi si erano insediati.

E dissero: "I figli di Giacobbe l'Ebreo sono nuovamente tornati in citta e vi si sono insediati? Dopo che hanno ucciso e deportato tutti gli abitanti? Certamente lo avranno fatto per conquistare il paese e uccidere chi ci abita".

E tutti i re cananei, riunitisi in assemblea, decisero di muovere guerra contro Giacobbe e i suoi figli.

E Yashub, re di Tapuah, inviò un messaggio a tutti i re vicini, Elan, re di Gaash, Ihuri, re di Shiloh, Parathon, re di Hazar, Susì, re di Sarton, Laban, re di Bethchoran e Shabir, re di Othnay-mah, in cui diceva: "Venite da me e aiutatemi a sconfiggere Giacobbe l'Ebreo, i suoi figli e tutto il suo seguito, poiché sono tornati a Sh'hem per conquistarla e far strage dei suoi abitanti, come in passato".

E tutti questi re si radunarono con le loro milizie, una schiera innumerevole, come i grani della rena del mare e si accamparono di fronte a Tapuah.

E Yashub, re di Tapuah, andò loro incontro con tutto il suo esercito e si accamparono insieme di fronte a Tapuah, al di fuori della città; e tutti insieme si divisero in sette schieramenti, per muovere guerra contro i figli di Giacobbe.

Ed essi inviarono un'ambasciata a Giacobbe e ai suoi figli, in cui veniva loro detto: "Uscite tutti contro di noi e incrociamo le armi in pianura; potremo in tal modo vendicare la gente di Sh'hem che avete ucciso nella loro città; e ciò non vi è bastato perché siete tornati un'altra volta per impossesarvi della città e far strage degli abitanti come prima".

E i figli di Giacobbe, dopo aver ascoltato l'ambasciata, si infuriarono molto per le parole dei re cananei; e dieci figli di Giacobbe, in fretta e furia, si prepararono alla battaglia, indossando ognuno le proprie armi; e con loro 102 servitori, equipaggiati di tutto punto.

E i figli di Giacobbe con i loro servitori si diressero verso i re cananei, con Giacobbe loro padre in testa; e insieme arrivarono all'altura che sovrasta Sh'hem.

E Giacobbe pregò il Signore per i suoi figli; e, alzando le braccia a Dio, disse: "O Signore, Tu sei Dio Onnipotente, Tu sei il nostro Padre, Tu ci hai creato e noi siamo l'opera della Tua mano; Ti prego, salva i miei figli nella Tua misericordia dalle mani dei loro nemici, che vengono oggi a combatterli; salvali dalle loro mani, poiché nella Tua mano risiede la forza e la potenza che salva i pochi dai tanti. E da' ai miei figli, Tuoi servitori, il coraggio e il vigore di combattere contro i loro nemici così da sopraffarli, e fa' sì che i loro nemici cadano davanti a loro e non permettere che i miei figli e i loro servitori muoiano in battaglia per mano di Canaan. Ma se è bene ai Tuoi occhi prendere la vita dei miei figli e dei loro servitori, ti prego, fallo nella Tua grande misericordia, per mezzo dei Tuoi Angeli, sicché non debbano morire in questo giorno per mano dei re amorei".

E appena Giacobbe ebbe finito di pregare il Signore, la terra tremò violentemente e il sole si oscurò, per cui tutti i re furono presi dal panico e ci fu tra loro un'immensa confusione.

E il Signore ascoltò la preghiera di Giacobbe e incutè nei cuori dei re e dei loro eserciti la paura e il terrore per i figli di Giacobbe.

Poiché il Signore fece loro sentire il frastuono di innumerevoli carri e cavalli e di un immenso esercito al seguito dei figli di Giacobbe.

E i re, che si trovavano nei loro accampamenti, furono colti dal panico alla vista dei figli di Giacobbe e dei loro 102 armati, che stavano arrivando con spaventoso strepito e terribili urla.

E quando i re videro i figli di Giacobbe avvicinarsi sempre di più, furono invasi da maggior terrore, e dissero che era meglio ritirarsi e non scontrarsi con loro.

Tuttavia, non si ritirarono perché dissero: "Sarebbe proprio un'onta per noi se dovessimo indietreggiare davanti a questi Ebrei una seconda volta".

E mentre i figli di Giacobbe si avvicinavano sempre più ai re e ai loro eserciti, videro che erano un'immensa schiera, numerosa come la rena del mare.

E i figli di Giacobbe invocarono il Signore dicendo: "Salvaci, o Signore, salvaci ed esaudisci la nostra preghiera, perché solo in Te confidiamo e non farci morire per mano di questi incirconcisi, che in questo giorno si sono levati contro di noi".

E i figli di Giacobbe, che indossavano i loro armamenti da guerra e ognuno di loro brandiva il proprio scudo e la propria lancia, si avviarono a combattere.

E Giuda, figlio di Giacobbe, si mise alla testa dei fratelli e di dieci dei suoi servitori e si scagliò contro i re.

E anche Yashub, re di Tapuah, si mise alla testa dei suoi miliziani e si diresse verso Giuda; e quando Giuda vide Yashub e il suo esercito venire per primo contro di lui, si accese di ira e si avventò su di loro, disposto anche a morire.

E Yashub, che era alla testa dei suoi miliziani e avanzava verso Giuda, cavalcava un forte e possente destriero; e Yashub era un valorosissimo soldato che indossava, dalla testa ai piedi, una corazza di ferro e di rame.

E in groppa al suo destriero, era solito lanciare frecce, con entrambi le mani, davanti e dietro a lui e, così facendo, in tutte le sue battaglie, mai aveva fallito il bersaglio.

E quando Yashub arrivò vicino a Giuda, iniziò a lanciargli addosso numerosi dardi; ma il Signore piegò la mano di Yashub, cosicché le frecce che lanciava andavano a finire sui suoi uomini.

Ma nonostante ciò, Yashub si avvicinò sempre più a Giuda per colpirlo con le sue frecce, essendo distanziato da lui di soli trenta cubiti; e quando Giuda vide Yashub che gli scagliava addosso i dardi, gli corse incontro in un impeto di collera.

E Giuda, dopo aver raccolto da terra un masso pesante 60 sicli, corse in direzione di Yashub, e glielo scagliò contro lo scudo; e Yashub rimase stordito dal colpo e cadde a terra dal suo cavallo.

E lo scudo si staccò dalla mano di Yashub, e, a causa della forza del colpo infertogli, volò via ad una distanza di 15 cubiti, andando a cadere davanti alla seconda schiera.

E i re, che accompagnavano Yashub, videro da una certa distanza la forza di Giuda, figlio di Giacobbe, e ciò che aveva fatto a Yashub, per cui ne rimasero terrorizzati.

E Giuda si diresse di corsa verso l'accampamento di Yashub e qui incutè il panico, e, sguainata la spada, colpì 42 uomini di Yashub; e l'intera milizia di Yashub scappò via davanti a Giuda e nessuno gli si contrappose; ed essi abbandonarono il loro capo, che giaceva ancora a terra.

E quando Yashub vide che tutti i suoi miliziani si erano dati alla fuga, si affrettò ad alzarsi e ancora tramortito affrontò Giuda.

E Yashub, pronto al duello con Giuda, afferrò nuovamente lo scudo, mentre tutti i suoi uomini erano scappati via, per la grande paura verso Giuda.

E Yashub afferrò con la mano la sua lancia per colpire Giuda alla testa; e Giuda fu lesto a proteggere la sua testa con lo scudo; tuttavia, il colpo inferto dalla lancia di Yashub fu così forte che spezzò in due lo scudo di Giuda.

E quando Giuda vide il suo scudo spezzato, estrasse velocemente la sua spada, colpì Yashub all'altezza delle caviglie, e gli tagliò di netto i piedi, per cui Yashub stramazzò a terra e lasciò cadere dalla mano la sua lancia.

E Giuda afferrò rapidamente la lancia di Yashub, e gli tagliò la testa, per poi gettargliela tra i piedi.

E quando i figli di Giacobbe videro ciò che Giuda aveva fatto a Yashub, si avventarono tutti insieme contro le schiere degli altri re; e i figli di Giacobbe combatterono contro l'esercito di Yashub e le schiere di tutti gli altri re, che si trovavano sul posto.

E caddero 15.000 uomini per mano dei figli di Giacobbe, che percossero i loro nemici come si è soliti fare con le zucchine; e chi sopravvisse fuggì per mettersi in salvo.

E mentre Giuda era presso la salma di Yashub per spogliarlo dalla corazza ed estrarne il ferro e il rame, ecco arrivare nove ufficiali dell'esercito di Yashub pronti a dargli battaglia.

E, in tutta fretta, Giuda raccolse da terra una pietra e con essa colpì alla testa uno di costoro, col risultato di fracassargli il cranio e farlo cadere da cavallo.

E gli altri otto ufficiali, alla vista della forza di Giuda, furono presi dal panico e fuggirono via; e Giuda, con dieci suoi uomini, li rincorse, li raggiunse e li colpì a morte.

E anche gli altri figli di Giacobbe continuarono a colpire le schiere nemiche, uccidendo molti di loro e mettendone in fuga molti altri; tuttavia, i re, rimasti al loro posto con i propri ufficiali, non si ritirarono e sgridavano i loro soldati, che non li ascoltavano più e, temendo per la propria vita, scappavano spaventati.

E i figli di Giacobbe, dopo aver sbaragliato le milizie reali, tornarono e raggiunsero Giuda, che stava spogliando dalle loro armature le salme degli otto ufficiali di Yashub.

E Levi vide Elon, re di Gaash, che gli veniva incontro con 14 suoi ufficiali, pronti ad ammazzarlo, sebbene Levi non sapesse chi fosse costui.

E quando Elon gli fu appresso coi suoi uomini, Levi si voltò di scatto e vide che lo stavano attaccando alle spalle; e, in fretta, Levi chiamò a sé i suoi 12 aiutanti, e insieme si avventarono su Elon e i suoi ufficiali e li passarono a fil di spada.

Ed Ihuri, re di Shiloh, venuto in aiuto ad Elon, si avventò su Giacobbe, il quale, con il suo arco in mano, scagliò una freccia e lo colpì a morte.

E dopo la morte di Ihuri, re di Shiloh, i quattro re superstiti fuggirono dalle loro postazioni con il resto degli ufficiali; e, preparandosi alla ritirata, dissero: "Non abbiamo più le forze per vincere questi Ebrei, che hanno ucciso tre re e i loro ufficiali, i quali erano certamente più forti di noi".

E quando i figli di Giacobbe videro che i re superstiti si ritiravano dalle loro postazioni, presero ad inseguirli; e i figli di Giacobbe partirono dal colle di Sh'hem, dal punto in cui stazionavano e, con i loro aiutanti, rincorsero i re.

E quando i re, i loro ufficiali e il resto dei miliziani si accorsero che i figli di Giacobbe li stavano inseguendo, furono presi dal panico e, temendo per la propria vita, scapparono fino ad arrivare alla città di Hazar.

Ma i figli di Giacobbe li inseguirono fino alle porte di Hazar e qui uccisero i re e i loro armati, circa 4.000 uomini; e mentre facevano strage dei miliziani reali, Giacobbe, con il suo arco e le sue frecce, colpì a morte i re superstiti.

E uccise prima Parathon, re di Hazar, davanti alla porta della città di Hazar; e dopo colpì a morte Sussì, re di Sarton, Laban, re di Bethhorin e Shabir, re di Machnaymah, e li uccise tutti, uno a uno, con le sue frecce.

E i figli di Giacobbe, vedendo che tutti i re erano morti e le loro schiere sbaragliate e in fuga, continuarono a inseguirle fino alla porta di Hazar, e qui uccisero ancora 400 loro miliziani.

E tre uomini dei servitori di Giacobbe caddero in quella battaglia; e quando Giuda vide che tre dei suoi uomini erano morti, ne fu molto dispiaciuto e arse in lui l'ira contro gli Amorei.

E tutti i superstiti delle schiere reali, temendo assai per le proprie vite, si ritirarono e, nella fuga precipitosa, aprirono delle brecce tra le mura di difesa di Hazar ed entrarono così all'interno della città.

Ed essi si nascosero all'interno della città, in quanto Hazar era una città grande e molto estesa; e i figli di Giacobbe, che li inseguivano, arrivarono alle porte della città.

E dalla città uscirono quattro uomini, forti e valorosi, di provata esperienza bellica, che si misero davanti alla porta della città con le spade sguainate e le lance in resta; e si piazzarono di fronte ai figli di Giacobbe per impedire loro di entrare in città.

E Naftali si avventò su di loro e con la sua spada ne uccise due, decapitandoli con due colpi netti.

Quindi si girò verso gli altri due, che si erano dati alla fuga; egli li inseguì, li raggiunse e li colpì a morte

E i figli di Giacobbe, entrati in città, videro che c'era un'altra muraglia a difesa della città, ne cercarono l'entrata ma non la trovarono; allora Giuda si arrampicò fino alla cima della muraglia e Simeone e Levi gli andarono dietro; e tutti e tre, scesi dal muro, entrarono in città.

E Simeone e Levi uccisero tutti gli uomini che si erano rifugiati in città, così come gli abitanti con le loro donne e i loro bambini; essi passarono a fil di spada tutti quanti, e le urla della città salirono al cielo.

E Dan e Naftali si arrampicarono in cima alla muraglia per vedere da dove provenivano le urla, temendo infatti per la vita dei loro fratelli; e ascoltarono, invece, i pianti e le implorazioni degli abitanti della città che dicevano: "Prendete pure tutto quello che abbiamo in città e andatevene, solo risparmiate le nostre vite".

E dopo che Giuda, Simeone e Levi ebbero finito di colpire tutti gli abitanti della città, salirono sul muro di cinta e chiamarono Dan e Naftali, che erano sulla muraglia, e gli altri fratelli; e Simeone e Levi dissero loro di entrare pure in città e prendere tutto il bottino.

E i figli di Giacobbe presero il bottino della città di Hazar, gli armenti, le greggi, le proprietà, e fecero prigionieri i restanti abitanti; e in quel giorno, lasciarono la città.

E il giorno seguente i figli di Giacobbe arrivarono a Sarton, perché avevano sentito che gli abitanti di Sarton, che erano rimasti in città, si erano raccolti per combattere coloro che avevano ucciso il loro re; e Sarton era una città costruita su un'altura e ben fortificata ed era circondata da mura di cinta.

E le mura di cinta erano alte circa 50 cubiti e larghe 40 e nessuno poteva entrare in città senza passarvi sotto; e quando i figli di Giacobbe videro le mura della città ne cercarono l'entrata, che, però, non riuscirono a trovare.

Poiché l'accesso alla città era da tergo, e chi voleva entrare in città dalla strada principale doveva percorrere tutto il perimetro della roccaforte.

E i figli di Giacobbe, non trovando l'entrata, si arrabbiarono assai; e gli abitanti del posto, vedendo che i figli di Giacobbe erano a ridosso della città, furono presi dal panico, consapevoli della loro forza e di ciò che avevano fatto a Hazar.

E gli abitanti di Sarton non osarono contrastare i figli di Giacobbe, sebbene si fossero prima raccolti in città per dar loro battaglia; infatti, quando videro che erano vicini alle mura, ne ebbero grande paura, essendo venuti a conoscenza del loro valore e di ciò che avevano fatto a Hazar.

Così gli abitanti di Sarton, in fretta e furia, prima che i figli di Giacobbe potessero arrivare, presero il ponte che permetteva l'accesso e lo portarono dentro la città.

E i figli di Giacobbe, arrivati alle mura di cinta, non riuscivano a trovare l'entrata; videro, però, che gli abitanti della città si erano arroccati sopra i bastioni.

E gli abitanti della città, vedendo dall'alto delle mura i figli di Giacobbe, cominciarono ad insultarli; e quando i figli di Giacobbe sentirono gli insulti rivolti loro, furono invasi da grande collera.

E i figli di Giacobbe, infuriati per quegli insulti, si arrampicarono con gran forza sui bastioni e valicarono i 40 cubiti di ampiezza della roccaforte.

E dopo aver valicato i bastioni, si trovarono sotto le mura della città e videro che i portoni di accesso erano stati sprangati con sbarre di ferro.

E mentre i figli di Giacobbe cercavano di abbattere i portoni della città, gli abitanti dall'alto delle mura gli lanciavano addosso pietre e frecce.

E il numero di coloro che si trovavano sulle mura era di 400; e quando i figli di Giacobbe videro che la gente della città non permetteva loro di entrare attraverso i portoni, presero ad arrampicarsi sulle mura e Giuda raggiunse per primo la parte orientale della città.

E Gad ed Asher lo seguirono e raggiunsero la parte occidentale, mentre Simeone e Levi arrivarono a nord e Dan e Reuven a sud.

E gli abitanti della città, che si trovavano sulle mura, vedendo che i figli di Giacobbe erano riusciti a salire, scapparono via, scendendo rapidamente e cercando un nascondiglio all'interno della città.

E Issachar e Naftali, che erano rimasti sotto le mura, sfondarono con la forza i portoni della città e vi appiccarono il fuoco; la fusione dei portoni di ferro permise l'entrata dei figli di Giacobbe, che combatterono contro gli abitanti di Sarton, e li passarono a fil di spada, sicché non rimase superstite alcuno.

E circa duecento di loro riuscirono a fuggire dalla città e a trovare rifugio dentro una torre; e Giuda, che li aveva inseguiti fino a quel punto, percosse violentemente la torre che si frantumò e franò su quelle persone, che morirono tutte sotto le macerie.

E i figli di Giacobbe, che erano saliti prima su quella torre, videro che a una certa distanza se ne ergeva un'altra, ben molto più solida e alta, la cui vetta raggiungeva il cielo; e i figli di Giacobbe si affrettarono a raggiungerla e si accorsero che al suo interno c'erano circa trecento persone, tra uomini, donne e bambini.

E i figli di Giacobbe percossero la gente all'interno della torre, che scappò via precipitosamente.

E mentre Simeone e Levi li inseguivano, ecco uscire da quel nascondiglio una dozzina di guerrieri valorosi e poderosi.

E questi dodici guerrieri affrontarono in un violento combattimento Simeone e Levi; e i due fratelli non riuscirono a sopraffarli e questi prodi guerrieri frantumarono gli scudi di Simeone e Levi; e uno di loro inferse con la sua spada un colpo alla testa di Levi, e mentre Levi si metteva la mano in testa, temendo un altro colpo di spada, venne colpito anche alla mano e mancava poco che la sua mano venisse tranciata di netto.

E Levi, dopo aver afferrato con l'altra sua mano la spada di quel prode guerriero, gliela tolse con la forza e con essa gli sferrò un fendente che gli mozzò la testa.

E gli altri undici guerrieri, vedendo che il loro compagno era stato ucciso, si avventarono su Levi; e i figli di Giacobbe li contrastarono ma non riuscirono a sopraffarli, perché erano molto più forti.

E quando videro che non riuscivano ad aver la meglio, Simeone lanciò un urlo forte e terrificante, che spaventò molto quegli undici prodi guerrieri.

E Giuda riconobbe a distanza l'urlo di Simeone; e Naftalì e Giuda si precipitarono, impugnando i loro scudi, in aiuto del fratello e videro che Simeone stava combattendo contro quei forti guerrieri, impossibilitato a sopraffarli e con il proprio scudo a pezzi.

E quando Naftalì vide che gli scudi di Simeone e Levi erano fuori uso, ne prese due dai suoi aiutanti e li consegnò ai fratelli.

E in quel giorno Simeone, Levi e Giuda combatterono insieme contro quei possenti guerrieri fino all'imbrunire, però non riuscirono a sopraffarli.

E ciò venne riferito a Giacobbe, che ne fu molto dispiaciuto; ed egli pregò il Signore e con suo figlio Naftalì andò a combattere contro quei prodi guerrieri.

E quando fu loro vicino, Giacobbe approntò il proprio arco e cominciò a scagliare frecce contro quegli armati e ne colpì a morte tre e gli altri otto, vedendosi accerchiati di fronte e a tergo e temendo molto per la propria vita e non potendo più contrastare i figli di Giacobbe, scapparono davanti a loro.

E, fuggendo, si imbatterono in Dan ed Asher, che venivano loro incontro; e nel combattimento che si scatenò, due degli otto guerrieri rimasero uccisi; e Giuda ed i suoi fratelli inseguirono i rimanenti e li colpirono a morte.

E i figli di Giacobbe tornarono in città e, strada facendo, andavano alla ricerca di chi si era nascosto; e trovarono una ventina di ragazzi, nascosti in una grotta, che furono uccisi per mano di Gad ed Asher; e Dan e Naftalì rincorsero coloro che erano fuggiti dalla seconda torre e li uccisero tutti in combattimento.

E i figli di Giacobbe ammazzarono tutti gli abitanti della città di Sarton, risparmiando però le donne e i bambini.

E tutti gli abitanti di Sarton erano valenti guerrieri, di cui uno solo avrebbe messo in fuga un migliaio, e due di loro non sarebbero fuggiti di fronte ad una miriade.

E i figli di Giacobbe passarono a fil di spada tutti gli abitanti della città di Sarton, e nessuno riuscì a contrastarli; tuttavia, lasciarono in vita le donne.

E i figli di Giacobbe saccheggiarono tutta la città, portando via le greggi, gli armenti e le proprietà della città; e i figli di Giacobbe fecero a Sarton e ai suoi abitanti esattamente ciò che avevano fatto a Hazar e ai suoi abitanti; e, infine, lasciarono la città e si misero in cammino.

E i figli di Giacobbe, usciti da Sarton, erano in cammino già da duecento cubiti quando videro che gli abitanti di Tapuah stavano venendo loro incontro, pronti a far guerra, dopo che il loro re e il suo seguito erano caduti in combattimento.

In effetti, tutti i superstiti di Tapuah erano usciti dalla città per muovere guerra ai figli di Giacobbe, disposti a riappropriarsi del bottino e delle spoglie che costoro avevano portato via da Hazar e Sarton.

E i superstiti di Tapuah combatterono contro i figli di Giacobbe in quel luogo; e i figli di Giacobbe li sbaragliarono, li misero in fuga e li inseguirono fino alla città di Arbel, e qui li passarono a fil di spada.

E i figli di Giacobbe tornarono a Tapuah e saccheggiarono la città; e quando erano in città, sentirono che anche gli abitanti di Arbel si erano mossi per combatterli e riappropriarsi delle spoglie dei loro alleati; e i figli di Giacobbe, dopo aver lasciato dieci loro uomini per completare il saccheggio della città, si diressero contro la popolazione di Arbel.

E gli abitanti di Arbel uscirono con le loro donne per combattere i figli di Giacobbe, dal momento che anche le donne erano esperte guerriere, e, in totale, erano circa 400 tra uomini e donne.

E i figli di Giacobbe si avventarono sugli abitanti di Arbel con schiamazzi e alte grida, generando un forte e spaventoso fracasso.

E gli abitanti di Arbel sentirono le grida dei figli di Giacobbe, che sembravano loro come ruggiti di leoni e ululato di mare in tempesta.

E i loro animi furono invasi dalla paura e dal terrore, e, spaventati dai figli di Giacobbe, si ritirarono precipitosamente verso la città; e i figli di Giacobbe li inseguirono fino alle porte della città ed entrarono in città dopo di loro.

E i figli di Giacobbe si scontrarono con loro in città, e tutte le loro donne presero parte al combattimento, lanciando pietre con le loro fionde; e l'aspra battaglia durò in quel giorno fino al tramonto.

Ma i figli di Giacobbe non riuscirono ad aver la meglio e, anzi, rischiarono di morire in battaglia: e i figli di Giacobbe invocarono il Signore e verso sera si rinvigorirono e riuscirono a sopraffare gli abitanti di Arbel, che furono passati tutti a fil di spada, uomini, donne e bambini.

E ad Arbel, i figli di Giacobbe uccisero anche i superstiti di Sarton, che vi si erano rifugiati; e i figli di Giacobbe fecero ad Arbel e a Tapuah ciò che avevano fatto a Hazar e Sarton; e quando le donne videro che i loro uomini erano stati uccisi, salirono sui tetti delle case e scagliarono sui figli di Giacobbe raffiche di sassi.

E i figli di Giacobbe entrarono rapidamente in città e catturarono quelle donne per passarle poi a fil di spada; quindi fecero prigionieri i restanti abitanti e portarono via ovini, bovini ed altri animali.

E i figli di Giacobbe fecero a Machnaymah ciò che avevano fatto a Tapuah, a Hazar e a Shiloh e uscirono dalla città per riprendere il cammino.

E dopo cinque giorni, i figli di Giacobbe sentirono che gli abitanti di Gaash si erano raccolti per muover loro guerra, per vendicare il loro re e i suoi ufficiali; infatti, nella battaglia precedente, i figli di Giacobbe avevano ucciso 14 capitani della città di Gaash.

E in quel giorno, i figli di Giacobbe si armarono e partirono per combattere gli abitanti di Gaash; qui viveva una popolazione emorea numerosa e forte, e Gaash era la città più potente e fortificata di tutte le città degli Emorei, avendo tre cinta di mura.

E quando i figli di Giacobbe arrivarono a Gaash videro che le porte della città erano sprangate, e circa 500 uomini erano posizionati in cima alla muraglia esterna; e tanta gente, numerosa come i grani di sabbia in riva al mare, stava in agguato a tergo della città.

E i figli di Giacobbe si avvicinarono per aprire i portoni della città, e mentre erano a ridosso del portone, spuntarono fuori gli uomini che stavano in agguato dietro la città e li circondarono.

E i figli di Giacobbe si trovarono intrappolati tra la popolazione di Gaash; da una parte, c'erano gli armati che li attorniavano, pronti alla battaglia, e, dall'alto delle mura, c'erano gli uomini che scagliavano giù pietre e frecce.

E Giuda, vedendo che i guerrieri di Gaash si avvicinavano sempre più minacciosi, lanciò un urlo terrificante e lancinante; e tutta la gente di Gaash rimase terrorizzata da quel grido potente, che ebbe l'effetto di fare cadere alcuni uomini dalla muraglia; e anche le persone che si trovavano dentro e fuori la città temettero molto per la propria vita.

E i figli di Giacobbe, che cercavano di abbattere il portone della città, venivano bersagliati dall'alto dalle pietre e dalle frecce della gente di Gaash, per cui dovettero indietreggiare.

E i figli di Giacobbe ripresero la loro battaglia contro i guerrieri di Gaash, che li avevano accerchiati fuori dalla città, e ne fecero strage, percuotendoli forte come si usa fare con le zucchine, e quelli non riuscivano a controbattere, anche perché erano rimasti terrorizzati dall'urlo di Giuda.

E i figli di Giacobbe uccisero tutti quelli che erano fuori dalle mura; e si diressero nuovamente verso il portone per abbatterlo e combattere in città ma non ci riuscirono; e gli abitanti di Gaash che erano rimasti in città, si erano dileguati in ogni direzione, e i figli di Giacobbe non poterono entrare in città e combatterli.

Ed ogni volta che i figli di Giacobbe si avvicinavano ad uno degli angoli della muraglia, venivano tempestati da pietre e frecce, per cui erano costretti a ripararsi sotto i costoni della muraglia.

E la gente di Gaash, che era sulla muraglia, vedendo che i figli di Giacobbe non riuscivano ad avere la meglio e restavano al coperto sotto la cinta, cominciò a farsi beffe di loro, dicendo: "Cosa vi sta succedendo, che non siete più capaci di vincere una battaglia? Non potrete mai conquistare una città potente come Gaash e fare ai suoi abitanti ciò che avete fatto alle città degli Emorei che non erano poi così forti! Avete vinto facilmente e sterminato alle porte della città quelli che erano deboli fra di noi, gente che si spaventava solo al suono dei vostri schiamazzi. E ora, come mai non siete capaci di darci battaglia qui? Una sola cosa è certa: voi morirete tutti qui e noi vendicheremo le città che avete distrutto!".

E gli abitanti di Gaash si fecero beffe dei figli di Giacobbe e insultarono il loro Dio, continuando anche a scagliargli contro frecce e pietre dall'alto delle mura.

E, ascoltando le loro offese, Giuda e i suoi fratelli furono invasi da sacro furore; e Giuda, che era molto zelante del proprio Dio, Lo invocò in quel frangente e disse: "O Signore, salvaci, e aiuta me e i miei fratelli".

E dopo aver preso la rincorsa, con tutta la sua forza e con la spada sguainata, corse verso la muraglia, che valicò e raggiunse nel suo impeto, mentre la spada gli cadeva dalla mano.

E, raggiunta la muraglia, Giuda lanciò un urlo terrificante, che ebbe l'effetto di terrorizzare i presenti, per cui alcuni di loro caddero dalla muraglia e si sfracellarono a terra; e altri, vedendo la forza di Giuda, ne ebbero grande paura e scapparono per cercare rifugio dentro la città.

E altri ancora, fattisi forza, rimasero sul posto per combattere Giuda, e si avventarono su di lui per ucciderlo, vedendo anche che era senza spada, con l'intento di buttarlo giù dalla muraglia; e una ventina di uomini si unì a loro per attaccare Giuda, urlandogli contro e facendo roteare le spade per poterlo spaventare, ma Giuda, dall'alto della muraglia, urlò ai suoi fratelli di venire a soccorrerlo.

E Giacobbe e i suoi figli si misero a scagliare le loro frecce da sotto le mura e riuscirono a colpire a morte tre guerrieri nemici; e Giuda continuava a urlare forte: "O Signore, aiutaci, O Signore salvaci" e le sue grida si levavano alte e la sua voce si sentiva anche a grande distanza.

E Giuda lanciò un altro urlo terrificante, che spaventò le persone che lo assediavano in cima alla muraglia, per cui ognuno di loro lasciò la propria spada e si dileguò, impaurito da quel grido possente.

E Giuda si impossessò delle spade cadute dalle loro mani e li attaccò e ne percosse a morte una ventina.

E un'ottantina di guerrieri, uomini e donne, salirono sulla muraglia per colpire Giuda ma il Signore incutè nei loro cuori il terrore per Giuda, per cui non riuscirono ad avvicinarlo.

E Giacobbe e il suo seguito, che continuavano a scoccare frecce dai loro archi, uccisero un'altra decina di nemici, che dalla muraglia caddero ai loro piedi.

E i guerrieri che erano sulla muraglia, vedendo che una trentina di loro erano caduti morti, si scagliarono nuovamente contro Giuda, con le spade sguainate, ma si tenevano ad una certa distanza, temendo assai la sua forza.

E uno di quei guerrieri, alquanto valoroso, che si chiamava Arud, si avvicinò a Giuda e lo colpì alla testa con la sua spada; e Giuda indietreggiò rapidamente e si protesse la testa con lo scudo, che si spaccò in due pezzi per la violenza del colpo.

E quel guerriero valoroso, dopo aver inferto quel forte colpo, si dileguò per mettersi in salvo, temendo la reazione di Giuda, e, correndo, inciampò e cadde dalla muraglia proprio tra i figli di Giacobbe, che lo trafissero a morte.

E Giuda provò un forte dolore alla testa per il colpo ricevuto da quel valoroso guerriero, che aveva rischiato di ucciderlo.

E Giuda urlò per il dolore dall'alto della muraglia; e quando Dan lo sentì fu invaso da un impeto di ira e corse rapidamente verso la muraglia che valicò in un baleno.

E quando Dan raggiunse suo fratello Giuda in cima alla muraglia, quelli che lo assediavano scapparono e trovarono rifugio su un secondo bastione, da cui presero a scagliare frecce e pietre contro i due, con l'intento di farli scendere dalla muraglia.

E le frecce e i sassi tempestarono Dan e Giuda, che rischiarono di morire sulla muraglia; e Dan e Giuda scapparono da quel posto, perché erano facile bersaglio delle frecce e dei sassi che venivano lanciati dal secondo bastione.

E Giacobbe e i suoi figli, che si trovavano ancora all'entrata della città sotto la prima muraglia, non potevano più scoccare le loro frecce contro gli abitanti della città, che non vedevano più, dal momento che si erano riversati sull'altro bastione.

E Dan e Giuda, non potendo più sopportare le pietre e le frecce scagliategli contro dalla seconda muraglia, raggiunsero il secondo bastione e si avventarono su quella gente; e costoro, vedendo che Dan e Giuda avevano valicato la muraglia, si misero a urlare e a fuggire verso il basso.

E quando Giacobbe e i suoi figli, che erano ancora all'ingresso della città, sentirono quelle urla, temettero per Dan e Giuda, che non vedevano, essendo loro sulla seconda muraglia.

E Naftali, in un impeto di collera, si arrampicò sulla prima muraglia per capire il motivo degli schiamazzi, che provenivano dalla città; e Issachar e Zebulun si avventarono sulle porte della città e le sfondarono, per cui entrarono tutti in città.

E Naftali saltò dalla prima alla seconda muraglia e arrivò in soccorso ai due suoi fratelli; e gli abitanti di Gaash, che erano sul bastione, vedendo che Naftali era il terzo ad assistere i propri fratelli, si dileguarono e scesero all'interno della città; e Giacobbe, i suoi figli e il suo seguito entrarono in città per poterli raggiungere.

E Giuda, Dan e Naftali, scesi dalle mura in città, si misero ad inseguire la gente del posto; Simeone e Levi, che si trovavano fuori città e non sapevano che il portone era stato aperto, valicarono la cinta muraria e scesero in città per raggiungere i loro fratelli.

E gli abitanti, che erano scesi giù in città, furono raggiunti dai figli di Giacobbe, che arrivando da più direzioni, li circondarono per combatterli di fronte e a tergo; e i figli di Giacobbe fecero una strage e uccisero circa 20.000 uomini e donne e nessuno di loro riuscì a contrastali.

E il sangue che scorse a rivoli arrivò anche al di fuori della città e raggiunse il declivio di Bet Horon.

E la gente di Bet Horon vide a distanza il sangue che usciva dalla città di Gaash e circa una settantina di loro corse a vedere cosa stava succedendo.

E, seguendo la scia di sangue, arrivarono alle porte di Gaash e qui videro il sangue che scorreva fuori; e sentirono i pianti e i lamenti degli abitanti di Gaash, che salivano al cielo col sangue che scorreva come un fiume.

E i figli di Giacobbe in quel giorno batterono gli abitanti di Gaash e ne uccisero circa ventimila, tra uomini e donne; e la gente di Bet Horon disse: "Certamente sono stati gli Ebrei, che sono ancora in guerra con tutte le città degli Emorei".

Ed essi si affrettarono a tornare a Bet Horon, e ognuno di loro indossò i propri armamenti e andò di casa in casa per allertare la popolazione ed esortarla a prendere le armi e combattere i figli di Giacobbe.

E dopo aver sbaragliato gli abitanti di Gaash, i figli di Giacobbe percorsero la città per spogliare le salme; e quando furono nella parte più interna della città, si imbatterono in tre guerrieri molto valorosi, ma disarmati.

E quando i figli di Giacobbe furono in quel luogo, i tre guerrieri si avventarono su di loro e uno dei tre strinse a sé Zebulun, che, con la sua forza, aveva scaraventato a terra un giovane ragazzo di bassa statura.

E Giacobbe corse verso di lui con la spada sguainata e lo colpì sotto i lombi e lo tranciò in due, per cui metà corpo cadde su Zebulun.

E, ad un tratto, un secondo guerriero si scagliò contro Giacobbe e lo spinse per farlo cadere, ma Giacobbe si voltò di scatto e gli urlò contro, mentre Simeone e Levi gli si avventarono contro e lo colpirono alle gambe, facendolo cadere a terra.

Ma quell'uomo forte si rialzò subito infuriato; e in quel momento Giuda lo decapitò con la propria spada.

E il terzo guerriero, vedendo che avevano ucciso i suoi due compagni, scappò via e i figli di Giacobbe lo inseguirono all'interno della città; e il guerriero, fuggendo, riuscì a raccattare una spada dagli abitanti della città e con essa affrontò i figli di Giacobbe.

E quel forte guerriero si avventò su Giuda per colpirlo alla testa, dal momento che Giuda era senza scudo; e mentre cercava di colpirlo, Naftali rapidamente proteggè con il proprio scudo la testa del fratello, per cui il violento colpo andò a sbattere contro lo scudo di Naftali e Giuda fu salvato.

E Simeone e Levi si avventarono su costui e lo colpirono violentemente alla testa e quindi gli mozzarono il corpo in due parti.

E in quel giorno, che stava per finire, i figli di Giacobbe uccisero quei tre prodi guerrieri con tutti gli abitanti di Gaash.

E i figli di Giacobbe percorsero in lungo e in largo la città di Gaash e ne depredarono le spoglie e lasciarono in vita le donne e i bambini; e i figli di Giacobbe fecero a Gaash ciò che avevano fatto a Sarton e Shiloh.

E i figli di Giacobbe, dopo aver saccheggiato la città, uscirono da Gaash a notte fonda.

E mentre erano in cammino per raggiungere il castello di Bet Horon, ecco che anche gli abitanti del posto si dirigevano verso il castello per contrastarli; e in quella notte, i figli di Giacobbe si scontrarono in battaglia con gli abitanti di Bet Horon, nel locale castello.

E tutti gli abitanti di Bet Horon erano guerrieri valorosi, nessuno di loro sarebbe mai scappato di fronte a mille nemici; e combatterono in quella notte buia sui bastioni del castello, e le loro grida furono sentite a grande distanza e persino la terra tremò per quegli alti schiamazzi.

E i figli di Giacobbe temettero quei guerrieri, anche perché non erano abituati a combattere di notte, per cui ne furono intimoriti; e i figli di Giacobbe invocarono il Signore e dissero: "Deh, aiutaci, o Signore, e salvaci dalla morte che potrebbero procurarci questi incirconcisi".

Ed il Signore esaudì la preghiera dei figli di Giacobbe e fece sì che un grande terrore e una grande confusione si impadronissero dei guerrieri di Bet Horon, che nel buio fitto della notte, cominciarono a duellare l'un contro l'altro e a colpirsi a morte a vicenda, in gran numero.

Ed i figli di Giacobbe capirono che il Signore aveva gettato lo scompiglio tra costoro, che combattevano fra di loro; ed essi si allontanarono dalle schiere di armati di Bet Horon e discesero lungo il pendio di Bet Horon e vi pernottarono al sicuro in quella notte.

E tutti i guerrieri di Bet Horon ingaggiarono tra di loro una furiosa battaglia, durante quella notte e il clamore degli scontri si alzava da ogni parte del castello e le loro grida si sentivano a distanza e persino la terra sussultava a causa dei loro schiamazzi, che si elevavano potenti su tutto il paese.

Ed il clamore di quella battaglia notturna si sentì anche nelle città dei Cananei, degli Ittiti, degli Emorei, degli Ivvei e dei re di Canaan, e persino nei territori oltre il Giordano.

Ed essi dissero: "Queste sono di sicuro le guerre che gli Ebrei stanno combattendo contro le sette città, che si sono a loro opposte; chi riuscirà mai a sconfiggere questi Ebrei?".

E tutti gli abitanti delle città cananee e di quelle che si trovavano nei territori oltre il Giordano, temendo molto i figli di Giacobbe, dicevano: "Ecco che faranno anche a noi ciò che hanno fatto a quelle città; chi potrà mai tener testa alla loro strapotenza?".

E le grida degli Horoniti furono alte in quella notte e non sminuirono d'intensità; e al sorgere dell'alba, erano numerosi i caduti in battaglia.

E alle prime luci del mattino, si levarono i figli di Giacobbe e raggiunsero la cima del castello e qui massacrarono gli Horoniti superstiti.

E all'alba del sesto giorno, tutti gli abitanti di Canaan videro da lontano che la gente di Bet Horon giaceva esanime e sfracellata sotto il castello di Bet Horon, come carcasse di ovini morti.

E i figli di Giacobbe, con il bottino che avevano catturato a Gaash, entrarono a Bet Horon e vi trovarono una città piena di gente, numerosa come la sabbia del mare ed essi li combatterono e ne fecero strage fino al calar della sera.

E i figli di Giacobbe fecero a Bet Horon ciò che avevano fatto a Gaash e a Tapuah, a Hazar, a Sarton e a Shiloh.

E i figli di Giacobbe si impossessarono delle spoglie di Bet Horon oltre ai bottini già conquistati e nello stesso giorno si diressero verso Sh'hem.

E nel sesto giorno i figli di Giacobbe arrivarono a Sh'hem e si accamparono e pernottarono fuori dalla città e qui si riposarono dopo le fatiche della guerra.

E tutto il seguito, con i bottini che aveva conquistato nelle diverse città, rimase al di fuori della città e preferì non entrare in città, pensando che fosse meglio evitare nuove guerre e nuovi assedi a Sh'hem.

E Giacobbe, coi suoi figli e il suo seguito, rimase lì quella notte e l'indomani si recò in quel pezzo di terra che aveva acquistato da Hamor per cinque shekel e qui vi rimase con tutti i bottini di guerra.

E tutto ciò che avevano catturato i figli di Giacobbe, innumerevole come la sabbia del mare, stazionò in quella porzione di campo.

E gli abitanti del paese, che vedevano da lontano i figli di Giacobbe, li temevano assai per le loro imprese belliche, dal momento che mai prima d'ora un qualsiasi re aveva fatto altrettanto.

E i sette re dei Cananei decisero di fare la pace coi figli di Giacobbe, poiché temevano molto per la propria vita.

E in quel settimo giorno, Giafia, re di Hebron, inviò in gran segreto dei messi ai re di Ai, di Ghibeon, di Shalem, di Adulam, di Lachisha, di Hazar e ai monarchi cananei, che erano sotto la sua giurisdizione, per dire loro: "Venite subito da me e rechiamoci dai figli di Giacobbe per far con loro un trattato di pace e di alleanza militare; altrimenti le vostre terre saranno distrutte dalle loro armi, come fecero già a Sh'hem e nelle città intorno, come avete potuto sentire e anche constatare. E quando verrete da me, non portatevi tanti uomini ma ogni re porti con sé tre suoi generali e ogni generale porti tre suoi ufficiali. E raggiungetemi a Hebron, e insieme ci recheremo dai figli di Giacobbe e li supplicheremo di fare con noi un trattato di pace".

E tutti i re obbedirono al re di Hebron e accettarono di stare sotto il suo comando e anche i monarchi cananei si radunarono per recarsi dai figli di Giacobbe e far la pace con loro; e i figli di Giacobbe tornarono al loro terreno a Sh'hem ma non si fidarono dei re del paese.

E i figli di Giacobbe rimasero in attesa nel loro campo per dieci giorni e nessuno venne a far loro guerra.

E quando i figli di Giacobbe videro che non c'era alcun segnale di guerra, si riunirono in assemblea e decisero di far ritorno a Sh'hem e qui vi si stabilirono.

E al termine di quaranta giorni, tutti i re emorei arrivarono dalle rispettive città a Hebron, per incontrare Giafia, il re della città.

E il numero dei monarchi che si radunarono a Hebron, per fare la pace coi figli di Giacobbe, fu di 21; e il numero dei generali fu di 63 e il numero di ufficiali fu di 189; e tutti costoro si accamparono sul monte Hebron.

E il re di Hebron uscì loro incontro con tre suoi generali e nove ufficiali; e i re decisero di andare dai figli di Giacobbe per far la pace.

E dissero al re di Hebron: "Va' tu davanti a noi con i tuoi uomini e parla anche a nome nostro ai figli di Giacobbe; e dopo ti seguiremo e agiremo secondo i tuoi ordini". E il re di Hebron fece come gli avevano detto.

E i figli di Giacobbe, dopo aver sentito che tutti i re di Canaan si erano riuniti a Hebron, mandarono quattro loro servitori in veste di spie, dicendo loro:"Andate a spiare questi re, cercando di capire quanti sono gli uomini che li accompagnano, se sono tanti o pochi; e quindi, dopo averli contati, fate ritorno".

E i servitori arrivarono di nascosto dai re e seguirono gli ordini dei figli di Giacobbe; e nello stesso giorno tornarono dai loro padroni e raccontarono loro: "Siamo stati da questi re e abbiamo visto che sono pochi di numero e abbiamo contato anche tutto il loro seguito; si tratta di 288 uomini in tutto".

E i figli di Giacobbe dissero: "Sono pochi di numero e non c'è motivo che tutti noi andiamo ad affrontarli". Al mattino, i figli di Giacobbe partirono accompagnati da 62 loro guerrieri scelti; ed indossarono le loro armi da guerra, dicendo: "Vengono verso di noi per farci guerra" non sapendo che quelli erano invece intenzionati a far la pace.

E i figli di Giacobbe, insieme al loro padre, giunsero con i loro uomini alla porta di Sh'hem, per affrontare questi re.

E quando furono prossimi alla città, ecco venir loro incontro il re di Hebron con tre suoi generali e nove ufficiali; e i figli di Giacobbe, vedendoli arrivare da lontano, riconobbero Giafia, re di Hebron, con i suoi militari; e i figli di Giacobbe si posizionarono davanti al portone di Sh'hem e non si mossero.

E il re di Hebron, con il suo seguito, continuò ad avanzare e e quando furono vicini ai figli di Giacobbe, si prostrarono a terra davanti a loro.

E i figli di Giacobbe dissero loro: "Che c'è, o re di Hebron? Perché oggi sei venuto qui? Cosa vuoi da noi?". E il re di Hebron rispose a Giacobbe: "Ecco il motivo, mio signore, in questo giorno tutti i re cananei desiderano fare la pace con voi".

E i figli di Giacobbe, ascoltando le parole del re di Hebron, rimasero indifferenti perché non avevano fiducia in lui e sospettavano che stesse tramando qualche inganno.

E il re di Hebron, dalla risposta dei figli di Giacobbe, capì che essi non credevano alle sue parole; quindi si avvicinò a Giacobbe e gli disse: "Ti assicuro, o mio signore, che tutti questi re vengono a voi in pace, e ne fa fede il fatto che sono venuti senza i loro eserciti; ed anche sono arrivati disarmati, perché chiedono di fare la pace con te e con i tuoi figli".

E i figli di Giacobbe risposero al re di Hebron: "Manda a dire a tutti i re, che si presentino qui a uno a uno e così vedremo se stai dicendo la verità; e se vengono qui disarmati allora capiremo che sono venuti veramente per fare la pace con noi".

E Giafia, re di Hebron, mandò uno dei suoi uomini dai re, e quelli arrivarono davanti ai figli di Giacobbe e si prostrarono a terra; e questi re, al cospetto di Giacobbe e dei suoi figli, così parlarono: "Tutti noi abbiamo sentito ciò che avete fatto ai re emorei con le vostre spade, i vostri archi e la vostra immensa potenza, per cui nessuno vi può contrastare e noi temiamo assai per la nostra vita perché non vorremmo fare la loro fine. Perciò siamo venuti da voi per firmare un trattato di pace; per cui stipuliamo un patto di vera pace, secondo il quale voi non ci farete male alcuno e noi altrettanto con voi".

E i figli di Giacobbe si convinsero che quelli dicevano il vero ed erano venuti per riconciliarsi e così stipularono insieme un trattato di pace.

E i figli di Giacobbe giurarono che non avrebbero fatto loro alcun male e i re cananei fecero altrettanto; e da quel giorno in poi, i re cananei si impegnarono a diventare tributari dei figli di Giacobbe.

E dopo ciò, tutti i generali dei re si presentarono con i loro ufficiali al cospetto di Giacobbe, portando con loro dei doni per lui e per i suoi figli e prostrandosi loro a terra.

E questi re supplicarono i figli di Giacobbe di restituire loro le spoglie che avevano catturato nelle sette città emoree saccheggiate; e i figli di Giacobbe esaudirono la loro richiesta e restituirono i bottini che avevano preso, insieme alle donne, ai bambini, agli armenti e alle spoglie, per cui li lasciarono partire e tornare alle loro città di appartenenza.

E questi re si prostrarono a terra nuovamente davanti ai figli di Giacobbe e mandarono loro numerosi regali in quei giorni; e i figli di Giacobbe si congedarono in pace da quei re e dai loro uomini, che fecero ritorno alle loro città, mentre i figli di Giacobbe rientrarono alle loro dimore a Sh'hem.

E da quel giorno in avanti ci fu pace fra i figli di Giacobbe e i re cananei, per tutto il tempo che i figli di Israele presero possesso della terra di Canaan.

 

 

 

VA-YESHEV(e si stabilì)

 

 

E al termine dell'anno, Giacobbe coi suoi figli partì da Sh'hem e giunse a Hebron da suo padre Isacco e qui vi si stabilì; tuttavia lasciò i greggi e gli armenti a pasturare ogni giorno a Sh'hem, perché lì in quel tempo i pascoli erano fertili e abbondanti; e Giacobbe coi figli e i servitori dimorò nella valle di Hebron.

E avvenne in quei giorni e in quell'anno, che era il 106esimo anno di vita di Giacobbe, e anche il decimo anno dal suo arrivo da Padan Aram, che morì sua moglie Lea; e Lea morì a Hebron all'età di 51 anni.

E Giacobbe e i suoi figli seppellirono Lea nella grotta di Machpelà, che si trova a Hebron e che Abramo aveva comprato dai figli di Heth, come proprietà ad uso di sepoltura.

E i figli di Giacobbe abitarono con loro padre nella valle di Hebron e tutti gli abitanti del paese erano a conoscenza della loro potenza e della loro fama.

E Giuseppe, figlio di Giacobbe e suo fratello Beniamino, che erano i figli di Rachele, moglie di Giacobbe, erano ancora bambini a quel tempo e non avevano partecipato alle guerre che i loro fratelli avevano condotto contro tutte le città degli Emorei.

E Giuseppe era cresciuto vedendo la forza e il valore dei suoi fratelli, che lodava ed esaltava in sommo grado e ne era molto orgoglioso; e Giacobbe, suo padre, lo prediligeva fra tutti i suoi figli, anche perché era il figlio della sua vecchiaia e per l'amore che gli portava gli aveva fatto una tunica a righe.

E Giuseppe, vedendo che suo padre lo prediligeva fra tutti i fratelli, divenne altezzoso con loro e sparlava di loro con il proprio genitore.

E i figli di Giacobbe, vedendo come Giuseppe si comportava con loro e come il loro genitore lo prediligeva, non lo potevano sopportare e non gli potevano parlare in modo amorevole.

E Giuseppe, che aveva 17 anni, persisteva nel suo atteggiamento verso i propri fratelli, considerandosi superiore a loro.

E in quel tempo fece un sogno e andò dai suoi fratelli a raccontarlo; e disse loro: "Ascoltate il sogno che ho fatto: Ecco, mentre legavamo i covoni nel campo, il mio covone si alzava e si ergeva diritto e i vostri lo circondavano e gli si prostravano a terra".

E i suoi fratelli gli dissero: "Cosa vuol dire questo sogno che hai fatto? Pensi forse in cuor tuo di regnare o dominare su di noi?".

E Giuseppe andò anche da suo padre a raccontargli il sogno fatto: e Giacobbe lo baciò quando ascoltò il sogno e quindi lo benedì.

E quando i figli di Giacobbe videro che il loro padre aveva benedetto Giuseppe e lo aveva baciato, per il grande affetto che gli portava, ne divennero gelosi e ancor più presero ad odiarlo.

E, dopo ciò, Giuseppe fece un altro sogno e lo andò a raccontare a suo padre, alla presenza dei propri fratelli; e Giuseppe raccontò loro: "Ascoltate quest'altro sogno che ho fatto: ecco che il sole, la luna e undici stelle si inchinavano a me".

E dopo aver ascoltato il sogno, suo padre, temendo che i fratelli lo odiassero ancor più, sgridò il figlio davanti ai fratelli, dicendo: "Che razza di sogno è mai questo? Pensi forse di essere superiore ai tuoi fratelli, che sono più grandi di te? Pensi forse in cuor tuo che io, tua madre e i tuoi undici fratelli verremo a prostrarci davanti a te, come mostra il tuo sogno?".

E i suoi fratelli divennero invidiosi a causa delle sue parole e dei suoi sogni e continuarono a detestarlo e Giacobbe ricordò in cuor suo i sogni del figlio.

E un giorno, i figli di Giacobbe andarono a pasturare il gregge paterno a Sh'hem, che in quel tempo era ancora il luogo prediletto; e avvenne che, una volta, ritardando il tempo della raccolta del gregge a Sh'hem, i figli di Giacobbe non rientrarono a casa in tempo.

E Giacobbe, vedendo che i figli tardavano a rientrare da Sh'hem, pensò in cuor suo che forse gli abitanti della città erano insorti contro di loro.

E Giacobbe chiamò Giuseppe e gli disse: "I tuoi fratelli sono oggi a pascolare a Sh'hem ma però non sono ancora rientrati; va', ti prego, a vedere come stanno e come sta il bestiame e fammelo sapere".

E Giacobbe mandò suo figlio Giuseppe dalla valle di Hebron e Giuseppe si recò a Sh'hem ma non trovò i fratelli; e così proseguì verso un pascolo vicino e, cercando i propri fratelli, sbagliò strada e si ritrovò in un luogo desolato, per cui non sapeva quale strada prendere.

E un angelo di Dio, vedendo che si era smarrito, gli domandò: "Giuseppe, Giuseppe, dove stai andando? e cosa stai cercando?". E Giuseppe gli rispose: "Sto cercando i miei fratelli. Sai forse dove stanno pascolando?". E l'angelo di Dio gli disse: "Li ho visti pascolare qui vicino e ho sentito che dicevano che si sarebbero diretti a Dotan".

E Giuseppe seguì le parole dell'angelo di Dio e andò a Dotan e qui trovò i suoi fratelli che pascolavano.

E Giuseppe si avviò verso i suoi fratelli, i quali, vedendolo arrivare da lontano e prima che si avvicinasse a loro, pensarono di ucciderlo.

E Simeone disse ai propri fratelli: "Oh, ecco il signore dei sogni che ci sta venendo incontro proprio oggi; sù, uccidiamolo e gettiamolo in uno dei pozzi di questa landa desolata e quando nostro padre lo cercherà diremo che una bestia feroce lo ha sbranato".

E Reuben, udendo le parole dei fratelli, disse loro: "Non fate una cosa simile! Come potremmo poi guardare in faccia nostro padre Giacobbe? Gettatelo pure in questo pozzo per farlo morire ma non mettetegli le mani addosso versando il suo sangue". E Reuben aveva parlato così perché intendeva salvarlo e restituirlo poi al padre.

E quando Giuseppe raggiunse i suoi fratelli e si sedette davanti a loro, essi si avventarono su di lui, lo afferrarono e lo fecero cadere terra; quindi gli tolsero la tunica a righe che indossava.

E lo presero e lo gettarono in un pozzo; e il pozzo era secco, non c'era acqua ma solo serpi e scorpioni. E Giuseppe, spaventato dai serpenti e dagli scorpioni presenti nel pozzo, cominciò a gridare a squarciagola e il Signore spostò i rettili ai margini del pozzo, per cui non fecero alcun male a Giuseppe.

E Giuseppe dal fondo del pozzo chiamò i fratelli e disse loro: "Che cosa vi ho fatto e in che cosa ho peccato? Perché non temete il Signore facendomi del male? Non sono forse ossa delle vostre ossa e carne della vostra carne? E non è forse Giacobbe, vostro padre, anche mio padre? Perché mi fate una cosa simile? Come potrete poi guardare in faccia nostro padre Giacobbe?".

Ed egli continuò a disperarsi e a implorare i fratelli dal fondo del pozzo, dicendo: "O Giuda, Simeone e Levi, fratelli miei, tiratemi fuori da questo luogo buio in cui mi avete gettato e abbiate paura del Signore e di nostro padre Giacobbe; e se io ho peccato nei vostri confronti, siete pur sempre i figli di Abramo, Isacco e Giacobbe! E se vedeste un orfano non avreste forse per lui pietà o un affamato non gli dareste forse del pane, o un assetato dell'acqua da bere o un ignudo non gli dareste un vestito per coprirlo? E non avete pietà di vostro fratello, ossa delle vostre ossa e carne della vostra carne? E se ho peccato nei vostri confronti, fatelo almeno per mio padre!".

E mentre Giuseppe li implorava piangendo dal fondo del pozzo, i suoi fratelli lo ignoravano e non gli davano retta.

E Giuseppe disse: "Magari mio padre potesse sapere in questo momento ciò che mi hanno fatto i miei fratelli e ciò che mi hanno detto!".

E i fratelli, pur sentendo il pianto e le implorazioni di Giuseppe provenire dal pozzo, se ne andarono via perché non volevano più sentire i suoi lamenti.

E quindi si sedettero a mangiare dalla parte opposta, a distanza di un lancio di freccia; e mentre mangiavano, discutevano tra loro sul da farsi, se lasciarlo morire o restituirlo al padre.

E mentre parlavano, videro arrivare una carovana di ismaeliti, proveniente da Ghil'ad e diretta verso l'Egitto.

E Giuda disse ai fratelli: "Che guadagno avremo ad uccidere nostro fratello se poi dovremo renderne conto al Signore? Questa è la proposta che faccio e che metteremo in atto: ecco una carovana di ismaeliti che sta venendo verso di noi ed è diretta in Egitto. Noi gli venderemo Giuseppe e così gli risparmieremo la vita e quelli lo condurranno con sé e lui si perderà tra la gente del paese e noi eviteremo di farlo morire".

E la proposta di Giuda piacque ai fratelli, che decisero di metterla in atto.

E mentre discutevano e la carovana degli ismaeliti si avvicinava, ecco arrivare sette mercanti midianiti; ed essi, che erano molto assetati, videro il pozzo in cui si trovava Giuseppe; e notarono che sopra il pozzo svolazzavano diverse specie di uccelli.

E i midianiti corsero verso il pozzo per abbeverarsi, pensando che fosse pieno d'acqua; e quando furono a ridosso del pozzo, sentirono le urla e il pianto di Giuseppe e, guardando all'interno, scorsero un giovane molto bello.

Ed essi, rivolti a lui, gli domandarono: "Chi sei? Cosa ci fai qui? E chi ti ha messo in questo pozzo in mezzo al deserto?". Ed essi si diedero da fare per estrarlo dal pozzo; e, dopo averlo tirato fuori, lo presero con sé e continuarono per la loro strada; e passarono vicino ai fratelli, che videro Giuseppe in mano a questi midianiti.

E i fratelli dissero loro: "Perché ci avete preso il nostro schiavo e ve lo siete portato via? Siamo stati noi a metterlo nel pozzo, perché si era ribellato e voi siete arrivati, lo avete tirato fuori e ora lo portate via? Ebbene, ridateci subito il nostro schiavo!".

E i midianiti risposero ai figli di Giacobbe: "E' costui un vostro schiavo o un vostro servitore? O forse siete voi tutti suoi schiavi? Dal momento che è di gran lunga più bello di voi tutti messi insieme e che menzogne ci state mai raccontando? Noi non daremo certo retta alle vostre parole, dal momento che siamo stati noi a trovare il ragazzo in un pozzo in mezzo al deserto, e lo abbiamo preso con noi e ce ne andremo per la nostra strada".

E i figli di Giacobbe si avvicinarono minacciosamente a loro e dissero: "Ridateci subito il nostro schiavo, altrimenti vi ammazziamo tutti con le nostre spade!". E i midianiti alzarono la voce a loro volta, estrassero le loro spade, pronti a duellare con i figli di Giacobbe.

E Simeone si alzò di scatto dal suo posto e si avventò su di loro con la spada sguainata; ed emise un urlo fortissimo, che si sentì a grande distanza e fece tremare la terra.

E i midianiti rimasero terrorizzati dalla potenza dell'urlo di Simeone e caddero spaventati a terra.

E Simeone disse loro: "In verità, io sono Simeone, il figlio di Giacobbe l'Ebreo, e da solo, ho raso al suolo la città di Sh'hem e, insieme ai miei fratelli, le città degli emorei; e il Signore mi ha dato una tal forza che nulla hanno potuto contro di me i vostri fratelli, popolo di Midian, e così pure i re di Canaan, a voi alleati. Per cui ridatemi subito il ragazzo che avete preso, altrimenti darò i vostri corpi in pasto ai volatili del cielo e alle belve della terra".

E i midianiti, spaventati da Simeone, si avvicinarono impauriti ai figli di Giacobbe, e con un tono di voce remissivo dissero: "Avete detto che questo giovanotto è un vostro servo e che lo avete calato giù nel pozzo perché vi si era ribellato; e quale pena infliggerete ad uno schiavo che si è ribellato al proprio padrone? Ebbene, vendetelo adesso a noi e vi daremo tutto ciò che chiederete in cambio".

E al Signore piacque la proposta per la quale i figli di Giacobbe non avrebbero ucciso il loro fratello.

E i midianiti, vedendo che Giuseppe era di bell'aspetto e di buona costituzione, lo volevano ed erano disposti a comprarlo dai suoi fratelli.

E i figli di Giacobbe accettarono la proposta dei midianiti e vendettero Giuseppe per venti monete di argento, e, in quel frangente, Reuben non era presente; e i midianiti presero Giuseppe e continuarono il loro viaggio verso Ghilad.

E strada facendo, i midianiti si pentirono di aver comprato quel giovane ragazzo; e si dissero l'un l'altro: "Cos'è mai questa cosa che abbiamo fatto? Perché mai abbiamo comprato dagli ebrei questo giovanotto di bell'aspetto e di buona costituzione? Forse è stato rubato dal paese degli ebrei e perché mai abbiamo fatto un affare simile? E se qualcuno lo richiedesse e lo trovasse nelle nostre mani, potrebbero ucciderci a causa sua. E poi quelli che ce lo hanno venduto sono gente tosta e potente e avete potuto oggi constatare la forza di uno solo di loro; forse lo hanno rubato dal suo paese con il loro potente braccio armato e quindi ce lo hanno venduto per quei pochi soldi che gli abbiamo dato".

E mentre così discorrevano, videro avvicinarsi la carovana di ismaeliti, che, in precedenza, era passata vicino a loro e che era stata intravista anche dai figli di Giacobbe; e i midianiti si dissero tra loro: "Sù, vendiamo il ragazzo a questa carovana di ismaeliti che ci sta venendo incontro, e così ci riprenderemo quei pochi soldi che abbiamo speso per comprarlo e ci libereremo definitivamente da futuri fastidi".

E, infatti, così agirono.

E dopo aver raggiunto gli ismaeliti, i midianiti vendettero loro Giuseppe per venti monete di argento, che era la somma che avevano dato ai suoi fratelli.

E i midianiti proseguirono il loro cammino verso Ghilad; e gli ismaeliti presero Giuseppe, lo misero in groppa ad un cammello, e si diressero verso l'Egitto.

E Giuseppe, quando sentì che quelli erano diretti in Egitto, si disperò e pianse perché si stava allontanando dalla terra di Canaan e da suo padre; e, in sella a un cammello, pianse a lungo e uno dei carovanieri, vedendo che si lamentava, lo fece scendere dal cammello e lo fece camminare a piedi; e Giuseppe continuò a piangere e ad invocare suo padre.

Ed uno degli ismaeliti, infastidito da quel pianto incessante, schiaffeggiò Giuseppe che però continuò a lamentarsi; e Giuseppe, che era amareggiato e stremato dalla fatica, non era più in grado di camminare; e i carovanieri si misero a picchiarlo, a molestarlo e a minacciarlo se non avesse cessato di lamentarsi.

E il Signore, vedendo l'afflizione e lo strazio di Giuseppe, fece scendere su di loro il buio e la confusione e seccò le mani di quelli che avevano colpito Giuseppe.

Ed essi si dissero l'un l'altro: "Cos'è mai questa cosa che, strada facendo, ci fa il Signore?". Ed essi non sapevano che quanto avveniva era a causa di Giuseppe. E, proseguendo per il loro cammino, arrivarono alla strada per Efrat, dove era sepolta Rachele.

E quando Giuseppe fu vicino alla tomba di sua madre, si mise a correre e si prostrò a terra piangendo.

E Giuseppe levò alto il suo lamento davanti al sepolcro della madre e disse: "O madre mia, madre mia, o tu che mi partoristi, dèstati, àlzati e vedi come tuo figlio è stato venduto come schiavo, senza pietà alcuna. Ti prego, aiutami, guarda com'è ridotto tuo figlio e come le sue lacrime bagnino le sue guance; o madre mia, madre mia, fai qualcosa e guarda il pianto di tuo figlio e piangi con lui la sua disgrazia e vedi la crudeltà di cuore dei suoi fratelli; dèstati, madre mia, svegliati dal tuo sonno, vienimi in soccorso e combatti contro i miei fratelli, che mi hanno denudato, togliendomi la tunica e mi hanno venduto per due volte come schiavo e mi hanno separato da mio padre senza provare pietà alcuna. Fa' qualcosa e perora la mia causa contro di loro davanti a Dio e vedi a chi Egli darà ragione e a chi darà torto nel giudizio. Dèstati, madre mia, svegliati dal tuo sonno e vedi come l'anima e il cuore di mio padre siano oggi rivolti a me; ti prego, confortalo e parla al suo cuore!".

E, nel pronunciare queste parole, Giuseppe gridava e piangeva disperato davanti alla tomba di sua madre; e, ad un certo punto, smise di parlare e, per l'amarezza del suo animo, rimase come impietrito.

E Giuseppe udì una voce provenire da sotto terra che parlava al suo cuore amareggiato e questa voce di pianto e di preghiera gli diceva: " Figlio mio, figlio mio Giuseppe, ho sentito la voce del tuo pianto e le tue invocazioni e ho anche visto le tue lacrime; so della tua disgrazia, caro figlio mio, e questo mi addolora molto e aggiunge altro dispiacere al mio strazio. Tuttavia, adesso, caro figlio mio, spera in Dio e abbi fiducia in Lui e non temere, poiché il Signore è con te e ti salverà da ogni avversità. Rincuorati, figlio mio, e va' pure in Egitto coi tuoi padroni e non aver paura, poiché il Signore sarà con te, caro figlio mio. E disse queste parole a Giuseppe, che rimase in silenzio".

E Giuseppe, ascoltando ciò, rimase stupito ma riprese a piangere; a quel punto, uno degli ismaeliti, vedendolo piangere e lamentarsi davanti alla tomba, fu colto da un impeto d'ira, per cui lo cacciò via da quel posto tra botte e insulti.

E Giuseppe disse ai carovanieri: "Se non vi dispiace, riportatemi alla casa di mio padre, che vi farà diventare ricchi con un'abbondante ricompensa".

Ed essi gli risposero: "Non sei tu forse uno schiavo? E chi sarebbe tuo padre? E se fosse come dici tu, come mai ti hanno venduto come schiavo per ben due volte per pochi soldi?". E la loro collera aumentò ancor più, per cui continuarono a picchiarlo e a umiliarlo e Giuseppe non cessò di piangere.

E Dio, vedendo l'afflizione di Giuseppe, colpì nuovamente quegli uomini; e alzò un vento fortissimo che li avvolse nell'oscurità e scatenò una serie di lampi e di potenti tuoni, i cui suoni, combinati con i turbini di vento, li terrorizzarono a tal punto che non sapevano più da che parte andare.

E gli animali e i cammelli rimasero fermi, e nonostante i carovanieri li spingessero e li picchiassero per smuoverli, essi si rifiutavano di procedere e si accovacciavano a terra; e quelli si dicevano l'un l'altro: "Che cosa ci sta facendo Dio? In che cosa abbiamo peccato e trasgredito che ci colpisce in questo modo?".

E uno di loro disse: "Forse ci è successo tutto ciò perché abbiamo trattato male questo povero schiavo; per cui, chiediamo il suo perdono e così potremo sapere se è veramente lui la causa del nostro male; e se il Signore avrà pietà di noi allora sapremo che è per il peccato che abbiamo commesso contro questo schiavo che ci succedono tutte queste contrarietà".

E così fecero e supplicarono Giuseppe di perdonarli e gli dissero: "Abbiamo peccato davanti al Signore e davanti a te; e ora, deh, prega il tuo Dio affinché ci liberi da questa morte, dal momento che abbiamo peccato davanti a Lui".

E Giuseppe esaudì la loro richiesta e Dio ascoltò la sua preghiera, per cui annullò i flagelli con i quali li aveva colpiti.

E gli animali si rialzarono in piedi, si fecero condurre e ripresero a camminare; la tempesta cessò e tutto tornò alla calma e così i carovanieri ripresero il loro cammino, diretti verso l'Egitto; ed essi capirono che tutto quel male era loro capitato a causa di Giuseppe.

Ed essi si dissero l'un l'altro: "Ecco, adesso sappiamo bene che tutta questa disgrazia ci è capitata a causa di questo schiavo; e, ora, che senso ha rischiare la nostra vita? Vediamo un po' cosa sia meglio fare con lui".

E uno di loro propose: "Costui non ci ha chiesto forse di riconsegnarlo a suo padre? Ebbene, portiamolo indietro e rechiamoci nel posto che lui ci indicherà, prendiamo dalla sua famiglia la somma di denaro che abbiamo pagato per lui e riprendiamo il nostro cammino".

E un altro aggiunse: "La tua proposta è ottima, tuttavia non la possiamo attuare perché la sua casa è troppo lontana e noi non possiamo adesso tornare indietro".

E un terzo dichiarò ai compagni: "Ciò che hai detto è vero e non possiamo agire altrimenti; ecco, proseguiamo oggi il nostro cammino per l'Egitto e quando vi saremo arrivati lo venderemo a un buon prezzo e ci libereremo così da questo fastidio".

E la sua proposta piacque ai compagni, che la misero in atto, per cui proseguirono il loro cammino verso l'Egitto insieme a Giuseppe.

E i figli di Giacobbe, dopo aver venduto Giuseppe ai midianiti, furono presi dal rimorso e si pentirono della loro azione, per cui tornarono indietro per riprenderlo; ma, però, non lo trovarono.

E Reuben tornò al pozzo dentro al quale era stato gettato Giuseppe per tirarlo fuori e riconsegnarlo a suo padre; e quando Reuben arrivò al pozzo, non udì alcuna voce, per cui cominciò a chiamarlo ad alta voce: "Giuseppe, Giuseppe!" Ma nessuno gli rispondeva.

E Reuben disse: "Forse Giuseppe sarà morto di paura o per il morso di qualche rettile"; e così si calò nel pozzo per cercare il fratello, ma, non avendolo trovato, risalì in superficie.

E Reuben si stracciò le vesti e disse: "Il ragazzo non c'è più e adesso, se è morto, cosa dirò a mio padre?". Ed egli raggiunse i suoi fratelli e vide che erano rattristati a causa di Giuseppe e che si consultavano tra loro su cosa dire a loro padre; e Reuben disse loro: "Sono andato al pozzo ma Giuseppe non c'è più, cosa diremo adesso a nostro padre, dal momento che mi ritiene il solo responsabile di mio fratello?".

E i suoi fratelli gli raccontarono ciò che avevano fatto e aggiunsero: "Dopo, però, ce ne siamo pentiti e adesso stiamo pensando a ciò che diremo a nostro padre".

E Reuben disse loro: "Ciò che avete fatto farà scendere nell'aldilà nostro padre, incanutito per il dispiacere. Non va bene ciò che avete fatto!".

E Reuben si sedette con loro e quindi si alzarono tutti insieme e fecero un giuramento che li vincolava reciprocamente, per cui non avrebbero rivelato la cosa al loro padre Giacobbe; e proclamarono solennemente: "Colui che racconterà il fatto a nostro padre o a uno dei propri familiari o a chicchessia nel paese, sarà da noi punito e messo a morte con la spada".

E i figli di Giacobbe, dal più grande al più piccolo, si temettero a vicenda per il giuramento fatto, per cui ognuno di loro non avrebbe pronunciato una parola e avrebbe celato la cosa nel proprio cuore.

E quindi si sedettero nuovamente a terra per consultarsi e decidere che cosa raccontare al loro padre su quanto avvenuto.

Ed Issachar disse loro: "Ecco la mia proposta e ditemi se vi piace; prendete la tunica di Giuseppe e stracciatela; scannate poi un capretto e intingetela nel suo sangue. E la manderete a nostro padre e quando egli la vedrà dirà: una belva feroce lo ha sbranato, gli ha stracciato la tunica che è intrisa del suo sangue; e se farete ciò, saremo esenti dai rimproveri di nostro padre".

E la proposta di Issachar piacque ai fratelli, che decisero di adottarla e di metterla in pratica.

E andarono subito a prendere la tunica di Giuseppe, la fecero a pezzi, scannarono un capretto e intrinsero la tunica nel sangue dell'animale e quindi la fecero rotolare nella polvere; e mandarono la tunica al loro padre Giacobbe per mano di Naftali, a cui ordinarono di raccontare questa storia: "Dopo aver raccolto gli armenti, mentre camminavamo per la strada che porta a Sh'hem abbiamo trovato questa tunica intrisa nel sangue e nella polvere; e ora la sapresti riconoscere? è questa la tunica di tuo figlio? è questa o no?".

E Naftali partì e arrivò da suo padre e gli consegnò la tunica e riferì le parole che i suoi fratelli gli avevano ordinato di dire.

E quando Giacobbe vide la tunica di Giuseppe la riconobbe e cadde con il viso a terra e rimase impietrito; e quindi si rialzò in piedi e gridò piangendo ad alta voce: "È la tunica di mio figlio Giuseppe!".

E Giacobbe si affrettò a mandare uno dei suoi servitori a cercare i propri figli; e il servo li raggiunse mentre tornavano con i loro greggi.

E i figli di Giacobbe arrivarono dal loro genitore in quella stessa sera, con le vesti stracciate e le teste ricoperte di terra; ed essi videro che il loro padre piangeva e si disperava a voce alta.

E Giacobbe disse ai propri figli: "Ditemi, che cos'è mai questa disgrazia che mi è piombata addosso così all'improvviso proprio oggi?". Ed essi gli risposero: "Mentre facevamo ritorno, dopo aver raccolto gli animali, ed eravamo sulla strada per Sh'hem, abbiamo trovato a terra questa tunica insanguinata, l'abbiamo riconosciuta subito e te l'abbiamo mandata perché la potessi riconoscere anche tu".

E Giacobbe, dopo aver ascoltato le parole dei propri figli, scoppiò in pianto e disse: "È la tunica di mio figlio; una belva feroce lo ha divorato, Giuseppe è stato sbranato; sono stato io a mandarlo oggi da voi per vedere come stavate e come stavano gli animali e gli ho detto di tornare per riferirmelo; e lui è partito ed ha eseguito il mio ordine e gli è successa questa disgrazia mentre pensavo che fosse insieme a voi".

E i figli di Giacobbe gli risposero: "No, non è venuto da noi e neppure lo abbiamo visto fino ad ora, dopo che ci siamo separati da te".

E quando Giacobbe sentì le loro parole, lanciò un alto grido di disperazione, si alzò in piedi, si stracciò gli abiti, si cinse i fianchi di sacco e pianse sommessamente e a voce alta pronunciò queste parole di commiato: " O Giuseppe figlio mio, caro figlio mio, ti avevo mandato perché mi dicessi come stavano i tuoi fratelli ed ecco sei stato sbranato da una belva feroce; ciò è successo per colpa mia. Mi dispiace, caro figlio mio, mi dispiace tanto per te; così come da vivo hai addolcito la mia vita, così la tua morte mi renderà la vita estremamente amara. Oh, fossi morto io al posto tuo, caro figlio mio, poiché mi dispiace tanto per te. O figlio mio caro, Giuseppe mio, dove sei ora e dov'è la tua anima? Lèvati, alzati dal tuo posto e vieni a vedere il mio strazio per te, o caro figlio mio. Vieni adesso e conta le lacrime che sgorgano dai miei occhi e bagnano le mie guance e portale in alto al Signore, affinché distolga la Sua collera da me. O Giuseppe figlio mio, così cadesti per mano di Colui che fa cadere l'uomo da quando fu creato il mondo; poiché sei stato messo a morte dal colpo di un nemico, inflitto con ferocia, anche se so per certo che ciò ti è successo per colpa mia, per colpa dei molti miei peccati. Alzati ora e vedi com'è amara su di me la tua disgrazia, figlio mio, sebbene non sia stato io a farti crescere e ad allevarti con cura e ad infonderti lo spirito vitale e l'anima, bensì il Signore che ti creò e ti formò le ossa e le rivestì di carne e infuse nelle tue narici lo spirito di vita per poi donarti a me. E, in verità, è Dio che ti ha donato a me e da me ti ha preso e tutto ciò che è successo fino a questo momento proviene da Dio ed è a fin di bene".

E Giacobbe pronunciò simili parole su suo figlio Giuseppe e pianse amaramente gettandosi a terra e alla fine si rialzò.

E tutti i figli di Giacobbe, vedendo lo strazio del loro genitore, si pentirono per ciò che avevano fatto e anch'essi piansero amaramente.

E Giuda si alzò e sollevò il capo di suo padre da terra e lo mise tra le sue ginocchia e gli asciugò le lacrime; e Giuda stesso proruppe in un forte pianto, mentre teneva la testa impietrita del suo genitore sul suo grembo.

E i figli di Giacobbe, vedendo lo strazio del loro padre, alzarono alti i loro lamenti e continuarono a piangere, mentre Giacobbe era nuovamente caduto a terra come pietra inanimata.

E tutti i suoi figli, le nuore, con il loro seguito, lo attorniarono per consolarlo, ma Giacobbe rifiutò qualsiasi conforto.

E tutta la casata di Giacobbe si levò e fece lutto per Giuseppe e per la disgrazia del loro padre; e la notizia raggiunse anche Isacco, figlio di Abramo e padre di Giacobbe, che pianse amaramente, con tutta la sua casata, per Giuseppe; e Isacco lasciò la sua dimora a Hebron, e con il suo seguito si recò dal figlio Giacobbe per consolarlo, ma egli rifiutò qualsiasi conforto.

E dopo ciò, Giacobbe si rialzò da terra con le lacrime che continuavano a bagnargli il viso; ed egli disse ai propri figli: "Alzatevi, prendete le vostre spade e i vostri archi e vagate per i campi, forse potrete trovare la salma di mio figlio e riportarmela sicché io le possa dare sepoltura. Cercate anche, mi raccomando, tra le bestie feroci e cacciatele e la prima che vi attaccherà, catturatela e portatela a me; chissà mai che il Signore, dopo aver visto la mia afflizione, vi faccia incontrare la belva che ha sbranato mio figlio, per cui la possiate catturare e portarla a me, e io possa, in tal modo, vendicare mio figlio".

E i figli misero in atto la richiesta del loro padre e si alzarono la mattina presto con le loro spade e i loro archi e andarono nei campi a caccia di belve feroci.

E Giacobbe continuava a disperarsi e ad andare avanti e indietro nella sua casa, e battendo i palmi delle mani, chiamava suo figlio Giuseppe.

E i figli di Giacobbe andarono nel deserto a caccia di belve ed ecco venir loro incontro un lupo; ed essi lo catturarono e lo portarono dal loro genitore; ed essi gli dissero: "Questa è la prima belva che abbiamo trovato e te l'abbiamo portata come ci hai comandato, ma non vi abbiamo trovato la salma di tuo figlio".

E Giacobbe prese quella bestia dalle mani dei figli e alzò forte il suo lamento, tenendola tra le proprie mani, e, rivolgendosi con il cuore e lo spirito amareggiati a quell'animale, così gli parlò: "Perché hai divorato mio figlio Giuseppe? E come mai non hai avuto timore del Signore della terra o del mio strazio per mio figlio Giuseppe? E tu hai divorato mio figlio per niente, perché egli non aveva commesso violenza alcuna e hai fatto sì che io porti su di me la colpa della sua morte, per cui il Dio ta ne chiederà conto".

E il Signore aprì la bocca della belva, affinché consolasse Giacobbe con le sue parole e, infatti, essa gli rispose con queste parole: "Come è vivo Iddio che ci creò tutti su questa terra, e come sei vivo tu, o mio signore, ecco io non ho mai visto tuo figlio, né, tanto meno, l'ho fatto a pezzi; ma provengo anch'io da una terra lontana e sono pure io alla ricerca di mio figlio e ciò che è successo a te con tuo figlio è successo anche a me con mio figlio; sono già dieci giorni che mi trovo in questo paese e sto cercando mio figlio, che si è allontanato da me dodici giorni fa, e non so se sia vivo o morto; ed oggi vagavo per questa landa, alla ricerca del mio piccolo, quando i tuoi figli mi hanno trovato, mi hanno catturato e hanno aggiunto sofferenza alla mia sofferenza e oggi mi hanno portato qui da te e qui ti ho detto tutto ciò che ti dovevo dire. Per cui, ora, o figlio di uomo, mi trovo nelle tue mani e oggi fa' di me ciò che più ti aggrada; tuttavia, così come è vivo il Dio che ci ha creato su questa terra, io ti giuro che mai ho visto tuo figlio, né l'ho fatto a pezzi, né mai ho mangiato carne umana in vita mia".

E dopo aver ascoltato le parole dell'animale, Giacobbe, che era del tutto esterefatto, lasciò libero l'animale, che andò per la sua strada.

E Giacobbe riprese a piangere e a disperarsi per suo figlio Giuseppe e continuò a piangerlo e a far lutto per tanti giorni ancora.

E i figli di Ismaele, che avevano comprato Giuseppe dai midianiti, che lo avevano acquistato, a loro volta, dai suoi fratelli, arrivarono con lui al confine dell'Egitto; e quando furono prossimi ad entrare nel paese, incontrarono quattro uomini dei figli di Medan, figlio di Abramo, che uscivano dall'Egitto, diretti alla loro destinazione.

E gli ismaeliti dissero loro: "Volete acquistare da noi questo schiavo?". Ed essi risposero: "Fatecelo vedere bene". E gli ismaeliti liberarono Giuseppe e quelli, dopo aver constatato che si trattava di un ragazzo di bell'aspetto e di buona costituzione, lo comprarono per cinque sicli.

E, in quel giorno, gli ismaeliti proseguirono il loro cammino per l'Egitto, e così anche i medaniti fecero ritorno in Egitto; e uno dei medaniti disse ai propri compagni: "Ricordate che avevamo sentito che Potifar, ministro del Faraone, capo dei macellatori, cercava un servitore di fiducia che lo assistesse e fosse intendente della sua casa e delle sue proprietà? Ebbene, possiamo vendergli questo giovane e vedremo se accetterà di acquistarlo per la somma di denaro che gli richiederemo".

E questi medaniti arrivarono alla dimora di Potifar e gli dissero: "Abbiamo sentito che stai cercando un servitore di fiducia; ecco qui con noi un servitore che fa al caso tuo, se tu ci darai la somma di denaro che richiediamo, te lo venderemo".

E Potifar disse loro: "Portatelo qui e fatemelo vedere e se mi piacerà vi darò la somma che richiederete".

E i medaniti presero Giuseppe e lo portarono da Potifar, che lo osservò e rimase bene impressionato; e Potifar disse loro: "Ditemi, quanto volete per questo giovane?".

Ed essi risposero: "Vogliamo 400 monete di argento". E Potifar disse: "Ve le darò a condizione che mi portiate qui davanti colui che ve lo ha venduto e mi racconti la sua storia, forse è stato rapito; poiché si vede che non è uno schiavo, né è figlio di schiavo, ma noto che ha i tratti di un giovane di buona e nobile famiglia".

Ed i medaniti andarono e portarono gli ismaeliti che glielo avevano venduto; e costoro confessarono: "Si tratta veramente di uno schiavo e siamo stati noi a venderlo".

E Potifar, dopo aver ascoltato le parole degli ismaeliti, pagò ai medaniti la somma di 400 monete di argento che avevano richiesto; e dopo averle incassate, i medaniti andarono per la loro strada e così fecero anche gli ismaeliti.

E Potifar prese Giuseppe e lo portò a casa sua come servitore; e Giuseppe trovò favore agli occhi di Potifar, il quale lo ammise al suo servizio personale e affidò nelle sue mani tutto quanto possedeva.

E il Signore fu con Giuseppe, che riusciva in tutto ciò che faceva e il Signore benedì la casa di Potifar grazie a Giuseppe.

E Potifar lasciava tutto in mano di Giuseppe, che gestiva tutte le faccende della casa del suo padrone secondo la sua volontà.

E Giuseppe all'epoca aveva diciotto anni, era un ragazzo dai begli occhi e di viso e forme avvenenti e come lui non c'erano altri in tutta la terra d'Egitto.

E, in quel tempo, mentre Giuseppe era occupato a gestire gli affari di casa, ecco che Zelicah, la moglie del suo padrone, fissò il suo sguardo su di lui e, vedendo che era un giovane di bell'aspetto e di belle forme, cominciò a desiderarlo.

E si innamorò molto di Giuseppe e faceva in modo di stargli vicino ogni giorno e cercava di sedurre Giuseppe con il suo abbigliamento e con il suo comportamento, ma Giuseppe evitava di fissare il proprio sguardo sulla moglie del suo signore.

E Zelicah gli diceva: "Come sei bello di aspetto e di forme! In verità, tra tutti i servitori che ho avuto, non ne ho visto mai uno così bello come te". E Giuseppe le rispondeva: "Questo è merito di Colui che mi creò nel ventre di mia madre e che diede vita a tutto il creato".

E lei continuava: "Come sono belli i tuoi occhi, con i quali osservi gli uomini e le donne d'Egitto". E lui le rispondeva: "Essi sono belli finchè sono vivo, ma quando li vedrai nella tomba, saranno immobili per sempre".

E lei gli diceva: "Come sono belle e piacevoli le tue parole; ti prego, prendi ora la cetra di casa e suona, sicché possa ascoltare la melodia delle tue parole".

E lui le rispondeva: "Sono belle e piacevoli le mie parole quando tesso le lodi del mio Dio e della Sua gloria". E lei gli diceva: "Che meravigliosa chioma ha la tua testa! Ti prego, prendi il pettine d'oro che è in casa e pettina i tuoi capelli".

Ed egli le rispondeva: "Fino a quando continuerai ad adularmi in questo modo? Lasciami perdere e occupati delle tue faccende domestiche".

E lei rispondeva: "Non c'è nessuno a casa mia e non devo occuparmi di alcuna faccenda domestica, dal momento che sei tu ad occupartene". Ma cionostante, Giuseppe evitava di guardarla e di fissarla col suo sguardo e abbassava gli occhi a terra.

E Zelicah spasimava per Giuseppe, e desiderava giacere con lui; un giorno, mentre Giuseppe era seduto in bagno per fare i suoi bisogni, Zelicah entrò e si mise davanti a lui; e, come ogni giorno, gli fece intendere che voleva giacere con lui o che almeno la guardasse, ma Giuseppe si rifiutò di assecondarla.

E Zelicah gli disse: "Se non fai come ti dico, ti farò punire a morte e ti farò chiudere in prigione".

E Giuseppe le rispose: "In verità è Dio, che ha creato l'uomo, che libera i carcerati, e sarà Dio a liberarmi dal tuo carcere e dal tuo giudizio".

E quando si accorse che non riusciva a convincerlo e che il suo spirito spasimava invano per lui, avvenne che Zelicah deperì gravemente.

E tutte le donne d'Egitto, che venivano a farle visita, le dicevano: "Come mai ti sei così sciupata? In verità, non ti manca niente; sei la moglie di un ministro onorato e apprezzato dal re, e puoi ottenere tutto ciò che desideri".

28 E Zelicah rispose loro: "Oggi stesso vi farò sapere il motivo per cui mi sono ridotta in questo stato". E ordinò alle sue serve di preparare un banchetto e di invitare solo donne; e le donne invitate, si presentarono al banchetto a casa di Zelicah.

E Zelicah diede ad ognuna di loro un coltello per sbucciare degli agrumi; e, allo stesso tempo, ordinò di fare indossare a Giuseppe degli abiti eleganti per poi farlo comparire davanti a loro; e quando Giuseppe entrò nella sala del banchetto, tutte le donne gli puntarono addosso gli occhi senza riuscire a staccarli da lui, per cui tutte si ferirono coi coltelli che tenevano in mano e gli agrumi si macchiarono col loro sangue.

Ed esse non si erano accorte di essersi ferite perché continuavano ad ammirare la bellezza di Giuseppe e non riuscivano a distogliere lo sguardo da lui.

E Zelicah, vedendo quanto avveniva, disse loro: "Che cosa avete combinato? Vi ho dato degli agrumi da sbucciare e voi vi siete tagliate le dita delle mani!".

E le donne osservarono le loro mani e videro che erano insanguinate e che il sangue era gocciolato sui loro indumenti; ed esse dissero a Zelicah: "Questo schiavo in casa tua ci ha sopraffatto e non siamo riuscite a distogliere i nostri occhi dalla sua bellezza".

E lei rispose loro: "Questo è successo nel momento che lo avete guardato e poi non siete riuscite a trattenervi; come potrei dunque io trattenermi se si trova tutto il giorno a casa mia e lo vedo giorno dopo giorno che va avanti e indietro? Adesso potrete capire il motivo per il quale deperisco e muoio per colpa sua".

Ed esse le risposero: "Ciò che dici è vero; chi, infatti, potrebbe vedere tutta questa bellezza a casa sua e trattenersi? A maggior ragione, trattandosi di un tuo inserviente che lavora in casa tua; e perché non gli dici chiaramente ciò che provi per lui e ti lasci deperire per colpa sua?".

E lei rispose loro: "Tutti i giorni faccio di tutto per convincerlo, ma lui non asseconda i miei desideri, e gli ho promesso ogni bene, ma non ho trovato in lui alcun cedimento; ecco perché mi vedete in queste condizioni".

E Zelicah languiva a causa della passione per Giuseppe e lo desiderava alla follia; ma la servitù e il marito di Zelicah non sapevano della sua malattia d'amore per Giuseppe.

E la gente di casa le chiedeva continuamente: "Come mai deperisci e non stai bene, proprio tu, che non hai niente che ti manca?" E lei rispondeva: "Non so perché giorno dopo giorno mi trovo in questa situazione".

E le amiche e le conoscenti, che venivano a trovarla ogni giorno, le parlavano e capivano che ciò avveniva a causa della sua passione per Giuseppe; e le dicevano: "Seducilo e trattienilo con te di nascosto, forse ti si concederà e, in questo modo, eviterai questa lenta agonia".

E lo stato di salute di Zelicah andava via via peggiorando, a causa della sua passione per Giuseppe, per cui non aveva la forza di stare in piedi.

E un giorno, quando Giuseppe era in casa per fare i propri bisogni, Zelicah entrò di nascosto nella stanza da bagno e gli si gettò addosso all'improvviso; e Giuseppe si divincolò dal suo abbraccio, ed essendo più forte di lei, la gettò a terra.

E Zelicah scoppiò in pianto per la sua folle passione verso Giuseppe e lo supplicò piangendo e le sue lacrime le bagnavano il viso; e, amareggiata nello spirito e con voce supplichevole, così gli parlò: "Hai mai visto o hai mai sentito o hai mai conosciuto una donna bella come me o migliore di me che ti abbia supplicato, giorno dopo giorno, come ho fatto io? E si sia ammalata d'amore per te e ti abbia onorato come me e tu non l'abbia esaudita? Se non per il fatto che tu hai timore che il tuo padrone ti potrebbe punire; tuttavia, come è vivo il re, io ti giuro che nessun male ti verrà fatto dal tuo padrone per questa tua azione; e adesso, ti prego, fa' come ti dico e fallo per l'onore che ho per te ed evitami questa agonia; perché mai dovrei morire per colpa tua?" E qui cessò di parlare.

E Giuseppe le rispose: "Lasciami perdere e metti fine a questa storia! Mai sia che io faccia una cosa simile al mio padrone! Il mio padrone non si occupa di quello che c'è in casa ed ha affidato a me tutto ciò che possiede e come potrei mai fare un'azione simile in casa del mio signore? Poiché anche lui mi ha onorato molto nella sua casa e mi ha nominato suo sovrintendente e nessuno è superiore a me in questa casa; niente mi ha vietato, se non te, perché sei sua moglie, e come potrei commettere un'azione così malvagia? Peccherei così verso Dio e verso tuo marito. Per cui cessa di importunarmi e non mi parlare più di queste cose, dal momento che non vorrò più ascoltarti!".

Ma Zelicah non volle ascoltare le parole di Giuseppe e anche nei giorni successivi continuava a ripetergli le stesse cose.

E qualche giorno dopo, avvenne che il fiume d'Egitto fosse in piena e tutti gli abitanti del paese uscirono dalle loro case per vedere il fiume gonfio, suonando i tamburelli e danzando, come si era soliti fare; e anche il re e il suo seguito uscirono per vedere il fiume, tra balli e canti, dal momento che c'era grande allegria ed era un giorno di festeggiamenti per l'intero Egitto, che durava tutto il giorno, per onorare la piena di Sihor.

E nel giorno in cui tutti gli egizi erano andati, come d'usanza, al fiume Nilo per adorarlo, si erano uniti a loro anche i sudditi della casa di Potifar; ma Zelicah non ci andò e si giustificò col dire che era indisposta, e rimase da sola in casa con l'intenzione di appartarsi con Giuseppe.

E dopo che tutti furono usciti, rimase da sola in casa; e, a questo punto, si alzò dal letto e salì nel santuario di casa e qui indossò i suoi abiti regali; e si mise in capo delle pietre preziose, onice e gemme incastonate d'oro e d'argento, e si truccò accuratamente il viso e si cosparse il corpo con ogni sorta di unguenti e di profumi; e accese degli incensi, cosicché la casa fu invasa dal profumo della cassia e dell'olibano e spruzzò in ogni angolo mirra e aloè; e quindi si sedette nell'atrio del tempio, laddove si entrava nell'abitazione e dove sarebbe passato Giuseppe per raggiungere la sua stanza privata. E, infatti, ecco arrivare Giuseppe dai campi ed entrare nella sua camera.

E quando arrivò al luogo che doveva attraversare, vedendo ciò che aveva approntato Zelicah, tornò sui suoi passi.

E Zelicah, vedendo che Giuseppe tornava indietro per evitarla, lo chiamò e gli disse: "Che c'è, Giuseppe? Entra pure, vedi che ti ho liberato il passaggio affinché tu possa raggiungere la tua stanza".

E Giuseppe tornò indietro ed entrò a casa, attraverso l'atrio e si diresse nella sua stanza e si appartò per fare ciò che doveva fare; e, a questo punto, Zelicah entrò nella sua stanza e gli si presentò davanti con indosso la sua veste principesca, che emanava una scia di profumo.

Ed ella si avventò su di lui e lo afferrò per il vestito e gli disse: "Ti giuro sulla vita del re che se non fai ciò che ti chiedo, ti ammazzerò oggi stesso". E, in un baleno, estrasse con la mano che aveva libera un pugnale, che teneva sotto la veste e lo puntò sulla nuca di Giuseppe, dicendogli: "Fai ciò che ti dico, altrimenti ti ammazzo".

E Giuseppe, temendo che quella mettesse in atto la sua minaccia, si divincolò di scatto e fuggì, mentre lei lo tratteneva per la veste; e mentre fuggiva spaventato, gli si strappò la tunica che Zelicah teneva in mano, per cui Giuseppe, scappando, lasciò la sua veste nella mano della donna.

E quando Zelicah vide che teneva in mano la veste stracciata di Giuseppe, che era scappato via temendo per la propria vita, se egli avesse raccontato ciò che lei aveva progettato, non si perse d'animo e agì con astuzia; si tolse gli abiti regali che aveva indossato e si mise i suoi vestiti abituali.

E quindi, dopo aver preso gli abiti di Giuseppe e averli messi accanto a lei, tornò nella sua stanza e si sedette sulla stessa poltrona su cui aveva finto di essere malata in precedenza, quando i suoi sudditi erano andati al fiume; e, a questo punto, chiamò un giovane inserviente che era rimasto a casa e gli ordinò di andare a chiamare la gente di casa, che si precipitò subito da lei.

E appena li vide, urlò ad alta voce, con tono disperato: "Guardate cosa mi ha portato in casa il vostro signore! Un ebreo, che è venuto oggi qui per giacere con me! E dopo che siete usciti di casa, è entrato e quando ha visto che non c'era nessuno in casa, è venuto da me e voleva violentarmi. Ed io gli ho afferrato i vestiti e glieli ho strappati e poi gli ho gridato contro e quando ho alzato la voce e ho gridato, temendo per la propria vita, mi ha lasciato qui il vestito ed è scappato via".

Ed i sudditi di casa non dissero niente ma si accesero d'ira nei confronti di Giuseppe e andarono dal loro padrone per riferirgli il racconto della moglie.

E Potifar tornò a casa infuriato e sua moglie gli gridò contro: "Bell'affare hai fatto col portare a casa mia uno schiavo ebreo, che è venuto oggi nella mia stanza per prendersi gioco di me e mi ha fatto così e così!".

E Potifar, dopo aver ascoltato il racconto della moglie, ordinò di punire Giuseppe con numerose frustate; e così fu fatto.

E mentre lo frustavano, Giuseppe urlava ad alta voce e, alzando gli occhi al cielo, diceva: "O Dio, Tu sai bene che io sono innocente in tutta questa storia e perché dovrei morire in questo giorno per una menzogna, per mano di questi incirconcisi malvagi che nemmeno conosco?".

E tra gli uomini di Potifar che sferzavano Giuseppe che urlava e piangeva, c'era anche un pargolo di undici mesi; e il Signore aprì la bocca del bimbo, che così parlò agli uomini che picchiavano Giuseppe: "Cosa volete da questo ragazzo? E perché gli fate tanto male? Mia madre ha raccontato una serie di menzogne e le cose sono andate così e così".

E il bimbo raccontò come si erano svolti i fatti, e riportò le parole che Zelicah diceva quotidianamente a Giuseppe.

E le persone presenti, dopo aver ascoltato le parole del bambino, ne rimasero esterefatte; e il bimbo cessò di parlare e si ammutolì.

E Potifar provò una grande vergogna per il racconto di suo figlio e ordinò ai suoi uomini di cessare subito di frustare Giuseppe ed essi obbedirono.

E Potifar prese Giuseppe e ordinò di condurlo in tribunale, al cospetto dei giudici sacerdoti del re, affinché giudicassero tutta la faccenda.

E Potifar e Giuseppe giunsero davanti ai giudici sacerdoti del re, e Potifar disse loro: "Vi prego, giudicate la causa di questo mio schiavo ed emanate una sentenza riguardo a ciò che ha fatto".

E i sacerdoti dissero a Giuseppe: "Perché hai fatto una simile azione al tuo padrone?" E Giuseppe rispose loro: "No, miei signori, le cose sono andate così e così". E Potifar disse a Giuseppe: "Ecco, io avevo affidato nelle tue mani tutto ciò che avevo e non ti avevo vietato alcuna cosa, tranne mia moglie e tu, come hai potuto farmi un torto simile?"

E Giuseppe rispose: "No, signore mio, come è vivo Dio e come è vivo il tuo spirito vitale, ciò che ti ha riferito tua moglie non è vero e le cose si sono svolte oggi come io ti ho raccontato. Oggi è un anno esatto che risiedo a casa tua; hai mai visto che io ti abbia mai fatto qualche torto o che abbia commesso un'azione che merita la pena capitale?".

Ed i sacerdoti dissero a Potifar: "Portaci la veste strappata di Giuseppe e potremo così vedere il corpo del reato; e se lo strappo sarà nella parte anteriore del vestito significa che il suo viso era rivolto dall'altra parte ed era lei che lo aveva afferrato per tirarlo a sé, e, in questo caso, tua moglie ha agito con astuzia, dando la sua versione dei fatti".

E portarono la tunica di Giuseppe al cospetto dei sacerdoti giudici, i quali, dopo averla osservata con cura, constatarono che lo strappo era nella parte anteriore, per cui dedussero che era stata lei a molestarlo, per cui dissero: "Non va inflitta la pena di morte a questo schiavo, dal momento che egli non ha fatto niente di male; tuttavia, egli sarà messo in prigione, per punirlo dello scandalo che ha sollevato intorno alla reputazione di tua moglie".

E Potifar, dopo aver ascoltato le loro parole, prese Giuseppe e lo rinchiuse nella prigione di casa sua, nel luogo in cui venivano incarcerati i prigionieri del re; e Giuseppe fu condannato a restarci per dodici anni.

E nonostante ciò, la moglie del padrone non si dava per vinta e non cessava di importunare Giuseppe giorno dopo giorno; e trascorsi tre mesi, Zelicah, vedendo che Giuseppe non intendeva assolutamente darle retta, cercò di convincerlo con queste parole: "Quanto tempo ancora rimarrai in questa prigione? Se mi darai retta, io ti farò uscire".

E Giuseppe le rispose: "Preferisco rimanere qui piuttosto che ascoltare le tue parole e peccare davanti a Dio". E lei, di rimando: "Se non farai come ti dico, ti farò cavare gli occhi, ti farò mettere i ceppi ai piedi e ti metterò nelle mani di gente che ti farà impazzire".

E Giuseppe le rispose: "In verità, è Dio, che ha creato il mondo intero, che può salvarmi da tutto ciò che mi farai, in quanto è Lui che apre gli occhi ai ciechi e libera i carcerati e protegge tutti gli stranieri che dimorano nel paese".

E Zelicah, vedendo che non riusciva a convincere Giuseppe alle sue volontà, cessò di andare ad importunarlo; e Giuseppe continuò a rimanere rinchiuso in cella.

E in quei giorni, Giacobbe, padre di Giuseppe, e tutti i suoi fratelli nella terra di Canaan piangevano ancora Giuseppe, e Giacobbe rifiutava di essere consolato e continuava a piangere e a far lutto per il proprio figlio.

E avvenne in quel tempo e in quell'anno, in cui Giuseppe arrivò in Egitto, dopo che era stato venduto dai suoi fratelli, che Reuben, figlio di Giacobbe si recò a Timnah e qui prese per moglie Eliuram, la figlia di Ozi il cananeo e giacque con lei.

Ed Eliuram, la sposa di Reuben concepì e gli diede quattro figli: Hanoch, Palu, Hetzron e Carmi; e suo fratello Simeone prese per moglie la sorella Dina, che gli partorì cinque figli: Memuel, Yamin, Ohad, Jachin e Zochar.

E quindi Simeone si accoppiò con Bunah, la donna cananea che era stata fatta da lui prigioniera nella città di Sh'hem; e Bunah era stata in precedenza serva di Dina e Simeone la ingravidò e lei gli partorì Shaul.

E in quel tempo Giuda si recò ad Adulam e si accampò presso un signore del posto, che si chiamava Hirah; e qui Giuda conobbe la figlia di un cananeo, che si chiamava Aliyath, ed era la figlia di Shua, e giacque con lei; ed Aliyath gli diede tre figli: Er, Onan e Shelah.

E Levi e Issachar si recarono verso oriente e presero per mogli le figlie di Yobab, figlio di Yoktan e nipote di Eber; e Yobab, figlio di Yoktan, aveva due figlie; il nome della maggiore era Adinah e il nome della minore era Aridah.

E Levi prese Adinah, mentre Issachar prese Aridah; ed essi le portarono nel paese di Canaan, nella loro casa paterna; ed Adinah partorì a Levi tre figli: Ghershon, Kehath e Merari.

Ed Aridah partorì ad Issachar quattro figli: Tola, Puvah, Yiob e Shomron; e Dan si recò nel paese di Moab e prese per moglie Aflaleth, figlia di Hamudan il moabita, e la portò con sé nel paese di Canaan.

Ed Aflaleth era sterile e non riusciva ad avere figli; ed il Signore si ricordò di Aflaleth, moglie di Dan, che concepì e partorì un figlio, che venne chiamato Hushim.

E Gad e Naftali si recarono a Haran e presero per mogli le figlie di Amuram, figlio di Uz e nipote di Nahor.

E questi sono i nomi delle figlie di Amuram; la maggiore si chiamava Merimith e la minore Uzith; e Naftali prese Merimith e Gad prese Uzith; e le portarono nel paese di Canaan, nella loro casa paterna.

E Merimith partorì a Naftali quattro figli: Yehatze'el, Gunì, Yetzer e Shalem; e Uzith partorì a Gad sette figli: Zefion, Haghì, Shunì, Etzbon, Erì, Arodì e Arelì.

Ed Asher prese per moglie Adon, figlia di Aflal, figlio di Hadad e nipote di Ishmael e la portò con sé nel paese di Canaan.

E in quei giorni morì senza figli Adon, la moglie di Asher: e dopo la morte di Adon, Asher si recò al di là del fiume e prese per moglie Hadurah, la sorella di Abimael, figlio di Eber, nipote di Shem.

E la ragazza era di bell'aspetto e di acuta intelligenza ed aveva sposato Malkiel, figlio di Elam e nipote di Shem.

Ed Hadurah partorì a Malkiel una figlia, di nome Serah; e Malkiel morì poco dopo, per cui Hadurah tornò a vivere nella sua casa paterna.

E dopo la morte della moglie, Asher prese per moglie Hadurah e la portò nel paese di Canaan, con la figlia di lei, Serah; e la bambina, che aveva tre anni, crebbe così nella casa di Giacobbe.

E la bambina era molto bella e procedeva secondo le vie sacre dei figli di Giacobbe; non le mancava niente, perché il Signore l'aveva dotata di saggezza e di intelligenza.

Ed Hadurah, moglie di Asher, gli partorì quattro figli: Yimnah, Yishvah, Yishvì e Beriah.

E Zebulun si recò a Midian e prese per moglie Merusha, figlia di Molad, che era il figlio di Abida e il nipote di Midian, e la portò con sé nel paese di Canaan.

E Merusha partorì a Zebulun tre figli: Sered, Eilon e Yachelel.

E Giacobbe si recò da Aram, figlio di Zoba e nipote di Terah e prese la di lui figlia Mechalia, per darla in moglie al proprio figlio Beniamino e la portò con sé nella sua casa, in terra di Canaan; e Beniamino aveva dieci anni quando prese per moglie Mechalia, figlia di Aram.

E Mechalia concepì e partorì a Beniamino cinque figli: Bela, Becher, Ashbel, Ghera e Naaman; e, in seguito, oltre alla prima moglie, Beniamino, all'età di diciotto anni, ne prese una seconda, Arvath, figlia di Shomron e nipote di Abramo; ed Arvath partorì a Beniamino cinque figli: Achì, Vosh, Mupim, Chupim ed Ard.

E in quei giorni Giuda andò a casa di Shem e prese la di lui figlia Tamar per darla in sposa al suo primogenito Er.

Ed Er si accoppiò con sua moglie Tamar; e quando egli si univa a lei, faceva uscire il suo seme al di fuori e questa sua azione non piacque al Signore, che lo fece morire.

E dopo la morte del suo primogenito Er, Giuda diede sua nuora in moglie al suo secondogenito Onan, affinché costui potesse dare una discendenza al fratello defunto.

Ed Onan prese per moglie Tamar e si unì a lei; ed anche Onan, nell'intimità, faceva come suo fratello e ciò dispiacque al Signore, che fece morire anche lui.

E dopo la morte di Onan, Giuda disse a Tamar: "Rimani a casa di tuo padre finché mio figlio Shelah sarà diventato grande". E Giuda non voleva dare Tamar a suo figlio Shelah, perché temeva che avrebbe fatto la stessa fine dei suoi due fratelli.

E Tamar obbedì, se ne andò via e rimase a casa di suo padre per un lungo periodo.

E trascorso un anno, morì Aliyath, la moglie di Giuda; e Giuda, dopo che si fu consolato, si recò a Timna col suo amico Hirah per tosare le greggi.

E Tamar venne a sapere che Giuda sarebbe arrivato a Timna per la tosatura delle greggi e che Shelah era cresciuto e Giuda non la teneva più in considerazione.

E Tamar prese l'iniziativa, si tolse di dosso gli abiti vedovili, si mise un velo, si coprì integralmente, si mise in cammino e si sedette sulla via maestra per Timna.

E quando Giuda passò, la vide, la prese con sé, si unì con lei e la ingravidò; e quando arrivò il momento di partorire, ecco che Tamar aveva due gemelli; e il primo ad uscire fu chiamato Peretz ed il secondo Zerah.

E Giuseppe, figlio di Giacobbe, era ancora incarcerato in terra d'Egitto.

E avvenne un giorno che tra gli inservienti del re, c'erano al suo servizio il capo dei coppieri e il capo dei panettieri.

E il capo dei coppieri prese del vino e lo diede da bere al re, mentre il capo dei panettieri prese del pane e lo diede da mangiare al re; e il re bevve di quel vino e mangiò di quel pane, mentre gli inservienti e i ministri sedevano alla tavola regale.

E durante il pasto, erano presenti anche il capo dei coppieri ed il capo dei panettieri; e i ministri trovarono molte mosche nel vino, che il capo dei coppieri aveva servito, così come trovarono dei frammenti di nitro nel pane servito dal capo dei panificatori.

E il Faraone, vedendo ciò che avevano commesso i suoi due ministri, ordinò di arrestarli e incarcerarli; e l'ordine fu subito eseguito. E così, nel decimo anno della detenzione di Giuseppe, entrarono nella sua prigione il ministro dei coppieri e il ministro dei panettieri. E il capo dei macellatori ordinò a Giuseppe di far da servitore ai due ministri, a cui era stata inflitta la pena di un anno di carcere.

E alla fine dell'anno, entrambi fecero un sogno nella stessa notte, nella cella in cui erano rinchiusi; e, al mattino, quando Giuseppe si presentò per servirli, come era solito fare, vide che entrambi erano corrucciati e di cattivo umore.

E Giuseppe domandò loro: "Perché stamattina siete di malumore e avete le facce corrucciate?". Ed essi gli risposero: "Abbiamo fatto un sogno e non c'è chi lo possa interpretare". E Giuseppe disse loro: "Raccontatemelo, per favore, e il Signore vi ridarà la serenità che desiderate".

E il capo dei coppieri raccontò il suo sogno a Giuseppe: "Nel mio sogno mi trovavo davanti ad un grande vitigno; e quel vitigno aveva tre tralci e, appena spuntati i germogli, metteva i fiori e i grappoli d'uva erano già maturi. Io allora prendevo l'uva, la spremevo in una coppa e la porgevo al Faraone e lui la beveva".

E Giuseppe gli disse: "I tre tralci della vite rappresentano tre giorni. Di qui a tre giorni il Faraone ti richiamerà fra i suoi ministri, ti ripristinerà nel tuo incarico e gli porgerai nuovamente la coppa di vino, come eri solito fare; e se io ho trovato favore ai tuoi occhi, magari fossi così buono tu verso di me ricordandomi al Faraone col farmi uscire da questa prigione! Perché sono stato rapito dal paese degli Ebrei e sono stato venduto qui come schiavo; ed anche ciò che vi è stato raccontato sulla moglie del mio padrone è tutta una menzogna, e mi hanno rinchiuso in questa cella gratuitamente"

E il capo dei coppieri rispose a Giuseppe: "Se il re mi tratterà bene come in passato e come tu hai interpretato, farò tutto ciò che desideri e ti farò uscire da qui".

E il capo dei panettieri, vedendo che Giuseppe aveva interpretato bene il sogno del capo dei coppieri, si avvicinò a lui e gli raccontò il sogno da lui fatto.

E gli disse: "Ecco, nel mio sogno, avevo in testa tre canestri forati e nella cesta superiore c'era ogni genere di prodotti di panetteria di cui si ciba il Faraone; e, all'improvviso, ecco arrivare un uccello che li mangiava sopra la mia testa".

E Giuseppe gli disse: "I tre canestri che hai visto rappresentano tre giorni; di qui a tre giorni il Faraone ti condannerà a morte, ti impiccherà ad un albero e gli uccelli mangeranno la tua carne appesa, come hai visto nel sogno".

E in quei giorni la regina era prossima al parto e diede alla luce un figlio maschio; e si proclamò in tutto l'Egitto che il Faraone aveva avuto un primogenito e in tutto il paese si fecero grandi festeggiamenti sia a corte che tra il popolo.

E al terzo giorno dalla nascita del primogenito, il Faraone fece un gran banchetto per i suoi ministri, per i suoi servi, per gli ospiti provenienti dalla terra di Zoar e per tutti i sudditi d'Egitto.

E il popolo d'Egitto e i servi del Faroane vennero per mangiare e bere al gran banchetto in onore del primogenito del Faraone.

Ed anche i ministri e gli inservienti della corte si unirono ai festeggiamenti che si protrassero per otto giorni, e tutti si rallegrarono con musiche e danze nella residenza del Faraone.

Ed il capo dei coppieri, a cui Giuseppe aveva interpretato il sogno, si dimenticò di lui e non lo menzionò neppure al Faraone, come aveva promesso di fare; perché la cosa proveniva dal Signore, che aveva punito Giuseppe perché aveva riposto la propria fiducia in un uomo.

E Giuseppe rimase dopo questi fatti in prigione per altri due anni, fino a completare dodici anni di detenzione.

E in quel tempo, Isacco, figlio di Abramo, viveva ancora nella terra di Canaan; era molto vecchio ed aveva 180 anni; e suo figlio Esaù, fratello di Giacobbe, risiedeva nella terra di Edom, e vi dimorava con i suoi figli insieme agli abitanti di Seir.

E quando Esaù venne a sapere che era vicina la morte del padre Isacco, si recò con i suoi figli ed il suo seguito verso la dimora paterna, nel paese di Canaan; ed anche Giacobbe coi suoi figli, uscì dalla sua abitazione a Hebron per raggiungere la tenda di suo padre Isacco, e qui incontrò suo fratello Esaù coi suoi figli.

E Giacobbe e i suoi figli si sedettero davanti al loro padre Isacco, e Giacobbe era ancora a lutto per suo figlio Giuseppe.

Ed Isacco disse a Giacobbe: "Portami appresso i tuoi figli affinché li benedica". E Giacobbe portò i suoi undici figli accanto a suo padre Isacco.

Ed Isacco pose le sue mani su tutti i figli di Giacobbe, e, ad uno ad uno, li portò a sé, li abbracciò e li baciò; ed Isacco li benedì in quel giorno, dicendo loro: "Vi benedica il Signore dei vostri padri e moltiplichi il numero della vostra discendenza come le stelle del cielo".

Ed Isacco benedì anche i figli di Esaù, dicendo loro: "Che il Signore infonda il timore e la paura in tutti coloro che vi vedranno e in tutti i vostri nemici".

Ed Isacco chiamò Giacobbe e i suoi figli, ed essi vennero e si sedettero accanto a lui; ed Isacco disse a Giacobbe: "Il Signore, Dio di tutta la terra, mi disse, "Alla tua discendenza darò in eredità questa terra; se i tuoi figli osserveranno le mie leggi e le mie vie, Io rispetterò il giuramento che feci con vostro padre Abramo". Ed ora, figlio mio, insegna ai tuoi figli e a chi verrà dopo di loro, ad avere timore del Signore e a procedere lungo la giusta via che è gradita al Signore tuo Dio; perché se osserverete e metterete in pratica le vie del Signore e i Suoi statuti, anche Io osserverò il patto che feci con Abramo e sarò benevolo con voi e con la vostra discendenza per tutti i giorni".

E appena Isacco finì di ordinare ciò a Giacobbe e ai suoi figli, si ritrasse e morì e si riunì alla sua gente.

E Giacobbe ed Esaù si prostrarono per abbracciare il viso del loro padre Isacco, e piansero ed Isacco aveva 180 anni quando morì nella terra di Canaan, a Hebron; e i suoi figli lo condussero nella grotta di Machpelah, che Abramo aveva acquistato dai figli di Heth come luogo riservato alla sepoltura.

E tutti i re del paese di Canaan accompagnarono Giacobbe ed Esaù per sepellire Isacco; e tutti i re di Canaan onorarono in sommo grado Isacco alla sua morte.

E i figli di Giacobbe e di Esaù camminarono a piedi scalzi tutt'intorno al luogo della sepoltura e, tra lamentele e pianti, raggiunsero la località di Kiriat-Arba.

E Giacobbe ed Esaù sepellirono il loro padre Isacco nella grotta di Machpelah, che si trova a Kiriat-Arba, a Hebron, e fecero delle grandi esequie, come si è soliti fare con i re.

E Giacobbe coi suoi figli, Esaù coi suoi figli, e tutti i re di Canaan pronunciarono degli importanti e solenni discorsi funebri e sepellirono il defunto e proclamarono alcuni giorni di lutto.

E dopo la sua morte, Isacco ereditò i suoi armenti, le sue proprietà e i suoi averi ai propri figli; ed Esaù disse a Giacobbe: "Ecco, ciò che ha lasciato nostro padre, venga diviso fra noi due in parti uguali, e io avrò la facoltà di scegliere". E Giacobbe gli disse: "Faremo come tu dici".

E Giacobbe prese tutto ciò che Isacco aveva lasciato nella terra di Canaan, gli armenti, le ricchezze e tutte le proprietà e le divise in due parti, alla presenza di Esaù e dei suoi figli; e disse al fratello: "Ecco, tutto quanto è davanti a te, scegli la metà che più ti aggrada e prendila per te".

E Giacobbe disse ad Esaù: "Ascolta bene, ti prego, fratello mio, le parole che ti sto per dire: Il Signore, Dio dei cieli e della terra, parlò coi nostri padri Abramo e Isacco e disse loro " Alla tua discendenza darò in eredità questa terra per sempre". Ora, ecco tutto ciò che ha lasciato nostro padre è davanti a te e così anche la terra è davanti a te; scegli tu ciò che più desideri. Se tu desideri l'intera terra, prendila pure per te e per i tuoi figli per sempre e io prenderò le ricchezze; ma se tu preferisci le ricchezze, prendile pure per te e io prenderò la terra per me e per i miei figli per ereditarla per sempre".

Ed era nelle vicinanze anche Nebayoth, il figlio di Ismaele, con i suoi figli, ed Esaù in quel giorno andò da lui per chiedergli consiglio e gli disse: " Giacobbe mi ha parlato così e così e io gli ho risposto così e così e ora dammi un consiglio e io ti ascolterò".

E Nebayoth gli disse: "Cos'è mai questa cosa che ti ha proposto Giacobbe? Non vivono forse tutti i figli di Canaan in sicurezza nella loro terra e Giacobbe ha detto che il paese è stato dato alla loro discendenza in eredità perenne? Va' dunque e prendi tutte le ricchezze di tuo padre e lascia a tuo fratello Giacobbe la terra, come ti ha proposto".

Ed Esaù si levò e tornò da Giacobbe e agì come gli aveva consigliato Nebayoth, figlio di Ismaele; ed Esaù prese tutte le ricchezze che Isacco aveva lasciato, gli inservienti, gli animali, gli armenti e gli averi; egli non diede niente a suo fratello Giacobbe; e Giacobbe prese la terra di Canaan, dal fiume d'Egitto all'Eufrate, e la prese come possesso perenne, per i suoi figli e per la sua discendenza per sempre.

Giacobbe prese anche da suo fratello Esaù la grotta di Machpelah, che si trova a Hebron, e che era stata acquistata da Abramo da Efron come luogo di sepoltura per se stesso e per la propria discendenza.

E Giacobbe scrisse tutto ciò nel libro delle proprietà e lo firmò alla presenza di quattro fedeli testimoni.

E queste sono le parole che Giacobbe scrisse nel libro: La terra di Canaan e tutte le città degli Hittei, degli Hivei, dei Gebusei, degli Amorei, dei Perizei e dei Gergasei, e tutti i setti popoli cananei dal Nilo all'Eufrate. E la città di Hebron Kiriat-Arba, e la grotta che si trova in essa; tutto ciò è stato acquistato da Giacobbe da suo fratello Esaù a prezzo pieno, come possesso ed eredità per la sua discendenza dopo di lui per sempre.

E Giacobbe prese il libro delle proprietà con la propria firma, con gli statuti e le clausole annesse e lo mise in un recipiente di terracotta per farlo durare a lungo e, infine, lo consegnò ai propri figli.

Ed Esaù prese tutto ciò che suo padre aveva lasciato dopo la sua morte a lui e a suo fratello Giacobbe; ed egli prese tutte le proprietà, dagli inservienti agli animali, i cammelli e gli asini, i bovini e gli ovini, l'oro e l'argento, le pietre preziose e i cristalli, e tutte le ricchezze che appartenevano a Isacco, figlio di Abramo; niente rimase delle proprietà di Isacco che non fu preso, dopo la sua morte, da Esaù per se stesso.

Ed Esaù prese tutto ciò e con i suoi figli se ne tornò a casa nel paese di Seir, l'orita, lontano da suo fratello Giacobbe e dai di lui figli.

Ed Esaù aveva dei terreni tra gli abitanti di Seir, per cui non fece mai più ritorno nella terra di Canaan da quel giorno in poi.

E l'intera terra di Canaan diventò retaggio dei figli di Israele come eredità eterna ed Esaù con tutti i suoi figli ebbe in retaggio i monti di Seir.

 

MIKKETZ

 

 

In quei giorni, dopo la morte di Isacco, il Signore dispose che ci sarebbe stata carestia e fame nel mondo.

E in quel tempo, il Faraone, re di Egitto, che imperava sul suo trono nel paese di Egitto, andò a dormire e fece dei sogni; e il Faraone vide nel suo sogno che si trovava presso la riva del Nilo.

Quand'ecco che dal fiume salivano in superficie sette vacche grasse e floride; e dopo di esse salivano sette vacche magre e brutte d'aspetto, che divoravano quelle in carne, pur rimanendo dopo ciò scarne come prima.

Ed egli si svegliò e si riaddormentò nuovamente e fece un secondo sogno; e vide sette spighe piene e belle che venivano su da un unico stelo; e dopo di esse germogliavano sette spighe sottili e arse dal vento del deserto che inghiottivano le sette spighe grosse e piene; e il Faraone si svegliò dal suo sogno.

E al risveglio, il re si ricordò dei suoi sogni e ne fu molto turbato; e si affrettò a chiamare tutti i maghi d'Egitto e tutti i suoi saggi, che arrivarono subito al suo cospetto.

E il re disse loro: "Ho fatto dei sogni e non c'è chi li sa interpretare". Ed essi gli risposero all'unisono: "Racconta, deh, i tuoi sogni ai tuoi servi e noi li ascolteremo".

E dopo aver loro raccontato i sogni, essi gli risposero all'unisono: "Eterna vita al Re! Ecco l'interpretazione dei sogni: Le sette vacche floride che hai visto rappresentano sette figlie che ti nasceranno in futuro; e quelle brutte che le seguivano e inghiottivano le prime, vogliono dire che queste sette figlie moriranno durante la tua vita. E per quanto riguarda il tuo secondo sogno, le spighe piene e belle che hai visto rappresentano sette città che costruirai in tempi futuri, in tutto il paese d'Egitto, mentre le sette spighe arse, che seguivano e inghiottivano le prime, vogliono dire che tu vedrai coi tuoi occhi come queste sette città verranno distrutte".

E mentre davano queste interpretazioni, il re non li ascoltava, né, tanto meno, le riteneva plausibili, dal momento che, nella sua saggezza, si era reso conto che non avevano niente a che fare con i suoi sogni; e quando ebbero finito di parlare, il re disse loro: "Che razza di discorsi mi state facendo? Le vostre parole sono un'accozzaglia di stupidaggini e di menzogne! Esigo subito che mi diate la giusta interpretazione, altrimenti vi metterò tutti a morte!".

E dopo di ciò, il re ingiunse loro di far venire altri saggi, i quali arrivarono subito al cospetto del Faraone; e il re raccontò un'altra volta i sogni fatti ed essi diedero la stessa interpretazione dei primi; e a questo punto, il Faraone andò su tutte le furie e disse loro che le loro interpretazioni erano prive di fondamento e false.

E il Faraone fece un proclama in tutto il paese d'Egitto, in cui diceva: "Il re e i suoi più stretti collaboratori hanno stabilito che qualsiasi saggio che conosce e capisce i significati dei sogni e non si presenti oggi stesso davanti al re verrà messo a morte. E alla persona che darà al re la giusta interpretazione dei suoi sogni, verrà dato tutto ciò che desidera".

E tutte le persone sagge del paese d'Egitto si presentarono davanti al Faraone, inclusi i maghi e gli stregoni che abitavano in Egitto e a Goshen, a Ramses, a Tachpanches, a Zoan, e in tutte le località di confine.

E tutti i nobili, i principi e gli addetti alla corte regale arrivarono dalle città del paese per mettersi a disposizione del re; ed egli raccontò i suoi sogni ai saggi, ai principi e a tutti gli astanti, che rimasero meravigliati dal racconto.

E tutti i saggi, che erano al cospetto del re, erano fortemente divisi sulle loro interpretazioni; alcuni di loro dicevano al Faraone: "Le sette vacche grasse rappresentano sette re, che da te discendono e che regneranno sull'Egitto. E le sette vacche magre rappresentano sette principi che li contrasteranno alla fine dei giorni e li distruggeranno; e le sette spighe floride rappresentano sette grandi principi egizi che verranno sopraffatti da sette principi nemici, invero meno forti di loro, nelle guerre del nostro signore re".

Ed uno di loro diede al re questa interpretazione: "Le sette vacche grasse rappresentano le sette forti città d'Egitto, mentre le sette vacche magre rappresentano le sette nazioni del paese di Canaan, che muoveranno loro guerra alla fine dei giorni e le distruggeranno. E ciò che hai visto nel secondo sogno, ossia le sette spighe floride inghiottite da quelle arse, significa che il governo egizio tornerà alla fine ad appartenere alla tua discendenza. E nel suo regno la popolazione delle città d'Egitto muoverà guerra contro le sette città di Canaan che sono più forti e le raderanno al suolo e il regno d'Egitto tornerà alla tua discendenza".

E altri dicevano al re: "Questa è l'interpretazione dei tuoi sogni: Le sette vacche grasse rappresentano sette regine che tu prenderai come spose in futuro, mentre le sette vacche magre alludono al fatto che tutte e sette moriranno durante la tua vita. E le sette spighe belle e le sette spighe brutte che hai visto nel tuo secondo sogno rappresentano quattordici figli, che, in futuro, si faranno guerra tra di loro e sette di loro colpiranno a morte gli altri sette più forti".

E altri ancora dicevano al re: "Le sette vacche grasse rappresentano sette figli che ti nasceranno e, in futuro, uccideranno sette figli dei tuoi ministri; e le sette spighe floride, che hai visto nel secondo sogno, rappresentano quei sette ministri contro i quali combatteranno altri sette ministri più potenti e li distruggeranno in tempi futuri, per cui susciteranno la vendetta dei loro figli ma il governo tornerà alla tua discendenza".

E il re ascoltava tutte queste interpretazioni dei saggi d'Egitto, ma nessuno di loro lo convinceva.

E il Faraone sapeva nella sua saggezza che nessuno di loro gli aveva detto delle cose sensate; in quanto ciò era stato designato da Dio, che vanificava le parole dei sapienti egizi per permettere a Giuseppe di uscire dal carcere facendolo poi diventare famoso in Egitto.

E il Faraone, vedendo che nessuno tra i saggi e i maghi egizi era riuscito a dirgli cose plausibili, era infuriato con tutti.

E il re ordinò che tutti i saggi e i maghi uscissero dalla sua corte e fossero cacciati via dalla sua presenza in modo disonorevole e vergognoso.

E il re promulgò un editto secondo il quale tutti i saggi e i maghi in terra d'Egitto venissero messi a morte cosicché non ne restasse in vita nemmeno uno.

E i capitani delle guardie regali eseguirono l'ordinanza del Faraone e cominciarono a passare a fil di spada i saggi e i maghi d'Egitto.

E a questo punto, Merod, il ministro dei coppieri, venne dal re, gli si prostrò a terra e si sedette davanti a lui.

E così parlò al Faraone: "Vita eterna al re! Ed il suo regno possa essere esaltato davanti ai suoi sudditi! Sono trascorsi ormai due anni, da quando ti adirasti con il tuo servo e mi mandasti in carcere insieme al ministro dei panettieri. Ebbene, con noi era detenuto anche uno schiavo ebreo, che sottostava al capo dei guardiani; questo schiavo si chiamava Giuseppe ed aveva il compito di servirci; egli era stato cacciato in prigione perché, a suo tempo, aveva provocato la tua collera. E qualche tempo dopo il nostro arrivo nella cella, avvenne che in una stessa notte io e il capo dei panettieri sognammo e ognuno di noi fece un sogno distinto. E, al mattino, quando venne a servirci, gli raccontammo il sogno che ognuno di noi aveva fatto ed egli diede una giusta interpretazione ad entrambi. E si verificò esattamente ciò che aveva interpretato; ogni sua parola avvenne nella realtà dei fatti. Ed ora, mio signore, non avvenga mai che il re metta a morte per niente della gente in Egitto; ecco, lo schiavo è ancora detenuto nella prigione del capo dei macellatori. Se la cosa è gradita al re, venga fatto venire al cospetto del re questo schiavo, che potrà così dare una giusta interpretazione ai sogni fatti".

Ed il re ascoltò con attenzione le parole del ministro dei coppieri e ordinò che venisse subito revocata l'ingiunzione di mettere a morte i saggi di Egitto.

Ed il re ordinò ai suoi uomini di portare al suo cospetto Giuseppe e disse loro: "Mi raccomando, non spaventatelo, altrimenti potrebbe confondersi e dire cose insensate".

E gli inservienti del re si recarono da Giuseppe, lo scarcerarono, lo portarono dal barbiere, gli fecero indossare degli abiti decorosi e lo condussero dal Faraone.

Ed il re era seduto sul suo trono e indossava i suoi abiti regali e il suo pettorale aureo; e l'oro fine, che aveva addosso, risplendeva insieme alle agate, ai rubini e agli smeraldi che incastonavano i suoi abiti; e le gemme e le pietre preziose della corona regale luccicavano sulla testa del Faraone, per cui Giuseppe rimase esterefatto appena lo vide.

Ed il trono sul quale il re sedeva era ricoperto di oro e di argento, di onice e di pietre preziose e vi si accedeva attraverso settanta scalini.

E c'era una consuetudine in tutta la terra d'Egitto per le persone che venivano in udienza dal Faraone; se la persona era un ministro o un alto funzionario, poteva salire sulla gradinata regale fino al 31esimo scalino, e il re scendeva 36 scalini e parlava con lui.

Se invece si trattava di un semplice popolano, costui poteva salire solo fino al terzo scalino, ed il re scendeva al quarto e gli parlava; ed era anche consuetudine che se una persona capiva e parlava tutte le settanta lingue, poteva salire lentamente i settanta scalini e, raggiunto l'ultimo scalino, parlare a tu per tu con il re.

E se una persona non era in grado di parlare tutte le lingue, poteva salire il numero di scalini che corrispondeva alla conoscenza delle lingue che sapeva parlare.

E, in quei tempi, era anche consuetudine in Egitto che nessun monarca potesse regnare se non era in grado di capire e parlare le settanta lingue.

E quando Giuseppe arrivò al cospetto del re, gli si prostrò a terra e salì tre scalini e si fermò al terzo gradino; e il re scese verso di lui e si fermò al quarto scalino e gli parlò.

Ed il Faraone disse a Giuseppe: "Ho fatto un sogno e non c'è nessuno che è riuscito ad interpretarlo nel modo giusto; e sebbene abbia ordinato di far venire qui tutti i saggi e i maghi d'Egitto e abbia raccontato loro i sogni che ho fatto, nessuno di loro è riuscito a spiegarmeli in modo convincente. E solo oggi ho sentito parlare di te e mi hanno detto che sei una persona saggia e che sai interpretare come si deve ogni sogno che ti viene raccontato".

E Giuseppe rispose al Faraone: "Il Faraone mi racconti pure il sogno che ha fatto, sappia però che le interpretazioni appartengono a Dio".

E il Faraone raccontò a Giuseppe i suoi due sogni, quello con le vacche e quello con le spighe e quindi zittì.

E lo spirito di Dio investì Giuseppe al cospetto del Faraone in quel frangente, per cui egli sapeva tutto ciò che sarebbe accaduto al re da allora in avanti; ed egli sapeva anche la giusta interpretazione del sogno, per cui così parlò al Faraone.

E Giuseppe trovò grazia agli occhi del re, che rivolse le sue orecchie e il suo cuore ad ogni parola di Giuseppe.

E Giuseppe disse al re: "Non pensi il Re che si tratti di due sogni distinti, perché il sogno è uno solo; poiché ciò che intende fare il Dio dei Cieli in tutta la terra d'Egitto lo ha fatto vedere al Re nel sogno che ha fatto e questa è l'interpretazione vera del sogno: Le sette vacche grasse e le sette spighe belle rappresentano sette anni, e le sette vacche magre e le sette spighe brutte rappresentano sette anni, il sogno è uno. Ecco, sette anni di grande abbondanza stanno per venire su tutta la terra d'Egitto; e seguiranno subito dopo sette anni di carestia e di fame per cui non si ricorderanno più gli anni di precedente abbondanza e la fame farà deperire gli abitanti del paese. Il Faraone ha fatto un unico sogno e il fatto che si sia ripetuto per due volte significa che la cosa è ormai stabilita da Dio e che Egli si affretta ad attuarla; ed ora io, se mi è lecito, darò un consiglio al Re, affinché salvi la Sua vita e la vita dei suoi sudditi dallo spettro della fame; ecco il Re dovrebbe cercare in tutto il reame un uomo molto intelligente e saggio, che conosce bene gli affari del governo, per porlo a capo di tutto il paese d'Egitto. E l'uomo preposto dal Faraone a capo del paese dovrà nominare dei commissari alle sue dipendenze che ammassino tutti gli alimenti degli anni fertili a venire e accumulino il grano in appositi depositi, sotto la potestà del Faraone. E custodiranno gli alimenti per i sette anni di carestia, sicché siano reperibili per te, per il tuo popolo e per il paese intero, e, in tal modo, tu e la tua gente non morirete di fame. E il Faraone ordini a tutta la popolazione del paese di accumulare i viveri che produrranno i loro campi e ogni sorta di cibo durante i sette anni di abbondanza e di accumularli in appositi depositi, affinché li possano usare all'occorrenza e potranno così sopravvivere. Questa è la giusta interpretazione del tuo sogno e questo è il consiglio opportuno per salvare la tua vita e la vita dei tuoi sudditi".

E il re disse a Giuseppe: "Chi può dire o può sapere se le tue parole sono vere?".

E Giuseppe gli rispose: "Questo sarà per te un segno che tutte le parole che ho detto sono vere e che il mio consiglio è valido. Ecco, oggi stesso tua moglie avrà le doglie del parto e ti partorirà un figlio e tu te ne rallegrerai; e nel momento in cui questo figlio uscirà dall'utero materno morirà il tuo figlio primogenito, che ti è nato due anni fa, per cui troverai conforto nel figlio che ti nascerà oggi".

Ed appena ebbe finito di parlare, Giuseppe si prostrò al re e uscì: e quando uscì dalla presenza del Faraone, si verificò il segno che aveva detto in sua presenza.

E la regina partorì un figlio maschio in quello stesso giorno, ed il re, a cui venne annunziato l'evento, se ne rallegrò molto; e quando il messaggero regale uscì dalla sua presenza, gli inservienti del re si accorsero che il suo figlio primogenito era morto cadendo a terra.

E nella reggia si levarono grida disperate e ci fu un gran trambusto; e il re, udendo ciò, domandò: "Cosa sono questi rumori e questi pianti che sento arrivare da casa mia?".

E fu detto al re che era morto il suo figlio primogenito; e in quel momento, il re capì che Giuseppe aveva detto il vero ed il re si consolò con il figlio appena nato, così come gli aveva preannunciato Giuseppe.

Dopo di ciò, il re convocò in assemblea tutti i ministri, gli ufficiali, i notabili, i dignitari del suo regno, che si presentarono al suo cospetto.

Ed il re disse loro: "Ecco, avete potuto constatare di persona che tutto ciò che ha detto l'uomo ebreo e tutti i segni che ha indicato si sono verificati e nessuna sua parola è andata a vuoto. Mi sono anche reso conto che l'interpretazione dei sogni che ha fornito è vera e sicuramente si verificherà, per cui ora c'è bisogno di programmi che indichino quale strategia intraprendere per evitare che il paese soffra per la fame. Cercate e vedete se c'è qualcuno che abbia i requisiti di competenza e di saggezza tali a cui io possa affidare la gestione di tutto il paese. Poiché avete ascoltato il consiglio che ci ha dato l'Ebreo su come salvare il paese dalla fame; perché ho la sensazione che il paese non scamperà alla fame se non mettendo in pratica i consigli che ci ha fornito l'Ebreo".

E tutti i presenti risposero al re: "Il consiglio che ha dato l'Ebreo è giusto; per cui, nostro signore e nostro re, ecco, il paese è nelle tue mani, fa' pure ciò che credi più opportuno! E colui che tu avrai scelto e, nella tua intelligenza, avrai ritenuto idoneo per saggezza a salvare il paese dalla fame, costui sarà sotto il tuo comando e dirigerà il reame".

Ed il re disse ai suoi sudditi: "Credo che dopo che Dio ci ha fatto conoscere questo ebreo che ha detto tutte queste cose, non esista in tutto il paese una persona più intelligente e saggia di lui; se siete d'accordo, io lo nominerò alla testa del paese, poiché ci salverà con la sua lungimiranza".

E tutti i sudditi risposero al re: "Ė legge inviolabile d'Egitto quella che recita che nessuno possa regnare sul paese o essere secondo al Faraone se non conosce tutte le lingue dei figli dell'uomo. Ed ora, nostro signore e nostro re, questo ebreo non sa parlare che l'ebraico e come potrebbe essere nominato vicerè uno che non parla la nostra lingua? Tuttavia, lo si porti qui e lo si faccia venire al tuo cospetto e tu gli farai delle domande su vari argomenti e farai ciò che riterrai opportuno".

E il re disse: "Sarà fatto domani e ciò che avete detto è giusto".

E tutti i sudditi si congedarono dal re in quel giorno.

E in quella notte, il Signore mandò uno dei suoi angeli servitori, che si recò nella terra d'Egitto da Giuseppe; e l'angelo di Dio si posò su Giuseppe che era andato a dormire nella sua cella di detenzione, poiché i suoi padroni ve lo avevano riportato a causa dell'episodio con la moglie del Faraone.

E l'angelo lo destò dal suo sonno e Giuseppe si svegliò e si alzò in piedi e l'angelo gli stava di fronte; e l'angelo di Dio parlò con Giuseppe e gli insegnò tutte le lingue umane in quella notte; e gli diede il nome di Gehosef.

E l'angelo divino si congedò da lui e Giuseppe tornò a coricarsi nel suo giaciglio e rimase meravigliato dalla visione che aveva avuto.

E quando arrivò il mattino, il re diede ordine di far ver venire tutti i suoi ministri e i suoi funzionari, che si presentarono subito dopo al suo cospetto; e il re ordinò anche di portare Giuseppe, che venne prelevato dai guardiani e condotto davanti al Faraone.

Ed il re ordinò loro di lasciarlo salire e Giuseppe saliva i gradini della scalinata perché parlava col re in tutte le lingue; e Giuseppe salì fino ad arrivare al 70esimo gradino e qui si sedette di fronte al re.

Ed il re si rallegrò molto per Giuseppe e anche tutti i ministri del regno gioirono assai con il loro re quando udirono le risposte di Giuseppe.

E il fatto che Giuseppe venisse nominato vicerè su tutto il paese d'Egitto piacque molto al Faraone e a tutti i suoi ministri.

Ed il re disse a Giuseppe: "Fosti tu a consigliarmi di porre a capo del paese un uomo saggio che fosse in grado con la sua saggezza di scongiurare la fame; e, ora, dal momento che Dio ti ha fatto conoscere tutto ciò e ti ha fatto dire cose vere, non c'è uomo più intelligente e saggio come te in tutto il paese. E non sarai più chiamato Giuseppe bensì Tsafenath Pa'neach; tu sarai il mio vice e conformemente ai tuoi ordini e alla tua parola verranno amministrate le faccende del reame e dei singoli individui. Inoltre, dalla tua mano riceveranno il salario mensile i miei inservienti e i miei ministri e a te dovrà inchinarsi tutta la gente del paese; soltanto per il trono, io sarò superiore a te".

Ed il re si tolse l'anello dal dito e lo mise nella mano di Giuseppe; e gli fece indossare gli abiti regali e gli mise in testa una corona d'oro e al collo una collana d'oro.

Ed il re ordinò ai suoi servi di far salire Giuseppe sulla seconda carrozza del re, che procedeva davanti alla sua; e misero Giuseppe in sella ad un poderoso cavallo, che apparteneva alle scuderie regali, affinché girasse per le strade del paese d'Egitto e fosse conosciuto dal popolo.

Ed il re comandò che la gente festeggiasse il nuovo vicerè, per cui al suo passaggio migliaia di persone festanti lo accompagnavano tra musiche e danze.

E 5.000 guerrieri, che facevano roteare le loro spade, marciavano e aprivano il corteo in onore di Giuseppe; mentre 20.000 guardie scelte del Faraone, abbigliate con vesti di pelle ricoperte d'oro, procedevano alla destra del vicerè e altre 20.000 alla sua sinistra; e tutte le donne e le fanciulle o erano salite sui terrazzi delle case o stavano in strada e applaudivano e gridavano di gioia al passaggio di Giuseppe e lo guardavano innamorate perché Giuseppe era di una straordinaria bellezza.

E gli inservienti del re, che camminavano davanti e dietro Giuseppe, spargevano ogni sorta di profumi lungo il cammino, come mirra e aloe e bruciavano incensi di olibano e di cassia, mentre venti araldi proclamavano ad alta voce e ripetutamente al passaggio di Giuseppe queste parole: "Vedete questo uomo che il re ha scelto come suo vice? Ecco, tutte le faccende del regno saranno amministrate da lui, e colui che trasgredirà ai suoi ordini e non si inchinerà a terra davanti a lui verrà messo a morte, in quanto si è ribellato al re e al suo vice".

E dopo i proclami degli araldi, tutta la gente d'Egitto si prostrava a terra davanti a Giuseppe e diceva: "Vita lunga al re e anche al vicerè!".

E la gente lungo il passaggio, all'avvicinarsi degli araldi, si prostrava a terra e lanciava grida di gioia e di entusiasmo, suonando ogni tipo di strumento musicale.

E Giuseppe, in sella al suo cavallo, alzava gli occhi al cielo ed esclamava: "Benedetto Colui che alza il misero dalla polvere e innalza il mendico dall'immondezzaio! O Dio delle Schiere Celesti, beato è l'uomo che ripone fiducia in Te!".

E Giuseppe attraversò così tutto il paese d'Egitto con gli inservienti e gli ufficiali del Faraone che gli mostrarono la terra d'Egitto e tutti i tesori del re.

E Giuseppe tornò alla reggia e si presentò in quello stesso giorno davanti al re; e il Faraone diede a Giuseppe un terreno nella terra d'Egitto, che conteneva campi arati e vigne e gli diede inoltre 3.000 monete d'argento e 1.000 monete d'oro e pietre preziose, cristalli e molte altre regalie.

Ed il giorno successivo, il Faraone ordinò ai suoi sudditi di portare doni a Giuseppe, sentenziando la pena di morte per chi non avesse obbedito al suo ordine; e fu eretto un podio nella strada principale della città sopra il quale la gente portava abiti e altre cose da offrire in omaggio a Giuseppe;

E tutta la gente d'Egitto portò in regalo qualcosa e lo mise su quel podio; chi portava anelli e orecchini d'oro, chi monili d'oro, chi pietre preziose, chi oggetti di valore; ognuno metteva qualcosa che gli apparteneva.

E Giuseppe raccolse tutti i doni e li mise nei suoi forzieri: ed anche i ministri e gli ufficiali e i dignitari del regno, che erano entusiasti di Giuseppe, gli portarono molti regali, apprezzando il fatto che il re lo avesse scelto come suo vice.

Ed il re mandò a chiamare Potifera, figlio di Ahiram, sacerdote di On e la sua giovane figlia Osnath per darla in sposa a Giuseppe.

E la giovane era molto bella, vergine e nessun uomo l'aveva conosciuta carnalmente, e Giuseppe la prese come sposa; e il re disse a Giuseppe: "Io sono il Faraone e tranne te nessuno oserà alzare la sua mano o il suo piede per entrare o uscire entro o fuori i confini del paese".

E Giuseppe aveva trenta anni quando fu nominato dal Faraone vicerè d'Egitto.

Ed il re regalò a Giuseppe un centinaio di inservienti affinché lo servissero nella sua residenza e Giuseppe stesso si comprò parecchi servitori che accudissero alle faccende di casa sua.

Giuseppe, infatti, si fece costruire una residenza maestosa, simile a quella dei reali e di fronte alla reggia del Faraone; e si fece costruire all'interno un'ampia sala, molto elegante e confortevole; ci vollero tre anni per costruirla interamente.

E Giuseppe si fece fare un elegante trono con parti in oro e in argento e incastonato con onice, cristalli e gemme preziose; e sopra il trono si fece fare la pianta di tutta la terra d'Egitto, con la raffigurazione del fiume Nilo, che bagna le terre fertili del paese; e Giuseppe se ne stava al sicuro nella sua reggia e sul suo trono e il Signore gli incrementava sempre più la saggezza di cui era già dotato.

E tutti gli abitanti d'Egitto e i sudditi e i ministri del Faraone amavano Giuseppe in sommo grado, perché la cosa proveniva da Dio; ed il Signore fu con Giuseppe e lo fece diventare grande e famoso in tutto il paese.

E Giuseppe possedeva una milizia di 4.600 armati, pronta a combattere per il re in caso di guerra coi nemici, a fianco, naturalmente, dei militari del re e dell'esercito dei suoi sudditi che era innumerevole.

E Giuseppe equipaggiò i suoi valorosi miliziani con scudi e lance, elmi e corazze, fionde e sassi.

E, in quel tempo, i figli di Tarshish mossero guerra contro i figli di Ismaele, li sconfissero e li aggiogarono per un lungo periodo.

Ed i figli di Ismaele erano allora pochi di numero e non potevano opporsi ai figli di Tarshish, per cui doveveno sottostare e soffrire molto.

E gli anziani ismaeliti inviarono un messaggero al re d' Egitto, che così parlò: "Ti preghiamo, manda ai tuoi sudditi degli ufficiali e dei soldati affinché ci aiutino a combattere contro i figli di Tarshish, poiché da tempo sottostiamo al loro soprusi".

E Faraone mandò Giuseppe con i suoi prodi miliziani insieme ai soldati più forti del suo esercito.

Ed essi giunsero al paese di Havilah dai figli di Ismaele per combattere al loro fianco contro i figli di Tarshish; ed i figli di Ismaele, con a capo Giuseppe e i suoi armati, sbaragliarono i figli di Tarshish e conquistarono tutto il loro paese; ed i figli di Ismaele si insediarono in quel paese fino ad oggi.

E dopo che il loro paese fu conquistato, gli abitanti di Tarshish si stanziarono al confine del paese di Yavan, dai loro fratelli alleati; e Giuseppe con tutti i suoi prodi guerrieri fece ritorno in Egitto, senza aver registrato vittima alcuna tra i suoi soldati.

E dopo un anno, al secondo anno di regno di Giuseppe in Egitto, il Signore mandò grande abbondanza nel paese per sette anni, così come aveva predetto Giuseppe, per cui Dio benedì tutti i raccolti e i prodotti della terra in quel settennio e la popolazione mangiò e si saziò e ne fu assai soddisfatta.

E, in quel tempo, Giuseppe aveva sotto le sue dipendenze numerosi commissari, che avevano il compito di raccogliere gli alimenti degli anni prosperi, ammassandoli nei depositi che aveva fatto costruire Giuseppe.

Ed essi accumulavano incessantemente grano e ogni genere di prodotti, sotto la direzione di Giuseppe, e persino il concime dei campi, che non venisse a mancare.

E così fece, anno dopo anno; e raccolse tante scorte come la sabbia del mare, per cui c'erano così tanti depositi di alimenti che non si poteva più tenerne il conto.

Ed anche la gente comune accumulava ogni sorta di cibo nei propri magazzini durante il settennio di abbondanza, ma non certo nelle proporzioni che aveva raggiunto Giuseppe.

E tutte le scorte accumulate da Giuseppe e dagli abitanti d'Egitto nel settennio di prosperità vennero immagazzinate nei depositi del paese, per sfamare la popolazione, in previsione dei sette anni di carestia.

E gli egiziani riempirono di scorte i loro magazzini, sperando così di sopravvivere nel settennio di fame.

E Giuseppe mise tutte le scorte che aveva accumulato in ogni città d'Egitto in appositi depositi, che ordinò di sigillare e di custodire con dei guardiani.

E la moglie di Giuseppe, Osnath, figlia di Potifera, gli partorì due figli, Menascè ed Efraim; e Giuseppe aveva 34 anni, quando divenne padre.

E i bambini crebbero seguendo gli insegnamenti del Signore e non deviarono, né a destra né a sinistra, dalla retta via che gli aveva impartito il loro padre.

Ed il Signore benedì i bambini, che crebbero e divennero saggi e abili in ogni tipo di saggezza e nella gestione del regno; e gli ufficiali e i notabili del re encomiavano i due giovanetti, che crescevano con i figli del Faraone.

E si esaurirono i sette anni di abbondanza che c'erano stati in tutto il paese; e seguirono sette anni di carestia, come aveva predetto Giuseppe, quando aveva detto che ci sarebbe stata fame in tutto il paese.

E tutta la gente d'Egitto constatò che la carestia aveva cominciato a colpire il paese, e ognunò aprì i propri magazzini di scorte perché la fame cominciava a farsi sentire.

Ed essi scoprirono che il cibo che avevano accumulato nei loro magazzini era pieno di vermi e di muffa e non era commestibile; e la fame si faceva sentire in tutto il paese e la gente si recava piangendo davanti alla reggia del Faraone, perché moriva di fame.

E il popolo diceva al Faraone: "Ti preghiamo, dai del cibo ai tuoi servi, perché dobbiamo morire di fame davanti ai tuoi occhi, noi e i nostri bambini?".

E il Faraone rispondeva loro: "E perché vi lamentate con me? Non vi aveva forse comandato Giuseppe di fare scorte nei sette anni di abbondanza, in previsione dei sette anni di carestia? Perché non avete ascoltato la sua voce?".

E il popolo rispondeva: "Come è vero che vivi tu, nostro signore, i tuoi sudditi hanno fatto come aveva ordinato Giuseppe; infatti, i tuoi servi hanno raccolto tutti i prodotti dei campi durante i sette anni di abbondanza e li hanno immagazzinati nei depositi fino ad oggi. Ma quando la fame ha avuto il sopravvento sui tuoi sudditi e siamo andati ad aprire i magazzini, ecco che tutti i cibi erano pieni di vermi e di muffe e non erano più commestibili".

E quando il re sentì ciò che era accaduto alla sua gente, si spaventò molto ed ebbe paura della fame, per cui rispose al popolo d'Egitto: "Dopo ciò che vi è successo, andate da Giuseppe e fate come vi dirà e non disobbedite ai suoi ordini".

E tutto il popolo d'Egitto si recò da Giuseppe e gli disse: "Dacci del cibo, perché dovremmo morire di fame davanti a te? Noi abbiamo accumulato le scorte nei sette anni di abbondanza, come ci avevi ordinato, ma quando abbiamo aperto i magazzini, ci è successo così e così".

E quando Giuseppe sentì le parole del popolo e ciò che gli era successo, aprì tutti i depositi di cibo e cominciò a venderli alla gente.

E la fame si faceva sentire non solo in Egitto, ma anche nei paesi circostanti; tuttavia, in Egitto, il cibo era in vendita.

E tutti gli egiziani venivano da Giuseppe per comprare da mangiare, perché la fame si faceva sentire e i loro magazzini erano ormai vuoti e ogni giorno Giuseppe era occupato a vendere cibo alla gente del paese.

Ed anche gli abitanti della terra di Canaan ed i Filistei, e coloro che abitavano oltre il Giordano, e le popolazioni ad oriente e quelle delle città dei paesi vicini e lontani, vennero a sapere che in Egitto gli alimenti erano in vendita, per cui arrivarono per fare provviste, dal momento che la carestia era arrivata anche da loro.

E Giuseppe aprì i magazzini coi cibi e mise dei funzionari che, giornalmente, vendevano gli alimenti a coloro che venivano ad acquistarli.

E Giuseppe venne a sapere che anche i suoi fratelli sarebbero venuti in Egitto a comprare del cibo, dal momento che c'era carestia anche nel loro paese. E Giuseppe ordinò ai suoi funzionari di emettere il seguente proclama entro tutto il territorio nazionale: "Per ordine del re, del vicerè e dei suoi ministri, si rende noto che chiunque desideri comprare cibi in terra d'Egitto non potrà farlo attraverso i suoi servi, ma solo attraverso i propri figli; e si fa sapere, inoltre, che ogni egiziano o cananeo, proveniente da un paese straniero, che venga in Egitto per comprare del cibo e lo rivenda nel paese, verrà messo a morte, in quanto il cibo acquistato è solo per la sopravvivenza della sua famiglia. Ed anche chi arrivasse con due o tre animali da soma verrà messo a morte, dal momento che si può caricare solo un unico animale da soma".

E Giuseppe mise dei guardiani alle entrate del paese e ordinò loro: "Chiunque entri nel paese per acquistare del cibo, non potrà entrare se non dopo aver scritto il proprio nome, più quello di suo padre e di suo nonno; e i nomi che scriverete durante il giorno me li manderete la sera, affinché io li possa esaminare".

E Giuseppe piazzò dei funzionari in tutto il paese e comandò loro di attenersi a queste sue disposizioni.

E Giuseppe aveva agito in questo modo, perché sapeva che i suoi fratelli sarebbero entrati in Egitto per acquistare del cibo; e, giorno dopo giorno, si diede ordine ai funzionari di attenersi scrupolosamente alle disposizioni di Giuseppe.

E tutti gli abitanti, provenienti dai paesi d'oriente e d'occidente, venivano a conoscenza delle leggi e delle disposizioni impartite da Giuseppe e messe in atto in terra d'Egitto; e la gente, che quotidianamente proveniva da paesi lontani, comprava gli alimenti e se ne andava via.

E tutti i funzionari alle entrate d'Egitto si attennero agli ordini di Giuseppe, per cui ogni giorno scrivevano i nomi di chi entrava per comprare del cibo, con i nomi dei loro padri e nonni per poi portarli alla sera al vicerè.

E Giacobbe venne a sapere che ci si poteva approvvigionare di cibo in Egitto e chiamò i suoi figli per dir loro di andare in Egitto a comprare del cibo, perché la fame si faceva sentire anche da loro.

E Giacobbe chiamò i suoi figli e disse loro: "Ecco, ho sentito che c'è da mangiare in Egitto e tutta la gente ci va per fare provviste di cibo; e voi perché fate finta di essere sazi? Scendete anche voi in Egitto a comprare qualcosa da mangiare, come fanno tutti e così non moriremo di fame".

Ed i figli di Giacobbe ascoltarono la voce del loro padre e si misero in cammino per andare in Egitto e comprare del cibo, come tutti gli altri.

E il loro padre Giacobbe ordinò loro: "Quando arriverete a destinazione, non entrate tutti insieme per una stessa porta, davanti alla gente del paese".

Ed i figli di Giacobbe partirono per l'Egitto e giunsero a destinazione e fecero come gli aveva comandato loro padre; e Giacobbe non mandò Beniamino perché temeva che gli accadesse qualche disgrazia per strada, come a suo fratello, e così furono in dieci a partire.

E i dieci figli di Giacobbe, mentre procedevano lungo il cammino, si dissero pentiti per ciò che avevano fatto a Giuseppe; e si dicevano l'un l'altro: "Sappiamo che nostro fratello Giuseppe è sceso in Egitto, e quando ci saremo arrivati lo potremo cercare; e se lo troveremo, lo riscatteremo dal suo padrone, altrimenti, con la forza, lo libereremo anche a costo della nostra vita".

Ed i figli di Giacobbe si dissero d'accordo ad agire in questo modo e si ripromisero di liberare Giuseppe dalle mani del suo padrone; e quando furono vicini al confine, si separarono l'uno dall'altro ed entrarono in Egitto attraverso dieci portoni diversi; ed i guardiani scrissero i loro nomi durante il giorno e li portarono la sera a Giuseppe.

E Giuseppe lesse i nomi dagli elenchi dei guardiani e vide che i suoi fratelli erano entrati attraverso dieci diversi portoni; e Giuseppe, in quella circostanza, emise un proclama in tutto il paese d'Egitto che recitava: "A tutti i guardiani dei depositi: Chiudete immediatamente tutti i magazzini e lasciatene aperto uno soltanto, che servirà coloro che vengono per acquistare del cibo".

E tutti i commissari preposti ai magazzini si attennero all'ordinanza di Giuseppe e chiusero tutti i depositi, lasciandone aperto soltanto uno.

E Giuseppe consegnò la lista coi nomi dei suoi fratelli al commissario che era preposto al deposito aperto e gli disse: "Dovrai chiedere il nome a tutti coloro che verranno a comprare del cibo e coloro che risponderanno a questi nomi, li fermerai e li manderai da me". E così fu fatto.

E quando i figli di Giacobbe furono dentro la città, si ricompattarono e si misero a cercare Giuseppe, prima di andare ad approvvigionarsi.

E si recarono nel quartiere delle prostitute e si fermarono qui per tre giorni, cercando Giuseppe; pensavano, infatti, che Giuseppe si trovasse in quel quartiere, dal momento che era di bell'aspetto e di belle forme; tuttavia, in quei tre giorni non riuscirono a trovarlo.

E il commissario, preposto al magazzino aperto, ricercò le persone indicate nella lista di Giuseppe, ma non ne trovò nessuna.

E il commissario mandò a dire a Giuseppe: "Sono passati tre giorni e gli uomini che hai elencato non sono venuti".

E Giuseppe inviò degli inservienti a cercare quegli uomini in tutto il paese d'Egitto per portarli poi al suo cospetto.

E gli inservienti di Giuseppe si misero alla ricerca in tutto il paese, arrivando fino alla terra di Goshen e alla città di Ramses, ma non riuscirono a trovarli.

E dissero a Giuseppe: "Abbiamo cercato in tutto il territorio, fino a Ramses, ma non abbiamo trovato nessuno".

E Giuseppe inviò altri suoi sedici servi, che si sparpagliarono per i quattro angoli della città alla ricerca dei fratelli; e quattro dei servi andarono nel quartiere delle prostitute e qui trovarono i dieci uomini che stavano cercando il loro fratello.

E i quattro inservienti fermarono i fratelli e li condussero da Giuseppe; e i figli di Giacobbe furono portati alla residenza di Giuseppe e qui gli si prostrarono con la faccia a terra; e Giuseppe era nella grande sala, assiso sul suo trono e vestito con gli abiti regali di lino fine e di porpora e con in testa una grande corona d'oro ed era circondato tutt'attorno da prodi guerrieri.

Ed i figli di Giacobbe, vedendo Giuseppe, rimasero impressionati dal suo aspetto, dalla sua bellezza e dalla sua magnificenza, per cui gli si prostrarono con la faccia a terra una seconda volta.

E Giuseppe vide i suoi fratelli e li riconobbe, ma loro non lo riconobbero perché Giuseppe era molto cambiato.

E Giuseppe parlò a loro e disse: "Da dove venite?". Ed essi gli risposero: "I tuoi servi sono venuti dalla terra di Canaan per comprare da mangiare, perché la carestia è forte in tutto il paese; e i tuoi servi, avendo sentito che c'è da mangiare in Egitto, sono venuti qui come tanti altri per comprare del cibo per la propria sopravvivenza".

E Giuseppe rispose loro: "Se siete venuti, come avete detto, per fare provviste, come mai siete entrati attraverso dieci portoni diversi della città? Il motivo è che siete venuti per spiare il nostro paese!".

E tutt'insieme risposero a Giuseppe: "Non sia mai detto, mio signore, noi siamo persone per bene! I tuoi servi non sono spie, siamo venuti qui soltanto per comprare da mangiare; poiché i tuoi servi sono tutti fratelli e figli di uno stesso uomo che vive nella terra di Canaan; ed è stato nostro padre ad ordinarci di non entrare tutti insieme nella città attraverso un unico portone, davanti alla gente del paese".

E Giuseppe rispose loro in questi termini: "Ciò che vi ho detto è la verità! Siete venuti qui per spiare il paese, per questo siete entrati attraverso dieci diversi portoni della città, siete venuti per guardare le parti sguarnite del paese! Quando uno straniero viene per comprare viveri se ne ritorna subito dopo al suo paese; voi, invece, siete qui già da tre giorni e che cosa avete fatto nel quartiere delle prostitute dove vi siete fermati per tre giorni? Solo le spie agiscono in questo modo!".

Ed essi gli risposero: "Che il nostro signore non dica queste cose! Noi siamo dodici fratelli, figli di Giacobbe nostro padre, della terra di Canaan, figlio di Isacco, figlio di Abramo, l'Ebreo; ed ecco, il più piccolo è oggi con nostro padre nella terra di Canaan, e l'altro non c'è più, perché lo abbiamo perso; e abbiamo pensato che forse si trova in questo paese ed è per questo che lo stiamo cercando in tutto l'Egitto e lo abbiamo cercato persino nei bordelli".

E Giuseppe disse loro: "E se lo avete cercato in tutto il paese, c'è solo l'Egitto per cercarlo? E, poi, cosa ci farebbe vostro fratello in un bordello, qui in Egitto? Non avete detto che siete figli di Isacco e di Abramo? E che cosa ci fanno i figli di Giacobbe nei bordelli?".

Ed essi gli risposero: "Perché quando abbiamo saputo che degli ismaeliti ce lo avevano rubato, ci venne detto che lo avevano venduto in Egitto; e il tuo servo, nostro fratello, è un ragazzo molto bello e di belle forme, per cui abbiamo pensato che si trovasse in un bordello, ed è questo il motivo per il quale i tuoi servi sono andati nel quartiere delle prostitute per cercarlo e riscattarlo".

E Giuseppe rispose loro: "Ciò che dite sono menzogne ed è falso che voi siete figli di Abramo; come è vero che il Faraone vive, voi siete spie, per questo siete andati nei bordelli, affinché nessuno vi riconosca".

E Giuseppe aggiunse: "E supponiamo che lo troviate, e se il suo padrone vi richiede un elevato riscatto, voi glielo pagherete?".

Ed essi risposero: "Certamente!".

E Giuseppe disse loro: "E se il suo padrone non acconsentisse a darvelo per un alto prezzo, che cosa gli fareste allora?".

Ed essi gli risposero: "Se non ce lo consegnasse lo uccideremmo e poi prenderemmo nostro fratello e ce ne andremmo".

E Giuseppe disse loro: "E' proprio come dicevo, voi siete delle spie e siete venuti qui per uccidere la gente del nostro paese; poiché ci è stato riferito che due di voi hanno ammazzato tutti gli abitanti di Sh'hem, nella terra di Canaan, a causa di vostra sorella, e ora sareste pronti a fare la stessa cosa qui in Egitto per vostro fratello. Ecco, solo ad una condizione saprò se dite la verità; mandate uno di voi a prendere il vostro fratello più giovane da vostro padre e portatelo qui da me; e così facendo, mi convincerò che siete sinceri".

E Giuseppe chiamò i suoi settanta guerrieri più forti e disse loro: "Prendete questi uomini e metteteli sotto custodia".

E i guerrieri presero i dieci fratelli e li misero in una cella di detenzione per tre giorni.

E, al terzo giorno, Giuseppe li fece uscire dalla cella e disse loro: "Fate questo, se siete veramente persone oneste, e vivrete; ebbene, uno dei vostri fratelli rimarrà qui in custodia e voi altri andrete a portare i viveri necessari alle vostre famiglie nella terra di Canaan; e prenderete il vostro fratello più giovane e lo porterete da me, solo allora sarò certo che avete detto la verità".

E Giuseppe si allontanò da loro e si ritirò nella sua stanza e qui scoppiò in pianto perché non riuscì a trattenere oltre la commozione; quindi si lavò il viso e tornò da loro; poi prese Simeone e ordinò ai guardiani di arrestarlo; ma Simeone si rifiutò di essere arrestato, perché era estremamente forte, e Giuseppe non riuscì ad arrestarlo.

E, a questo punto, Giuseppe chiamò i suoi settanta guerrieri più forti, che arrivarono immediatamente con le spade sguainate ed i figli di Giacobbe ne rimasero atterriti.

E Giuseppe disse loro: "Arrestate questo uomo e mettetelo in prigione fino al ritorno dei suoi fratelli!".

Ed i guerrieri di Giuseppe eseguirono l'ordine e afferrarono Simeone per arrestarlo; e Simeone lanciò contro loro un urlo spaventoso che si sentì fino a grande distanza.

E i soldati di Giuseppe rimasero terrorizzati da quell'urlo, caddero a terra e scapparono spaventati.

E anche chi si trovava con Giuseppe scappò via, perché temeva molto per la propria vita, e soltanto Giuseppe e suo figlio Menascè rimasero sul posto; e Menascè, figlio di Giuseppe, vide la potenza di Simeone e si infuriò oltre modo.

E Menascè, figlio di Giuseppe, si scagliò su Simeone e gli sferrò un forte pugno sulla nuca e Simeone trattenne la propria furia.

E Menascè afferrò Simeone, lo bloccò e lo condusse a forza nella cella della prigione ed i figli di Giacobbe rimasero strabiliati dall'azione del giovane.

E Simeone disse ai suoi fratelli: "Nessuno di voi dica che questo è un colpo inferto da un egiziano, sembra piuttosto un colpo dato da qualcuno della casa di mio padre".

E dopo ciò, Giuseppe ordinò a chi era preposto al deposito dei viveri di riempire al massimo i sacchi di quegli uomini, mettendo nel sacco di ognuno il denaro che aveva pagato e anche di dar loro provviste per il viaggio e così fu fatto.

E Giuseppe si congedò da loro dicendo: "Fate molta attenzione a non trasgredire i miei ordini non portandomi vostro fratello, come vi ho detto; ma se, invece, mi porterete vostro fratello, mi convincerò che siete persone in buona fede e potrete muovervi liberamente nel nostro paese; e vi restituirò vostro fratello e potrete tornare sani e salvi da vostro padre".

Ed essi gli risposero: "Faremo esattamente come ha detto il nostro signore". E si congedarono prostrandosi con la faccia a terra.

E ognuno di loro caricò i viveri sul proprio asino e partirono di là per far ritorno nella terra di Canaan dal loro padre; e quando arrivarono ad una prima stazione per riposare, Levi, aprendo il suo sacco per dar da mangiare al suo asino, vide che all'interno c'era intatto il denaro che aveva pagato.

Ed egli trasalì e si spaventò e andò a dire ai suoi fratelli: "Mi è stato restituito il denaro ed è intatto nel mio sacco!".

Ed i fratelli, sbigottiti e spaventati, si dissero l'un l'altro: "Come mai Dio ci ha fatto questo?".

50 E dissero: "Dov'è andata a finire la misericordia di Dio per i nostri padri, Abramo, Isacco e Giacobbe, che ci ha messo nelle mani del re d'Egitto che ci ha trattato così malamente?".

E Giuda disse loro: "E' chiaro che siamo colpevoli e abbiamo peccato davanti al Signore nostro Dio per aver venduto nostro fratello, carne della nostra carne, e adesso perché vi mettete a dire "dov'è andata a finire la misericordia di Dio verso i nostri padri"?".

Ed anche Reuven disse loro: "Non vi dissi allora di non fare del male al ragazzo e voi non mi voleste dare retta? Adesso è il Signore che ci chiede conto del sangue di Giuseppe e come osate dire dov'è la misericordia di Dio verso i nostri padri, se voi stessi avete peccato davanti a Lui?".

E pernottarono in quel luogo e, al mattino, si alzarono, caricarono i loro asini con i viveri e fecero ritorno nel paese di Canaan.

E Giacobbe con i suoi familiari andò incontro ai figli e vide che mancava Simeone; e Giacobbe domandò loro: "Dov'è vostro fratello Simeone, che non vedo?".

Ed i figli gli raccontarono ciò che era successo loro in Egitto.

Ed entrarono a casa ed ognuno di loro aprì il proprio sacco e videro che tra i viveri c'era anche un involto con il loro denaro e, a questa vista, Giacobbe e i loro figli rimasero turbati.

E Giacobbe disse loro: "Cosa mi avete combinato? Avevo mandato vostro fratello Giuseppe a sincerarsi della vostra salute e voi mi diceste che una belva malvagia lo aveva divorato. Simeone è venuto con voi per comprare da mangiare e ora mi raccontate che il re d'Egitto lo ha cacciato in prigione; e adesso vorreste prendere Beniamino e fare morire anche lui? Così facendo sareste causa che scendessi canuto nell'altro mondo, affranto dal dolore sia per Beniamino che per suo fratello Giuseppe. Per cui questo mio figlio non verrà con voi, poiché suo fratello è morto e lui è rimasto solo e potrebbe accadergli una disgrazia nel viaggio che state per intraprendere, come già è successo a Giuseppe".

E Reuven disse a suo padre: "Uccidi pure i miei due figli se non te lo riporterò indietro!".

E Giacobbe disse ai figli: "Restate qui e non scendete in Egitto, perché questo mio figlio non verrà con voi in Egitto e non farà la stessa fine del fratello".

E Giuda disse ai fratelli: "Lasciate in pace per un po' nostro padre fino a quando i viveri si esauriranno; poi sarà lui stesso a dirvi di prendere anche Beniamino per andare a comprare altro cibo, quando si accorgerà che c'è il pericolo che si muoia tutti di fame".

Ed in quei tempi la carestia infuriava in tutto il paese, e la gente della regione andava e veniva in Egitto per comprare da mangiare, perché la fame non era più sostenibile; e i figli di Giacobbe rimasero in Canaan per quattordici mesi fino all'esaurirsi delle scorte.

E quando le scorte stavano per finire e l'intera casa di Giacobbe era attanagliata dalla fame, tutti i nipotini di Giacobbe gli si presentarono davanti e lo implorarono: "Ti preghiamo, dacci da mangiare, perché dobbiamo morire di fame davanti a te?".

E Giacobbe, ascoltando le parole dei propri nipoti, scoppiò in un pianto amaro e fu impietosito dalle loro implorazioni, per cui convocò e riunì i propri figli per parlare con loro.

E Giacobbe disse loro: "Non avete visto come i vostri figli sono venuti oggi da me a piangere perché non hanno da mangiare? Per cui, tornate in Egitto e comprate qualcosa da mangiare".

E Giuda rispose a suo padre: "Se tu vuoi mandare nostro fratello con noi andremo e compreremo da mangiare; ma se tu ti rifiuti di mandarlo, non ci potremo andare, perché il re di Egitto è stato categorico con noi e ci ha detto "Non mi vedrete se vostro fratello non sarà con voi"; e sappi che il Faraone è un re forte e potente e se noi ci presentiamo davanti a lui senza Beniamino, ci condannerà tutti a morte. E non sai o non hai sentito che questo re è particolarmente forte e intelligente e non c'è nessuno come lui in tutto il paese? E, in verità, abbiamo avuto a che fare con tutti i re della regione ma non ne abbiamo visto mai uno come questo; sicuramente, tra tutti i re della regione nessuno era più grande di Avimelech, re dei Filistei; ebbene, questo re di Egitto è molto più grande e potente di lui e Avimelech potrebbe essere paragonato soltanto ad uno dei suoi ministri. Oh padre mio, se tu avessi visto il suo palazzo ed il suo trono e tutti i guerrieri che gli fanno da scorta! E avessi visto come sta seduto sul suo trono, nel pieno della sua bellezza e magnificenza, vestito con abiti regali e con una corona d'oro sul capo! Se avessi visto lo splendore e la gloria che Dio gli ha infuso, perché veramente non c'è al mondo uno pari a lui! Padre mio, se tu avessi visto la saggezza, l'intelligenza ed il sapere di cui Dio lo ha dotato! Per non parlare della sua voce melodiosa quando ci parlava! Non siamo riusciti a capire, padre mio, come facesse a sapere i nostri nomi e e gli episodi della nostra vita passata ed anche ci ha chiesto di te, domandandoci: Vostro padre è ancora vivo? E come sta di salute? E se tu avessi visto come egli amministra da solo tutti gli affari del paese, senza aver bisogno del Faraone, che è il suo padrone! E dovessi vedere il rispetto e la paura che provano nei suoi confronti tutti i sudditi del paese! Ed anche quando eravamo davanti a lui e minacciavamo di fare in Egitto ciò che avevemo fatto nelle città degli Emorei ed eravamo furiosi perché ci aveva detto che eravamo spie, con tutto questo, però, siamo stati presi dalla paura e nessuno di noi è riuscito ad aprire bocca. Per questo, padre mio, lascia che ora Beniamino si unisca a noi e torneremo laggiù per comprare altro cibo e così non moriremo di fame".

E Giacobbe gli disse: "Perché mi avete fatto il male di informare quell'uomo che avete ancora un fratello? Che bisogno ce n'era?".

E Giuda implorò suo padre: "Manda il ragazzo con me e me ne prenderò cura io, andremo in Egitto a fare scorte e torneremo; e se dovessimo tornare senza il ragazzo, mi riterrò colpevole verso di te per tutta la vita! Hai visto anche tu i nostri bambini che ti piangono addosso perché sono affamati e tu non hai di che sfamarli; per cui, abbi pietà di loro e lascia che Beniamino venga con noi. La tua fede nella misericordia del Signore verso i nostri padri non ti faccia dire che il re d'Egitto si prenderà tuo figlio; come è vivo il Signore, io non abbandonerò mai Beniamino e te lo riporterò indietro sano e salvo; tuttavia, prega il Signore nostro Dio per noi affinché ci protegga e ci faccia trovare grazia e benevolenza davanti al re d'Egitto e ai suoi uomini, perché se non avessimo indugiato tanto, a questo punto saremmo già tornati una seconda volta con tuo figlio".

E Giacobbe disse ai suoi figli: "Io ho fede nel Signore Dio che vi salverà e vi farà entrare nelle grazie del re d'Egitto e dei suoi sudditi. Ed ora alzatevi e andate da quell'uomo e prendete con voi un regalo del nostro paese e portateglielo e Iddio Onnipotente (El Shadday) ispiri a quell'uomo pietà verso di voi così da lasciar ripartire con voi i vostri fratelli Beniamino e Simeone".

Ed essi si alzarono, presero il loro fratello Beniamino e portarono con sé anche i prodotti migliori del paese di Canaan e denaro doppio.

E Giacobbe si raccomandò nuovamente di prendersi cura di Beniamino e di non separarsi da lui mai, né durante il viaggio, né in terra d'Egitto.

E Giacobbe si alzò, stese le sue mani per benedire i propri figli e pregò il Signore dicendo: "O Signore, Dio dei cieli e Dio della terra, ricorda il patto che facesti con Abramo nostro padre e ricorda mio padre Isacco; abbi misericordia dei miei figli e non asservirli al re d'Egitto; Ti prego, fallo per la Tua bontà e libera tutti i miei figli e salvali dalle mani egizie e falli tornare indietro con i loro due fratelli".

E le mogli dei figli di Giacobbe coi loro bambini alzarono gli occhi al cielo e piansero davanti a Dio e Lo implorarono di salvare i propri mariti e i propri figli dalle mani del Faraone.

E Giacobbe scrisse una lettera da consegnare al re d'Egitto e la diede a Giuda e ai suoi figli, e in essa era scritto: " Il tuo servo Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo l'Ebreo, principe di Dio, saluta te, magnifico e saggio re, Tzafenat Paneach (rivelatore di cose occulte), Faraone di Egitto! Il mio signore, re di Egitto, sa bene che c'è una terribile carestia nel nostro paese di Canaan, e per questo mando i miei figli perché comprino qualcosa da mangiare da Te per poter così sopravvivere. Sono circondato da settanta anime ed io sono ormai molto vecchio e per l'età avanzata anche i miei occhi vedono a fatica; e, da anni, ogni giorno piango mio figlio Giuseppe, che mi è scomparso; e sono stato io ad ordinare ai miei figli di non entrare tutti insieme attraverso un unico accesso, al loro arrivo in Egitto, a causa della gente del posto. E sono stato io ad ordinare loro di vagare per il paese alla ricerca di mio figlio Giuseppe, forse lo avrebbero trovato, e loro si sono attenuti alle mie raccomandazioni; e Tu hai pensato che fossero venuti per spiare il paese. Abbiamo sentito molto parlare di Te, di come sei estremamente saggio e intelligente, tuttavia, guardando i loro visi, come li hai potuti scambiare per spie? Abbiamo anche sentito che hai interpretato i sogni del Faraone e hai previsto la carestia che poi si è avverata e come mai, nella Tua saggezza, non hai capito che i miei figli non sono affatto delle spie? Pertanto, mio signore e mio re, ecco che ora Ti ho mandato mio figlio Beniamino, come avevi richiesto ai miei figli; ebbene, Ti raccomando vivamente di vigilare su di lui e di farlo tornare da me sano e salvo insieme ai suoi fratelli. Perché forse saprai, se Te lo hanno raccontato, ciò che il nostro Dio fece al Faraone, quando prese mia madre Sara e ad Avimelech, re dei Filistei, per questa stessa faccenda. E di quello che fece nostro padre Abramo, con i suoi pochi uomini, ai nove monarchi di Elam che massacrò con tutti i loro soldati. E ciò che i miei due figli Simeone e Levi fecero alle otto città emoree, di come le rasero al suolo, per salvaguardare l'onore della loro sorella Dina. E anche ciò che sarebbero disposti a fare per il loro fratello Beniamino, che li ha consolati, dopo la scomparsa del fratello Giuseppe, se solo qualcuno si azzardasse a mettergli una mano addosso. Non sai Tu, o re di Egitto, che la forza di Dio è con noi? E che Dio ascolta sempre le nostre preghiere e mai ci abbandonerà? E come è vivo Dio, secondo quanto mi hanno raccontato i miei figli su come li hai trattati, ebbene, sappi che se avessi invocato il Signore per ciò che hai fatto, sicuramente saresti già morto tu e il tuo seguito, ancor prima dell'arrivo di mio figlio Beniamino; tuttavia, mi sono detto che mio figlio Simeone è in casa tua e forse lo tratti bene, per cui mi sono trattenuto dal farTi del male. Ma adesso che arriva mio figlio Beniamino con gli altri miei figli, guardalo bene e prendiTi cura di lui e, allo stesso modo, Iddio si prenderà cura di Te e di tutto il Tuo regno. Ecco, Ti ho detto tutto ciò che avevo nel cuore, e ora che i miei figli verranno con il loro fratello, considera bene la sorte del tuo paese, attraverso di loro e fai in modo di farmeli tornare sani e salvi".

E Giacobbe consegnò la lettera ai suoi figli, dandola in mano a Giuda, affinché la consegnasse al re d'Egitto.

Ed i figli di Giacobbe si alzarono, presero Beniamino e tutti i regali, partirono e arrivarono in Egitto, alla presenza di Giuseppe.

E Giuseppe vide Beniamino coi suoi fratelli e li salutò ed essi entrarono nella residenza di Giuseppe.

E Giuseppe ordinò ai suoi inservienti di macellare degli animali e di preparare da mangiare per gli ospiti e quelli eseguirono gli ordini.

E, a mezzogiorno, Giuseppe invitò gli ospiti a comparire davanti a lui con Beniamino; ed essi riferirono al maggiordomo della casa di Giuseppe dei soldi che erano stati rimessi nei loro sacchi e costui disse loro: "Come va? Non preoccupatevi".

E portò loro il loro fratello Simeone.

E Simeone disse ai suoi fratelli: "Il Signore degli Egizi mi ha trattato molto bene, non mi ha arrestato, come avevate visto coi vostri occhi; anzi, dopo che siete partiti, mi ha liberato e mi ha riempito di attenzioni nella sua residenza".

E Giuda prese per mano Beniamino, ed essi arrivarono davanti a Giuseppe e gli si prostrarono con la faccia a terra

E i fratelli diedero i regali a Giuseppe e si sedettero davanti a lui; e Giuseppe disse loro: "Come state? Come stanno i vostri figli? Come sta il vostro anziano padre?".

Ed essi risposero: "Stanno bene". E Giuda prese la lettera di suo padre e la consegnò a Giuseppe.

E Giuseppe lesse la lettera e riconobbe la scrittura di suo padre, e si commosse ma si trattenne e si ritirò nella sua stanza e qui pianse a dirotto; e quindi uscì.

E alzò il suo sguardo e vide suo fratello Beniamino, e disse: "E' questo il vostro fratello di cui mi avete parlato?". E Beniamino si presentò al cospetto di Giuseppe, il quale gli mise la sua mano sulla testa e gli disse: "Che Dio ti sia propizio, figlio mio!".

E quando Giuseppe vide suo fratello, figlio di sua madre, si commosse nuovamente e si ritirò ancora nella sua stanza dove scoppiò in pianto; poi, si lavò il viso, uscì e, fattosi forza, ordinò: "Portate da mangiare!".

E Giuseppe aveva in mano una coppa con la quale beveva e tale coppa era di argento puro ed incastonata con pietre preziose e cristalli; e Giuseppe, battendo la coppa, diceva in che ordine dovevano sedere gli ospiti intorno a lui.

E Giuseppe disse loro: "Io so, tramite questa coppa, che Reuven è il primogenito; e che Simeone, Levi, Giuda, Issachar e Zebulun sono figli di una stessa madre, per cui sedetevi qui secondo l'ordine di nascita".

E quindi fece sedere gli altri secondo la loro età e disse loro: "Io so che questo vostro giovane fratello non ha un fratello, e anch'io, come lui, non ho un fratello, per cui siediti pure vicino a me".

E Beniamino si alzò e si sedette vicino a Giuseppe e i presenti, vedendo ciò che faceva Giuseppe, rimasero esterefatti; e gli ospiti mangiarono e bevvero con Giuseppe, e, in quella circostanza, egli offrì loro dei doni; e Giuseppe diede a Beniamino un regalo a parte, ed anche Menascè ed Efraim, vedendo l'azione del loro padre, diedero a Beniamino un loro regalo, e così fece anche Osnath, per cui, alla fine, Beniamino aveva cinque regali in mano.

E Giuseppe portò a loro del vino, ma essi si rifiutarono di bere e dissero: "Da quando è venuto a mancare nostro fratello Giuseppe noi non abbiamo più bevuto vino, o mangiato cibi prelibati".

Ma Giuseppe li scongiurò e insistette molto che, alla fine, in quel giorno, bevvero molto con lui fino ad essere brilli; e, dopo ciò, Giuseppe si voltò verso Beniamino per parlargli, e il fratello era ancora seduto sul trono davanti a lui.

E Giuseppe gli domandò: "Hai figli?". E Beniamino rispose: "Il tuo servo ha già dieci figli, che si chiamano Bela, Becher, Ashbal, Gera, Naaman, Achi, Rosh, Mupim, Chupim e Ard, e li ho chiamati secondo quanto accadde a mio fratello Giuseppe, che non ho mai visto".

E Giuseppe ordinò ai suoi di portargli la mappa delle stelle, con la quale poteva prevedere il futuro; e Giuseppe disse a Beniamino: "Ho sentito dire che gli Ebrei conoscono ogni genere di scienza, sai anche tu qualcosa a riguardo?".

E Beniamino rispose: "Il tuo servo conosce le scienze che mio padre mi ha insegnato".

E Giuseppe domandò a Beniamino: "Osserva bene questo strumento e dimmi dove si trova tuo fratello in Egitto, secondo quanto avete raccontato".

E Beniamino prese quello strumento con la mappa delle stelle e si concentrò cercando di scoprire dove fosse suo fratello; e Beniamino suddivise l'intero paese d'Egitto in quattro regioni, e scoprì che suo fratello Giuseppe si trovava seduto sul trono davanti a lui, e perciò ne rimase molto stupito; e quando Giuseppe vide che suo fratello Beniamino era particolarmente meravigliato, gli domandò: "Che cosa hai visto che sei rimasto così impressionato?".

E Beniamino disse a Giuseppe: "Ho potuto vedere tramite questo strumento che mio fratello Giuseppe è seduto qui con me sul trono". E Giuseppe gli rispose: "Io sono veramente Giuseppe tuo fratello, ma non rivelarlo ai tuoi fratelli; ecco, io ti mando con loro quando se ne andranno via, ma poi comanderò di farvi tornare indietro in città e ti porterò via da loro. E se essi saranno pronti a sacrificarsi e a combattere per te, solo allora sarò certo che si sono pentiti veramente per quello che mi fecero, e, a quel punto, svelerò loro la mia vera identità; ma se, invece, ti abbandoneranno, allora ti prenderò e rimarrai con me, e li lascerò partire e non rivelerò loro chi sono veramente".

E, dopo ciò, Giuseppe ordinò ai suoi inservienti di riempire i sacchi di quegli ospiti di viveri, e di mettere nel sacco di ciascuno del denaro, e di mettere la sua coppa magica nel sacco di Beniamino, e di aggiungere delle scorte per il viaggio; e gli inservienti eseguirono gli ordini.

E, al mattino successivo, i figli di Giacobbe si alzarono presto, caricarono i loro asini, e si misero in viaggio verso il paese di Canaan con i loro fratelli Beniamino e Simeone.

Essi erano usciti dalla città, ma non ancora lontani, quando Giuseppe disse al suo assistente: "Presto, insegui quegli uomini, prima che si allontanino dal paese e di' loro: Perché avete rubato la coppa del mio signore?"

Ed egli eseguì l'ordine, li inseguì e quando li raggiunse riportò loro le parole di Giuseppe; e quando essi ascoltarono queste parole si infuriarono e risposero: "Colui presso il quale verrà trovata la coppa sia messo a morte e noi pure saremo tuoi schiavi!".

Ed essi si affrettarono a calare i sacchi dai propri asini e a cercare, e la coppa fu trovata nel sacco di Beniamino; ed essi si stracciarono le vesti e tornarono in città, e, strada facendo, malmenarono a più riprese Beniamino, e, giunti in città, si presentarono davanti a Giuseppe.

E Giuda, che era estremamente furioso, disse: "Come è vivo Iddio, che questo uomo mi costringe oggi a radere al suolo l'Egitto intero!".

Ed essi arrivarono alla residenza di Giuseppe, e videro che Giuseppe era seduto sul suo trono, protetto, a destra e a sinistra, da una scorta di guerrieri armati.

E Giuseppe disse loro: "Che azione è mai questa che avete compiuto! Mi avete portato via la mia coppa d'argento e siete scappati via! Sapevo che me l'avreste rubata per sapere in che parte del paese si trova vostro fratello".

E Giuda replicò: "Che cosa possiamo dire al nostro signore? Che diremo e come ci giustificheremo? Dio ha trovato in questo giorno il modo per punire il peccato commesso dai tuoi servi, perciò oggi ci è capitato tutto questo".

E Giuseppe si alzò, afferrò Beniamino e lo portò via a forza dai suoi fratelli e lo prese con sé nella sua camera e chiuse la porta a chiave; e Giuseppe comandò al suo assistente di dire a quegli uomini: "Così ha parlato il re: Andatevene pure in pace da vostro padre, ecco io ho preso la persona presso la quale è stata trovata la mia coppa".

 E Giuda, vedendo ciò che aveva fatto Giuseppe, reagì in questo modo.

 

 

 

VA-IGGASH

 

 

E Giuda si avvicinò a lui e sfondò la porta e con i suoi fratelli si presentò davanti a Giuseppe.

E Giuda disse a Giuseppe: "Non adirarti, signore mio, se il Tuo servo osa parlarTi a quattr'occhi". E Giuseppe gli disse: "Parla pure".

E Giuda così parlò davanti a Giuseppe e ai suoi fratelli, che erano presenti: "Fin dall'inizio, quando siamo arrivati per la prima volta davanti al mio signore per comprare da mangiare, Tu ci hai accusato di essere venuti qui per spiare il paese, e, per questo Ti abbiamo portato nostro fratello Beniamino ma Tu oggi continui a torturarci. Per cui, ora, ascolta bene, signore, le mie parole: libera subito nostro fratello e fallo tornare con noi da suo padre, altrimenti, in questo stesso giorno, sarà la fine Tua e di tutti gli abitanti d'Egitto! Dovresti pur sapere ciò che hanno fatto i miei fratelli Simeone e Levi alla città di Sh'hem e alle sette città degli Emorei, per nostra sorella Dina e sai cosa sarebbero pronti a fare per nostro fratello Beniamino? Io sono pronto a scatenare su di Te e sul Tuo paese tutta la mia forza, che è superiore e più devastante di quella dei miei due fratelli, se ti rifiuti di lasciare libero nostro fratello. Non hai tu sentito ciò che il nostro Dio, che ci ha prescelto, fece al Faraone quando costui sequestrò nostra madre Sara a nostro padre Abramo? Dio colpì lui e tutto il suo casato con terribili malattie, a tal punto che ancora oggi gli Egizi rammentano questo portento; ebbene, sappi bene che Dio Ti punirà per ciò che hai fatto oggi a Beniamino, per averlo portato via da suo padre e per i torti che hai commesso verso di noi nel tuo paese; poiché il nostro Dio ricorderà il Suo patto con nostro padre Abramo e Ti farà del male, dato che in questo giorno hai straziato l'anima di nostro padre. Per cui mettiti in testa ciò che Ti ho detto e lascia che nostro fratello se ne vada, altrimenti sarete passati a fil di spada Tu e tutto il Tuo paese, dato che voi tutti non riuscirete a sopraffarmi!".

E Giuseppe rispose a Giuda: "Perché hai spalancato la tua bocca e ti sei espresso con tanta alterigia, esaltando il tuo valore? Come è vivo il Faraone, se io ordinassi ai miei prodi guerrieri di combattere contro di voi, faremmo annegare te e i tuoi fratelli nel fango!".

E Giuda gli replicò: "Consiglio a Te e ai tuoi soldati di stare alla larga da me! Come è vivo Iddio, se io estraessi la mia spada la rimetterei al suo posto solo dopo aver sterminato in un solo giorno l'Egitto intero, iniziando da Te e finendo col tuo signore, il Faraone!".

E Giuseppe gli rispose: "Non solo tu sei dotato di forza; sappi che io sono più audace e forte di te! E se tu osi estrarre la tua spada, io te la prendo e te la infilo nel collo tuo e dei tuoi fratelli!".

E Giuda, di rimando: "Se solo aprissi la mia bocca contro di Te, il mio urlo Ti inghiottirebbe subito e Ti farebbe sparire dalla faccia della terra e oggi stesso dal Tuo regno!".

E Giuseppe: "Certo, se tu osi aprire la tua bocca, io ho la forza e il coraggio di tappartela con una grossa pietra, cosicchè non potresti fiatare neppure una parola! Guarda quante pietre ci sono davanti a noi; basta che ne prenda una per ficcartela in bocca e spaccarti le mascelle!".

E Giuda gli disse: "Dio è testimone fra di noi, che non volevamo muoverti guerra, fin dal primo momento a tutt'oggi; ti ripeto, libera nostro fratello e noi ce ne andremo via".

E Giuseppe gli rispose: "Come è vivo il Faraone, anche se venissero qui con voi tutti i re di Canaan, non lo potrete prendere dalle mie mani! Perciò adesso andatevene pure da vostro padre e vostro fratello resterà qui come mio schiavo, dato che ha rubato nella reggia".

E Giuda gli disse: "Che cos'è questa cosa che fai in nome del re? Non è stato forse il re a lasciarci partire dalla sua residenza, lungo il paese, offrendoci oro, denaro e doni? E Tu, che hai messo la coppa nel sacco di nostro fratello, insisti col dire che Ti è stata rubata? Non sia mai detto che nostro fratello Beniamino o chi proviene dal seme di Abramo abbia fatto un'azione simile, rubare qualcosa a Te o a chicchessia, sia esso re, principe o uomo comune. Per cui falla finita con queste menzogne, altrimenti il paese intero sentirà le Tue parole e dirà: Per un pezzo di argento il re d'Egitto combatte quella gente, la accusa ingiustamente e gli prende il loro fratello come schiavo".

E Giuseppe replicò: "Prendete pure con voi la coppa e andatevene via e lasciate qui vostro fratello come schiavo, che, secondo legge, è la pena che spetta a chi ruba".

E Giuda disse: "Perché non Ti vergogni di parlare in questo modo? Noi dovremmo abbandonare qui nostro fratello e portar via la coppa? Anche se Tu ci dessi la coppa o qualcosa che vale mille volte tanto, non lasceremmo nostro fratello per tutto l'argento del mondo e sappi che per lui siamo pronti a morire".

E Giuseppe gli replicò: "E perché allora abbandonaste vostro fratello e lo vendeste per venti monete d'argento? Come mai non fate la stessa cosa per questo vostro fratello?".

E Giuda disse: "Dio è testimone fra me e Te che noi non desideriamo farti guerra; pertanto, libera subito nostro fratello e ce ne andremo via pacificamente".

E Giuseppe: "Anche se voi farete un'alleanza con tutti i re del vostro paese non potrete prendere vostro fratello dalle mie mani!".

E Giuda, di rimando: "Che cosa diremo a nostro padre quando vedrà che nostro fratello non è con noi e ne rimarrà straziato?".

E Giuseppe: "Questo è ciò che direte a vostro padre: La corda è andata dietro al secchio".

E Giuda replicò: "Sarai pure un re, ma dici stupidaggini e fai falsa testimonianza! Guai a un re che si comporta come Te!".

E Giuseppe gli rispose: "Non c'era forse falsa testimonianza nelle parole che diceste su vostro fratello Giuseppe? Dato che lo vendeste ai Midianiti per venti monete d'argento e mentiste tutti a vostro padre dicendo che una bestia feroce lo aveva sbranato e divorato?".

E Giuda proruppe: "Ecco, il fuoco di Sh'hem mi invade lo spirito e brucerà tutto il Tuo paese!".

E Giuseppe gli rispose: "Ci penserà tua nuora Tamara, che ha fatto morire i tuoi figli, a spegnere quel fuoco!".

E Giuda replicò: "Come è vivo Dio, basterebbe che staccassi un solo pelo dalla mia carne e farei inondare l'Egitto intero nel suo sangue!".

E Giuseppe: "Così siete soliti fare come faceste con il vostro fratello che vendeste; e inzuppaste la sua tunica nel sangue ovino e la mostraste a vostro padre dicendo che una bestia feroce lo aveva divorato".

E quando Giuda ascoltò queste parole si infuriò; e davanti a lui c'era un masso che pesava circa 400 sicli; e nella sua collera Giuda lo sollevò con la mano destra e lo scagliò verso l'alto per poi riprenderlo al volo con la mano sinistra.

E quindi lo posizionò tra i suoi piedi e con un colpo, inferto con la massima forza, lo frantumò in fine polvere.

E Giuseppe, vedendo ciò, si spaventò, ma ordinò a suo figlio Menascè di fare altrettanto; e suo figlio prese un masso e imitò l'azione di Giuda; e Giuda disse ai suoi fratelli: "Nessuno di voi dica che costui è un egiziano, uno che fa una cosa simile discende certamente dalla famiglia di nostro padre".

E Giuseppe disse: "Non solo a voi è stata data la forza, come vedete anche noi siamo estremamente forzuti e perché mai dovreste vantarvi con noi?".

E Giuda disse a Giuseppe: "Lascia andare nostro fratello ed evita la distruzione del tuo paese oggi stesso".

E Giuseppe replicò loro: "Andatevene e dite a vostro padre che una bestia feroce lo ha sbranato così come diceste per vostro fratello Giuseppe".

E Giuda si rivolse a suo fratello Naftali e gli disse: "Corri in città e conta quanti mercati ci sono e torna a riferirmelo".

E Simeone gli disse: "Non ce n'è bisogno, sarò io ad andare sul monte e a far rotolare su tutto il paese un immane masso che farà strage di tutta la popolazione".

E Giuseppe udì ciò che dicevano i suoi fratelli davanti a lui, ma costoro non sapevano che Giuseppe li capiva, dato che erano convinti che non conoscesse l'ebraico.

E Giuseppe si spaventò ascoltando dai loro discorsi che intendevano distruggere il paese, per cui ordinò a suo figlio Menascè: "Corri e avvisa tutta la popolazione d'Egitto e ordina a tutti i guerrieri e i cavalieri di venire subito qui al palazzo reale, suonando anche ogni tipo di strumento musicale".

E Menascè eseguì l'ordine paterno.

E Naftali eseguì l'ordine di Giuda, dato che correva veloce come una gazzella, a tal punto che quando correva sulle spighe di grano queste non si spezzavano sotto i suoi piedi.

E quando arrivò in città, la attraversò e contò una dozzina di mercati e, sempre di corsa, tornò a riferirlo a Giuda, il quale disse ai suoi fratelli: "Sbrigatevi, mettete le spade ai lombi e andiamo a distruggere il paese e ammazziamo tutti e non risparmiamo nessuno".

E Giuda disse: "Sbrighiamoci! Io, da solo, distruggerò con la mia forza tre mercati e ognuno di voi distruggerà gli altri nove".

E mentre Giuda finiva di parlare, ecco arrivare tutti gli abitanti e i guerrieri con le loro armi e i loro strumenti musicali, tra schiamazzi e urla.

E arrivarono al palazzo reale 500 cavalieri e 1000 fanti con 400 uomini che potevano lottare senza spada o lancia, in virtù della loro immane forza fisica.

E tutti questi forti combattenti arrivarono tra grida e strepiti e circondarono i figli di Giacobbe che rimasero basiti e la terra tremò al frastuono dei loro schiamazzi.

E quando i figli di Giacobbe videro tutti costoro temettero assai per la propria vita, e, infatti, Giuseppe aveva ordinato di fare così per intimorirli e zittirli.

E Giuda, vedendo che alcuni dei suoi fratelli si erano spaventati, li rincuorò, dicendo: "Perché temete? Non sapete che la misericordia del nostro Dio è con noi?".

E quando Giuda vide che tutta quella gente li aveva circondati, secondo l'ordine di Giuseppe, che aveva detto loro di spaventarli soltanto, senza far loro alcun male.

E, a questo punto, Giuda estrasse la sua spada e lanciò un urlo portentoso e lancinante e cominciò a far roteare la sua spada, continuando ad urlare contro tutti quelli che lo circondavano.

E ciò facendo, il Signore incutè in tutti costoro il terrore verso Giuda e i suoi fratelli.

Ed essi fuggirono spaventati dalla potenza di quelle urla, e nella fuga precipitosa, caddero l'uno sull'altro e molti di loro morirono schiacciati, e tutta quella gente scappò via di fronte a Giuda, ai suoi fratelli e a Giuseppe.

E mentre fuggivano, essi presero ad inseguirli fino al palazzo del Faraone, e Giuda si sedette davanti a Giuseppe e gli ruggì contro come un leone e lanciò un urlo portentoso.

E questo urlo si sentì a grande distanza, e arrivò anche agli orecchi degli abitanti di Succoth e il paese ne fu scosso; e anche le mura d'Egitto e della terra di Goshen crollarono per quel terremoto, che fece cadere a terra dal suo trono anche il Faraone; e quell'immane urlo fece abortire tutte le donne gravide d'Egitto e di Goshen, che ne rimasero terrorizzate.

E il Faraone chiamò i suoi inservienti e domandò: "Che cos'è mai tutto questo trambusto? Cosa sta succedendo nel paese?".

Ed essi gli raccontarono tutto per filo e per segno e il Faraone ne rimase esterefatto e spaventato.

E la sua paura crebbe a dismisura quando ascoltò tutti i particolari; ed egli mandò a dire a Giuseppe: "Mi hai portato questi ebrei per distruggere tutto il paese? Che affari hai tu con quello schiavo ladro? Che se ne vada via coi suoi fratelli, e così la loro malvagità non farà morire noi, te e tutta la gente d'Egitto. E se non intendi farlo, lascia subito tutti i miei beni e seguili al loro paese, se ti piacciono così tanto! Poiché oggi hanno cominciato a devastare il paese e ad ammazzare la mia gente e le donne egiziane hanno abortito a causa dei loro schiamazzi; guarda che disastro hanno combinato con le loro urla! Tanto più se si mettono a combattere con le loro armi! Potrebbero radere al suolo tutto il paese! Per cui, spetta a te ora decidere: o io o gli Ebrei, o l'Egitto o la terra degli Ebrei!".

E i messi vennero da Giuseppe e gli riferirono tutte le parole del Faraone che lo riguardavano e Giuseppe rimase molto turbato da quelle parole, mentre Giuda e i suoi fratelli se ne stavano ancora davanti a lui, indignati e incolleriti, e continuavano a ruggirgli contro come leoni e a ululare come mare in tempesta.

E Giuseppe, che era turbato dai suoi fratelli e dalle parole del Faraone, cercò una strategia per evitare che i suoi fratelli distruggessero il paese.

Per cui Giuseppe parlò con suo figlio Menascè, che si avvicinò a Giuda, gli mise la sua mano sulla spalla e la collera di Giuda svanì.

E Giuda disse ai suoi fratelli: "Nessuno di voi dica che costui è un giovane egizio, uno che fa una cosa simile discende certamente dalla famiglia di nostro padre".

E Giuseppe, vedendo e sapendo che la collera di Giuda era sparita, gli si avvicinò e gli parlò in modo amichevole.

E Giuseppe disse a Giuda: "Sono convinto che avete detto la verità e oggi avete dimostrato che era vero ciò che proclamavate sulla vostra forza e che il Signore che vi vuole bene, vi ha benedetto in questo; però, adesso dimmi, perché hai combattuto contro di me soprattutto tu, per salvare questo tuo fratello, mentre tutti gli altri fratelli non hanno fiatato una parola per difenderlo?".

E Giuda gli rispose: "E perché mi sono impegnato io, davanti a mio padre, a garantire l'incolumità di questo mio fratello, quando gli dissi che se non glielo avessi riportato sano e salvo, avrei peccato davanti a lui per tutta la vita. Per questo, fra tutti i fratelli, sono stato io a presentarmi stamani davanti a te quando ho visto che non volevi darmelo e non volevi lasciarlo andar via; per cui, adesso, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, fallo andar via con i suoi fratelli ed io rimarrò qui da te al suo posto e ti servirò in tutto ciò che vorrai; farò ciò che mi dirai di fare con tutto il mio zelo. Mandami pure da un qualsiasi potente re che si è ribellato al tuo volere e vedrai che fine farà; e anche se fosse dotato di cavalleria e fanteria e di una grande milizia, io lo sbaraglierò e te lo porterò qui davanti con la testa mozzata! Avrai sentito o forse ti hanno raccontato come Abramo nostro padre con il suo solo servo Eliezer sbaragliò tutti i monarchi di Elam con i loro eserciti in un'unica notte, non risparmiando anima viva? E da quel giorno in poi la potenza del nostro progenitore è stata ereditata a noi e alla nostra discendenza per sempre".

E Giuseppe gli rispose: "Tu dici la verità e nella tua bocca non c'è falsità, perché anche a noi è stato detto che gli Ebrei hanno la potenza e il Signore loro Dio li ama molto e chi potrebbe contrastarli? Nonostante ciò, lascerò libero vostro fratello, a condizione che mi portiate qui suo fratello, figlio della stessa madre, che avete detto essersi recato in Egitto; e una volta che lo avrete rintracciato e portato qui da me, lo prenderò al posto di suo fratello, dal momento che nessuno di voi si era fatto garante per lui davanti a vostro padre, e così quando arriverà da me, lascerò libero suo fratello, per la sicurezza del quale ti sei impegnato".

E Giuda fu invaso nuovamente dalla collera verso Giuseppe quando parlò così e, con gli occhi infiammati d'ira, disse ai fratelli: "Costui se la sta cercando la morte, per sé e per tutto l'Egitto!".

E Simeone rispose a Giuseppe: "Ti avevamo pur detto, fin dall'inizio, che non sappiamo che fine ha fatto nostro fratello, se sia vivo o morto, perché dunque ti ostini a parlare in questo modo?".

E Giuseppe, osservando il volto di Giuda, notò che la collera aveva ripreso ad invaderlo quando gli aveva detto di portargli il fratello scomparso al posto di quello detenuto.

E Giuseppe disse ai suoi fratelli: "Non avevate detto che vostro fratello era o morto o scomparso? Ebbene, se io oggi lo chiamassi e venisse qui davanti a voi, me lo dareste al posto dell'altro vostro fratello?".

E Giuseppe cominciò a chiamare: "Giuseppe, Giuseppe, vieni e mostrati pure ai tuoi fratelli e siediti qui con loro".

E quando Giuseppe finì di evocarlo, i fratelli si guardarono attorno per vedere da che parte sarebbe uscito il loro fratello Giuseppe.

E Giuseppe, dopo aver osservato la reazione dei suoi fratelli, disse loro: "Perché guardate di qua e di là? Sono io Giuseppe, vostro fratello, che vendeste in Egitto; però adesso non vi dispiaccia di avermi venduto, perché Dio mi ha mandato avanti a voi per sopravvivere alla fame".

E i fratelli, udendo le sue parole, rimasero storditi e Giuda, in particolare, era rimasto impietrito.

E quando Beniamino sentì le parole del fratello dall'interno della stanza in cui era nascosto, uscì fuori di corsa verso Giuseppe e gli si gettò al collo, lo abbracciò e i due scoppiarono in pianto.

E quando i fratelli videro che Beniamino si era gettato al collo del fratello e piangeva con lui, fecero altrettanto e si gettarono al collo di Giuseppe e lo abbracciarono e tutti piansero insieme a Giuseppe.

E la notizia sulla presenza dei fratelli di Giuseppe si diffuse subito a casa del Faraone, e ciò gli fece piacere, in quanto aveva temuto che quegli uomini avrebbero distrutto il paese.

E il Faraone mandò dei funzionari a Giuseppe per congratularsi con lui per l'arrivo dei suoi fratelli e tutti gli alti ufficiali dell'esercito e delle guardie reali arrivarono per complimentarsi con Giuseppe, e in tutto il paese si fecero grandi festeggiamenti in onore dei fratelli di Giuseppe.

E il Faraone mandò dei messi per dire a Giuseppe: "Di' ai tuoi fratelli di raccogliere tutti i loro beni e di venire da me e io darò loro la miglior parte della terra d'Egitto". Ed essi eseguirono il suo ordine.

E Giuseppe ordinò ai sudditi del suo palazzo di approntare viveri, regali e abiti da consegnare ai suoi fratelli; e Giuseppe stesso tirò fuori dai depositi reali molti abiti di lusso e regali di valore, per consegnarli ai suoi fratelli.

E a ciascuno dei suoi fratelli regalò una muta di abiti e 100 monete d'argento; ma a Beniamino diede cinque mute di abiti e 300 monete d'argento; e Giuseppe ordinò ai suoi fratelli di indossare quegli abiti regali per presentarsi al Faraone.

E il Faraone fu estremamente soddisfatto quando vide che tutti i fratelli di Giuseppe erano guerrieri di valore e uomini di bell'aspetto.

E dopo essersi accommiatati dal Faraone, i fratelli se ne tornarono al paese di Canaan, dal loro padre e con il loro fratello Beniamino.

E Giuseppe ordinò di consegnare ai fratelli undici cocchi del Faraone; e diede loro anche il suo cocchio personale, sul quale aveva viaggiato durante la sua incoronazione, affinchè facessero venire Giacobbe in Egitto; e Giuseppe mandò in regalo a tutti i figli dei suoi fratelli degli abiti, a seconda del loro numero, con 100 monete d'argento per ciascuno, e così anche degli abiti alle mogli dei fratelli, provenienti dalla residenza della regina.

E diede ad ognuno dei suoi fratelli dieci inservienti per il viaggio a Canaan, addetti a servire loro, i loro figli e a trasportare i loro beni quando sarebbero tornati in Egitto.

E Giuseppe inviò, tramite il fratello Beniamino, dieci mute di abiti per i suoi dieci figli, oltre a quelli per i nipoti di Giacobbe.

E consegnò ad ognuno 50 monete di argento e dieci carri del Faraone; e a suo padre Giacobbe mandò dieci asini carichi dei migliori prodotti d'Egitto e dieci asine cariche di grano, di pani e vari altri generi alimentari, oltre alle scorte per il viaggio.

E mandò a sua sorella Dina abiti ricamati d'oro e d'argento, incensi e mirra, aloe e profumi femminili in gran quantità, e lo stesso carico mandò alle mogli di Beniamino, dono delle donne del Faraone.

E a tutti i suoi fratelli e alle loro mogli mandò gemme e pietre preziose, e tra gli oggetti di valore che si trovavano in Egitto, non ci fu nulla che Giuseppe risparmiò di mandare alla casa paterna.

E, infine, Giuseppe si congedò dai suoi fratelli e da Beniamino, che tornarono al paese di Canaan.

E Giuseppe partì con loro per accompagnarli fino al confine e raccomandò ai propri fratelli di far ritorno in Egitto, questa volta col loro padre Giacobbe e con tutto il suo seguito.

E, congedandosi, disse loro: "Non questionate durante il viaggio, perché ciò che è avvenuto proviene da Dio, che ha voluto salvare tanta gente dalla fame, dato che ci saranno ancora cinque anni di carestia in tutta la regione".

E si raccomandò nuovamente con loro, dicendo: "Quando arriverete nella terra di Canaan, non raccontate subito a mio padre quanto è successo, ma fatelo gradatamente e con buon senso".

E Giuseppe finì le sue raccomandazioni e rientrò in Egitto ed i figli di Giacobbe andarono a Canaan dal loro padre, festanti e contenti.

E quando raggiunsero il confine, cominciarono a chiedersi: "Come faremo col nostro babbo? Perché se gli raccontiamo subito ciò che ci è successo, potrebbe turbarsi e non volerci ascoltare oltre".

E quando furono prossimi a destinazione, incontrarono Serach, la figlia di Asher, che veniva loro incontro, e questa fanciulla, oltre ad essere buona e intelligente, sapeva anche suonare la cetra.

Ed essi la chiamarono e lei venne loro incontro e li baciò; ed essi la presero da parte e le consegnarono una cetra, dicendole: "Adesso va' dal nonno, siediti accanto a lui e comincia a suonare, cantando le parole che ti diremo".

E le ordinarono di andare a casa e la ragazza prese lo strumento e si affrettò a precederli per poi sedersi accanto a Giacobbe.

E Serach iniziò a suonare dolcemente e accompagnò la sua musica melodiosa con queste parole: "Mio zio Giuseppe è vivo e regna su tutta la terra d'Egitto, egli non è morto".

E continuava a cantare queste parole e Giacobbe, ascoltandole, ne era estasiato.

E dopo aver ascoltato per due o tre volte la dolcezza di quella frase, una gioia profonda invase il suo cuore, e lo spirito di Dio si posò su Giacobbe, che sentiva che quelle parole erano vere.

E Giacobbe benedì Serach per quella canzone e le disse: "Figlia mia, che la morte non abbia mai il sopravvento su di te, in quanto hai resuscitato il mio spirito; ti prego, canta ancora quelle parole, che mi hanno reso così felice!".

E Serach cantò nuovamente quella canzone e Giacobbe la ascoltava con estremo piacere e lo spirito di Dio si posò su lui.

E mentre Giacobbe era con la nipote, ecco arrivare i suoi figli in sella ai cavalli e sui carri, vestiti regalmente e con i servitori che li precedevano correndo.

E Giacobbe si alzò e andò loro incontro e vide che indossavano abiti regali e portavano ogni genere di bene.

Ed essi gli dissero: "Sappi che nostro fratello Giuseppe è vivo e che regna su tutto l'Egitto ed è lui in persona che ci ha detto ciò che stai ascoltando".

E il cuore di Giacobbe, udendo le parole dei figli, cominciò a battere forte ed egli non ci voleva credere fino a quando vide ciò che suo figlio aveva mandato a lui e a tutti i familiari e ai segni che aveva enunciato ai propri fratelli.

Ed i fratelli aprirono davanti al padre i sacchi e gli mostrarono ciò che aveva mandato Giuseppe, e distribuirono a ciascuno la sua parte, e Giacobbe si convinse che stavano dicendo la verità e gioì oltre modo per suo figlio.

E Giacobbe disse: "Mi basta che mio figlio Giuseppe sia ancora vivo, ora andrò a trovarlo prima di morire".

Ed i suoi figli gli raccontarono ciò che era successo loro e Giacobbe disse: "Andrò in Egitto per vedere mio figlio e i miei nipoti".

E Giacobbe si alzò e indossò gli abiti che gli aveva mandato Giuseppe, e dopo aver lavato e tagliato i capelli, si mise il turbante regalatogli dal figlio.

E tutti gli uomini della casa di Giacobbe e le loro mogli indossarono gli abiti regalati da Giuseppe, e tutti gioirono molto udendo che Giuseppe era ancora vivo e regnava in Egitto.

E quando gli abitanti di Canaan udirono la notizia, vennero e festeggiarono con Giacobbe.

E Giacobbe approntò per loro grandi festeggiamenti, che si protrassero per tre giorni, e tutti i re e i notabili di Canaan e dei paesi vicini mangiarono e bevvero e festeggiarono nella casa di Giacobbe.

E dopo un po' di tempo, Giacobbe disse: "Andrò a trovare mio figlio in Egitto e poi tornerò nella terra di Canaan, che Dio promise ad Abramo, dato che non potrò abbandonare il paese natìo".

E, infatti, così gli parlò il Signore: "Lèvati e scendi in Egitto con tutta il tuo casato e rimani lì, non avere paura di andare in Egitto poiché là ti farò diventare una grande nazione".

E Giacobbe disse a se stesso: "Andrò a trovare mio figlio e a vedere se il timor di Dio alberga ancora in lui e tra gli abitanti d'Egitto".

E Dio disse a Giacobbe: "Non avere timori riguardo a Giuseppe, in quanto egli ha mantenuto la sua integrità nel servirMi, come fa piacere a te". E Giacobbe fu estremamente contento per suo figlio.

E, in quei giorni, Giacobbe ordinò ai suoi figli e al suo casato di prepararsi per andare in Egitto, secondo quanto gli aveva detto il Signore; così Giacobbe, i suoi figli e il suo casato partirono dalla terra di Canaan, da Beer Sheva, con la gioia nel cuore, per recarsi in Egitto.

E quando furono prossimi al confine, Giacobbe inviò Giuda avanti a sé da Giuseppe affinché gli indicasse la via per Goshen; e Giuda eseguì l'ordine paterno e correndo, arrivò subito da Giuseppe, che avrebbe assegnato loro un luogo in cui insediarsi nella terra di Goshen, e Giuda ritornò e incontrò suo padre lungo la strada.

E Giuseppe attaccò la carrozza e convocò tutti i suoi guerrieri e i ministri d'Egitto per andare incontro a suo padre Giacobbe; e Giuseppe emise un proclama in tutto il paese in cui si diceva che chi non fosse andato incontro a Giacobbe sarebbe stato giustiziato.

E l'indomani Giuseppe si mise in cammino con tutto l'Egitto, e il suo possente esercito, in pompa magna, con abiti di fine lino e porpora e monili d'oro e d'argento e armati di tutto punto.

E tutti insieme andarono incontro a Giacobbe, suonando ogni sorta di strumento musicale e danzando al ritmo dei tamburelli e spargendo lungo il cammino mirra ed aloe; e il frastuono gioioso delle loro musiche e grida faceva tremare la terra.

E anche tutte le donne d'Egitto salirono sui terrazzi e sulle mura per onorare Giacobbe, e da qui emettevano grida di gioia e suonavano e danzavano; e Giuseppe, che procedeva alla testa del corteo che andava incontro al padre, indossava la corona del regno, che il Faraone gli aveva concesso per onorare l'incontro.

E quando Giuseppe fu a 50 cubiti dal padre, scese dal suo carro e si diresse a piedi verso di lui; e quando i suoi ufficiali e i notabili d'Egitto videro che Giuseppe era sceso dal carro e andava incontro al padre, fecero la stessa cosa e si incamminarono verso Giacobbe.

E quando Giacobbe coi suoi figli si avvicinò al corteo di Giuseppe, rimase impressionato dalla potenza e dalla grandezza del suo seguito.

E Giacobbe disse a Giuda: "Chi è quell'uomo che vedo nel campo egizio con abiti da re? E indossa una tunica rosso viva e porta la corona regale ed è sceso dal carro e ci sta venendo incontro?".

E Giuda rispose a suo padre: "E' tuo figlio Giuseppe, il re". E Giacobbe gioì nel vedere la gloria di suo figlio.

E quando Giuseppe fu vicino a suo padre, si prostrò davanti a lui, e così fecero tutti gli uomini del suo seguito, che si gettarono a terra davanti a Giacobbe.

E Giacobbe corse verso suo figlio e gli si gettò al collo e lo baciò ed essi piansero; ed anche Giuseppe abbracciò suo padre e lo baciò, e i due piansero a lungo e tutto l'Egitto pianse con loro.

E Giacobbe disse a Giuseppe: "Adesso posso proprio morire dopo che ho visto il tuo viso e ho constatato che sei vivo e onorato".

E i figli di Giacobbe con le loro mogli, i loro figli, i loro inservienti e tutta la casa di Giacobbe piansero con Giuseppe per la commozione e lo baciarono più volte.

E dopo l'incontro, Giuseppe con tutto il suo seguito rientrò nella sua residenza in Egitto; e anche Giacobbe, coi figli e la famiglia arrivò con Giuseppe in Egitto; e Giuseppe sistemò i suoi nella parte più fertile del paese, la terra di Goshen.

E Giuseppe disse a suo padre e ai suoi fratelli: "Andrò ad informare il Faraone e gli dirò: I miei fratelli e la famiglia di mio padre con tutti i loro averi sono venuti da me e adesso si trovano nella terra di Goshen".

E Giuseppe fece come aveva detto e prese con sé i suoi fratelli Reuven, Issachar Zebulun e suo fratello Beniamino e li portò davanti al Faraone.

E Giuseppe disse al Faraone: "I miei fratelli e la famiglia di mio padre con tutti i loro averi, i loro greggi e i loro armenti sono venuti da me dalla terra di Canaan per soggiornare in Egitto, dato che grava su di loro lo spettro della fame".

Ed il Faraone disse a Giuseppe: "Sistema tuo padre e i tuoi fratelli nella miglior parte del paese, non far mancare loro niente e concedi loro i prodotti più buoni del paese".

E Giuseppe rispose: "Ecco, li ho sistemati nella terra di Goshen, dato che sono pastori, per cui si insedieranno a Goshen e potranno pasturare i loro armenti, lontano dagli Egiziani".

E il Faraone disse a Giuseppe: "Fa' pure tutto ciò che ti diranno i tuoi fratelli".

E i figli di Giacobbe si inchinarono davanti al Faraone e si congedarono salutandolo; e quindi Giuseppe portò suo padre dal Faraone.

E Giacobbe entrò e si inchinò al Faraone, lo salutò e uscì; e, in quel tempo, Giacobbe con tutta la sua famiglia dimorò nella terra di Goshen.

E dal secondo anno, che corrispondeva al 130esimo anno di vita di Giacobbe, Giuseppe si prese cura del sostentamento di suo padre, dei suoi fratelli e della famiglia paterna, approvvigionandoli di viveri, e, nel periodo di carestia generale, non mancò loro alcunché.

E Giuseppe diede loro la parte migliore del paese, per cui si cibarono dei migliori prodotti e Giuseppe rifornì ai suoi familiari abiti per ogni stagione; e i figli di Giacobbe soggiornarono nel paese in sicurezza per tutti gli anni di vita di Giuseppe.

E Giacobbe pranzava sempre alla tavola di Giuseppe, e così anche i suoi figli erano abituati a pranzare e a cenare alla tavola del fratello, quasi ogni giorno.

E tutti gli abitanti d'Egitto poterono sfamarsi durante il periodo di carestia grazie ai rifornimenti acquistati dai depositi di Giuseppe, e ciò in cambio di tutti i loro averi.

E Giuseppe acquistò tutte le terre e i campi d'Egitto in cambio del cibo che vendeva a nome del Faraone; e Giuseppe sfamò tutto il paese durante la carestia; e Giuseppe raccolse immense quantità d'oro e d'argento, che la gente pagò per comprare da mangiare; e non solo oro e argento ma anche pietre preziose, cristalli e abiti e oggetti di valore, che vennero portati a Giuseppe da ogni parte del paese.

E Giuseppe accumulò tutto l'oro e l'argento in 72 grandi lingotti, oltre a grandi quantità di pietre preziose e cristalli; ed egli suddivise i suoi tesori in quattro parti; la prima parte, la nascose nel deserto vicino al Mar Rosso (Yam Suf), la seconda parte vicino al fiume Eufrate; la terza e la quarta parte, le occultò nelle aree desertiche della Persia e della Mesopotamia.

E ciò che rimase dell'oro e dell'argento lo diede a tutti i suoi fratelli, ai familiari della casa paterna, alle donne della casa paterna e ciò che rimase, circa 20 lingotti d'oro e d'argento li depositò nella residenza del Faraone.

E Giuseppe consegnò tutto l'oro e l'argento che era rimasto al Faraone, il quale lo depositò nei suoi forzieri; e i giorni della carestia cessarono nel paese, e si riprese così a seminare e a raccogliere in tutto l'Egitto e i raccolti tornarono ad essere buoni, come in passato, e ci fu nuovamente abbondanza.

E Giuseppe visse in Egitto in completa sicurezza, e il paese intero era sotto la sua amministrazione, e suo padre e tutti i suoi fratelli si insediarono nella regione di Goshen.

E Giuseppe era ormai vecchio e i suoi due figli, Efraim e Menascè, erano rimasti sempre nella casa di Giacobbe, insieme ai familiari del casato del nonno, per apprendere le vie e i comandamenti del Signore.

E Giacobbe ed i suoi figli vissero nel paese d'Egitto, nella regione di Goshen, dove si erano insediati e qui crebbero e si moltiplicarono.

 

 

 

VAIEHI'

 

 

E Giacobbe visse in terra d'Egitto 17 anni; tutta la sua vita fu di 147 anni.

E in quel tempo, quando Giacobbe si ammalò di una malattia letale chiamò suo figlio Giuseppe dall'Egitto che raggiunse suo padre.

E Giacobbe disse a Giuseppe e ai suoi figli: "Ecco, io sto per morire e il Dio dei vostri padri si ricorderà di voi e vi farà ritornare al vostro paese, che giurò di dare a voi, ai vostri figli e alla vostra discendenza; e dopo che sarò morto, seppellitemi nella grotta di Machpelà, a Hebron, nella terra di Canaan, accanto ai miei padri".

E Giacobbe fece giurare ai propri figli di seppellirlo a Machpelà, a Hebron, ed essi giurarono di eseguire la sua volontà.

E Giacobbe ordinò loro: "Servite il Signore vostro Dio, poiché Egli vi salverà da ogni distretta, così come salvò i vostri padri".

E Giacobbe disse: "Portatemi qui tutti i miei figli". Ed essi arrivarono e si sedettero intorno al suo capezzale.

E Giacobbe li benedì e disse loro: "Il Signore Dio dei vostri padri vi dia mille volte tanto e vi benedica, concenendovi la benedizione di vostro padre Abramo".

E tutti i figli di Giacobbe uscirono dalla stanza in quel giorno dopo la benedizione.

E il giorno seguente Giacobbe convocò nuovamente i propri figli, che si radunarono e si sedettero intorno a lui; e Giacobbe li benedì prima di morire e ad ognuno diede una particolare benedizione, che viene riportata nel Libro della Torah, dato da Dio ad Israele.

E Giacobbe disse a Giuda: "Io so, figlio mio, che tu sei un guerriero valoroso per i tuoi fratelli e tu dominerai su di loro e i tuoi figli regneranno sui loro figli per sempre. E insegna anche ai tuoi figli ad usare l'arco e tutti gli strumenti da guerra, affinché possano combattere le guerre a difesa dei loro fratelli quando domineranno sui loro nemici".

E, in quel giorno, Giacobbe ordinò ai suoi figli: "Ecco, io sto oggi per riunirmi al mio popolo; portatemi via dall'Egitto e seppellitemi nella grotta di Machpelà come già vi comandai. Tuttavia, vi prego che tutti voi insieme mi portiate via da qui e non uno dei vostri figli soltanto; e ciò è quello che dovrete fare per me, quando porterete alla sepoltura la mia salma nel paese di Canaan. Giuda, Issachar e Zebulun sosterranno il mio feretro da destra; Reuven, Simeone e Gad dal basso; Efraim, Menascè e Beniamino dalla sinistra; Dan, Asher e Naftali dall'alto. Non fate portare il feretro a Levi, poiché egli e la sua discendenza porteranno l'Arca del Patto di Dio con Israele in luoghi aperti e neppure mio figlio Giuseppe lo porterà, poiché ciò non si addice all'onore che spetta a un re; tuttavia, i suoi figli Efraim e Menascè lo faranno al posto suo. Così farete quando mi porterete via; mi raccomando di non omettere alcunché da ciò che vi ho comandato; e se farete ciò, il Signore renderà merito a voi e alla vostra discendenza per sempre. E voi, cari figli miei, rispettatevi a vicenda e onoratevi tra fratelli e parenti, e ordinate ai vostri figli e ai loro discendenti di servire in vita il Signore, Dio dei nostri antenati, affinché possiate prolungare i vostri giorni nel paese, voi, i vostri figli e i vostri discendenti in eterno, se vi comporterete bene e onestamente davanti al Signore vostro Dio, seguendo tutti i Suoi comandamenti. E tu, Giuseppe figlio mio, perdona, ti prego, la colpa dei tuoi fratelli e il male che ti hanno fatto, poiché il Signore lo ha trasformaato in bene, a beneficio tuo e dei tuoi figli. E, figlio mio, non abbandonare i tuoi fratelli alla gente d'Egitto, e non affliggerli nello spirito, poiché io li consegno nelle mani di Dio ma anche nelle tue mani, affinché tu li preservi dagli Egizi, finchè sarai vivo".

Ed i figli di Giacobbe risposero al loro padre: "Padre nostro, faremo tutto ciò che ci hai comandato, solo il Signore sia con noi".

E Giacobbe rispose loro: "Il Signore sarà sicuramente con voi se procederete secondo le Sue vie e non devierete né a destra né a sinistra e vi comporterete bene e onestamente secondo la Sua volontà. Poiché io prevedo che numerose e gravi sciagure vi attendono in futuro in questo paese, sia ai vostri figli che alla vostra discendenza; tuttavia, servite Dio ed Egli vi salverà da ogni avversità. E se seguirete le vie del Signore per servirLo e insegnerete ai vostri figli e ai discendenti dopo di loro a conoscerLo, ecco, il Signore farà sorgere tra la vostra gente un salvatore per voi e per i vostri figli, e attraverso lui Dio vi salverà da tutte le avversità e vi farà uscire dall'Egitto e vi riporterà nella terra dei vostri padri per ereditarla in sicurezza".

E quando Giacobbe ebbe terminato di dare disposizioni ai suoi figli, ritrasse i piedi dentro il letto, spirò e si riunì alla sua gente.

E Giuseppe si gettò su suo padre, gridò, pianse su di lui e lo baciò e con voce straziata lo invocò: "O padre mio, o padre mio!".

E arrivarono anche le mogli dei suoi figli e tutti i familiari si gettarono su Giacobbe e lo piansero e invocarono il suo nome a gran voce.

E tutti i figli di Giacobbe si alzarono insieme e stracciarono le loro vesti e indossarono gli abiti da lutto e si gettarono a terra e coprirono le loro teste con la polvere lanciata in aria.

E la notizia della morte pervenne anche ad Osnat, moglie di Giuseppe, che indossò subito il sacco di lutto e con tutte le donne egizie arrivò al capezzale di Giacobbe e qui si fecero discorsi funebri e tutte lo piansero.

Ed anche la gente d'Egitto, che aveva conosciuto Giacobbe, venne per tributargli gli ultimi onori e l'Egitto intero lo pianse per molti giorni.

Ed anche dalla terra di Canaan arrivarono in molti per piangere Giacobbe e in Egitto fecero lutto per 70 giorni.

E dopo ciò, Giuseppe ordinò ai medici al suo servizio di imbalsamare suo padre con mirra, olibano e altri incensi e profumi; e i medici eseguirono la sua volontà ed imbalsamarono Giacobbe.

E tutta la gente d'Egitto, gli anziani e gli abitanti di Goshen piansero e fecero lutto per Giacobbe, così come i figli, i nipoti e la parentela di Giacobbe piansero e fecero lutto per molti giorni.

E alla fine dei 70 giorni di lutto, Giuseppe disse al Faraone: "Vado a seppellire mio padre nella terra di Canaan come mi fece giurare e quindi tornerò".

E il Faraone gli rispose: "Va' pure e seppellisci tuo padre come ti fece giurare".

E Giuseppe andò con tutti i suoi fratelli nella terra di Canaan per seppellire il padre Giacobbe, così come aveva richiesto.

E il Faraone emise un proclama in tutto il territorio d'Egitto che così recitava: "Chiunque non andrà con Giuseppe e i suoi fratelli in terra di Canaan alla sepoltura di Giacobbe, verrà messo a morte".

E tutti i sudditi d'Egitto obbedirono al proclama del Faraone e si recarono al funerale di Giacobbe in terra di Canaan, insieme ai ministri del Faraone, ai dignitari della sua reggia e a tutti i personaggi più ragguardevoli.

E i figli di Giacobbe portarono il feretro sul quale giaceva il genitore, secondo le disposizioni che Giacobbe aveva dato loro prima di morire.

E il cataletto era fatto di oro puro e tutt'intorno era incastonato da onice e cristalli; e la parte superiore era ricamata interamente ed era collegata da fettucce di tela sovrastate da uncini che mostravano gemme e cristalli.

E Giuseppe pose sulla testa di suo padre Giacobbe una grossa corona d'oro e nel suo pugno uno scettro d'oro, e il feretro paterno venne scortato come si usava fare con i faraoni in vita.

E le truppe d'Egitto scortarono il corteo e in testa procedevano i guerrieri più valorosi del Faraone e di Giuseppe che brandivano le spade e indossavano le loro corazze e i loro armamenti.

E i sudditi che manifestavano ad alta voce il cordoglio con pianti e lamenti stavano ad una certa distanza dal feretro, mentre il resto del popolo seguiva in coda il corteo funebre.

E Giuseppe e i suoi familiari procedevano dietro il cataletto scalzi e piangenti, mentre i suoi inservienti lo seguivano da vicino; e ognuno di loro portava monili e gioielli e indossava armi da guerra.

E una cinquantina di servitori di Giacobbe procedeva davanti al feretro e spargeva lungo il cammino essenze profumate, come mirra e aloè, per cui i figli di Giacobbe, che trasportavano il cataletto, camminavano su un terreno reso profumato.

E il corteo funebre, che contava migliaia di persone, dopo alcuni giorni, entrò nel paese di Canaan ed arrivò a Goren Ha-atad (l'Aia dello Spino), che si trovava al di là del Giordano, e qui si approntarono delle esequie maestose e solenni.

E quando i 31 re di Canaan lo vennero a sapere uscirono dai loro palazzi e si unirono al corteo funebre di Giacobbe.

E questi monarchi, quando videro il feretro di Giacobbe e la corona d'oro che Giuseppe gli aveva messo in testa, si tolsero le loro corone e le misero sul cataletto, a mo' di ghirlanda.

E i re di Canaan fecero in quel posto delle esequie molto solenni, insieme ai figli di Giacobbe e agli Egizi, dato che conoscevano bene il valore di Giacobbe e dei suoi figli.

E la notizia raggiunse Esaù, al quale fu detto: "Giacobbe è morto in Egitto e i suoi figli e tutto l'Egitto sono in terra di Canaan per seppellirlo".

E quando Esaù, che abitava sul monte Seir, sentì la notizia si affrettò a partire con i suoi figli e tutta la sua gente, una popolazione davvero numerosa, e giunse per partecipare alle esequie.

E quando Esaù arrivò, fece un discorso funebre per suo fratello Giacobbe e tutti gli Egiziani e gli abitanti di Canaan si unirono al lutto di Esaù per suo fratello.

E Giuseppe e i suoi fratelli partirono da quella località e portarono il feretro del padre a Hebron per seppellirlo nella grotta di Machpelà.

E quando arrivarono a Kiryath-Arba, alla grotta, Esaù li aspettava all'entrata con i suoi figli; ed essi, vedendo Giuseppe con i suoi fratelli, ostruirono loro il passaggio e dissero: "Giacobbe non sarà sepolto qui, dato che questo luogo appartiene a noi e a nostro padre!".

E quando Giuseppe ed i suoi fratelli sentirono queste parole si indignarono assai e Giuseppe, avvicinatosi ad Esaù, gli disse: "Che cosa avete detto? Dovresti ben sapere che mio padre Giacobbe ha comprato questo luogo pagandotelo a caro prezzo dopo la morte di Isacco, venticinque anni fa; e sai anche che tutta la terra di Canaan l'ha acquistata da te, dai tuoi figli e dalla tua discendenza dopo di te. E Giacobbe comprò questo terreno per i suoi figli e i suoi discendenti dopo di lui per darlo in perenne eredità; e voi proprio oggi osate dire queste cose?".

Ed Esaù gli rispose: "Tu stai dicendo un sacco di menzogne! Io non ho mai venduto niente che mi apparteneva in tutta questa terra, come hai detto, né, tanto meno, mio fratello Giacobbe ha mai acquistato da me qualcosa che mi apparteneva in questo paese".

Ed Esaù parlò in questo modo per confutare la versione di Giuseppe, dato che sapeva che Giuseppe non era presente quando egli aveva venduto a Giacobbe tutti i beni che possedeva nella terra di Canaan.

E Giuseppe disse ad Esaù: "Non sai forse che mio padre registrò nel libro delle proprietà tutti gli accordi che fece con te, e le firme dei testimoni lo comprovano? E questo libro è in mio possesso e si trova in Egitto".

Ed Esaù gli rispose: "Ebbene, allora porta qui il libro e mi comporterò secondo quanto c'è scritto".

E Giuseppe chiamò suo fratello Naftali e gli disse: "Corri il più velocemente possibile in Egitto e, ti prego, porta qui tutti i libri delle proprietà, sia quelli sigillati che quelli aperti, così come i primi libri nei quali nostro padre registrò tutte le transazioni che fece in merito alla primogenitura. E portali qui e così potremo sapere se corrispondono al vero le parole che hanno detto oggi Esaù e i suoi figli".

E Naftali eseguì l'ordine di Giuseppe e partì a gran velocità in terra d'Egitto: e Naftali correva più rapidamente delle gazzelle del deserto; era talmente veloce che poteva correre sulle spighe del grano senza piegarle.

Ed Esaù, pur vedendo che Naftali era partito di corsa per andare a portare i libri, continuava ad ostruire l'entrata della grotta coi suoi figli e insieme alla sua gente sfidò in battaglia Giuseppe e i suoi fratelli.

E tutti i figli di Giacobbe con la gente d'Egitto si impegnarono in battaglia contro Esaù e i suoi, e questi ultimi ebbero la peggio e in quello scontro rimasero sul campo quaranta uomini di Esaù.

E Hushim, figlio di Dan, nipote di Giacobbe, si trovava coi figli di Giacobbe, che erano a cento cubiti dal luogo del combattimento e vegliavano sul feretro di Giacobbe.

E Hushim, che era sordomuto, aveva capito che c'era cordoglio fra la sua gente.

Ed egli domandò gesticolando: "Perché non seppellite il morto? A cosa è dovuta tanta mortificazione?".

Ed essi gli riportarono le parole di Esaù e dei suoi figli che non permettevano di seppellire Giacobbe nella grotta; e, dopo aver capito il motivo, Hushim fu invaso da un impeto d'ira e si avventò contro di loro; e, brandendo la spada, si scagliò contro Esaù nel mezzo della battaglia e gli inferse un colpo netto che gli mozzò la testa, che rotolò a una certa distanza; e fu così che Esaù morì tra i suoi.

E dopo il gesto di Hushim, i figli di Giacobbe prevalsero sui figli di Esaù, e in questo modo poterono seppellire con un atto di forza il loro padre nella grotta, mentre i figli di Esaù rimasero a guardare.

E Giacobbe, avvolto in abiti regali, fu sepolto a Hebron, nella grotta di Machpelà, che Abramo aveva comprato dai figli di Heth come luogo di sepoltura.

E a nessun re fu reso tanto onore come quello che fece Giuseppe a suo padre alla sua morte, dato che lo seppellì con esequie solenni come si era soliti fare con i grandi re.

E Giuseppe e i suoi fratelli proclamarono un lutto di sette giorni per la morte del loro genitore.

E dopo la sepoltura, i figli di Esaù ripresero a combattere contro i figli di Giacobbe a Hebron, mentre la salma di Esaù giaceva insepolta sul posto.

E la battaglia che si scatenò fu violenta e cruenta, e i figli di Esaù furono sopraffatti e lasciarono sul terreno un'ottantina di morti, mentre tra gli uomini di Giacobbe non si registrò neppure una vittima; e la potenza militare di Giuseppe prevalse su quella dei guerrieri di Esaù, e fu fatto prigioniero Zefò, figlio di Elifaz, nipote di Esaù, e con lui altri cinquanta guerrieri; e Giuseppe li incatenò con catene di ferro e li consegnò nelle mani dei suoi guerrieri per portarli in Egitto.

E dopo che i figli di Giacobbe ebbero imprigionato Zefò e i suoi uomini, i restanti miliziani della casa di Esaù, temendo la stessa sorte, scapparono con Elifaz, figlio di Esaù e i suoi uomini, portando con sé la salma di Esaù e si diressero poi verso il monte Seir.

E arrivati a Seir, seppellirono Esaù, la cui testa, però, rimasta sul campo di battaglia, fu sepolta a Hebron.

E i figli di Giacobbe inseguirono i figli di Esaù fino ai confini di Seir, ma qui li lasciarono in vita e non ne uccisero più, perché ebbero rispetto della salma di Esaù; e così i guerrieri di Giacobbe tornarono indietro e raggiunsero i loro compagni a Hebron, e qui sostarono e si riposarono per due giorni dalle fatiche dei combattimenti.

E dopo tre giorni, tutti i figli di Seir l'orita si radunarono in assemblea e convocarono anche i loro alleati dall'oriente, una moltitudine di popoli numerosa come la sabbia del mare; e tutti insieme partirono per l'Egitto per muovere guerra contro Giuseppe e i suoi fratelli e liberare i propri prigionieri.

E Giuseppe e i figli di Giacobbe furono informati che i figli di Esaù con i loro alleati dall'oriente si erano radunati ed intendevano combatterli per liberare i prigionieri.

E Giuseppe, i suoi fratelli e i guerrieri più forti d'Egitto si misero in marcia per contrastarli e nella città di Ramses avvenne lo scontro, e Giuseppe e i suoi fratelli inflissero una cocente sconfitta ai figli di Esaù e ai loro alleati.

Ed essi fecero una strage dei soldati più valorosi di Seir l'orita e solo pochi si salvarono; e nella battaglia caddero anche molti guerrieri orientali e alcuni figli di Esaù; ma Elifaz, figlio di Esaù, riuscì a mettersi in salvo fuggendo con la restante parte delle milizie a lui alleate.

E Giuseppe e i suoi fratelli li inseguirono fino a Succoth e qui ne uccisero una trentina, mentre il resto riuscì a fuggire nelle loro città di provenienza.

E Giuseppe, i suoi fratelli e i forti guerrieri d'Egitto fecero ritorno festanti ed esultanti dopo aver sbaragliato i loro nemici.

E Zefò, il figlio di Elifaz, e i suoi uomini rimasero così in Egitto come schiavi dei figli di Giacobbe e in tal modo aumentò la loro disperazione.

E quando i superstiti di Esaù e di Seir raggiunsero il loro paese, la gente del posto capì che molti dei loro uomini erano caduti per mano dei figli di Giacobbe e degli Egizi perché erano andati a combattere per i figli di Esaù.

E il popolo di Seir disse al popolo di Esaù: "E' per colpa vostra che abbiamo subito una tale disfatta e nessuno dei nostri prodi guerrieri è sopravvissuto. Per cui adesso uscite dal nostro paese e andate a vivere nella terra di Canaan, dove vivevano i vostri padri; perché mai i vostri figli dovrebbero ereditare in futuro la terra che spetta alla nostra discendenza?".

Ma i figli di Esaù non diedero ascolto alle parole dei figli di Seir, che si dissero pronti a cacciarli via con la forza.

E i figli di Esaù mandarono in tutta segretezza un messo ad Angeas, re di Africa, alias Dinhabah, per dirgli: "Mandaci alcuni dei tuoi soldati e di' loro di unirsi a noi e così potremo combattere insieme contro i figli di Seir l'orita, che hanno deciso di farci guerra e di cacciarci via dal paese".

Ed Angeas, re di Dinhabah, accolse la loro proposta perché a quel tempo intratteneva ottimi rapporti con i figli di Esaù, ai quali inviò 500 valorosi fanti e 800 cavalieri.

E, dal canto loro, i figli di Seir mandarono dei messi ai popoli dell'oriente e ai figli di Midian, per dire loro: "Avete ben visto quello che ci hanno causato i figli di Esaù e per colpa loro siamo quasi tutti morti in battaglia contro i figli di Giacobbe. Per cui vi preghiamo di venirci in aiuto e di combattere insieme a noi contro i figli di Esaù e potremo così cacciarli via dal nostro territorio e vendicare la morte dei nostri e dei vostri fratelli che sono caduti per loro, nella loro guerra contro i figli di Giacobbe".

E i popoli dell'oriente esaudirono la richiesta dei figli di Seir e inviarono loro circa 800 guerrieri armati di spade.

E in quei giorni, i figli di Esaù combatterono contro i figli di Seir nel deserto di Paran.

E i figli di Seir prevalsero sui figli di Esaù; e i figli di Seir uccisero in quella battaglia circa 200 guerrieri di Angeas, re di Dinhabah, che erano venuti a combattere a fianco dei figli di Esaù.

E nel secondo giorno di battaglia, i figli di Esaù tornarono nuovamente all'attacco contro i figli di Seir; ed anche questa volta ebbero la peggio i figli di Esaù, che furono umiliati una seconda volta.

E quando i figli di Esaù videro che i figli di Seir erano più forti di loro, avvenne che alcuni di loro preferirono passare dalla parte del nemico e combattere al loro fianco.

E fu così che caddero in quella seconda battaglia altri guerrieri di Esaù, oltre a 58 miliziani mandati da Angeas, re di Dinhabah.

E nel terzo giorno di battaglia, ai figli di Esaù fu detto che il giorno prima alcuni dei loro uomini erano passati nelle file del nemico; ed essi rimasero mortificati quando lo vennero a sapere.

Ed essi si dissero: "Che cosa faremo ai nostri fratelli che ci hanno tradito e sono passati nelle file dei nostri nemici?".

E i figli di Esaù mandarono nuovamente un messo ad Angeas, re di Dinhabah, per dirgli: "Mandaci dei rinforzi per combattere i figli di Seir, perché ci hanno già sconfitto due volte".

Ed Angeas mandò dei rinforzi, circa 600 guerrieri, che vennero in soccorso agli uomini di Esaù.

E per dieci giorni i figli di Esaù si scontrarono nel deserto di Paran con i figli di Seir; e la battaglia fu estremamente cruenta per i figli di Seir, che per la prima volta dovettero soccombere ai figli di Esaù; al termine della battaglia erano rimasti sul terreno circa 2000 loro guerrieri.

E tutti i più valorosi guerrieri di Seir caddero in quella battaglia, e non ci furono superstiti; sopravvissero soltanto i bambini che erano rimasti nelle loro città.

E tutta Midian e i figli d'Oriente si ritirarono da quella battaglia e abbandonarono il popolo di Seir e fuggirono via quando si resero conto che la battaglia volgeva a loro sfavore; e i figli di Esaù inseguirono i figli d'Oriente fino al loro paese.

E i figli di Esaù uccisero circa 250 fuggitivi; e nella battaglia caddero circa trenta guerrieri di Esaù, che però erano stati uccisi dai propri fratelli che erano passati nelle file nemiche; e il male che avevano fatto quei loro fratelli fu motivo di grande costernazione tra i figli di Esaù.

E dopo la battaglia di Paran, i figli di Esaù fecero ritorno a casa a Seir, e qui massacrarono gli abitanti che vi erano rimasti, donne e bambini inclusi; tuttavia, lasciarono in vita una cinquantina di giovani maschi e femmine; i maschi per farli diventare loro schiavi e le femmine per prenderle come concubine.

E i figli di Esaù abitarono a Seir al posto degli abitanti precedenti e così ereditarono il paese che diventò loro possedimento.

E i figli di Esaù si impadronirono di tutti i beni dei figli di Seir, dei loro greggi, dei loro armenti e dei loro averi; e continuarono a dimorare a Seir fino ad oggi; e i figli di Esaù divisero il territorio in due parti da distribuire ai cinque figli di Esaù, secondo le loro famiglie.

E in quel tempo, i figli di Esaù si consultarono tra loro per incoronare un re che regnasse nel paese che avevano ereditato. E così decisero: "Il re prescelto regnerà su di noi nel nostro territorio e noi obbediremo ai suoi ordini ed egli combatterà le nostre guerre contro i nostri nemici". E così fu fatto.

E tutti i figli di Esaù giurarono solennemente: "Non avverrà mai che uno dei nostri fratelli regnerà su di noi, ma lo farà uno straniero, che non appartiene al nostro popolo".

E ciò fu decretato perché i figli di Esaù erano rimasti molto amareggiati per il comportamento di alcuni di loro, che avevano tradito la loro gente, andando a combattere con gli abitanti di Seir.

Per questo motivo i figli di Esaù giurarono che da quel giorno in poi non avrebbe regnato su di loro uno di loro bensì uno straniero.

E si trovava tra i guerrieri di Angeas, re di Dinhabah, un uomo che si chiamava Bela, figlio di Beor; costui era un prode guerriero, era fisicamente molto bello, intelligente e molto erudito in ogni scienza, ed era anche dotato di buon senso e di saggezza e non c'era nessuno come lui fra la gente di Angeas.

E tutti i figli di Esaù lo elessero, lo unsero e lo incoronarono loro re, e si prostrarono davanti a lui e dissero esultando: "Evviva il re, evviva il re!".

E gli fecero indossare il manto regale, gli portarono orecchini d'oro e d'argento, anelli, braccialetti e altri monili, e lo arricchirono con ori e argenti, pietre preziose e cristalli; e gli costruirono un trono regale e gli misero in testa una corona e gli edificarono un palazzo dove egli vi si stabilì, diventando così il re dei figli di Esaù.

Ed i guerrieri di Angeas presero dai figli di Esaù la parte di bottino che gli spettava e fecero ritorno dal loro re Dinhabah.

E Bela regnò trenta anni sui figli di Esaù, che si stanziarono nel paese al posto dei figli di Seir che avevano sterminato, e vi abitarono in sicurezza fino ai nostri giorni.

E nel 32esimo anno dall'arrivo di Israele in Egitto, che era anche il 71esimo anno di vita di Giuseppe, morì il Faraone, re d'Egitto, e al suo posto salì sul trono suo figlio Magron.

E il Faraone, prima di morire, comandò a Giuseppe di fare da padre a Magron, tenendolo sotto la sua protezione e il suo consiglio.

E tutto l'Egitto accettò che Giuseppe fungesse da re nel paese, dato che gli abitanti amavano da sempre Giuseppe; tuttavia, formalmente, Magron sedeva sul trono di suo padre ed era stato incoronato re dopo la sua morte.

Magron aveva 41 anni quando divenne re e per 40 anni regnò in Egitto; e tutto il popolo lo chiamava Faraone, come suo padre, poiché questo era il titolo che si dava per consuetudine al re che sedeva sul trono.

E sebbene regnasse al posto di suo padre, il nuovo Faraone assegnò a Giuseppe la gestione di tutti gli affari del regno, così come gli aveva ordinato suo padre.

E Giuseppe in pratica regnava sull'Egitto, dato che gestiva l'economia e la politica del paese dopo la morte del Faraone ed era molto amato dalla gente che ne apprezzava l'amministrazione.

Tuttavia, c'era tra la gente anche chi non lo voleva e dichiarava: "Non sia mai che uno straniero regni su di noi!". Cionostante, in quel tempo, dopo la morte del Faraone, tutti gli affari del regno venivano amministrati da Giuseppe, che era il padrone assoluto e faceva come voleva senza che ci fosse qualcuno che gli si opponesse.

E tutto l'Egitto era sotto il dominio di Giuseppe, che aveva sbaragliato e sottommesso in guerra tutti i nemici ai confini, compresi i Filistei, fino al confine di Canaan; e chi era stato sconfitto da Giuseppe, doveva pagargli un tributo annuale.

E il Faraone, re d'Egitto, sedeva sul trono di suo padre, ma praticamente era sotto la potestà e la volontà di Giuseppe, come era già avvenuto in precedenza.

E il Faraone formalmente regnava su tutto il paese d'Egitto, ma praticamente era Giuseppe, che, in quel tempo, governava dall'Egitto fino al grande fiume Eufrate.

E Giuseppe riusciva in tutto ciò che faceva perchè il Signore era con lui; e Dio aveva dotato Giuseppe di saggezza e di prestigio per cui era molto gradito agli Egiziani e ai suoi sudditi; e Giuseppe regnò sul paese per 40 anni.

E i popoli filistei, e quelli di Canaan, di Sidone e al di là del Giordano portavano frequenti doni a Giuseppe e versavano alle sue casse un'imposta annuale, dal momento che Giuseppe aveva sbaragliato tutti i popoli che gli avevano mosso guerra, per cui l'intera regione sottostava al suo dominio. E Giuseppe regnava indisturbato in Egitto.

Ed anche i figli di Giacobbe e le loro famiglie vissero in tutta tranquillità nel paese di Goshen, durante il regno di Giuseppe, e qui crebbero e si moltiplicarono in gran numero e continuarono a servire il Signore, come aveva ordinato loro Giacobbe.

E durante questi anni, i figli di Esaù vissero in pace nel loro territorio, sotto il regno di Bela e crebbero e si moltiplicarono; e, ad un certo punto, decisero di muovere guerra ai figli di Giacobbe e a tutto l'Egitto, per liberare dalla prigionia il loro fratello Zefò, figlio di Elifaz, e i suoi uomini, che erano ancora schiavi di Giuseppe.

E i figli di Esaù stipularono un'alleanza con i popoli dell'est che acconsentirono a combattere con loro contro l'Egitto.

E si unirono a loro anche molti guerrieri di Angeas, re di Dinhabah, e molti guerrieri della stirpe di Ismaele.

E tutta questa gente si raccolse a Seir per combattere a fianco dei figli di Esaù; e questo schieramento era immane, numeroso come la sabbia del mare, circa 80.000 uomini, fra fanteria e cavalleria; e queste truppe, in marcia verso l'Egitto per combattere i figli di Giacobbe, si accamparono nei pressi di Ramses.

E Giuseppe, i suoi fratelli e i guerrieri più valorosi d'Egitto, circa 600 uomini, andarono loro incontro per contrastarli e la battaglia avvenne nella provincia di Ramses, durante il cinquantesimo anno di permanenza dei figli di Giacobbe in Egitto, che era anche il trentesimo anno di regno di Bela a Seir sui figli di Esaù.

E il Signore fece sì che i potenti guerrieri di Esaù e dei popoli orientali venissero sbaragliati e uccisi dalle forze di Giuseppe e dei suoi fratelli.

E nella battaglia caddero 20.000 guerrieri di Esaù e dei popoli orientali, tra cui anche il re Bela, figlio di Beor; e quando il popolo di Esaù vide che il loro re era morto in battaglia, perse tutto il suo vigore bellico.

E quando i figli di Esaù videro che Giuseppe coi suoi fratelli e i suoi miliziani continuavano a colpirli a morte, presero a ritirarsi e a fuggire via.

E Giuseppe e i suoi li inseguirono per un giorno intero e, strada facendo, ne uccisero altri 300 e poi tornarono indietro.

E quando Giuseppe e i suoi arrivarono in Egitto, videro che nessuno di loro era caduto in battaglia, mentre si contavano dodici vittime fra i guerrieri egizi.

E quando fu in Egitto, Giuseppe ordinò che Zefò e i suoi uomini venissero incatenati con catene ancor più pesanti, per aumentare il loro supplizio.

E i superstiti del popolo di Esaù e dei figli dell'est tornarono svergognati nelle loro città, poiché i loro più valorosi guerrieri erano caduti in battaglia.

E quando videro che il loro re era morto in battaglia si affrettarono ad incoronare un nuovo re tra la gente d'Oriente; e il suo nome era Yovav, figlio di Zarach, della regione di Botzrah, che subentrava a Bela.

E Yovav, che si insediò sul trono, regnò in Edom sui figli di Esaù per dieci anni; e il popolo di Esaù evitò da allora di combattere contro i figli di Giacobbe, dato che si era reso conto della forza dei figli di Giacobbe, che temevano assai.

E da allora i figli di Esaù detestarono sempre più i figli di Giacobbe e l'odio e l'ostilità fra i due popoli è sempre rimasto acceso, fino ai giorni nostri.

E dopo dieci anni morì Yovav da Botzrah, figlio di Zarach; e i figli di Esaù incoronarono loro re Husham, che proveniva dal paese di Teman; ed egli subentrò a Yovav; e Husham regnò in Edom sui figli di Esaù per venti anni.

E Giuseppe, re d'Egitto, i suoi fratelli e i figli di Israele vissero in Egitto, a quel tempo, in piena sicurezza; e per tutto quel periodo non avvenne alcuna sciagura o disgrazia o guerra in tutta la terra d'Egitto.

 

 

SHEMOT e VA-ERA'

 

E questi sono i nomi dei figli di Israele che abitarono in Egitto e qui vennero con Giacobbe; ciascuno venne con la propria famiglia.

I figli di Lea erano Reuven, Simeone, Levi, Giuda, Issachar e Zevulun e la loro sorella Dina.

E i figli di Rachele: Giuseppe e Beniamino.

E i figli di Zilpa, l'ancella di Lea, erano Gad ed Asher.

E i figli di Bilha, l'ancella di Rachele, erano Dan e Naftali.

E queste sono le loro discendenze che nacquero nella terra di Canaan, prima del trasferimento in Egitto col loro padre Giacobbe.

I figli di Reuven: Hanoch, Palù, Hetzron e Carmi.

E i figli di Simeone: Yemuel, Yamin, Ohad, Yahin, Zochar e Saul, il figlio della canaanita.

E i figli di Levi: Ghershon, Kehath e Merarì e la loro sorella Yoheved, che nacque quando arrivarono in Egitto.

E i figli di Giuda: Er, Onan, Shela, Peretz e Zarach. Er ed Onan morirono nel paese di Canaan; e i figli di Peretz erano Hetzron e Hamul.

E i figli di Issachar: Tola, Puvah, Yob e Shomron.

E i figli di Zevulun: Sered, Elon e Yachliel; e il figlio di Dan era Hushim.

E i figli di Naftali: Yachzeel, Guni, Yetzer e Shilam.

E i figli di Gad: Tzifion, Haghì, Shunì, Ezbon, Erì, Arodì ed Arelì.

E i figli di Asher: Yimnah, Yishvah, Yishvì, Beriah e la loro sorella Serach; e i figli di Beriah erano Hever e Malchiel.

E i figli di Beniamino: Bela, Beher, Ashbel, Ghera, Naaman, Achì, Rosh, Mupim, Hupim e Ard.

E i figli di Giuseppe, che gli nacquero in Egitto, erano Menascè ed Efraim.

Le persone della famiglia di Giacobbe, suoi discendenti diretti, che si trasferirono in Egitto, erano settanta; e Giuseppe e i suoi fratelli abitarono in Egitto in tutta sicurezza e, durante gli anni di vita di Giuseppe, si cibarono dei migliori prodotti del paese.

E Giuseppe visse in terra d'Egitto 93 anni e vi regnò 80 anni.

E quando Giuseppe fu prossimo alla morte, chiamò i suoi fratelli e tutto il parentado, e tutti arrivarono insieme e si sedettero intorno a lui.

E Giuseppe disse loro: "Ecco, io sto per morire e Dio si ricorderà di voi e da questo paese vi farà tornare alla terra che giurò di dare ai vostri padri. E quando Dio si ricorderà di voi e vi farà tornare alla terra dei vostri padri, porterete via di qui con voi le mie ossa".

E Giuseppe fece fare ai figli d'Israele e ai loro discendenti questo giuramento: "Quando Dio si ricorderà di voi, voi porterete via di qui con voi le mie ossa".

E dopo questi eventi, Giuseppe morì in quell'anno, che era il 71esimo dall'arrivo dei figli di Israele in Egitto.

E Giuseppe morì in terra d'Egitto a 110 anni; e i suoi familiari e i suoi sudditi lo imbalsamarono, come era loro consuetudine, e il parentado e l'Egitto intero fecero lutto per 70 giorni.

E misero Giuseppe in un sarcofago pieno di spezie e di essenze profumate, e lo seppellirono a Sihor, vicino alla riva del Nilo; e i suoi figli, tutti i suoi fratelli e i familiari della casa paterna fecero sette giorni di lutto per lui.

E dopo la morte di Giuseppe, in quel tempo, gli egizi cominciarono a dominare sui figli d'Israele, e il Faraone, re d'Egitto, che era subentrato a suo padre, basandosi sulle leggi del paese, si impadronì del potere e amministrò indisturbato il regno e il suo popolo.

E trascorso il primo anno dalla morte di Giuseppe, che corrispondeva al 72esimo anno dall'arrivo dei figli di Israele in Egitto, avvenne che Zefò, figlio di Elifaz e nipote di Esaù, evase con i suoi uomini dalla prigionia e fuggì dall'Egitto.

E Zefò arrivò in Africa, a Dinhabah, da Angeas, re d'Africa, che lo accolse con grandi onori e lo mise a capo del suo esercito.

E Zefò fu molto gradito ad Angeas e al suo popolo e capeggiò il suo esercito per molti giorni.

E Zefò incitò Angeas a raccogliere tutte le sue milizie e a muover guerra contro gli Egiziani e i figli di Giacobbe, vendicando così la morte dei suoi fratelli.

Ma Angeas non volle ascoltare Zefò, perché conosceva bene la forza dei figli di Giacobbe e ricordava ciò che avevano fatto al suo esercito quando aveva combattuto a fianco dei figli di Esaù.

E Zefò, che in quel tempo era considerato come un eroe da Angeas e dal suo popolo, incitava tutti alla guerra contro l'Egitto, ma però non veniva ascoltato.

E in quel tempo, viveva nel paese di Chittim, nella città di Puzimana, un uomo che si chiamava Uzu, che era venerato come un dio dal suo popolo; e quando morì, Uzu non aveva figli maschi, ma solo una figlia femmina di nome Yania.

E questa ragazza era estremamente bella e intelligente e non c'era donna, in tutto il paese, che la eguagliasse per bellezza e saggezza.

E le persone del popolo di Angeas, re d'Africa, che la videro andarono dal loro re per tesserne le lodi; e Angeas mandò al popolo di Chittim degli ambasciatori per chiederla in sposa e la gente di Chittim accettò la sua richiesta.

E quando gli ambasciatori di Angeas partirono dalla terra di Chittim per far ritorno al loro paese, ecco che anche dei messaggeri di Turgus, re di Bibinto, arrivarono a Chittim per fare un'analoga richiesta e chiedere in sposa Yania per il loro re, dato che anche lui ne aveva sentito le lodi da alcuni suoi sudditi.

E i messi di Turgus arrivarono a Chittim, e chiesero che Yania andasse sposa al loro re.

E il popolo di Chittim disse loro: "Non ve la possiamo dare, in quanto Angeas, re di Africa, ce l'aveva chiesta in sposa prima di voi e noi l'abbiamo esaudito, per cui non possiamo toglierla ad Angeas per darla a Turgus. Anche perché abbiamo paura che Angeas si potrebbe vendicare e ci sterminerebbe, considerato anche che il vostro signore Turgus non potrebbe salvarci dalla sua furia".

E gli ambasciatori di Turgus, dopo aver ascoltato le parole dei Chittiti, tornarono al loro paese e le riferirono al loro re

E gli abitanti di Chittim inviarono un messaggio ad Angeas in cui si diceva: "Ecco, Turgus ha mandato degli uomini per prendere Yania come sua sposa, ma noi non abbiamo accettato; tuttavia ci hanno detto che egli sta per ammassare tutto il suo esercito per muovere guerra contro di te ed intende prima passare attraverso Sardonia e sbaragliare tuo fratello Locosh".

E dopo aver ascoltato il messaggio dei Chittiti, Angeas si arrabbiò molto; e raccolse tutti i suoi armati e si diresse verso le isole del mare, attraverso Sardonia, per raggiungere suo fratello Locosh, re di Sardonia.

E Niblos, figlio di Locosh, sentendo che stava arrivando suo zio Angeas, gli andò incontro con il suo poderoso esercito, lo baciò e lo abbracciò; e Niblos disse ad Angeas: "Mi chiedi come sta mio padre; egli ci sta venendo incontro con i suoi guerrieri per unirsi a te nella guerra contro Turgus e ha chiesto di nominare me come capo dell'esercito". E Angeas esaudì la sua richiesta; e, strada facendo, i due fratelli si incontrarono con i rispettivi eserciti.

Ed Angeas salutò suo fratello Locosh e nominò suo figlio Niblos a capo dell'esercito; e i due fratelli, con i loro forti eserciti, mossero guerra contro Turgus.

E si imbarcarono sulle navi e arrivarono nella provincia di Ashtorash; ed ecco Turgus venire loro incontro, dato che aveva programmato di passare prima per Sardonia e distruggerla totalmente per poi combattere Angeas.

E gli eserciti di Angeas e di suo fratello Locosh si scontrarono con l'armata di Turgus nella valle di Canopia e qui avvenne una battaglia di immense proporzioni.

E la battaglia fu cruenta e vide soccombere Locosh, re di Sardonia, con tutto il suo esercito e anche suo figlio Niblos morì.

E su ordine dello zio Angeas, i suoi sudditi fecero un sarcofago d'oro per Niblos e ce lo deposero dentro; ed Angeas proseguì la guerra contro Turgus e questa volta ebbe il sopravvento e passò a fil di spada Turgus e tutti i suoi uomini; e così Angeas vendicò la morte del nipote Niblos e di tutti i guerrieri dell'esercito del fratello Locosh.

E quando Turgus morì, i suoi guerrieri superstiti si demoralizzarono e fuggirono davanti ai miliziani di Angeas e Locosh.

Ed Angeas e Locosh li inseguirono lungo la strada maestra, che unisce Albano a Roma e li passarono tutti a fil di spada.

E Locosh, re di Sardonia, ordinò ai suoi sudditi di costruire una bara di rame per mettervi il cadavere di suo figlio Niblos e qui lo seppellirono.

E nel luogo della sepoltura eressero una torre elevata, che si chiama Niblos fino ad oggi; e lì appresso sotterrarono anche la salma di Turgus, re di Bibento.

E così sulla strada maestra tra Albano e Roma c'è il sepolcro di Niblos da una parte e la tomba di Turgus dall'altra ed un marciapiede mette in comunicazione i due siti fino ai giorni nostri.

E dopo aver sepolto il figlio, Locosh tornò con il suo esercito a Sardonia, mentre suo fratello Angeas, re d'Africa, con i suoi uomini si diresse a Bibento, la città di Turgus.

E quando gli abitanti di Bibento conobbero l'esito della guerra ebbero molta paura di Angeas e gli andarono incontro e, con pianti e suppliche, lo invocarono di non infierire su di loro e di non distruggere la loro città; e Angeas esaudì le loro suppliche, per cui Bibento non fu rasa al suolo e fu annessa in quel tempo alle città dei Chittiti.

Ma da allora in poi, le truppe del re d'Africa andarono a più riprese a Chittim per depredarla e saccheggiarla e ogni volta che ci andavano c'era Zefò che li capeggiava.

E dopo questi avvenimenti, Angeas andò con il suo esercito a Puzimana e qui prese per moglie Yania, la figlia di Uzu e la porto con sé nella sua città in Africa.

E in quel tempo, il Faraone, re d'Egitto ordinò ai suoi sudditi di costruirgli un palazzo monumentale.

E ordinò anche a tutti i figli di Giacobbe di prendere parte alla costruzione; e gli Egiziani eressero un magnifico e lussuoso palazzo che diventò la dimora regale e qui il Faraone vi si insediò e regnò indisturbato.

E Zevulun, figlio di Giacobbe, morì in quell'anno, che corrispondeva al 74esimo anno dall'arrivo degli Israeliti in Egitto; e Zevulun morì a 114 anni e fu deposto in una bara che venne consegnata ai suoi figli.

E nel 75esimo anno di permanenza, morì Simeone, a 120 anni e anch'egli fu deposto in una bara che venne consegnata ai suoi figli.

E Zefò, figlio di Elifaz e nipote di Esaù, che capeggiava l'esercito di Angeas, re di Dinhabah, persisteva nella sua politica di istigazione e incitava Angeas a preparare l'esercito per combattere gli Israeliti in Egitto; ma Angeas era riluttante e non lo ascoltava, perché i suoi consiglieri gli facevano presente la potenza dei figli di Giacobbe, che, in passato, avevano sbaragliato a più riprese i figli di Esaù.

Ma Zefò non si dava per vinto e ogni giorno istigava Angeas e cercava di convincerlo che era arrivato il momento.

E trascorso del tempo, Angeas si convinse che Zefò aveva ragione e accettò di combattere gli Israeliti in Egitto; ed Angeas armò le proprie milizie, che erano numerose come la sabbia del mare, e ordinò di andare a combattere in Egitto.

E tra i sudditi di Angeas c'era anche un giovane di 15 anni, che si chiamava Balaam, figlio di Beor, che era dotato di grande intelligenza e conosceva le arti magiche.

Ed Angeas disse a Balaam: "Fai una delle tue magie, ti prego, per poter sapere chi vincerà in questa battaglia che ci accingiamo a combattere".

E Balaam ordinò di portargli della cera e con questa modellò degli stampi che rappresentavano i carri e i cavalieri degli eserciti di Angeas e dell'Egitto; poi mise gli stampi in una bacinella d'acqua resa magica per questo scopo; e prese in mano dei rami di palma, che immerse nella vaschetta, pronunciando parole magiche; e a fior d'acqua gli apparvero le immagini delle milizie di Angeas che venivano sbaragliate da quelle egizie e israelite.

E Balaam riferì il suo incantesimo ad Angeas, che si demoralizzò e rinunciò a partire per l'Egitto, per cui decise di restare in città.

E quando Zefò, figlio di Elifaz, vide che Angeas si era ritirato ed aveva rinunciato alla guerra contro gli Egiziani, fuggì dall'Africa e da Angeas e riparò a Chittim.

E i Chittiti accolsero Zefò con grandi onori e lo nominarono capo a vita delle loro milizie ed egli diventò estremamente ricco; e in quei giorni, le truppe del re d'Africa avevano il controllo militare su tutto il territorio dei Chittiti; e i Chittiti si radunarono e salirono sul monte Cuptizia per evitare lo scontro con le truppe di Angeas, re di Africa, che avanzava verso di loro.

E un giorno avvenne che Zefò, mentre cercava un giovane bue che si era perso, udì il suo muggito che proveniva da un punto della montagna.

E quando Zefò vi arrivò scoprì l'apertura di una grotta sul fondo della montagna; e qui c'era un grosso masso che ne ostruiva l'accesso; e Zefò frantumò il masso e quando entrò nella grotta vide una grossa bestia che stava divorando il suo bue; e questo mostro era metà uomo e metà animale; e Zefò gli si avventò contro e lo trafisse con la spada.

E quando gli abitanti di Chittim lo vennero a sapere, gioirono ed esultarono, dicendo: "Come potremo mai ricompensare costui che ha ammazzato il mostro che divorava i nostri animali?".

Ed essi si riunirono in assemblea e decisero di consacrargli un giorno all'anno, che chiamarono "il giorno di Zefò"; e una volta all'anno bevevano in suo onore e gli portavano offerte e doni.

E in quel tempo, Yania, figlia di Uzu e moglie di Angeas, si ammalò, e ciò rattristò molto il marito ed il suo seguito; ed Angeas domandò ai suoi saggi: "Cosa potrei fare per far guarire Yania dalla sua malattia?". E i suoi consiglieri gli risposero: "La regina Yania si è ammalata a causa del nostro clima e delle nostre acque che non sono come a Chittim. Ed è a causa del cambiamento di clima che la regina si è ammalata e anche perché nel suo paese era abituata a bere l'acqua che sgorga da Purma, che i suoi antenati facevano arrivare attraverso acquedotti".

E Angeas ordinò ai suoi sudditi di portare da Chittim dell'acqua di Purma, dentro dei recipienti; ed essi, confrontando il peso delle acque di Purma con quelle della terra di Africa, notarono che le prime erano molto più leggere di quelle africane.

E alla luce di questa scoperta, Angeas ordinò ai suoi ufficiali di raccogliere il maggior numero possibile di spaccapietre, migliaia e decine di migliaia di uomini che lo sapessero fare; ed essi furono impiegati per costruire un lunghissimo acquedotto che portava le acque dalle sorgenti di Chittim fino all'Africa; e quell'acqua servì alla regina Yania, che la potè bere, impiegare in cucina e usarla per lavarsi e farsi il bagno; e l'acqua servì anche per irrigare le coltivazioni del regno.

E il re ordinò ai suoi sudditi di caricare su numerose navi dei pezzi di terra di Chittim e dei massi da costruzione bianchi, che furono impiegati per erigere dei palazzi per la regina Yania, che guarì dalla sua malattia.

E dopo un anno, le truppe d'Africa tornarono a Chittim per saccheggiarla come erano soliti fare; e quando Zefò, figlio di Elifaz, venne a saperlo, ordinò ai suoi di aggredire gli intrusi, che, sorpresi, fuggirono via.

E gli abitanti di Chittim, vedendo il valore di Zefò, lo incoronarono re; e, una volta diventato re, Zefò mosse guerra contro il popolo di Tubal e le isole circostanti.

E il re Zefò, alla testa dei Chittiti, sottomise Tubal e le isole vicine; e dopo la vittoria, i Chittiti lo inneggiarono e gli costruirono un grande palazzo, che diventò la sua sede regale; e i suoi sudditi gli fecero un trono maestoso e Zefò regnò su Chittim e su tutta la terra d'Italia per 50 anni.

E in quell'anno, il 79esimo dall'arrivo degli Israeliti in Egitto, morì Reuven, figlio di Giacobbe, in terra d'Egitto; Reuven morì a 125 anni e fu deposto in una bara, che venne consegnata ai suoi figli.

E nell'80esimo anno morì anche suo fratello Dan, che aveva 124 anni e fu deposto in una bara, che venne consegnata ai suoi figli.

E nello stesso anno morì Husham, re di Edom, e a lui subentrò Adad, figlio di Bedad, che regnò per 35 anni; e nell'81esimo anno morì in Egitto Issachar, figlio di Giacobbe, all'età di 122 anni; ed egli fu deposto in una bara, che venne consegnata ai suoi figli.

E nell'82esimo anno morì suo fratello Asher, all'età di 123 anni; ed egli fu deposto in una bara, che venne consegnata ai suoi figli.

E nell'83esimo anno morì Gad, a 125 anni; ed egli fu deposto in una bara, che venne consegnata ai suoi figli.

E l'84esimo anno di soggiorno dei figli di Giacobbe in Egitto corrispose anche al quinto anno di regno su Edom di Adad, figlio di Bedad; e in quell'anno, Adad riunì tutta la sua gente e censì il suo esercito, che contava 400.000 uomini; quindi si diresse verso il paese di Moab per combattere contro i Moabiti e renderli suoi tributari

E quando i Moabiti lo vennero a sapere, ne furono terrorizzati e chiesero ai Midianiti di venire loro in aiuto per contrastare Adad, re di Edom.

E quando Adad marciava verso la terra di Moab, i Moabiti e i Midianiti gli andarono incontro pronti allo scontro nella piana di Moab.

E nella battaglia che si combattè tra Adad e i Moabiti e i Midianiti, questi ultimi ebbero la peggio e duemila di loro caddero in battaglia.

E mentre la battaglia infuriava, i Moabiti, vedendo che erano sopraffatti e ormai fiacchi, preferirono ritirarsi e lasciare il campo di battaglia ai Midianiti.

E i Midianiti, che non conoscevano le intenzioni dei Moabiti, tennero duro e continuarono a combattere contro l'esercito di Adad, ma alla fine dovettero soccombere.

E Adad fece una strage e passò a fil di spada tutti i Midianiti e i Moabiti che non si erano ritirati.

E dopo la disfatta dei Midianiti e la ritirata dei Moabiti, Adad assoggettò il popolo di Moab e lo fece diventare suo tributario; e Adad, dopo aver imposto ai Midianiti il pagamento di una tassa annuale, fece ritorno al suo paese.

E dopo un anno, il restante popolo di Midian venne a sapere che i loro fratelli erano morti in battaglia per colpa dei Moabiti, che li avevano abbandonati durante la battaglia contro Adad; e cinque principi di Midian, dopo essersi consultati coi propri conterranei, descisero di vendicare la morte dei loro fratelli andando a combattere i Moabiti.

E i Midianiti si allearono con i popoli di Kedem (oriente) e di Keturah per combattere contro Moab.

E quando i Moabiti seppero che i popoli vicini si erano alleati per combatterli, ebbero molta paura e inviarono dei messi in terra d'Edom dal re Adad, figlio di Bedad, per dirgli: "Deh, vieni in nostro aiuto e batteremo i Midianiti, che si sono alleati coi popoli dell'est per farci guerra e vendicare i loro fratelli caduti in battaglia".

E Adad, figlio di Bedad, re di Edom, arrivò con il suo esercito nel paese di Moab per contrastare i Midianiti e i loro alleati; e i contendenti si scontrarono nella pianura di Moab in una battaglia molto cruenta.

E Adad battè i Midianiti e i loro alleati e li passò a fil di spada; e in quel frangente, Adad salvò Moab dalla mano di Midian; ed i Midianiti sopravvissuti coi loro alleati si ritirarono ma Adad e i suoi guerrieri li inseguirono e ne massacrarono molti mentre fuggivano.

E Adad liberò Moab dalla minaccia dei Midianiti, che furono passati tutti a fil di spada e Adad potè così tornare al suo paese.

E da quel giorno in poi, i Midianiti odiarono i Moabiti, perché erano caduti in battaglia per colpa loro e tra i due popoli esiste fino ad oggi un forte e intenso odio.

E ogni midianita che passava per il territorio di Moab, veniva passato a fil di spada dai Moabiti, e viceversa, ogni moabita che passava per le strade di Midian, veniva passato a fil di spada dai Midianiti; questa era la consuetudine tra Moabiti e Midianiti per molti anni.

E in quel tempo, nell'86esimo anno dall'arrivo dei figli di Giacobbe in Egitto, morì Giuda, figlio di Giacobbe, a 129 anni; e la sua salma fu imbalsamata, deposta in una bara e consegnata ai suoi figli.

E nell'87esimo anno morì suo fratello Beniamino, all'età di 117 anni; ed egli fu deposto in una bara e consegnato ai suoi figli.

E nell'89esimo anno morì Naftali, all'età di 123 anni; ed egli fu deposto in una bara e consegnato ai suoi figli.

E nel 91esimo anno dall'arrivo dei figli di Giacobbe in Egitto, che corrispondeva al 13esimo anno di regno di Zefò, figlio di Elifaz e nipote di Esaù, sugli abitanti di Chittim, Zefò venne in soccorso dei suoi tributari e sbaragliò le milizie africane, che erano venute per saccheggiare le città di Chittim; e Zefò passò a fil di spada i guerrieri africani e quelli di loro che erano fuggiti, vennero raggiunti dagli uomini di Zefò e massacrati fino ai confini dell'Africa.

E quando Angeas, re di Africa, venne a sapere ciò che aveva fatto Zefò, si infuriò molto e temette Zefò per il resto della sua vita.

E nel 93esimo anno morì in Egitto Levi, figlio di Giacobbe, a 137 anni; ed egli fu deposto in una bara e consegnato ai suoi figli.

E dopo la morte di Levi, quando gli Egizi videro che erano morti tutti i fratelli di Giuseppe, cominciarono ad angustiare gli Israeliti e ad amareggiarli fino al giorno in cui uscirono per sempre dall'Egitto; e cominciarono col confiscare le vigne e i campi che Giuseppe aveva dato loro e a sfrattarli dalle lussuose residenze in cui vivevano; e in quei giorni gli Egizi spodestarono gli Israeliti dai terreni più fertili d'Egitto.

Ed il giogo degli Egiziani si appesantì sugli Israeliti, la cui qualità di vita si era deteriorata a causa dell'atteggiamento ostile degli Egiziani.

E nel 102esimo anno dall'arrivo dei figli di Giacobbe in Egitto, morì il Faraone; e a lui subentrò suo figlio Melol e in quei giorni praticamente morì tutta la generazione che aveva conosciuto Giuseppe e i suoi fratelli.

E sorse così un'altra generazione, che non aveva conosciuto i figli di Giacobbe, il loro valore militare e tutto il bene che avevano fatto al paese.

Pertanto, da allora in poi, gli Egiziani amareggiarono la vita degli Israeliti e li afflissero con ogni specie di lavoro pesante, perché ignoravano che i padri di quelli li avevano salvati ai tempi della carestia.

E ciò proveniva anche da Dio, che voleva che i figli d'Israele, vedendo il bene che avrebbero ricevuto più avanti, Lo avrebbero riconosciuto come proprio Dio.

E anche per far conoscere i segni e i grandi portenti che Egli avrebbe fatto in Egitto per il proprio popolo Israele, affinché i figli d'Israele temessero Lui, il Dio dei loro avi, Lo servissero e seguissero le Sue vie, essi e la loro discendenza per sempre.

Melol, che aveva 26 anni quandò salì sul trono, regnò per 94 anni; e tutto il popolo lo chiamava Faraone, come suo padre, perché questa era l'usanza che vigeva in terra d'Egitto.

E in quel tempo, le milizie di Angeas, re d'Africa, si diressero a Chittim, come al solito, per saccheggiare il paese.

E quando Zefò, figlio di Elifaz e nipote di Esaù ne fu informato, approntò il proprio esercito per contrastarle lungo il cammino.

E Zefò sbaragliò i soldati del re d'Africa e li passò tutti a fil di spada, per cui nessuno di loro fece ritorno in Africa.

E quando Angeas venne a sapere che Zefò aveva sterminato il suo esercito, raccolse tutte le truppe dalle restanti regioni d'Africa, un esercito che era numeroso come la sabbia in riva al mare.

Ed Angeas mandò a dire a suo fratello Lucus: "Raggiungimi con tutti i tuoi guerrieri e aiutami a sbaragliare Zefò e il popolo di Chittim, siccome hanno sterminato tutti i miei uomini".

E Lucus arrivò con il suo esercito, un'armata di tutto rispetto, per aiutare suo fratello Angeas nella guerra contro Zefò e i Chittiti.

E quando Zefò e i Chittiti ne furono informati, furono presi dalla paura e dal panico.

E anche Zefò mandò un'ambasciata ad Adad, figlio di Bedad, re di Edom, con questo messaggio agli Edomiti: "Ho sentito che Angeas, re d'Africa, e suo fratello si accingono a farci guerra e noi li temiamo molto, dato che vengono qui con due eserciti poderosi. Per cui ti supplichiamo di venire subito in nostro aiuto e insieme combatteremo contro Angeas e suo fratello Lucus, e se tu non ci salverai dalle loro mani andremo tutti incontro a morte sicura".

E il popolo di Esaù rispose con una lettera ai Chittiti e al loro re Zefò, in cui era scritto: Non possiamo combattere contro Angeas e il suo popolo perché vige tra noi un trattato di pace, firmato a suo tempo fra Bela, figlio di Beor, il nostro primo re e Giuseppe, figlio di Giacobbe e re di Egitto, contro il quale combattemmo al di là del Giordano quando andarono a seppellire il loro genitore.

E quando Zefò lesse la risposta dei suoi fratelli, figli di Esaù, rinunciò al loro aiuto e temette molto Angeas.

Ed Angeas e suo fratello Lucus approntarono i loro eserciti, circa 800.000 uomini, per combattere contro Zefò nel paese di Chittim; e Zefò, figlio di Elifaz, si mise in cammino, impaurito e terrorizzato, con i suoi 3000 soldati, per contrastarli.

E i Chittiti dissero a Zefò: "Prega per noi il Dio dei tuoi padri, chissà che non ci salvi dalle mani di Angeas e del suo esercito, siccome abbiamo sentito che Egli è un Dio portentoso, che salva chi pone fiducia in Lui".

E Zefò esaudì la loro richiesta e si rivolse a Dio con questa preghiera: " O Signore, Dio dei miei antenati Abramo e Isacco, oggi io so che solo Tu sei il vero Dio e che tutti gli dei delle nazioni sono vani e inutili. Ricorda oggi, Ti prego, mio Dio, il patto che facesti con nostro padre Abramo, come ci è stato tramandato dai nostri padri; e abbi pietà di me in questo giorno, per merito dei nostri padri Abramo e Isacco, e salva me e i figli di Chittim dalla mano del re di Africa che viene a combatterci".

E il Signore ascoltò la preghiera di Zefò e lo esaudì, in virtù di Abramo e Isacco, e salvò Zefò e i Chittiti dalla mano di Angeas e del suo popolo.

E Zefò combattè in quel giorno contro Angeas, re di Africa, ed il suo esercito e il Signore diede il popolo di Angeas nelle mani dei Chittiti.

E in battaglia fu sconfitto Angeas, e Zefò sbaragliò e passò a fil di spada i soldati di Angeas e di suo fratello Lucus; e fino alle ore del tramonto di quel giorno più di 400.000 nemici caddero in battaglia.

E quando Angeas vide che i suoi uomini morivano in battaglia, inviò una lettera agli abitanti d'Africa perché venissero in aiuto; e così scrisse: Chiunque si trovi in Africa e abbia più di 10 anni si presenti subito qui da me; e chi dissubedisce al mio ordine sarà messo a morte e la sua casa e le sue proprietà saranno confiscate dal Re.

E la popolazione d'Africa rimase molto scossa dal proclama di Angeas e più di 300.000 uomini e ragazzi sopra i 10 anni partirono per raggiungerlo in battaglia.

E, dopo dieci giorni di sosta, Angeas riprese a combattere contro Zefò e i Chittiti e la battaglia assunse proporzioni gigantesche e fu estremamente violenta.

E Zefò inflisse grosse perdite agli eserciti di Angeas e Lucus, e uccise o ferì più di 2.000 nemici, tra cui Sosiftar, il capo dell'esercito africano.

E quando Sosiftar venne ucciso, Angeas e suo fratello Lucus, con le loro truppe, presero a ritirarsi e ad abbandonare il campo di battaglia.

E Zefò e i Chittiti inseguirono e ammazzarono molti loro nemici, lungo il cammino, circa 200 uomini; e inseguirono anche Asdrubale, il figlio di Angeas, che scappava con i suoi uomini; e i Chittiti uccisero una ventina di nemici, ma Asdrubale riuscì a mettersi in salvo.

Ed Angeas e suo fratello Lucus fuggirono con il resto dell'esercito e arrivarono in Africa impauriti e mortificati; ed Angeas per il resto della sua vita temette che Zefò, figlio di Elifaz, gli facesse un'altra guerra.

E, in quella guerra, Balaam, figlio di Beor, faceva parte dell'esercito di Angeas; e quando vide che Zefò aveva il sopravvento, scappò via e si rifugiò a Chittim.

E Zefò e i Chittiti lo accolsero con grandi onori, dato che Zefò aveva sentito parlare della sua grande saggezza e per questo motivo offrì a Balaam molti doni perché restasse con lui.

E quando Zefò tornò dalla guerra, ordinò ai suoi sudditi di censire quanti, tra i Chittiti, avessero disertato combattendo con lui e si appurò che non ce n'erano stati.

E Zefò ne fu estremamente contento, e rinnovò così il suo regno e fece un grande banchetto per tutti i suoi sudditi.

Ma Zefò dimenticò il Signore e non considerò che era stato Lui ad aiutarlo in guerra e aveva salvato lui e il suo popolo dalla mano del re d'Africa; ecco che egli continuava a seguire la condotta malvagia dei figli di Chittim e dei figli di Esaù, che è quella di servire altri dei, secondo l'insegnamento dei suoi fratelli, figli di Esaù; infatti, non a caso si dice, "dai malvagi non può uscire che un malvagio".

E Zefò regnò indisturbato sui Chittiti, ma ignorò che era stato il Signore a salvare lui e la sua gente dalle mani del re d'Africa; e che gli eserciti africani non venivano più a depredare le città chittite, perché temevano la sua potenza, dopo che aveva passato a fil di spada tutti i suoi nemici e che Angeas non avrebbe più osato confrontarsi con lui in guerra.

E dopo aver vinto la guerra e aver fatto ritorno al suo paese, Zefò che si era insuperbito per aver sbaragliato tutti gli eserciti d'Africa, comunicò agli abitanti di Chittim che avrebbe intrapreso una campagna militare in Egitto per sconfiggere i figli di Giacobbe e il Faraone, re d'Egitto.

Zefò, infatti, aveva sentito che erano morti tutti i prodi guerrieri egiziani così come non c'erano più Giuseppe e i suoi fratelli, figli di Giacobbe, e in Egitto erano rimasti i loro figli e nipoti.

E Zefò pensò bene di andare in Egitto a combattereli, vendicando così il suo popolo, che, a suo tempo, era stato distrutto da Giuseppe, dai suoi fratelli e dagli Egizi in terra di Canaan, quando erano andati a Hebron per seppellire Giacobbe.

E Zefò inviò degli ambasciatori ad Adad, figlio di Bedad, re di Edom, e a tutti i suoi congiunti, discendenti di Esaù, dicendo loro: "Non avevate detto che mai avreste combattuto contro il re d'Africa per un patto che avevate stipulato con loro? Ebbene, io l'ho combattuto e l'ho sbaragliato con tutto il suo popolo! E adesso ho deciso di combattere contro gli Egizi e gli Israeliti che ci risiedono, e potrò così vendicare ciò che Giuseppe e i suoi fratelli fecero ai nostri padri nella terra di Canaan, quando andarono a seppellire il loro padre a Hebron. E ora se siete disposti a seguirmi per combattere in Egitto potremo vendicare i nostri fratelli".

Ed i figli di Esaù, dopo aver ascoltato le parole di Zefò, si radunarono tutti insieme, davvero una grande moltitudine, e andarono a combattere con Zefò e i Chittiti.

E Zefò inviò analoghe ambascierie ai figli di Kedem e agli Ismaeliti, incitandoli con le stesse parole; e costoro si allearono con Zefò e i Chittiti per combattere in Egitto.

E il re di Edom, i Kedemiti, gli Ismaeliti, Zefò e il re di Chittim confluirono a Hebron per prepararsi alla guerra.

E l'esercito schierato era così numeroso da formare una fila lunga tre giorni di cammino, una moltitudine innumerevole come la sabbia della riva del mare.

E i re e i loro eserciti, partiti in guerra per l'Egitto, si accamparono nella valle di Pathros.

E gli Egizi, quando lo vennero a sapere, arruolarono tutti i soldati da ogni parte del paese e approntarono un esercito di 300.000 uomini.

E gli Egizi mandarono dei messi anche ai figli di Israele, che abitavano nella terra di Goshen, affinché allestissero un esercito che si unisse a loro nella battaglia contro gli invasori.

E gli Israeliti radunarono una milizia di 150 guerrieri che andò in aiuto degli Egiziani.

E così l'armata egizio-israelita, composta di 300.150 guerrieri, si mosse per contrastare i re invasori e si accampò oltre la terra di Goshen, di fronte alla valle di Pathros.

Ma gli Egizi non credevano che gli Israeliti si sarebbero schierati con loro in guerra, perché dicevano che i figli di Israele li avrebbero consegnati nelle mani dei figli di Esaù e di Ismaele, dato che erano loro consanguinei.

E gli Egizi dissero ai figli d'Israele: "Restate in retroguardia e noi andremo a combattere i figli di Esaù e di Ismaele; e nel caso prevalessero su di noi, allora, venite tutti insieme in nostro soccorso". E gli Israeliti obbedirono.

E, nel frattempo, Zefò, figlio di Elifaz e nipote di Esaù, re di Chittim, e Adad, figlio di Bedad, re di Edom, con i loro eserciti, e il popolo di Kedem e di Ismaele, una moltitudine numerosa come la sabbia, erano accampati nella valle di Pathros, di fronte a Tachpanhes.

E nell'accampamento di Zefò, c'era anche l'arameo Balaam, figlio di Beor, che si era aggregato a loro; e Balaam era particolarmente onorato da Zefò e dai suoi sudditi.

E Zefò disse a Balaam: "Con le tue arti divinatorie, dimmi se in questa battaglia vinceremo noi o i nostri nemici".

E Balaam si appartò per compiere i suoi incantesimi; ma la magia non gli riuscì e la divinazione non sortì alcun risultato.

Ed egli provò una seconda volta, ma senza successo; e Balaam rinunciò a proseguire, perché aveva capito che questo era un segno da Dio, che intendeva far cadere Zefò e il suo popolo nelle mani di Israele, che, in quella guerra, poneva la sua fede nel Dio dei suoi padri.

E Zefò e Adad lanciarono la carica e gli Egiziani con i loro 300.000 uomini fecero altrettanto, mentre nessuno degli Israeliti era coinvolto nella battaglia.

E la battaglia fra i due eserciti, che fu molto violenta e cruenta, avvenne di fronte a Pathros e Tachpanhes.

E in quella battaglia, le forze di Zefò ebbero il sopravvento su quelle egiziane, che lasciarono sul campo 180 morti fra i soldati e 30 fra le guardie del Faraone per poi battere in ritirata; e i soldati di Esaù e Ismaele, al loro inseguimento, uccisero parecchi Egiziani, che trovarono rifugio nell'accampamento degli Israeliti.

E gli Egizi in fuga urlavano ai figli d'Israele: "Presto, soccorreteci e salvateci dalla furia di Esaù, di Ismaele e dei Chittiti".

E i 150 guerrieri di Israele uscirono dal loro accampamento e si scagliarono contro il campo nemico, invocando ad alta voce il loro Dio affinché li aiutasse.

Ed il Signore ascoltò Israele e diede i soldati nemici nelle loro mani; e gli Israeliti combatterono e uccisero circa 4.000 nemici.

Ed il Signore gettò il caos e il panico nel campo nemico verso i figli di Israele.

E gli eserciti dei re si ritirarono di fronte agli Israeliti, i quali, a loro volta, li inseguirono e continuarono a colpirli a morte fino ai confini del paese di Cush.

E, durante l'inseguimento, gli Israeliti uccisero circa 2.000 nemici, mentre nessuno di loro cadde in battaglia.

E gli Egiziani videro che i figli di Israele, pochi di numero, erano riusciti a sbaragliare gli eserciti dei re in una battaglia per loro disastrosa.

E gli Egiziani, temendo assai per le loro vite, dato il furore della battaglia, scapparono via e ognuno di loro cercò un nascondiglio strada facendo, lasciando che gli Israeliti continuassero a combattere da soli.

E i figli di Israele fecero ritorno a Goshen, dopo aver sbaragliato le truppe dei re e averle respinte fino al confine del paese di Cush.

E gli Israeliti videro in che modo si erano comportati gli Egiziani, che si erano ritirati dal campo di battaglia e li avevano abbandonati al loro destino.

E anche gli Israeliti agirono con slealtà verso gli Egiziani, cosicchè tornando dalla battaglia, colpirono a morte quelli che incontravano per strada.

E prima di ucciderli, dicevano loro: "Perché ci avete lasciati soli, noi che eravamo in pochi, a combattere contro tutta quell'orda che voleva ammazzarci? Perché siete scappati così vigliaccamente?".

E se un israelita incontrava uno di loro per strada, diceva al proprio compagno: "Ammazzalo, ammazzalo, perché è un ismaelita, o un idumeo, o un chittita". E così lo colpivano a morte, pur sapendo che si trattava, invece, di un egiziano.

E gli Israeliti agirono così, slealmente, nei confronti degli Egizi, che erano scappati via e li avevano lasciati da soli a combattere. E in questo modo colpirono a morte circa 200 guerrieri egizi.

E quando gli Egizi videro ciò che gli avevano fatto gli Israeliti, ne ebbero paura anche perché si resero conto che quelli erano molto forti, dato che nessuno era caduto in battaglia.

Pertanto i figli di Israele tornarono festanti al paese di Goshen, mentre l'esercito egizio superstite rientrò nel proprio paese.

E dopo qualche tempo, avvenne che tutti i consiglieri del Faraone e tutti gli anziani del paese si riunirono in assemblea e si presentarono davanti al Faraone, dopo essersi prostrati con il viso a terra. E così parlarono al Faraone: "Ecco, il popolo dei figli d'Israele è diventato più grande e più potente di noi, e hai sentito le malefatte che hanno commesso contro di noi mentre facevamo ritorno a casa. E hai anche potuto constatare il loro grande valore bellico, che hanno ereditato dai loro padri; infatti, quando mai si è visto che un manipolo di pochi armati riesce a tener testa ad una moltitudine, numerosa come grani di sabbia, e a passarla a fil di spada, uscendo indenne dal campo di battaglia? E se fossero stati più numerosi certamente avrebbero sterminato tutto l'esercito nemico! Ebbene, vediamo ora quale strategia adottare per opprimerli ed eliminarli a poco a poco, prima che diventino più numerosi di noi. Poiché se ciò avvenisse, è indubbio che ci danneggerebbe e se scoppiasse un'altra guerra, essi, con la loro grande potenza, potrebbero allearsi coi nostri nemici e distruggerci completamente, spodestandoci dal nostro paese".

E il Faraone così rispose agli anziani d'Egitto: "Questo è il piano che adotteremo contro Israele e che seguiremo nei minimi dettagli. Ebbene, ci sono nel nostro paese due città, Pithom e Ramses, che non sono fortificate per la guerra; ecco, diamo l'ordine di ingrandirle e di fortificarle. Ora, noi agiremo verso gli Israeliti con astuzia, per cui voi diffonderete un proclama da parte mia, in Egitto e in terra di Goshen che così recita: A tutta la popolazione d'Egitto, di Goshen e di Pathros! Il Re ci ha ordinato di ingrandire Pithom e Ramses e di fortificarle in caso di guerra; chiunque tra voi, abitanti d'Egitto, figli di Israele e abitanti di tutti i villaggi, vorrà partecipare alla costruzione con noi, riceverà un salario giornaliero, per ordine del Re. Ecco, voi sarete i primi a farlo e agirete con astuzia, convincendo gli altri ad unirsi a voi nel costruire Pithom e Ramses. E quando inizierete l'opera, diffonderete ogni giorno il mio proclama in tutto il paese d'Egitto. E quando verranno degli Israeliti per costruire insieme a voi, darete loro una paga giornaliera per alcuni giorni. Ma dopo che avranno iniziato a costruire con voi e avranno ricevuto la loro paga quotidiana, farete in modo di assentarvi spesso e di occultarvi, e quando tornerete, lo farete da preposti ai lavori e da guardiani; e col tempo, farete lavorare solo loro senza retribuirli, e nel caso rifiutassero li obbligherete a lavorare con la forza. E se farete ciò, sarà un bene per noi, che rafforzeremo il nostro paese e sarà un male per gli Israeliti, che per la fatica del duro lavoro, diminuiranno di numero, dato che non potranno unirsi con frequenza alle loro donne".

E gli anziani d'Egitto accolsero con favore il piano del Faraone, che piacque anche a tutti i suoi sudditi e a tutta la popolazione; e così, infatti, si agì.

E i sudditi, che uscirono dal palazzo reale, diffusero il proclama in Egitto, a Tachpanhes, a Goshen, e in tutte le città di confine, in questi termini: "Voi avete potuto vedere ciò che ci hanno fatto i figli di Esaù e di Ismaele, che ci hanno mosso guerra con l'intento di sterminarci. Perciò, ora, il Re ci ha ordinato di fortificare il paese e di ingrandire le città di Pithom e Ramses e di rafforzarle, nell'eventualità che il nemico tornasse a farci guerra. Chiunque di voi tra gli Egiziani e gli Israeliti volesse unirsi a noi per iniziare quest'opera, riceverà una paga giornaliera per ordine del re".

E quando gli Egizi e gli Israeliti ascoltarono il proclama del Faraone si recarono a Pithom e Ramses per iniziare i lavori di fortificazione, ma nessuno dei figli di Levi si unì ai loro fratelli per intraprendere questa grande opera edilizia.

E tutti i sudditi e i dignitari del Faraone agirono con astuzia e venivano per primi a costruire con gli Israeliti, come salariati giornalieri e, all'inizio, pagavano con puntualità i figli d'Israele.

E così, per un mese intero, i sudditi del Faraone lavorarono a fianco degli Israeliti.

E, terminato il mese, gli operai egiziani presero ad assentarsi con più frequenza dai lavori e a lasciare l'opera agli israeliti.

E gli Israeliti si presentavano puntualmente al lavoro ogni giorno e ricevevano la loro paga alla fine della giornata; e c'erano ancora degli operai egiziani che venivano a lavorare al loro fianco e ricevevano anch'essi il loro salario giornaliero.

Ma dopo quattro mesi, tutti gli operai egizi avevano disertato i cantieri per cui c'erano solo operai israeliti che lavoravano.

E, a poco a poco, gli egiziani che avevano disertato, ricomparivano nei cantieri in veste di guardiani e ispettori dei lavori e alcuni di loro si comportavano da capomastri ed esigevano dagli Israeliti la paga giornaliera ricevuta a fine giornata.

E gli Egizi adottarono questa strategia sempre più spesso, mortificando così gli operai israeliti.

E avvenne che, ad un certo punto, gli Egiziani si rifiutarono di pagare il salario che spettava agli Israeliti, che da soli lavoravano nei cantieri.

E se avveniva che uno degli Israeliti si rifiutava di lavorare, non avendo egli percepito il suo salario, ecco che veniva circondato dai guardiani del Faraone che lo percuotevano a sangue e lo obbligavano a riprendere il lavoro a fianco dei suoi fratelli; e così agirono gli Egizi con gli Israeliti anche in seguito.

E i figli di Israele, impauriti da tanta violenza, preferivano lavorare anche senza paga.

E fu così che gli Israeliti costruirono Pithom e Ramses, con i mattoni e i fortini che essi stessi realizzarono; e gli Israeliti costruirono ed eressero le muraglie di tutto il paese d'Egitto in un lungo periodo di tempo, che durò fino a quando il Signore si ricordò di loro e li fece uscire dall'Egitto.

Ma i figli di Levi non presero parte ai lavori, dal primo giorno fino all'esodo dall'Egitto. Poiché i Leviti, che avevano capito che gli Egiziani avevano ordito quel piano per sopraffarli, avevano preferito non parteipare ai lavori insieme ai loro fratelli.

E gli Egizi non insistettero più di tanto coi Leviti e anche in seguito non li obbligarono ai lavori forzati, così come avevano fatto con il resto degli Israeliti.

E, infatti, da quel momento in poi, gli Egiziani adottarono una politica sempre più dura verso gli Ebrei e li sottoposero a lavori sempre più pesanti.

E gli Egiziani amareggiarono la vita agli Ebrei con lavori forzati, non solo nel settore dell'edilizia, ma anche in quello dell'agricoltura.

E gli Israeliti soprannominarono Meror (= cibo amaro) il re d'Egitto, che si chiamava Melol, perché durante il suo regno gli Egiziani amareggiarono la loro esistenza con ogni sorta di lavoro duro.

Ora avvenne, però, che quanto più gli Egiziani opprimevano con le loro malefatte i figli d'Israele, tanto più essi aumentavano di numero, cosicché gli Egiziani non potevano più sopportarli.

E in quel tempo, morì il re di Edom, Adad, figlio di Bedad, e gli subentrò Samlah, da Mesrekah, nel paese di Kedem.

E ciò avvenne nel 13esimo anno di regno del Faraone d'Egitto, che corrispondeva al 125esimo anno dall'arrivo dei figli di Israele in terra d'Egitto; e Samlah regnò su Edom per 18 anni.

E durante il suo regno, egli approntò il suo esercito e mosse guerra contro Zefò, figlio di Elifaz e i Chittiti, che, in passato, avevano combattuto e sbaragliato l'esercito di Angeas, re d'Africa.

Ma egli desistè dal suo piano poiché il popolo di Esaù glielo impedì, dicendogli che Zefò era suo consanguineo; Samlah ascoltò così il consiglio dei figli di Esaù e fece rientrare il suo esercito nella terra di Edom, rinunciando alla guerra contro Zefò.

E quando il Faraone, re di Egitto, lo venne a sapere, disse: "Samlah, re di Edom, che ha rinunciato alla guerra contro i Chittiti, in futuro ci attaccherà".

E quando gli Egizi ne furono informati, aumentarono il ritmo di lavoro sul popolo di Israele, temendo che essi avrebbero agito come in passato, quando avevano sbaragliato l'esercito di Esaù, ai tempi del loro re Adad.

Perciò gli Egiziani dissero agli Israeliti: "Fate in fretta col vostro lavoro e finitelo entro breve tempo, fortificando il paese, altrimenti i figli di Esaù, che sono vostri fratelli, potrebbero approffitarne, dato che è per colpa vostra che ci attaccheranno".

E gli Ebrei facevano giornalmente anche il lavoro degli Egiziani, che, dal canto loro, li affliggevano per ridurre la loro presenza nel paese.

Tuttavia, più gli Egiziani aumentavano la mole di lavoro sui figli d'Israele, più questi ultimi crescevano di numero e si moltiplicavano, sicchè l'Egitto intero si riempì di Ebrei.

E nel 125esimo anno dall'arrivo dei figli di Israele in terra d'Egitto, gli Egiziani si resero conto che il loro piano contro gli Ebrei era fallito, e, al contrario, costoro erano aumentati e si erano moltiplicati, per cui la terra d'Egitto e la regione di Goshen erano piene di Israeliti.

E fu così che gli anziani e i saggi d'Egitto tornarono dal Faraone, gli si prostrarono a terra e si sedettero al suo cospetto.

Ed essi gli dissero: "Vita eterna al Re! Tu ci consigliasti di adottare una certa strategia contro i figli di Israele, e noi l'abbiamo attuata, seguendo alla lettera le Tue istruzioni. Tuttavia, quanto più li abbiamo appesantiti di lavoro, tanto più si sono moltiplicati, per cui il paese adesso è pieno di ebrei. Ed ora, nostro Signore e nostro Re, tutti gli occhi dell'Egitto sono rivolti a Te affinché, nella Tua saggezza, Tu ci possa consigliare come prevalere su Israele distruggendolo o, per lo meno, riducendolo di numero".

Ed il re rispose loro: "Giudicate voi su questa faccenda e così sapremo cosa fare".

E un dignitario di corte, tra i consiglieri del re, di nome Giobbe, che proveniva dalla Mesopotamia, dal paese di Uz, prese la parola e disse: "Se ciò è gradito al re, possa Egli ascoltare il consiglio di un Suo servo".

Ed il re gli disse: "Parla pure!".

E Giobbe così parlò davanti al re, ai dignitari e agli anziani d'Egitto: "Il piano precedente, proposto dal Re, di sottoporre gli Ebrei a duro lavoro è ottimo e deve continuare anche in futuro; tuttavia, io avrei un piano che potrebbe ridurre il loro numero, se ciò, naturalmente, piace al Re. Ecco, dal momento che noi temiamo da molto tempo la guerra, ci siamo detti: Quando Israele prolificherà nel paese, ci caccerà via, in caso di guerra. E allora, se la cosa è gradita al Re, Egli emetta in tutto il paese d'Egitto un editto irrevocabile in cui si ordina che ogni neonato maschio ebreo venga messo a morte e il suo sangue versato a terra. E con la morte di tutti i neonati israeliti, cesserà la paura della guerra che ci tormenta; e per realizzare questo piano, il Re dovrà convocare tutte le levatrici ebree e dovrà ordinare loro di mettere in atto il suo decreto".

E il piano piacque al re e ai suoi dignitari e il re ordinò di metterlo subito in pratica.

E il re convocò le levatrici ebree, che si chiamavano Scifra e Pu'à. E le due levatrici si presentarono davanti al re.

E il re disse loro: "Quando assisterete le donne ebree durante il parto, osserverete il sesso del neonato; se sarà un maschio lo ucciderete, ma se sarà femmina la lascerete in vita. E se non eseguirete il mio comando, brucerò voi e le vostre case".

Ma le levatrici temevano Dio e non obbedirono al Faraone; e quando una donna ebrea partoriva, o un maschio o una femmina, la levatrice si prendeva cura del neonato e lo teneva in vita; e così fecero sempre ad ogni nascita.

E ciò fu riferito al re, che convocò nuovamente le levatrici e disse loro: "Perché avete lasciato in vita i maschi?".

E le levatrici risposero al Faraone: "Non pensi il Re che le donne ebree siano come le egiziane; esse, infatti, sono vigorose e prima che la levatrice le raggiunga, esse si sono già sgravate; e in tanti anni che noi siamo al Tuo servizio, non è mai successo che una donna ebrea dovesse ricorrere a noi, dal momento che esse sanno partorire da sole, poiché sono molto vigorose".

E il Faraone ascoltò le loro spiegazioni e ne fu convinto; e le levatrici uscirono dal palazzo reale e il Signore le ricompensò in bene, sicché il popolo aumentò di numero e si rafforzò.

Nel paese d'Egitto c'era un uomo della tribù di Levi, che si chiamava Amram, ed era figlio di Kehath, nipote di Levi, e pronipote di Israele.

E costui sposò Yoheved, figlia di Levi e sorella di suo padre, che aveva 126 anni, e si unì con lei.

E la donna concepì e partorì una bambina, che fu chiamata Miriam (nota del traduttore: mar - amaro), poiché in quel tempo gli Egiziani amareggiavano la vita ai figli di Israele.

E Yoheved rimase ancora incinta e partorì un bimbo, che fu chiamato Aharon, poiché durante la sua gravidanza, il Faraone aveva cominciato a versare il sangue dei neonati ebrei.

E in quei giorni morì Zefò, figlio di Elifaz, nipote di Esaù, re di Chittim, e dopo di lui regnò Yaniush.

E Zefò regnò sui Chittiti per 50 anni e quando morì fu sepolto nella città di Nabna, nel paese di Chittim.

E Yaniush, uno dei più valorosi guerrieri di Chittim, regnò sul suo popolo per 50 anni.

E dopo la morte di Zefò, re di Chittim, Balaam, figlio di Beor, fuggì dal paese e si rifugiò dal Faraone, re d'Egitto

E il Faraone lo accolse con grandi onori, perché era a conoscenza delle sue arti divinatorie e gli offrì molti doni e lo fece assurgere a suo consigliere di corte.

E Balaam visse onorato in Egitto, a fianco dei dignitari di corte, che lo stimavano in sommo grado e desideravano apprendere da lui le arti magiche.

E nel 130esimo anno dall'arrivo dei figli d'Israele in Egitto, il Faraone sognò di sedere sul proprio trono regale e di vedere, dopo aver alzato lo sguardo, un vegliardo che teneva in mano una bilancia, simile a quella che usano i mercanti. E quest'uomo anziano prese la bilancia e la appese davanti al Faraone. E quindi, dopo aver preso tutti gli anziani, i dignitari di corte e i prodi guerrieri del re, li legò insieme e li pose su un piatto della bilancia. E poi prese un agnellino da latte e lo mise sul secondo piatto della bilancia, che prevalse col suo peso sul primo.

E il Faraone rimase molto meravigliato da questa incredibile visione: com'era possibile che un agnellino pesasse più di tutte quelle persone?

E il Faraone si destò e si rese conto di aver sognato.

E una volta sveglio, il Faraone convocò subito tutti i suoi consiglieri e raccontò loro il sogno che li spaventò molto. E il re disse a tutti i suoi saggi: "Vi prego di interpretare il sogno che ho fatto".

E Balaam, figlio di Beor, così lo interpretò: "Significa che una grande disgrazia colpirà l'Egitto in futuro. Ecco, infatti, che nascerà tra i figli di Israele uno che distruggerà tutto l'Egitto e tutti i suoi abitanti e farà uscire trionfalmente il suo popolo dall'Egitto. Per cui, ora, nostro Signore Re, prendi delle contromisure per vanificare la speranza e le attese degli Israeliti, prima che questa disgrazia colpisca tutto il paese".

E il re disse a Balaam: "E cosa dovremmo fare contro Israele? Abbiamo già messo in atto un piano contro di loro, che però non ha funzionato. Ed ora dacci tu un consiglio così da poter avere il sopravvento su di loro".

E Balaam rispose al re: "Manda a chiamare i Tuoi due migliori consiglieri e sentiamo la loro proposta e solo dopo il Tuo servo parlerà".

Ed il re mandò a chiamare i suoi due migliori consiglieri: il midianita Reuel e l'uzita Giobbe, che arrivarono e si presentarono davanti al re.

E il re disse loro: "Bene, entrambi avete ascoltato il sogno che ho fatto e la sua interpretazione; e ora vorremmo sentire da voi che cosa dovrebbe essere fatto ai figli d'Israele, per poter prevalere su di loro, prima che il loro male ci colpisca".

Ed il midianita Reuel rispose al re: "Viva il Re! Viva il Re in eterno! Se la cosa è gradita al Re, io consiglierei di lasciare in pace gli Ebrei e di non perseguitarli. Poiché il loro Dio li ha eletti fin dall'antichità e li ha prescelti come messaggeri del Suo retaggio fra tutte le nazioni e i re della terra; e chi oserebbe perseguitarli impunemente, senza subire la vendetta del loro Dio? Avrai certamente sentito la storia di Abramo che arrivò in Egitto e il Faraone di quel tempo, vedendo la sua bella moglie Sara, la prese per sé, perché Abramo aveva detto che era sua sorella, temendo che gli Egiziani lo avrebbero ucciso per portargliela via. E quando il Faraone prese Sara, il Signore colpì lui e tutti i suoi sudditi con terribili piaghe, per cui la restituì ad Abramo e così tutti furono risanati. E anche la storia di Avimelech da Gherar, re dei Filistei, che venne punito da Dio per aver egli concupito Sara, moglie di Abramo, rendendo sterile il suo popolo e persino il suo bestiame. Il loro Dio, infatti, apparve in un sogno notturno ad Avimelech e lo terrorizzò ingiungendogli la restituzione di Sara ad Abramo; e in seguito tutta la popolazione di Gherar fu punita a causa di Sara, e Abramo pregò il suo Dio per loro, che lo esaudì e li guarì tutti. Ed Avimelech, spaventato dalle punizioni che avevano colpito lui e il suo popolo, restituì Sara ad Abramo e li congedò con molti doni. E il loro Dio fece la stessa cosa per Isacco, quando fu cacciato da Gherar; Dio, infatti, fece per lui dei prodigi, poiché i corsi d'acqua della città si seccarono e gli alberi da frutto cessarono di fruttificare. Fino a che Avimelech da Gherar, il suo amico Ahuzat e Pichol, capo dell'esercito, si recarono da Isacco, si inginocchiarono e gli si prostrarono a terra. E lo supplicarono di pregare Dio per loro e Isacco acconsentì, per cui Dio esaudì la sua preghiera e li risanò. E anche Giacobbe, uomo integro, venne salvato grazie alla sua onestà dalle mani del fratello Esaù e dalle mani dello zio materno, l'arameo Labano, che lo volevano morto; così come dalle mani di tutti i re di Canaan, che si erano alleati per uccidere lui e i suoi figli; il Signore, però, li salvò e, alla fine, furono loro a distruggere i loro nemici, per cui chi è mai riuscito a colpirli senza rimanere impunito? E certamente saprai di tuo nonno Faraone, che fece assurgere Giuseppe alla massima carica del regno d'Egitto, dopo aver constatato la sua grande saggezza, grazie alla quale furono salvati tutti dallo spettro della fame. E quindi ordinò a Giacobbe e ai suoi figli di venire a vivere in Egitto, affinché il paese e la regione di Goshen fossero risparmiate dalla carestia, in virtù della misericordia che Dio aveva verso di loro. Ed ora, se lo ritieni opportuno, cessa di perseguitare i figli d'Israele; ma se non desideri che vivano in Egitto, rimandali al loro paese, in terra di Canaan, dove vivevano i loro antenati".

E, dopo aver ascoltato le parole di Itrò (Reuel), il Faraone si adirò molto contro di lui, e Itrò si alzò umiliato e si congedò e fece ritorno al suo paese Midian, prendendo con sé la verga di Giuseppe.

E il re disse all'uzita Giobbe: "E tu, Giobbe, cosa dici? Che cosa proponi di fare agli Ebrei?".

E Giobbe rispose al Faraone: "Dal momento che tutti gli abitanti sono sotto la Sua potestà, il Re faccia ciò che più gli aggrada".

E il re disse a Balaam: "E tu, Balaam, che cosa pensi? Vogliamo ascoltare il tuo consiglio!".

E Balaam disse al re: "Gli Ebrei verranno salvati da ogni piano che il Faraone avrà ordito contro di loro, per cui non potrà sopraffarli mai. Se pensi di ridurre il loro numero bruciandoli col fuoco, non ci riuscirai, in quanto il loro Dio salvò il loro padre Abramo, dopo che fu gettato in un calderone a Ur Chasdim; se pensi poi di ucciderli con la lama, ecco che il loro padre Isacco fu salvato e un montone fu immolato al posto suo. E se pensi di farli diminuire coi lavori forzati e con un regime di vita duro, non ce la farai, dato che il loro padre Giacobbe servì Labano con ogni tipo di lavoro pesante e nonostante ciò prosperò. Per cui ora, o Re, ascolta bene le mie parole, poiché il consiglio che Ti dò per combatterli riuscirà a prevalere su di loro, per cui seguilo bene. Se al Re va bene, ordini, da oggi in poi, di gettare in acqua i neonati ebrei, poiché solo in questo modo potrà cancellare il loro nome, giacché nessuno di loro o dei loro padri fu salvato da questa morte".

E le parole di Balaam piacquero al re e ai suoi ministri e il Faraone agì secondo il consiglio di Balaam.

Ed il re promulgò un editto su tutto il territorio d'Egitto che così recitava: Da oggi in poi ogni neonato maschio degli Ebrei dovrà essere gettato in acqua.

E il Faraone convocò tutti i suoi sudditi e disse loro: "Andate nel paese di Goshen dovunque vivono gli Israeliti, e gettate nel Nilo ogni neonato ebreo maschio che troverete, mentre le femmine le lascerete in vita".

E quando i figli di Israele vennero a conoscenza del decreto del Faraone, secondo il quale i neonati maschi doveveno essere annegati nel fiume, alcuni di loro si separarono dalle loro mogli e altri, al contrario, non le abbandonarono.

E da quel giorno in avanti, quando arrivava il momento di partorire, le donne ebree che non si erano separate dai loro mariti, andavano nei campi a partorire e lasciavano il neonato sul posto e poi tornavano a casa.

E il Signore, che aveva assicurato ai loro avi di farli prolificare, mandava uno dei suoi angeli servitori, affinché si prendesse cura dei piccoli, per cui ogni angelo lavava il neonato, lo ungeva con l'olio, lo cambiava e gli mettava nelle due manine due piccole pietre, da cui il bimbo succhiava latte e miele; e gli faceva crescere i capelli fino ai ginocchi così che lo coprissero come un vestito; tanta era la misericordia di Dio per loro! E il Signore, che aveva mostrato pietà per gli Ebrei e desiderava moltiplicarli, comandò alla Terra di preservarli fino alla loro crescita, dopo di chè la Terra avrebbe aperto la sua bocca e li avrebbe vomitati fuori ed essi sarebbero cresciuti come erbe di campo e come rovi di bosco e ognuno di loro sarebbe tornato alla sua famiglia e alla sua casa paterna.

E i bambini israeliti furono come erba di campo su tutta la terra, grazie alla bontà di Dio.

E gli Egiziani videro questo prodigio quando andavano nei campi a pascolare coi loro greggi e i loro armenti, o ad arare o a seminare i loro campi.

E quando aravano non potevano fare del male ai bimbi ebrei, che, in questo modo, crebbero e aumentarono di numero.

E il Faraone ordinava ai suoi funzionari di recarsi ogni giorno a Goshen per cercare i bambini ebrei.

E quando essi ne trovavano uno, lo strappavano a forza dal grembo della madre e lo gettavano nel Nilo, mentre risparmiavano la vita alle femmine; così agivano gli Egizi con gli Israeliti in quei tempi.

E in quel tempo lo spirito di Dio si posò su Miriam, figlia di Amram e sorella di Aharon, che a casa sua così profetizzò: "Da mio padre e da mia madre uscirà ben presto un figlio che salverà Israele dalle mani dell'Egitto".

E quando Amram udì le parole della figlia, ritornò a vivere con sua moglie, dopo che se ne era separato, in seguito al decreto del Faraone, che aveva ordinato di affogare ogni neonato ebreo.

Così Amram tornò a vivere con sua moglie Yoheved, dopo tre anni di separazione, si unì con lei e la ingravidò.

E alla fine del settimo mese di gravidanza, la donna partorì un bimbo e tutta la casa fu invasa da una luce abbagliante, simile allo splendore del sole e al fulgore della luna piena.

E quando la madre vide che il bambino era bello e ben formato lo nascose per tre mesi in una stanza della casa.

In quei giorni gli Egiziani avevano ordito un piano su vasta scala per sterminare tutti gli Ebrei.

E le donne egizie si recavano a Goshen, dove c'erano gli Ebrei, con in spalla i loro neonati, ancora incapaci di parlare.

8 E in quei tempi, quando le donne ebree partorivano, nascondevano i loro piccoli dalla vista degli Egiziani, che potevano portarli via e condannarli a morte sicura.

E quando le donne egizie arrivavano a Goshen con i loro infanti sulle spalle, entravano nelle case delle ebree e facevano piangere i loro bambini.

E se un bimbo ebreo nascosto sentiva piangere, si metteva a piangere anche lui e così le egiziane lo riferivano ai funzionari del Faraone.

E costoro venivano a prendere i bimbi ebrei e li uccidevano; così agivano, in quei tempi, le donne egiziane con le israelite.

E in quel tempo, i funzionari del Faraone vennero a sapere che Yoheved teneva nascosto già da tre mesi il proprio neonato.

E la donna si affrettò a mettere in salvo il piccolo prima che arrivassero le guardie del Faraone; e così fabbricò una cesta di papiro, la spalmò di bitume e di pece, vi mise dentro il bimbo e la depose nel canneto sulla riva del fiume.

E sua sorella Miriam se ne stava ad una certa distanza per osservare gli eventi.

E, in quel frangente, Dio mandò in tutto il paese d'Egitto un vento infuocato e una terribile calura, che bruciava i corpi della gente e opprimeva oltre modo gli Egiziani.

E tutti gli abitanti del paese entravano nel fiume per rinfrescare il loro corpo arso dalla calura.

E anche Batia, la figlia del Faraone, scese al fiume per rinfrescarsi ed evitare quella calura, accompagnata dalle sue ancelle e dalle donne egizie al suo seguito.

E quando fu vicina alla riva del fiume, Batia vide una cesta galleggiare sull'acqua e ordinò ad una sua ancella di portargliela.

E quando la aprì vide un bambino che piangeva e ne ebbe compassione e disse: "Questo è certamente un bimbo degli Ebrei".

E le donne egizie che la accompagnavano lungo la riva del fiume volevano allattare il neonato, che però rifiutava il loro latte, perché la cosa proveniva dal Signore, che voleva che il bimbo tornasse al seno materno.

E Miriam, che in quel momento si trovava con le donne egiziane vicino alla riva del fiume, assistette alla scena e disse alla figlia del Faraone: "Vuoi che vada a chiamare una balia fra le donne ebree che ti allatti il bambino?".

E la figlia del Faraone le rispose: "Sì, va' pure". E la fanciulla corse a chiamare la madre del bambino.

E la figlia del Faraone disse a Yoheved: "Prendi con te questo bimbo e allattalo per conto mio ed io ti pagherò il baliatico, due monete d'argento al giorno".

E la donna prese il bambino e lo allattò.

E alla fine del secondo anno, quando il bambino fu svezzato, la madre lo riportò dalla figlia del Faraone, che lo trattò come un proprio figlio e lo chiamò Mosè, dicendo: "Poiché lo salvai dalle acque".

E suo padre Amram gli pose nome Habar (= congiungere), poiché: "Fu grazie a lui che mi ricongiunsi a mia moglie dalla quale mi ero separato".

E sua madre Yoheved lo chiamò Yekuthiel (= sperare in Dio), poiché: "Ho riposto la mia speranza in El Shadday (Dio Onnipotente) ed Egli mi ha esaudito".

E sua sorella Miriam lo chiamò Yered (= scendere), perché era scesa al fiume per vedere cosa sarebbe successo.

E suo fratello Aharon lo chiamò Avì Zanuah (= mio padre abbandonò), poiché: "Mio padre aveva abbandonato mia madre, ma poi, grazie a lui, è tornato a vivere con lei".

E Kehath, il padre di Amram, lo chiamò Avigdor (= mio padre - recinto), poiché: " Grazie a lui, Dio recintò la breccia apertasi nella casa di Giacobbe, per cui gli Egizi non avrebbero più potuto gettare in acqua i suoi figli maschi”.

E la sua nutrice lo chiamò Avì Sukò (= mio padre - tabernacolo), poiché: "In un tabernacolo venne occultato per tre mesi dai discendenti di Ham".

E tutto Israele lo chiamò in seguito Shmayà (= Dio ha ascoltato), figlio di Nethanel, poiché dissero che in quel tempo Dio aveva ascoltato le loro invocazioni e li aveva salvati dai loro oppressori.

E Mosè crebbe nella casa del Faraone e Batia, la figlia del Faraone, lo considerò come un proprio figlio e Mosè crebbe tra i figli del re.

E in quel tempo morì il re di Edom, durante il 18esimo anno del suo regno; ed egli fu sepolto nel palazzo che aveva fatto costruito per se stesso, come propria residenza reale in terra di Edom.

E i figli di Esaù mandarono una delegazione a Pethor, che si trova a ridosso del fiume, per prelevare un giovane di nome Saul, che aveva dei begli occhi ed era di aspetto affascinante, e incoronarlo re al posto del defunto Samlah.

E Saul regnò sui figli di Esaù, in terra di Edom, per 40 anni.

E il Faraone re d'Egitto constatò che il consiglio di Balaam non aveva avuto successo e, al contrario, gli Ebrei si erano moltiplicati su tutto il territorio egiziano.

Per cui, in quei giorni, il Faraone emise un nuovo proclama contro gli Israeliti, che vivevano in Egitto, secondo il quale non doveva essere ridotta in alcun modo la quantità del loro lavoro quotidiano.

E se un operaio ebreo non riusciva a soddisfare la quantità giornaliera fissata di malta o di mattoni, veniva punito con la morte del figlio più giovane.

E infatti si inasprirono i lavori forzati a cui erano sottoposti gli Ebrei, e se avveniva che un operaio avesse mancato di fabbricare un solo mattone dalla quantità fissata per quel giorno, i guardiani egizi andavano dalla moglie per strapparle a forza il più piccolo dei figli, che veniva collocato al posto del mattone mancante.

Così agirono gli Egiziani con gli Ebrei, giorno dopo giorno, per un lungo periodo.

I Leviti, però, non furono coinvolti nei lavori forzati come i loro fratelli, poiché avevano capito fin dall'inizio che gli Egiziani procedevano con astuzia nei loro confonti.

E nel terzo anno dalla nascita di Mosè, il Faraone era seduto ad un banchetto con la regina Alparanith alla sua destra e, alla sua sinistra, c'era la figlia Batia, che teneva in braccio il piccolo Mosè; e Balaam, figlio di Beor, con i suoi due figli e tutti i dignitari sedevano a tavola con il re.

2 E Mosè allungò la sua manina sopra la testa del re e dopo avergli tolto la corona dal capo, se la mise in testa.

E quando il re e i dignitari videro ciò che aveva fatto il bambino, rimasero esterefatti e anche tutti i presenti rimasero allibiti.

E il re disse ai suoi dignitari, che sedevano con lui a tavola: "Che cosa ne pensate e che cosa avete da dire su un'azione del genere? Che cosa si merita questo bambino ebreo che ha osato tanto?".

E il mago Balaam, figlio di Beor, rispose al re e a tutti i presenti: "O mio Signore e mio Re, ti ricordi il sogno che facesti tempo fa e l'interpretazione che ti diede il Tuo servitore? Ecco il bambino ebreo, su cui è posato lo spirito di Dio; e non pensi il mio Signore Re che questo infante abbia agito così, involontariamente. Dal momento che si tratta di un bambino ebreo, egli è dotato di saggezza e di discernimento e, sebbene sia piccolo, ha agito apposta quando si è messo in testa il simbolo del regno d'Egitto. Poiché tutti gli Ebrei sono abituati ad imbrogliare i re e i loro notabili e ad agire con scaltrezza per poter così far fallire i capi e i loro sudditi. E certamente conoscerai le vicende del loro padre Abramo, di come imbrogliò sia l'esercito di Nimrod, re di Babele, che Avimelech, re di Gherar, e di come si impadronì del paese dei figli di Heth e di tutti i regni di Canaan. E di quando arrivò in Egitto e disse che sua moglie Sara era sua sorella, per far cadere in peccato il Faraone d'Egitto. E anche suo figlio Isacco agì in modo analogo quando andò a vivere a Gherar e qui si rafforzò e prevalse sull'esercito di Avimelech, re dei Filistei. E anche lui fece peccare tutto il regno dei Filistei, quando raccontò che sua moglie Rebecca era sua sorella. E anche Giacobbe truffò suo fratello rubandogli la primogenitura e la benedizione paterna. E poi andò a Padan Aram nella casa dello zio materno Labano e con l'astuzia ottenne le sue figlie, i suoi armenti e tutti i suoi beni, e scappò via per tornare da suo padre nel paese di Canaan. E i suoi figli vendettero il loro fratello Giuseppe, che arrivò in Egitto e divenne schiavo e fu poi rinchiuso in prigione per dodici anni. Fino a che il precedente Faraone fece dei sogni e Giuseppe, che fu prelevato dal carcere, assurse alla più alta carica del regno, poiché glieli aveva interpretati. E allorquando Dio provocò una carestia su tutto il paese, Giuseppe fece venire qui suo padre, i suoi fratelli e tutto il casato paterno e li mantenne gratuitamente e a spese del paese, facendo diventare gli Egiziani suoi schiavi. Per cui ora, mio Signore Re, anche questo bambino proviene da un tale popolo e agisce come i suoi padri per imbrogliare re, principi e giudici. E se la cosa è gradita al Re, venga versato subito il suo sangue, prima che cresca e si impossessi del regno e disilluda le speranze degli Egiziani, una volta che avrà preso il comando".

E il re disse a Balaam: "Vengano prima chiamati tutti i giudici e i saggi d'Egitto e potremo sapere se a questo bambino spetta la pena di morte come tu hai proposto, e se saranno d'accordo, lo giustizieremo".

E il Faraone convocò tutti i saggi d'Egitto, che vennero al suo cospetto, e tra di loro c'era anche un angelo di Dio, che aveva assunto le sembianze di uno di loro.

E il re così parlò ai saggi: "Avrete certamente udito ciò che ha fatto questo bambino ebreo a casa mia e anche il giudizio che Balaam ha emesso a tale riguardo. Ed ora giudicate anche voi ed emanate una sentenza per quello che ha fatto".

E un angelo, che aveva assunto le sembianze di uno dei saggi del Faraone, prese la parola e disse davanti al re e a tutti i presenti: "Se al Re piace, faccia portare al suo cospetto una pietra di onice e un tizzone di carbone ardente per metterli davanti all'infante; e se egli allungherà la sua mano e afferrerà l'onice, sapremo che lo ha fatto per propria scelta cosicchè sarà messo a morte. Ma se, invece, allungherà la mano sul tizzone ardente, vorrà dire che non sa quello che fa e resterà in vita".

E la proposta piacque molto al re e a tutti gli astanti, cosicché il Faraone decise di agire secondo il consiglio dell'angelo divino.

E il re dispose che fossero portati davanti al piccolo Mosè un'onice e un carbone ardente. E fecero sedere l'infante di fronte all'onice e al tizzone; e mentre il bambino era pronto ad allungare la manina verso l'onice, ecco che l'angelo di Dio gliela afferrò e gliela spostò sul tizzone ardente; e il piccolo afferrò il carbone e se lo portò sulla bocca e ustionò così le sue labbra e la punta della lingua ed è questo il motivo per il quale Mosè fu difettoso nel parlare.

E quando il re e i notabili videro ciò, capirono che Mosè non aveva agito intenzionalmente quando aveva tolto la corona dalla testa del monarca.

Per questo rinunciarono all'idea di sopprimerlo e il bambino continuò a crescere nella casa del Faraone e Dio fu con lui.

E Mosè, quando divenne grande, fu vestito con abiti di porpora e fu allevato con i figli del Faraone.

E Batia, la figlia del Faraone, lo considerava come un proprio figlio, per cui a palazzo Mosè era onorato come un membro della casa reale ed era temuto e rispettato da tutti i sudditi egizi.

E ogni giorno Mosè usciva dal palazzo e si recava nella terra di Goshen, dove vivevano i suoi fratelli israeliti, e fu qui che potè constatare le angherie e i lavori forzati ai quali erano quotidianamente sottoposti.

E Mosè chiedeva loro: "Perché vi opprimono ogni giorno con lavori tanto pesanti?".

E loro gli raccontavano la successione dei fatti e gli editti che aveva promulgato il Faraone contro gli Ebrei, prima della sua nascita.

E gli raccontarono anche i perfidi consigli che Balaam, figlio di Beor, aveva dato al Faraone, e di come gli avesse consigliato di sopprimere Mosè, quando, da piccolo, aveva preso la corona dalla testa del re.

E nell'ascoltare i loro racconti, aumentava la collera di Mosè verso Balaam, per cui meditava di ucciderlo, e, ogni giorno, lo aspettava al varco; e a Balaam fu riferito che il figlio di Batia intendeva farlo fuori.

E Balaam, che temeva Mosè, fuggì dall'Egitto con i suoi due figli e trovò rifugio nel paese di Cush, presso il re Kikanus.

E Mosè, che risiedeva e si muoveva liberamente tra le mura del palazzo reale, trovava favore, per volontà di Dio, agli occhi del Faraone e di tutti i suoi sudditi e di tutti gli abitanti del paese, per cui tutti gli volevano molto bene.

E ogni giorno che Mosè arrivava nella terra di Goshen per visitare i suoi fratelli e vedeva la loro sofferenza e i lavori duri a cui erano sottoposti, rimaneva molto rattristato.

Per cui, un giorno, tornando al palazzo reale, Mosè decise di andare a parlare col Faraone; egli entrò nella sua residenza, gli si prostrò a terra e chiese di parlare.

E Mosè disse al Faraone: "O mio Signore, sono venuto qui da Te per chiederti un piccolo favore e Ti sarei grato se Tu lo potessi esaudire".

E il Faraone gli disse: "Parla pure!".

E Mosè così gli parlò: "Deh, che venga concesso ai Tuoi servi, i figli di Israele, che sono a Goshen, un giorno in cui possano riposare dalle loro fatiche".

Ed il re così gli rispose: "Sono disposto ad accogliere la tua richiesta".

E il Faraone emise un proclama in Egitto e a Goshen, che così recitava: Questo proclama è rivolto a voi, figli di Israele: Così ha stabilito il Re: per sei giorni eseguirete la vostra opera e farete i vostri lavori, ma nel settimo giorno vi riposerete e non farete alcun tipo di lavoro; così sarà per tutti i giorni, secondole disposizioni del Re e di Mosè, figlio di Batia.

E Mosè gioì per ciò che gli aveva concesso il re e tutti gli Israeliti fecero come aveva comandato loro Mosè.

Poiché questo favore agli Ebrei proveniva da Dio, che cominciava a ricordarsi di loro e a salvarli, per merito dei loro padri. E Dio fu con Mosè, la cui fama si estendeva in tutto il paese.

E Mosè diventò famoso in Egitto e anche tra gli Ebrei, dal momento che agiva per il bene del proprio popolo Israele e perorava la sua causa davanti al re.

E quando Mosè aveva diciotto anni, desideroso di vedere suo padre e sua madre, andò a trovarli nel paese di Goshen; e quando fu prossimo a Goshen, passò per vedere un cantiere dove lavoravano gli Ebrei e qui constatò la loro fatica e vide anche un egizio che percuoteva un ebreo.

E quando l'ebreo percosso vide Mosè, gli corse incontro per chiedergli aiuto, dato che Mosè era molto rispettato a palazzo reale, e gli disse: "Aiutami, signore mio, poiché questo egizio è venuto a casa mia stanotte, mi ha legato e ha abusato di mia moglie in mia presenza e ora vuole picchiarmi a morte".

E quando Mosè udì il suo racconto, si infuriò contro quell'uomo e, dopo aver girato lo sguardo da una parte e dall'altra e aver constatato che non c'era nessuno, lo colpì a morte e lo occultò nella sabbia e salvò così l'ebreo dalle mani del suo aguzzino.

E l'ebreo tornò a casa sua e Mosè riprese il suo cammino e fece ritorno al palazzo reale.

E quando l'ebreo fu a casa sua, decise di ripudiare la moglie, poiché non si addiceva alla casa di Giacobbe che un marito tornasse a convivere con la consorte dopo che questa era stata resa impura da un estraneo.

E la donna andò a raccontare il fatto a suo fratello, che decise di uccidere il cognato, che si mise in salvo scappando da casa sua.

E il giorno seguente, quando Mosè tornò dai suoi fratelli, vedendo due correligionari che questionavano fra loro, si rivolse a quello che aveva torto e gli disse: "Perché picchi il tuo compagno?".

Ed egli rispose: "Chi ti ha delegato capo e giudice su di noi? Pensi forse di uccidermi come hai fatto con quell'egiziano?".

E Mosè allora ebbe paura e disse a se stesso: "Certo la cosa si è risaputa".

E quando il Faraone venne a saperlo ordinò di giustiziare Mosè, ma il Signore mandò un suo angelo, che apparve al Faraone nelle vesti del capo delle sue guardie del corpo.

E l'angelo prese la spada dalla mano del capo dei guardiani del Faraone e gli mozzò la testa e la mostrò poi come se fosse quella di Mosè.

E l'angelo di Dio prese per mano Mosè e lo accompagnò e lo fece uscire dai confini dell'Egitto, ad una distanza di 40 giorni di cammino.

E suo fratello Aharon rimase da solo in Egitto e profetizzò ai figli d' Israele, dicendo: "Così ha parlato il Signore, Dio dei vostri padri: ognuno di voi non segua le abominazioni del paese e non si contamini con gli idoli d'Egitto".

Ma gli Israeliti si ribellarono e non vollero ascoltare Aharon in quel tempo.

E il Signore pensò di distruggerli, ma ricordò il patto che aveva fatto con Abramo Isacco e Giacobbe.

E in quei giorni il Faraone appesantì il giogo sui figli d'Israele asservendoli e opprimendoli sempre di più, fino a che il Signore si ricordò di loro e fece conoscere loro la Sua parola.

E in quei tempi, scoppiò una grande guerra tra i figli di Cush e i popoli di Kedem e di Aram, che si erano ribellati al dominio del re di Cush sotto il quale sottostavano.

E Kikanus, re di Cush, con tutto il suo esercito, numeroso come la sabbia del mare, mosse guerra contro Aram e i Kedemiti per soffocare la loro insurrezione.

E quando Kikanus partì per la guerra con il suo esercito, lasciò il mago Balaam coi suoi due figli a far da guardia alla città e alla popolazione più povera.

E Kikanus si mosse verso il paese di Aram e dei Kedemiti, li combattè e li sbaragliò e gli sconfitti lasciarono sul terreno molte vittime.

E Kikanus fece molti prigionieri e li sottomise al suo dominio, come in passato, e occupò i loro territori e impose loro un tributo da pagare, come si usava fare.

E Balaam, figlio di Beor, durante l'assenza del re di Cush, prese l'iniziativa e dopo essersi consigliato col popolo, propose di destituire il re Kikanus e di non farlo entrare in città al suo arrivo.

E la popolazione accolse la sua proposta e gli giurò fedeltà e lo incoronò re e nominò i suoi due figli a capo dell'esercito.

E così fortificarono su due lati le mura della città ed eressero un palazzo imponente e ben fortificato.

E dal terzo lato della città scavarono molte gallerie, che collegavano la città al fiume che circonda l'intera regione di Cush e vi costruirono dei canali per convogliare l'acqua in città.

E a ridosso del quarto lato collocarono, grazie ad incantesimi e magie, numerosi serpenti, per cui la città era così fortificata, che nessuno vi poteva entrare o uscire.

E dopo aver sconfitto e assoggettato Aram e i figli di Kedem, facendoli diventare suoi tributari, Kikanus fece ritorno al suo paese.

E quando il re di Cush fu vicino alla città coi suoi militari, notò che le mura della città erano diventate più alte, per cui tutti rimasero molto sorpresi.

Ed essi si dissero tra loro: "Avranno visto che tardavamo a tornare dalla guerra e avranno temuto molto per la nostra sorte; per questo hanno innalzato e fortificato le mura della città, per difendersi da un eventuale attacco dei re di Canaan".

E quando il re e i suoi uomini furono vicini alla città notarono che tutti i portoni erano stati sprangati, per cui chiamarono a gran voce le sentinelle e ordinarono loro di aprire.

Ma i guardiani si rifiutarono di aprire i portoni perché il loro re, il mago Balaam, aveva ordinato di non farli entrare in città.

E gli uomini di Balaam li aggredirono davanti al portone della città e in quel giorno caddero 130 soldati di Kikanus.

E il giorno successivo, si continuò a combattere e la battaglia si spostò oltre il fiume; e i soldati volevano guadare il corso d'acqua, ma non ci riuscirono, cosicchè alcuni di loro annegarono nelle risacche del fiume.

E a questo punto il re ordinò loro di abbattere degli alberi e costruire delle zattere per attraversare il fiume; e così fecero.

E quando furono sul fiume, le acque, rese turbinose dall'azionamento dei mulini, sommersero più di 200 uomini, che erano a bordo di dieci zattere.

E nel terzo giorno, i soldati di Kikanus non poterono entrare o avvicinarsi perché c'erano i serpenti, che, in quell'occasione, colpirono a morte 170 di loro; alla fine, essi rinunciarono a combattere e si misero ad assediare la città; e nei nove anni di assedio, nessuno entrò o uscì a/da Cush.

E in quel periodo di guerra e di assedio a Cush, Mosè fuggì dall'Egitto e dal Faraone che voleva ucciderlo per l'omicidio dell'egiziano.

E Mosè, che aveva diciotto anni quando fuggì dall'Egitto e dal Faraone, si rifugiò nell'accampamento di Kikanus, che assediava Cush. E qui vi rimase nove anni.

E il re Kikanus, i suoi ufficiali e tutti i soldati volevano bene a Mosè, poiché era forte e coraggioso e il suo incedere era simile a quello di un felino, e il suo viso era raggiante come il sole ed era possente come un leone e per questo era diventato consigliere del re.

E alla fine dei nove anni, Kikanus si ammalò gravemente e morì dopo sette giorni di agonia.

E i suoi sudditi, dopo averlo imbalsamato, lo seppellirono di fronte all'entrata principale della città, nella parte settentrionale del paese.

Ed eressero sulla sua tomba un grande mausoleo, costruito con grossi massi.

E gli scribi scolpirono su quelle pietre tutte le gesta eroiche del loro re Kikanus e le battaglie che aveva combattuto, che rimangono istoriate fino ai giorni nostri.

E dopo la morte di Kikanus, re di Cush, si aggravò la situazione dei suoi ufficiali e soldati, a causa del protrarsi della guerra.

Ed essi si dissero tra loro: "Ora, pensiamo bene a quello che dobbiamo fare, dato che sono già nove anni che manchiamo dalle nostre case. Se, infatti, decidiamo di attaccare la città, molti di noi cadranno in battaglia, e se rimaniamo qui ad assediarla, ci toccherà alla fine la stessa sorte. Se adesso i re di Aram e dei Kedemiti verranno a sapere che è venuto a mancare il nostro re, ci attaccheranno subito e ci uccideranno tutti. Per cui sarebbe bene che nominassimo un re su di noi e tenessimo sotto assedio la città fino alla sua resa finale".

E in quel giorno gli uomini di Kikanus decisero di darsi un re e a tale scopo non trovarono persona più adatta di Mosè.

Ed essi si spogliarono delle loro uniformi e le gettarono a terra, formando così una specie di palco, sopra il quale fecero sedere Mosè.

E si alzarono in piedi, diedero fiato alle buccine e gridarono tutti insieme: "Evviva il re, evviva il re!".

E tutti i soldati e i ministri gli giurarono fedeltà e gli diedero in moglie la regina Adoniah di Cush, consorte di Kikanus; e così, in quel giorno, incoronarono Mosè loro re.

E, in quel giorno, la gente di Cush emise un proclama che invitava ogni cittadino a consegnare a Mosè tutto ciò che possedeva.

E stesero un telo sul palco e vi gettarono sopra ciò che possedevano: monili d'oro, ornamenti preziosi, pietre preziose, cristalli, stagno, perle e marmo, e anche argento ed oro in grande abbondanza.

E Mosè raccolse l'argento e l'oro, gli oggetti di valore e le pietre preziose che gli avevano offerto i figli di Cush e li mise nei suoi forzieri.

E da quel giorno Mosè regnò sui figli di Cush, succedendo al re Kikanus.

E Mosè iniziò a regnare a Cush nel 55esimo anno di regno del Faraone, che corrispondeva anche al 157esimo anno dall'arrivo dei figli di Israele in Egitto.

E Mosè aveva 27 anni quando iniziò a regnare; e per 40 anni regnò su Cush.

E il Signore fece sì che Mosè trovasse favore e grazia agli occhi dei figli di Cush, per cui essi gli volevano molto bene; e Mosè si comportava bene con Dio e con gli uomini.

E nel settimo giorno del suo regno, la gente di Cush si riunì e si presentò davanti a Mosè e gli si prostrò a terra.

E i figli di Cush così parlarono al proprio re: "Deh, consigliaci tu su cosa dobbiamo fare a questa città. Sono nove anni, infatti, che la assediamo e non vediamo i nostri figli e le nostre donne".

E Mosè rispose loro: "Se ascolterete la mia voce e farete esattamente ciò che vi comando, il Signore darà la città nelle nostre mani e la espugneremo. Poiché se combattiamo come abbiamo fatto in passato, prima della morte di Kikanus, molti di noi moriranno come nella battaglia precedente. Ora, però, vi consiglio una nuova strategia e se farete ciò che vi ordino, la città verrà liberata e cadrà nelle nostre mani".

E i capi dell'esercito risposero al re: "Faremo esattamente ciò che il nostro signore ci dirà di fare".

E Mosè disse loro: "Passate tra le truppe e date questo ordine ad ogni singolo soldato; così ordina il re: Andate nella foresta e prendete dai nidi i piccoli di cicogna, ognuno ne prenda uno nella propria mano. E chi disobbedirà a questo ordine del re sarà messo a morte e il re prenderà per sé tutti i suoi averi. E dopo che avrete preso le piccole cicogne, le terrete con voi e le alleverete con cura e quando saranno grandi, insegnerete loro a volare, come si fa con i giovani falchi".

E gli ufficiali di Cush ascoltarono le parole di Mosè e passarono tra le loro truppe e comunicarono la strategia di Mosè, dicendo: "Questo è l'ordine del Re che dovrete eseguire, popolo di Cush! Andate tutti nella foresta e ognuno di voi raccolga un piccolo di cicogna e se lo prenda con sé. E chiunque viola l'ordine del Re sarà messo a morte e il Re prenderà i suoi averi".

E i soldati eseguirono gli ordini e andarono nella foresta e qui si arrampicarono sugli alberi per snidare i piccoli di cicogna; e così, verso sera, tornarono al campo, con i volatili in pugno. E, in seguito, li allevarono con cura, secondo l'ordine del re, e li portarono nel deserto per insegnare loro a volare come si fa coi giovani falchi.

E una volta cresciute, il re ordinò di non dar loro da mangiare per tre giorni; e i sudditi eseguirono l'ordine.

E al terzo giorno, il re disse loro: "Siate forti e coraggiosi, indossate le vostre corazze, brandite le vostre spade, cavalcate i vostri cavalli e prendete con voi le vostre giovani cicogne. Così attaccheremo la città dove ci sono i serpenti"

E i soldati eseguirono gli ordini del re. E ognuno di loro prese con sé la propria cicogna; e quando furono vicini al luogo dei serpenti, Mosè ordinò di liberare i volatili.

E le cicogne si avventarono immediatamente sui serpenti e li divorarono, facendoli scomparire del tutto da quel luogo.

E quando il re e i soldati videro che non c'erano più serpenti, lanciarono grida di esultanza. E così poterono accedere e aggredire le sentinelle dell'avamposto; e dopo averle sopraffatti, entrarono in città.

E nella battaglia che infuriò in quel giorno morirono i 1.100 difensori della città, mentre tra gli attaccanti non si registrarono vittime.

E fu così che i soldati di Cush tornarono alle loro case, alle loro mogli, ai loro figli e alle loro proprietà.

E il mago Balaam, quando vide che la città era stata espugnata, fuggì da un'uscita di sicurezza coi suoi due figli e i suoi otto fratelli per tornare in Egitto dal Faraone.

Sono loro gli indovini e i maghi che vengono menzionati nel libro della Torà, quando stanno di fronte a Mosè e Dio colpisce l'Egitto con le dieci piaghe.

E fu così che Mosè con la sua sagacia espugnò la città e i figli di Cush lo incoronarono loro re al posto di Kikanus. E gli posero in testa la corona regale e gli diedero per moglie Adoniah di Cush, la consorte del defunto re. Ma Mosè, che temeva il Signore Dio dei suoi antenati, non coabitò con lei e neppure la volle guardare.

Mosè, infatti, ricordò come Abramo avesse fatto giurare il suo servitore Eliezer di non prendere una donna di Canaan come sposa per il proprio figlio Isacco.

E così fece anche Isacco quando comandò a suo figlio Giacobbe, che scappava dal fratello Esaù, di non prendere per moglie una ragazza del popolo di Canaan o di Cam.

Poiché il Signore, nostro Dio, fece sì che Cam, figlio di Noè, i suoi figli e la sua discendenza fossero schiavi per sempre dei discendenti di Shem e di Jafet.

Pertanto Mosè non rivolse né il suo cuore né il suo sguardo verso la moglie di Kikanus, per tutto il tempo che regnò a Cush.

E Mosè ebbe timore del Signore suo Dio durante tutta la sua vita e procedette davanti al Signore nella verità, con tutto il suo cuore e tutta la sua anima, e non deviò mai né a destra né a sinistra dalla via che avevano seguito Abramo, Isacco e Giacobbe.

E Mosè rafforzò il regno di Cush e guidò i suoi sudditi con saggezza facendoli prosperare.

E in quel tempo, quando Aram e i Kedemiti vennero a sapere che era morto Kikanus, re di Cush, decisero di ribellarsi.

E Mosè raccolse tutti i guerrieri di Cush, un esercito imponente di 30.000 uomini e mosse guerra contro Aram e il popolo di Kedem.

E raggiunsero prima il territorio dei Kedemiti, che quando vennero a sapere che stavano per arrivare, uscirono per combatterli.

E la battaglia fu assai violenta e il Signore diede i Kedemiti nelle mani di Mosè, e in quel giorno caddero circa 300 figli di Kedem.

E i Kedemiti si ritirarono e Mosè e i suoi guerrieri li inseguirono e li assoggettarono; e, dopo essersi arresi, i Kedemiti diventarono tributari del popolo di Cush.

E dopo aver sconfitto i Kedemiti, Mosè mosse guerra al popolo di Aram.

E anche costoro si mossero per combattere ma il Signore li assoggettò a Mosè e in quel giorno caddero molti guerrieri di Aram. E anche Aram fu sconfitto e diventò tributario di Cush.

E Mosè e il popolo di Cush sottomisero così Aram e i figli di Kedem; e, a guerra finita, Mosè tornò con il suo esercito nel paese di Cush.

E Mosè si rafforzò nel regno di Cush, e il Signore fu con lui e tutti gli abitanti di Cush lo temevano molto.

E trascorsi alcuni anni, morì Saul, re di Edom, e Baal Hanan, figlio di Ahbor, gli succedette.

E nel 16esimo anno del regno di Mosè a Cush, Baal Hanan, figlio di Ahbor, divenne re di Edom e regnò per 38 anni.

E in quei giorni, il popolo di Moab si ribellò al dominio di Edom, che durava dai tempi di Hadad, figlio di Bedad, che aveva sbaragliato Moab e Midian, rendendoli suoi tributari.

E quando Baal Hanan, figlio di Ahbor, diventò re ad Edom, il popolo di Moab si dissociò dall'alleanza con Edom.

E Angeas re di Africa morì in quei giorni e al potere gli subentrò suo figlio Asdrubale.

E in quel tempo morì anche Janeas, re dei Chittiti; e il suo popolo lo seppellì in un mausoleo che venne eretto in suo onore nella valle di Canopia e Latinus fu incoronato al posto suo.

Nel 22esimo anno di regno di Mosè a Cush, Latinus assunse il potere e regnò per 45 anni sul popolo di Chittim.

E anch'egli ordinò di erigere una torre imponente e maestosa, al cui interno costruì per sé una lussuosa residenza, dalla quale amministrava gli affari del regno, come si era soliti fare.

E nel terzo anno di regno, egli emise un proclama in cui invitava tutti i suoi provetti artigiani a costruire delle navi per la sua flotta.

E Latinus riunì tutte le sue forze di terra e di mare per muovere guerra contro Asdrubale, figlio di Angeas e re di Africa; e i due eserciti si affrontarono in terra d'Africa e ingaggiarono una violenta battaglia.

E Latinus prevalse su Asdrubale e conquistò l'acquedotto che aveva fatto costruire Angeas, quando aveva sbaragliato i Chittiti e aveva preso per moglie Yaniah, figlia di Uzi; e Latinus distrusse il ponte dell'acquedotto e inflisse una cocente sconfitta all'esercito di Asdrubale.

E i guerrieri più valorosi di Asdrubale, che non erano disposti ad arrendersi e pronti a combattere fino alla morte, proseguirono la loro battaglia contro Latinus.

E la battaglia infuriò e vide soccombere i guerrieri di Africa, che, in quel giorno, morirono tutti insieme al loro re Asdrubale, sotto i colpi dei soldati di Latinus.

E il re Asdrubale aveva una bellissima figlia, che si chiamava Ushpiziona; e tutti i sudditi d'Africa esaltavano l'eleganza dei suoi abiti e la sua straordinaria bellezza.

E quando gli uomini di Latinus videro Ushpiziona, la figlia di Asdrubale, ne esaltarono la bellezza al loro re.

E Latinus ordinò di portargliela e, dopo averla sposata, tornò a Chittim.

E dopo la morte di Asdrubale, figlio di Angeas, mentre Latinus faceva ritorno dalla guerra al suo paese, gli abitanti di Africa decisero di incoronare come loro re Annibale, figlio di Angeas e fratello minore di Asdrubale.

E dopo essersi insediato sul trono ed essersi consultato con i suoi uomini, Annibale decise di attaccare i Chittiti, vendicando così la morte del fratello Asdrubale e dei suoi guerrieri. E si mise in mare con molte navi, dirigendosi alla volta di Chittim.

Così Annibale combattè contro i Chittiti, che caddero numerosi sotto i colpi dei suoi guerrieri, e, in questo modo, vendicò la morte del fratello.

E Annibale continuò la guerra contro i Chittiti per altri 18 anni e si insediò nel loro paese e vi si accampò per un lungo periodo.

Ed Annibale inflisse una dura sconfitta all'esercito chittita, uccidendo un gran numero di ufficiali e notabili e circa 80.000 uomini.

E alla fine di quella guerra, Annibale tornò nella terra di Africa e regnò indisturbato al posto del fratello Asdrubale.

E in quel tempo, nel 118esimo anno dall'arrivo dei figli d'Israele in Egitto, circa 30.000 prodi guerrieri israeliti, appartenenti alla tribù di Efraim, figlio di Giuseppe, che vivevano in Egitto, intrapresero una nuova azione.

Ed essi dissero che era terminato il periodo (d'esilio) che il Signore aveva stabilito per gli Israeliti quando parlò in passato con il loro antenato Abramo.

E questi guerrieri si radunarono insieme, brandirono le loro spade, indossarono le loro corazze e, confidando nella loro forza, uscirono dall'Egitto a braccio disteso.

E non si degnarono di prendere del pane o dei rifornimenti per il viaggio, se non oro e argento, giacché pensavano che avrebbero acquistato i viveri necessari dai Filistei e se quelli avessero rifiutato di farlo, glieli avrebbero presi con la forza.

Ed essi erano uomini molto forti e guerrieri molto valorosi, uno di loro poteva inseguire mille nemici e due di loro sbaragliarne migliaia, per questo confidavano nella loro forza fisica e procedevano indomiti.

E si diressero verso la terra di Gath e qui si imbatterono nei pastori del luogo che pascolavano i loro armenti.

Ed essi dissero ai pastori di Gath: "Vendeteci qualche vostra pecora, perché siamo molto affamati e non abbiamo mangiato tutto il giorno".

E i pastori gli risposero: "Dovremmo forse rinunciare ai nostri greggi e ai nostri armenti per venderli a voi?". E a tale risposta, i figli di Efraim si avventarono sugli animali per prenderli con la forza.

E i pastori di Gath gli urlarono contro e le loro grida si sentirono a grande distanza, cosicchè accorsero tutti gli abitanti della zona.

E quando gli abitanti di Gath videro la prepotenza dei figli di Efraim, tornarono per convocare tutta la popolazione, e ognuno si armò per combattere contro i figli di Efraim.

E lo scontro avvenne nella valle di Gath e fu molto cruento e in quel giorno di battaglia ci furono molte vittime da entrambe le parti.

E nel secondo giorno di battaglia, i figli di Gath mandarono dei messi in tutte le città filistee per chiedere aiuto, dicendo: "Venite presto in nostro aiuto e potremo sbaragliare i figli di Efraim che sono venuti apposta dall'Egitto per prenderci gli armenti e combatterci senza motivo. E ora i figli di Efraim sono agli stremi per la fame e per la sete, poiché è da tre giorni che digiunano".

E da tutte le città filistee uscirono 40.000 uomini per unirsi ai soldati di Gath.

E costoro ingaggiarono una dura battaglia contro i figli di Efraim e il Signore decretò che i Filistei avrebbero avuto il sopravvento sui figli di Efraim.

E i Filistei uccisero tutti i guerrieri di Efraim, che erano usciti dall'Egitto, tranne una decina che riuscì a mettersi in salvo.

Con questa disfatta il Signore volle colpire i figli di Efraim, che si erano ribellati alla Sua volontà, uscendo dall'Egitto prima del termine che Dio aveva stabilito per Israele nei tempi passati.

E anche i Filistei subirono gravi perdite, circa 20.000 uomini, che vennero seppelliti dalla loro gente nelle rispettive città.

Ma le salme dei guerrieri di Efraim rimasero insepolte nella valle di Gath per molti giorni e anni, per cui tutta la valle era cosparsa dalle loro ossa.

E i fuggitivi, che erano scampati alla battaglia, arrivarono in Egitto e raccontarono ai loro fratelli quanto era successo.

E il loro padre Efraim fece lutto per molti giorni e i suoi fratelli vennero per consolarlo.

Ed egli si unì a sua moglie che concepì e partorì un maschio, che fu chiamato Berià, poiché una sciagura era avvenuta a casa sua.

E Mosè, figlio di Amram, regnava ancora a Cush in quei giorni e il suo regno prosperava ed egli lo amministrava con saggezza, onestà e integrità.

E tutti gli abitanti di Cush amavano e rispettavano molto Mosè che regnava a quel tempo su di loro.

E nel 40esimo anno di regno su Cush, Mosè era seduto sul trono regale e davanti a lui sedeva la regina Adoniah, mentre tutti i notabili gli stavano seduti intorno.

E la regina Adoniah disse davanti al re e ai suoi dignitari: "Come mai voi, figli di Cush, tollerate questo stato di cose da così lungo tempo? Sapete bene che nei 40 anni che questo uomo regna su Cush non si è mai avvicinato a me e non ha mai servito le divinità dei figli di Cush. Per cui ora ascoltatemi bene, figli di Cush, e non avvenga più che quest'uomo regni su di voi, dal momento che non è carne della vostra carne. Ed ecco, mio figlio Menacrus è cresciuto e sarà lui a regnare su di voi, poiché è meglio per voi che sia un vostro figlio a regnare piuttosto che uno straniero, già schiavo del Faraone".

E la gente e i dignitari dei figli di Cush accolsero benevolmente le parole della regina Adoniah.

E tutto il popolo rimase allertato fino a sera e l'indomani si levò presto e proclamò proprio re Menacrus, figlio di Kikianus.

E gli abitanti di Cush temettero di cacciare via Mosè, poiché il Signore era con lui e i figli di Cush ricordavano il giuramento che avevano fatto con Mosè, secondo il quale non gli avrebbero fatto alcun male.

Per cui i figli di Cush offrirono molti doni a Mosè e lo congedarono con grandi onori.

E così Mosè cessò di regnare e se ne andò dalla terra di Cush per far ritorno a casa; e Mosè aveva 67 anni quando si congedò da Cush; e ciò proveniva da Dio, in quanto era arrivato il tempo prestabilito di liberare gli Israeliti dalle afflizioni subite per mano della stirpe di Cam.

E così Mosè si diresse a Midian, perché temeva di tornare in Egitto a causa del Faraone; e arrivato a Midian, sostò vicino ad un abbeveratoio.

E qui giunsero le sette figlie del midianita Reuel per abbeverare il gregge paterno. E, arrivate al pozzo, diedero da bere agli animali.

Ma arrivarono anche dei pastori midianiti, che cacciarono via le ragazze; e allora Mosè si fece avanti, le difese ed abbeverò il loro gregge.

E le ragazze, tornate a casa, raccontarono il fatto al padre Reuel e gli dissero ciò che aveva fatto Mosè per loro.

E dissero: "Un uomo egiziano ci ha difese dalla prepotenza dei pastori ed inoltre ha attinto per noi l'acqua ed ha abbeverato il nostro gregge".

E Reuel disse loro: "E dov'è costui? Perché lo avete lasciato andare?".

E Reuel lo fece venire a casa sua e lo invitò a mangiare con lui.

E Mosè raccontò a Reuel che era scappato dall'Egitto e aveva regnato per 40 anni a Cush; e che quelli lo avevano destituito dal regno e lo avevano congedato con grandi onori e doni.

E dopo aver ascoltato il racconto di Mosè, Reuel pensò: "Metterò quest'uomo nella prigione di casa mia e così farò cosa grata al popolo di Cush, dato che è fuggito via da loro".

E così lo arrestarono e lo misero nella prigione di casa e Mosè vi rimase rinchiuso per dieci anni; e quando Mosè era detenuto, Zipora, la figlia di Reuel, provando compassione per lui, gli portava ogni giorno da bere e da mangiare.

E tutti gli Israeliti erano ancora asserviti in terra d'Egitto ed eseguivano ogni genere di lavoro pesante, e, in quei tempi, gli Egizi continuavano ad accanirsi sui figli di Israele.

E in quel tempo il Signore colpì il Faraone, re d'Egitto, con la lebbra, dalla pianta dei piedi fino alla cima della testa; e ciò per punire i lavori duri ai quali erano sottoposti i figli d'Israele. Poiché il Signore aveva ascoltato le preghiere del suo popolo Israele ed il loro grido, causato dalla duro servaggio, era salito fino al cielo.

Tuttavia la collera del Faraone persisteva e così anche la sua politica di oppressione nei confronti degli Ebrei; e il Faraone si intestardì contro Dio e appesantì il suo giogo sui figli d'Israele e amareggiò la loro vita con ogni tipo di lavoro faticoso.

E quando Dio colpì il Faraone con la lebbra, costui si rivolse ai suoi medici e ai suoi maghi per essere curato. Ed essi gli dissero: "Venga versato del sangue di bimbi ebrei sulle tue piaghe ed esse saranno risanate".

Ed il Faraone ascoltò il loro consiglio e mandò dei funzionari a Goshen per prendere dei bimbi ebrei.

E gli uomini del Faraone arrivarono e strapparono con la forza alcuni neonati dal seno delle loro madri per portarli poi, ogni giorno, al Faraone; e i medici uccidevano i bimbi e versavano il loro sangue sulle piaghe del loro re, giorno dopo giorno.

E il numero di neonati che il Faraone fece morire fu di 375.

Ma il Signore fece fallire quella cura, per cui gli ascessi del Faraone diventarono più virulenti e si diffusero su tutto il corpo.

E il Faraone soffrì di lebbra per dieci anni e in questo periodo egli si accanì ancor più contro i figli d'Israele.

E alla fine dei dieci anni, il Signore continuò ad affliggere il Faraone con altre ulcere terribili.

E Dio lo colpì anche con un tumore maligno allo stomaco e con ulcere purulente su tutto il corpo.

E in quel tempo, due funzionari del Faraone, giunti dalla terra di Goshen, dove risiedevano gli Israeliti, arrivarono nella residenza del Faraone per mettersi a rapporto: "Abbiamo notato che gli Israeliti hanno allentato il ritmo del loro lavoro e sono diventati meno industriosi".

E dopo aver ascoltato le loro parole, il Faraone fu invaso da un impeto di collera verso gli Ebrei, anche perché soffriva molto per il suo precario stato fisico.

Ed egli rispose loro: "Adesso che gli Israeliti sono venuti a sapere che sono malato hanno ripreso a farsi gioco di noi; per cui, ora, preparate subito il mio carro e rechiamoci a Goshen e qui dimostrerò loro la pena che spetta a chi osa offendere e deridere il Faraone!".

E i sudditi approntarono il carro e fecero cavalcare il Faraone su un cavallo trainante, dato che egli non poteva più cavalcare da solo.

E il Faraone prese con sé venti cavalieri e dieci fanti e si recò a Goshen dai figli di Israele.

E quando furono prossimi al confine d'Egitto, il cavallo del re entrò in uno stretto e alto anfratto, lungo la pendenza di una vigna, che era recintata da entrambi i lati, da una parte c'era uno strapiombo e dall'altra una valle.

E i cavalli, mentre galoppavano per entrare in quella strettoia, si spinsero tra loro e pressarono in questo modo il cavallo del re.

E fu così che il cavallo con in groppa il Faraone, precipitò nello strapiombo e, allo stesso tempo, il cocchio si ribaltò e cadde sul volto del re, che aveva già addosso anche il proprio cavallo; e, a questo punto, il re cominciò a urlare dal dolore.

E le carni del suo corpo riportarono gravi feite e le sua ossa gravi fratture e il Faraone rimase esanime a terra; perché questo incidente era stato provocato da Dio, che aveva ascoltato l'invocazione e il grido di sofferenza del suo popolo.

E i sudditi lo estrassero fuori e lo caricarono, piano piano, sulle loro spalle e lo ricondussero in Egitto e anche i cavalieri, che erano con lui, tornarono in Egitto.

E il Faraone, coricato a letto, capì di essere in punto di morte; e sua moglie, la regina Aparanith, venne e pianse davanti a lui ed anche il re pianse molto con lei.

E tutti i dignitari e i sudditi vennero in quel giorno e, vedendo lo stato penoso del loro re, piansero molto per il dispiacere.

E i ministri del re e tutti i suoi consiglieri gli proposero di nominare un erede al posto suo, che fosse uno dei suoi figli.

E il re aveva tre figli e due figlie, avuti dalla moglie Aparanith, oltre ai figli che aveva avuto dalle sue concubine.

E questi erano i loro nomi: il primogenito Othri, il secondo Adikam e il terzo Morion; e delle due figlie, la maggiore si chiamava Batia e la minore Acusith.

E il primogenito del re, Othri, era sciocco, scellerato e impulsivo nel parlare.

Adikam, invece, era scaltro e molto intelligente e conosceva tutte le arti magiche dell'Egitto; tuttavia, era fisicamente brutto, obeso e basso di statura; la sua altezza era infatti di un solo cubito.

E il re che sapeva che Adikam era astuto e intelligente in ogni cosa che faceva, lo considerò adatto a sostituirlo dopo la sua morte.

E gli diede per moglie Gedidah, figlia di Abilot, che aveva dieci anni d'età e gli partorì quattro figli.

E Adikam prese quindi altre tre mogli, che gli diedero otto figli e tre figlie.

E, nel frattempo, le condizioni del re si aggravarono e le sue carni erano arroventate come quelle di una carcassa di animale arsa sotto il solleone.

E quando il re capì di essere agli stremi e in punto di morte, fece chiamare suo figlio Adikam per nominarlo re al posto suo.

E alla fine del terzo giorno, il Faraone morì, in uno stato di bruttura e di ripugnanza; e i suoi sudditi lo seppellirono nel sepolcro dei Faraoni d'Egitto, a Tzoan Mizraim.

E non poterono imbalsamarlo, come di consuetudine, poiché il suo corpo si era incacrenito e anche non ci si poteva avvicinare a lui, a causa del fetore che emanava, per cui fu sepolto senza indugi.

Poiché tale punizione proveniva da Dio, che aveva così vendicato il male che il Faraone aveva fatto ai figli di Israele durante il suo regno.

E dopo questa morte atroce, Adikam regnò al posto suo.

Adikam aveva venti anni quando iniziò a regnare in Egitto; e il suo regno durò quattro anni.

E Adikam regnò nel 206esimo anno dall'arrivo dei figli d'Israele in Egitto, ma il suo regno non durò a lungo come quello dei suoi predecessori.

Infatti, suo padre Melol regnò per 94 anni in Egitto e nei suoi ultimi dieci anni di regno si ammalò e morì, poiché si era comportato male davanti a Dio.

E gli Egizi chiamarono Adikam col titolo di Faraone, come era consuetudine fare in Egitto.

E i consiglieri del Faraone lo chiamarono Adikam Ahuz, poiché nella lingua egizia Ahuz significa basso di statura.

E Adikam era estremamente brutto, era alto un cubito e una spanna e aveva una barba lunga che gli arrivava fino alle caviglie.

Ed egli sedette sul trono di suo padre e regnò con saggezza.

E durante il suo regno, superò in cattiveria i suoi predecessori, per cui appesantì ancor più il giogo sul collo degli Israeliti.

Ed egli arrivò con i suoi uomini a Goshen e rese più duri i lavori nei confronti degli Ebrei, dicendo loro: "Completate il vostro lavoro quotidiano e da oggi in poi, non dovrete allentare la presa come avete fatto durante il regno di mio padre".

Ed egli pose sugli operai ebrei dei guardiani ebrei, che, a loro volta, erano controllati da ispettori egizi.

Ed egli stabilì che venisse completata ogni giorno una quantità definita di mattoni; dopo di chè fece ritorno in Egitto.

E in quel tempo gli ispettori egizi ordinarono ai sorveglianti ebrei di attenersi alle direttive del Faraone, che così recitavano: "Così ordina il Faraone: Fate il vostro lavoro giornaliero e finitelo in tempo; completate la quantità di mattoni quotidiana e guai a voi se non è completa! E se al controllo giornaliero fosse deficitaria, verranno messi i vostri bimbi al posto dei mattoni mancanti!".

E in quei giorni, gli ispettori egizi facevano rispettare gli ordini del Faraone. E se constatavano che la quantità giornaliera di mattoni era mancante, andavano dalle madri ebree e strappavano a forza dai loro grembi i loro bambini e li ficcavano al posto dei mattoni mancanti.

E i genitori dei bambini gridavano disperati e piangevano nel vedere e nel sentire il pianto straziante dei bimbi provenire dalle mura degli edifici in costruzione.

E gli ispettori avevano il sopravvento sugli Israeliti, che dovevano collocare i loro bimbi tra i mattoni delle costruzioni, e poteva succedere che un padre in lacrime era costretto a collocare il proprio figlioletto su una pietra per poi coprirlo con la calce.

E gli ispettori del Faraone così fecero per molti giorni e nessuno di loro provò pietà o compassione per i bimbi ebrei.

E il numero dei bambini ebrei uccisi all'interno degli edifici costruiti fu di 270; alcuni di loro furono collocati al posto dei mattoni mancanti e altri vennero estratti privi di vita dagli edifici.

E i lavori imposti ai figli di Israele, durante il regno di Adikam, furono molto più duri di quelli sostenuti ai tempi di suo padre Melol.

E i figli di Israele, oppressi ogni giorno dalla durezza dei lavori, dicevano tra loro: "Quando questo Faraone morirà e salirà sul trono suo figlio, speriamo che ci alleggerisca il lavoro!".

Ma nel frattempo i lavori diventavano ogni giorno sempre più opprimenti e le invocazioni dei figli di Israele salirono a Dio.

E, in quei giorni, Dio ascoltò le preghiere e le invocazioni dei figli di Israele e si ricordò del patto che aveva stipulato con Abramo, Isacco e Giacobbe.

E Dio vide il fardello che gravava sui figli d'Israele e i duri lavori a cui erano sottoposti, per cui decise di redimerli.

E in quel tempo, Mosè, figlio di Amram, era ancora detenuto nella cella della casa del midianita Reuel; e Zipora, la figlia di Reuel, ogni giorno gli portava di nascosto da mangiare.

E Mosè rimase confinato dieci anni nella cella di detenzione della casa di Reuel.

E la fine dei dieci anni coincidette con il primo anno di regno di Adikam, che era subentrato a suo padre.

E Zipora disse a suo padre Reuel: "Nessuno cerca o perseguita più l'uomo ebreo che detieni in cella già da dieci anni. E adesso, se la cosa ti aggrada, andiamo a vedere se è ancora vivo o morto". Reuel non sapeva però che sua figlia gli portava da mangiare.

E Reuel così rispose a sua figlia: "E' mai successo che un uomo detenuto in una prigione possa sopravvivere dieci anni senza cibo?".

E Zipora disse a suo padre: "Avrai certamente sentito dire, signore mio, che il Dio degli Ebrei è grande e terribile e fa loro prodigi in ogni istante. Fu Lui che salvò Abramo nella caldea Ur e salvò Isacco dalla lama di suo padre e salvò Giacobbe dall'angelo divino che lottò con lui al guado di Yabbok. E anche con questo uomo Dio ha fatto molti prodigi, perché lo ha salvato dalle acque del Nilo, dalla spada del Faraone e anche dai figli di Cush e così anche lo può mantenere in vita nonostante la fame".

E le parole di Zipora piacquero a suo padre, che accettò la sua proposta e andò nella cella per vedere come stava Mosè.

E vide che Mosè era nella cella, in buona salute e lodava e pregava il Dio dei suoi padri.

E Reuel ordinò di far uscire Mosè dalla cella; fu quindi rasato, gli tolsero gli abiti da carcerato e gli diedero da mangiare.

E quindi Mosè si recò nel giardino di Reuel, che si trovava dietro la sua abitazione, e qui pregò il Signore suo Dio, che gli aveva fatto molteplici prodigi.

E avvenne che mentre pregava e guardava davanti a lui, vide una verga di zaffiro infissa nel terreno, in mezzo al giardino.

Ed egli si avvicinò per osservarla meglio, e notò che il nome di Dio degli Eserciti (Adonai Zevaoth) era inciso e scritto a chiare lettere su di essa.

Ed egli lo lesse e allungò la mano per estrarla, così come si fa quando si sradica una pianta da una siepe; e così la afferrò in mano.

E questa è la verga per mezzo della quale Dio creò il tutto, dopo aver creato i cieli e la terra, le schiere celesti, i mari, i corsi d'acqua e tutti i pesci contenuti in essi.

E dopo aver cacciato Adamo dal Giardino dell'Eden, Dio afferrò questa verga e uscì per lavorare la terra che aveva preso dall'Eden.

E la verga pervenne nelle mani di Noè che la consegnò a Sem e ai suoi discendenti, finchè arrivò nelle mani di Abramo l'Ebreo.

E quando Abramo diede ciò che possedeva a suo figlio Isacco, gli consegnò anche questo bastone.

E quando Giacobbe fuggì da Padan Aram, prese la verga con sé e quando tornò da suo padre era ancora in suo possesso.

E quando scese in Egitto, la prese con sé e la consegnò a Giuseppe, preferendolo ai suoi fratelli; e Giacobbe aveva sottratto con la forza la verga a suo fratello Esaù.

E quando Giuseppe morì, i dignitari d'Egitto entrarono in casa sua e il bastone fu preso dal midianita Reuel, che, andandosene dall'Egitto, lo prese con sé e lo piantò nel suo giardino.

Ed egli mise alla prova tutti gli uomini più forti dei Kiniti e chi fosse riuscito a sradicarla avrebbe sposato Zipora; ma nessuno ci riuscì.

Cosicché la verga sarebbe rimasta impiantata nel giardino di Reuel, fino a quando sarebbe arrivato qualcuno e l'avrebbe presa per proprio merito.

E quando Reuel vide che la verga era nella mano di Mosè, rimase stupito e gli diede in moglie la figlia Zipora.

E in quei giorni morì Baal Hannan, figlio di Ahbor, re di Edom; ed egli fu sepolto nella sua residenza, in terra di Edom.

E dopo la sua morte, i figli di Esaù si recarono nel paese di Aram e presero un uomo del posto, che si chiamava Hadar e lo incoronarono re al posto del defunto Baal Hannan. E Hadar regnò per 48 anni sugli Edomiti.

E durante il suo regno, Hadar decise di far la guerra ai Moabiti, per sottometterli al potere dei figli di Esaù, come in passato, ma non riuscì nel suo intento, poiché i Moabiti, che lo erano venuti a sapere, si organizzarono ed elessero in fretta un re tra i propri fratelli.

E si radunarono tutti insieme, dando vita ad una grande moltitudine, e si allearono ai loro fratelli Ammoniti per contrastare Hadar, re di Edom.

E quando Hadar seppe ciò che avevano fatto i Moabiti, si spaventò molto e rinunciò a muover guerra.

E in quei giorni, a Midian, Mosè, figlio di Amram, prese per moglie Zipora, la figlia del midianita Reuel.

E Zipora seguì le orme delle figlie di Giacobbe e non le mancò alcunché dell'integrità delle matriarche Sara, Rebecca, Lea e Rachele.

E Zipora concepì e partorì un figlio, che Mosè chiamò Ghershom, poiché disse: "Io sono forestiero in terra straniera". E Mosè non circoncise il proprio figlio, perché glielo aveva vietato suo suocero Reuel.

E Zipora concepì ancora e partorì un altro figlio, che questa volta circoncise e lo chiamò Eliezer, perché Mosè disse: "Poiché il Signore Dio dei miei padri mi è venuto in aiuto e mi ha salvato dalla spada del Faraone".

E il Faraone, re d'Egitto, in quei giorni aumentò la mole di lavoro agli Ebrei e appesantì ancor di più il giogo su di essi.

Ed emise un'ordinanza in tutto il paese, che diceva: Non date più paglia al popolo per preparare mattoni come è avvenuto in passato, ora essi stessi dovranno procurarsi la paglia. E mantenete intatto il quantitativo di mattoni che essi hanno prodotto per l'addietro, non diminuitelo, poiché essi sono degli scansafatiche.

E quando gli Israeliti udirono quest'ordinanza furono mortificati e invocarono Dio, per la disperazione.

E il Signore ascoltò le invocazioni dei figli d'Israele e vide in che modo gli Egiziani li opprimevano.

E il Signore, che era geloso del suo popolo e della sua eredità, ascoltò le loro preghiere e decise di farli uscire dalle miserie dell'Egitto, concedendo loro in possesso la terra di Canaan.

E in quel tempo Mosè pascolava il gregge di suo suocero, il midianita Reuel, oltre il deserto di Sin, e teneva in mano la verga che aveva preso dal suo giardino.

E avvenne che una delle caprette si allontanò dal gregge e Mosè, rincorrendola per riprenderla, arrivò al monte del Signore, al Horev.

E quando giunse al Horev, il Signore gli apparve in un roveto, e Mosè notò che il roveto, che ardeva attraverso una fiamma di fuoco, non si consumava.

E Mosè si meravigliò molto vedendo questo fenomeno, come era possibile che il roveto non si consumasse, per cui si avvicinò per osservare meglio il prodigio; ed il Signore lo chiamò dalla fiamma di fuoco e gli ordinò di andare in Egitto, dal Faraone, per dirgli di liberare i figli d'Israele dalla sua oppressione.

E il Signore disse a Mosè: "Vai, torna in Egitto, poiché sono morti tutti coloro che volevano ucciderti, e dirai al Faraone di fare uscire gli Israeliti dalla terra d'Egitto".

Ed il Signore gli mostrò dei segni e dei prodigi da compiere in Egitto davanti al Faraone e ai suoi sudditi, per convincerli che era il Signore che lo aveva mandato.

E Mosè obbedì a Dio e tornò da suo suocero per raccontargli l'accaduto e Ithrò (Reuel) gli disse: "Va' pure in pace".

E Mosè si apprestò ad andare in Egitto, prese con sé la moglie e i figli; e durante il viaggio, mentre sostava in un ostello, scese un angelo di Dio e lo accusò.

E l'angelo voleva farlo morire a causa del primogenito, perché Mosè non lo aveva circonciso e aveva così trasgredito al patto che Dio aveva stipulato con Abramo.

Mosè, infatti, aveva ascoltato le parole di suo suocero, che gli aveva intimato di non circoncidere il neonato.

E quando Zipora vide l'angelo di Dio che accusava Mosè, capì che ciò era causato dalla mancata circoncisione del figlio Ghershom.

Per cui Zipora si affrettò e prese una selce affilata che si trovava in quel posto, tagliò il prepuzio del bambino e salvò suo marito e suo figlio dalla punizione di Dio.

E, in quello stesso giorno, Aharon, figlio di Amram e fratello di Mosè, camminava lungo la riva del Nilo.

Ed il Signore gli apparve in quel luogo e gli disse: "Va' incontro a Mosè nel deserto". Ed egli andò e, incontratolo presso il monte del Signore, lo baciò.

Ed Aharon vedendo Zipora e i figli di Mosè, gli domandò: "Chi sono costoro per te?".

E Mosè gli rispose: "Sono mia moglie e i miei figli, che il Signore mi ha dato a Midian". Ma la cosa non piacque ad Aharon.

Ed Aharon disse a Mosè di rimandare indietro la moglie e i figli a casa di suo suocero; e Mosè obbedì al fratello e agì di conseguenza.

E Zipora tornò indietro con i suoi figli ed essi arrivarono alla casa di Reuel e qui vi restarono fino a quando il Signore si ricordò del suo popolo e lo fece uscire dall'Egitto, dalle mani del Faraone.

E Mosè ed Aharon arrivarono in Egitto dai figli di Israele e riferirono loro tutte le parole del Signore e il popolo gioì immensamente nell'ascoltarle.

Ed il giorno dopo, Mosè ed Aharon si alzarono presto e si recarono al palazzo del Faraone, portando con sé la verga del Signore.

E quando giunsero all'ingresso della reggia, videro due giovani leoni, legati con catene di ferro, che ostruivano l'accesso a chiunque, senza il consenso del re; e se il Faraone concedeva il permesso di entrare, dei maghi preposti pronunciavano i loro incantesimi e liberavano i leoncelli, facendo entrare la persona.

E all'ingresso Mosè alzò la sua verga e liberò i leoncelli dalle loro catene, per cui potè entrare con Aharon nel palazzo reale.

E anche i leoncelli entrarono con loro festosamente e li seguirono, così come fa un cane con il proprio padrone quando ritorna a casa.

E quando il Faraone vide ciò si meravigliò assai e ne rimase anche spaventato, poiché gli fu riferito che la loro apparizione era simile a quella di due esseri sovrannaturali.

E il Faraone disse a Mosè ed Aharon: "Che cosa volete?". Ed essi gli risposero: "Il Signore Dio degli Ebrei ci ha mandato da te per dirti: Lascia andare il mio popolo affinché mi presti culto".

E quando il Faraone udì le loro parole trasalì e rispose loro: "Andatevene via adesso e tornate da me domani". Ed essi obbedirono.

E dopo che se ne furono andati, il Faraone fece chiamare il mago Balaam e i suoi figli Iunus e Imbrus e tutti gli stregoni, i maghi e i consiglieri del suo regno, che arrivarono e si sedettero davanti a lui.

Ed il re riferì loro le parole di Mosè e di suo fratello Aharon; ed i maghi gli dissero: "Ma come sono potuti entrare da te, se l'ingresso è ostruito dai leoni incatenati?".

Ed il re rispose loro: "Sono entrati perché hanno steso la loro verga verso i leoni e li hanno sciolti dalle catene e gli animali li hanno seguiti festosi, come fa un cane quando va incontro al proprio padrone".

E il mago Balaam, figlio di Beor, prese la parola e disse al re: "Non sono altro che maghi, come noi. Ed ora, falli pure venire e li metteremo alla prova". Ed il re seguì il suo consiglio.

E il mattino seguente il Faraone andò a chiamare Mosè ed Aharon; ed essi presero con sé la verga di Dio e, giunti alla presenza del re, gli dissero: "Così parla il Signore, Dio degli Ebrei: Lascia andare il mio popolo affinché mi presti culto".

Ed il re rispose loro: "E perché mai qualcuno dovrebbe credere che voi siete stati delegati da Dio e siete venuti da me dietro suo ordine? Pertanto, adesso, mostrate un segno o un prodigio su ciò che dite e vedremo se le vostre parole corrispondono al vero".

Ed Aharon, al cospetto del Faraone e dei suoi sudditi, gettò a terra la verga, che si trasformò in un serpente.

Ed i maghi, vedendo ciò, fecero altrettanto; gettarono a terra ognuno la propria verga che si tramutò in serpente.

Ed Aharon alzò il suo serpente, che aprì la bocca e inghiottì quelli creati dalle verghe dei maghi.

E il mago Balaam disse: "Questo prodigio è di antica data, il fatto cioè che un serpente inghiotta i suoi simili o che un pesce faccia altrettanto con altri pesci. E adesso fai tornare la verga al suo stato originale e noi faremo altrettanto con le nostre verghe; ma se la tua verga inghiottirà le nostre, vorrà dire che sei ispirato da Dio; ma, in caso contrario, sei un mago come noi".

Ed Aharon obbedì e dopo aver afferrato il serpente per la coda, lo fece tornare verga; ed i maghi fecero la stessa cosa con i loro serpenti, che si tramutarono nuovamente in bastoni.

E a questo punto, la verga di Aharon inghiottì le verghe dei maghi.

E quando il re vide ciò, ordinò ai suoi sudditi di portargli il libro delle cronache dei Faraoni d'Egitto; in questo libro, infatti, erano elencate tutte le divinità egizie, che vennero citate al Faraone, che intendeva trovare il nome del Dio degli Ebrei, che tuttavia non compariva.

Ed il Faraone disse a Mosè ed Aharon: "Ecco, non ho trovato il nome del vostro dio in questo libro, per cui non ne conosco il nome".

Ed i consiglieri ed i saggi dissero al loro re: "Abbiamo sentito dire che il Dio degli Ebrei è il figlio di un uomo sapiente, figlio di antichi re".

Ed il Faraone si rivolse a Mosè ed Aharon e disse loro: "Dal momento che io non conosco il Dio di cui avete parlato, non lascerò andare via il suo popolo".

Ed essi risposero al re: "Adonai Elohei Ha Elohim è il Suo Nome ed Egli riferì il Suo Nome ai tempi dei nostri antenati ed è Lui che ci ha mandati, dicendo: Andate dal Faraone e ditegli: Lascia andare il mio popolo affinché mi presti culto. E adesso facci partire e andremo per tre giorni nel deserto per offrire a Dio dei sacrifici, poiché è dai tempi in cui nostro padre Giacobbe giunse qui in Egitto che non abbiamo fatto alcun genere di sacrificio al nostro Dio; e se tu non ci lasci andare, il Signore potrebbe adirarsi contro di te e colpire l'Egitto con la peste e con la spada".

Ed il Faraone disse loro: "Parlatemi pure della Sua forza e della Sua potenza".

Ed essi gli risposero: "Egli creò i cieli e la terra, i mari e la fauna marina, Egli crea la luce e le tenebre, fa cadere la pioggia sulla terra e la abbevera, fa spuntare le erbe e le piante; Egli creò l'uomo, gli animali domestici e selvatici, i volatili e i pesci, e attraverso i Suoi decreti le creature vivono o muoiono. Egli ha creato anche te nell'utero di tua madre e ha soffiato in te il soffio vitale, ti ha fatto crescere e ti ha messo sul trono d'Egitto; ed Egli prenderà il tuo spirito vitale e la tua anima e ti farà tornare alla terra dalla quale fosti prelevato".

E la collera del re si accese ascoltando le loro parole, per cui sbottò: "Chi tra tutti gli dei delle nazioni potrebbe agire in questo modo? Il Nilo è mio e sono io che l'ho creato!"

E il Faraone li cacciò via dal suo cospetto e ordinò di appesantire i lavori sui figli d'Israele, ancor più che in passato.

E Mosè ed Aharon si allontanarono dalla presenza del re e videro che le condizioni dei figli d'Israele erano peggiorate e che gli ispettori li opprimevano con maggiore accanimento.

E Mosè si rivolse al Signore dicendo: "Perché hai fatto del male a questo popolo? Dal momento che mi sono presentato al Faraone per dirgli che Tu mi hai mandato, si è accanito ancor più contro Israele".

Ed il Signore disse a Mosè: "Ecco, tu vedrai che con mano potente e con terribili flagelli costringerò il Faraone a lasciar partire i figli d'Israele dal suo paese".

E Mosè ed Aharon dimorarono con i loro fratelli in Egitto.

E gli Egiziani amareggiarono la vita dei figli d'Israele con lavori pesanti e faticosi.

 

 

Bò (vieni)

 

 

E trascorsi due anni, il Signore mandò nuovamente Mosè dal Faraone per dirgli di fare uscire i figli d'Israele dalla terra d'Egitto.

E Mosè si presentò ancora davanti al Faraone e gli riferì le parole del Signore, ma egli non le volle ascoltare, per cui Dio manifestò la Sua potenza sul Faraone e i suoi sudditi e li colpì con terribili e portentosi flagelli.

Ed il Signore mandò tramite Aharon una prima piaga che tramutò in sangue tutte le acque dell'Egitto, dai fiumi ai ruscelli.

E quando un egizio andava a bere o ad attingere dell'acqua, vedeva che dentro la sua brocca l'acqua si era tramutata in sangue; e se voleva bere dalla sua tazza dell'acqua vedeva solo sangue. E se una donna impastava la sua farina con dell'acqua per far qualcosa da mangiare, ecco che l'impasto grondava sangue.

E Dio mandò una seconda piaga; e tutte le acque si infestarono di rane, che invasero le case degli Egiziani. E quando essi bevevano, i loro ventri si riempivano di rane, che gracchiavano nei loro visceri come se fossero in riva ad uno stagno.

E tutte le acque che bevevano o con le quali cuocevano pullulavano di rane; e anche quando erano stesi sui loro giacigli, il loro sudore si tramutava in raganelle.

E l'ira di Dio non si attenuò e la Sua mano potente continuò a flagellare l'Egitto con altri terribili piaghe.

E il Signore tramutò la polvere della terra in pidocchi, che infestarono ogni angolo del paese. E i pidocchi erano così numerosi che si annidavano sugli uomini, sugli animali e anche sul re e la regina; tutti erano tormentati da questi parassiti.

E l'ira di Dio persistette e la Sua mano potente continuò a flagellare l'Egitto con altre piaghe.

E Dio mandò ogni genere di bestie nocive che invasero i campi e distrussero ogni coltivazione e ogni albero da frutta del paese.

E Dio mandò serpenti velenosi, scorpioni, ratti, donnole, rospi, rettili che vivono nelle sabbie. Oltre a tafani, calabroni, zecche, cimici, zanzare e ogni specie di insetti fastidiosi. E ogni genere di rettile e di volatile fu mandato in Egitto per infastidire e rendere insopportabile la vita degli Egizi. E furono mandati anche dei minuscoli insetti che entravano negli occhi e negli orecchi della gente. E anche le vespe che entravano nelle case cacciavano le persone dalle loro stanze e le inseguivano anche fuori di casa.

E quando gli Egizi si nascondevano dalla furia di questi animali nocivi e si chiudevano all'interno delle loro case, Dio ordinava a Silunith di uscire dal mare e di invadere il paese. E questo mostro aveva dei tentacoli lunghi 10 cubiti. E dal mare raggiungeva i tetti e i terrazzi per poi penetrare coi suoi tentacoli all'interno delle case dopo aver scardinato i paletti e le serrature delle porte.

E fu poi mandata nelle case egizie un'accozzaglia di animali nocivi, che invadevano e devastavano le abitazioni, procurando immensi danni.

E l'ira di Dio non si attenuò e la Sua mano potente continuò a flagellare l'Egitto.

E il Signore mandò una terribile pestilenza sui cavalli, sugli asini, sui cammelli, sul bestiame e su ogni singolo individuo. E quando gli Egizi si alzarono di mattina per portare gli animali al pascolo videro che erano quasi tutti morti.

E solo una decima parte del bestiame sopravvisse, mentre degli animali dei figli di Israele a Goshen non ne morì nessuno.

E Dio mandò sugli Egiziani delle ulcere pruriginose su tutto il corpo, che si trasformarono ben presto in bubboni sanguinolenti, dalla pianta dei piedi fino alla cima della testa. E la carne degli Egiziani, devastata da tali ulcere, marciva e imputridiva.

E l'ira di Dio non si attenuò e la Sua mano potente continuò a percuotere l'Egitto.

E Dio mandò una fortissima grandine che devastò le vigne, gli alberi da frutta e i campi. E la grandine bruciò e seccò ogni erba verde; ciò avvenne perché la grandine cadeva al suolo frammista col fuoco.

E le persone e gli animali che si trovavano nei campi, all'aperto, morirono sotto la grandine infuocata e persino i leoni scappavano impauriti.

E Dio mandò sull'Egitto ogni genere di locuste, il hasil, lo sla'am, il hargol e il hagav, che divorarono tutto ciò che era stato risparmiato dalla grandine.

E gli Egiziani, sebbene le locuste avessero consumato i loro raccolti, gioirono nel vederle, poiché le poterono raccogliere in abbondanza e friggerle come un piatto prelibato.

E il Signore sollevò un vento impetuoso che soffiò dall'occidente e portò via tutte le cavallette, affondandole nel Mar Rosso; non ne rimase neppure una su tutto il territorio egiziano.

E quindi il Signore coprì l'Egitto con le tenebre, che per tre giorni oscurarono tutto il paese con una coltre così fitta che una persona non riusciva a vedere ciò che portava in bocca con la propria mano.

E in quei giorni morirono molti ebrei che si erano ribellati a Dio e non volevano ascoltare Mosè e Aharon, perché non credevano che fosse stato Dio ad averli mandati. E avevano detto: "Non ce ne andremo certo dall'Egitto per morire di fame nel deserto!". E non avevano voluto ascoltare la voce di Mosè.

E il Signore li fece morire nei tre giorni di completa oscurità; e gli Ebrei li seppellirono in quell'occasione, senza che gli Egiziani lo sapessero ed esultassero così per la loro morte.

E le tenebre furono a tal punto spesse in Egitto in quei tre giorni che nessuno poteva muoversi dal suo posto; se uno era seduto, non poteva alzarsi; se uno giaceva a letto, non si muoveva, e se uno camminava, brancolava nel buio e non riusciva ad andare avanti; questo stato di cose durò per tre giorni, fino a che la coltre di tenebre venne rimossa.

E passati i giorni delle fitte tenebre, il Signore mandò Mosè ed Aharon ai figli di Israele, per dire loro: "Celebrate la vostra festa e fate la vostra Pasqua, poiché Io arriverò a mezzanotte tra gli Egiziani, e farò morire tutti i loro primogeniti, dal primogenito dell'uomo a quello dell'animale e quando vedrò il vostro sacrificio pasquale, passerò oltre (e non vi colpirò)".

E gli Israeliti fecero in quella notte tutto ciò che Dio aveva comandato di fare a Mosè ed Aharon.

E quando arrivò la mezzanotte, il Signore si avanzò attraverso l'Egitto e colpì a morte ogni primogenito degli Egiziani, da quello degli uomini a quello degli animali.

Ed il Faraone si alzò di notte insieme ai suoi sudditi e a tutti gli Egizi e si levò un urlo straziante in tutto il paese, poiché non c'era casa in cui non ci fosse un morto.

E anche le immagini scolpite dei primogeniti egiziani, che erano appese ai muri delle case, caddero a terra e andarono in frantumi.

E persino le ossa dei primogeniti che erano morti in precedenza e che erano state sepolte nelle loro case, vennero dissepolte in quella notte dai cani d'Egitto, che le gettarono davanti ai loro padroni.

E gli Egiziani, vedendo tutte queste sciagure che avvenivano, alzarono un grido di disperazione. E tutte le famiglie d'Egitto piansero in quella notte, chi per la morte del proprio primogenito o chi per la propria primogenita e le grida di disperazione si sentirono a grande distanza.

E in quella notte, Batia, la figlia del Faraone uscì con suo padre per cercare Mosè e Aharon a casa loro e li trovarono mentre erano intenti a mangiare, a bere e a festeggiare con tutto Israele.

E Batia disse a Mosè: "E' forse questa la ricompensa per tutto il bene che ti ho fatto, per l'averti allevato e curato? Perché hai ripagato me e la casa di mio padre con tutto questo male?".

E Mosè le rispose: "E' vero che Dio ha colpito l'Egitto con dieci flagelli; ma tu, sei forse stata colpita da uno solo di essi?". E lei rispose: "No".

E Mosè continuò: "E sebbene tu sia la primogenita di tua madre, non sei stata colpita a morte e nessun male ti è stato fatto tra la tua gente".

E lei rispose: "Che vantaggio ne traggo io a vedere il mio fratello re e tutto il suo casato e tutte le famiglie dei sudditi che piangono la morte dei loro primogeniti?".

E Mosè le disse: "Tuo fratello e il suo casato e i suoi sudditi non hanno voluto ascoltare le parole del Signore, per questo sono successe loro tutte queste disgrazie!".

E il Faraone, re d'Egitto, si avvicinò a Mosè, ad Aharon e agli Israeliti che erano con loro e disse con voce supplichevole: " Vi prego, raccogliete i vostri fratelli e tutti i figli d'Israele che sono nel paese, prendete con voi i vostri greggi e i vostri armenti, tutti i vostri beni, e andatevene via e pregate per me il vostro Dio".

E Mosè disse al Faraone: "Ecco, anche tu sei il primogenito di tua madre; tuttavia, non temere, perché non morirai, dal momento che il Signore ha comandato che tu viva per mostrarti la Sua potenza e il Suo braccio disteso".

Ed il Faraone ordinò di lasciar partire i figli d'Israele, e tutti gli Egizi chiesero di farlo subito, perché dicevano: "Altrimenti, finiremo per morire tutti!".

E gli Egiziani fecero partire gli Israeliti con grandi ricchezze, greggi, armenti e oggetti di valore, conformemente al patto che il Signore aveva stabilito con il nostro padre Abramo.

E alcuni figli di Israele indugiarono ad andarsene in quella notte, e quando gli Egiziani vennero per spronarli a farlo, essi dissero loro: "Siamo forse dei ladri, che ce ne dobbiamo andare di notte?".

E gli Ebrei richiesero agli Egiziani vasi d'argento, d'oro e indumenti e in questo modo il loro paese ne fu svuotato.

E Mosè si affrettò ad uscire e arrivò fino al Nilo e qui prese con sé il sarcofago di Giuseppe.

Ed anche i figli di Israele disseppelirono le bare dei loro familiari e delle loro tribù per portarle via con sé.

Ed i figli d'Israele partirono da Ra'amses alla volta di Succoth, in numero di 600.000 maschi adulti, senza contare le donne e i bambini.

Ed anche una quantità di appartenenti a varie popolazioni si accodarono a loro, con il loro bestiame e mandrie assai numerose.

Ed il periodo di duro lavoro dei figli d'Israele in terra d'Egitto fu di 210 anni.

E al termine di tale periodo, il Signore fece uscire con mano forte il popolo d'Israele dall'Egitto. E gli Israeliti uscirono dall'Egitto e dalla terra di Goshen partendo da Ra'amses e si accamparono a Succoth nel quindicesimo giorno del primo mese.

E gli Egizi seppellirono durante tre giorni tutti i loro primogeniti, che il Signore aveva fatto morire.

E gli Israeliti partirono da Succoth e si accamparono ad Etham, all'estremità del deserto. E dopo tre giorni, dopo la sepoltura dei loro morti, molti Egiziani si pentirono di aver lasciato andare via gli Israeliti e decisero di farli ritornare in Egitto per sottometterli nuovamente alla loro servitù.

Ed essi si dissero l'un l'altro: "Mosè ed Aharon non avevano forse detto al Faraone che sarebbero andati nel deserto per tre giorni per fare sacrifici al loro Dio? Ebbene, adesso, dobbiamo agire! Domani, di mattina presto, li inseguiremo e se vedremo che tornano in Egitto dal nostro signore, significa che sono gente di parola; ma se, invece, non ritorneranno, allora li combatteremo e li faremo ritornare qui con la forza".

E tutti i dignitari del Faraone si alzarono di mattino di buon'ora, e con loro 700.000 uomini; e partirono in quel giorno dall'Egitto e raggiunsero il luogo in cui erano accampati i figli d'Israele.

E gli Egiziani videro che Mosè, Aharon e tutti i figli di Israele erano accampati davanti a Pi-hahiroth e qui stavano mangiando, bevendo e facendo festa al loro Dio.

E gli Egizi dissero agli Israeliti: "Non avevate detto che vi sareste assentati per tre giorni nel deserto per rendere omaggio al vostro Dio e sareste poi tornati? Ebbene, oggi sono cinque giorni che siete partiti e come mai non siete tornati dai vostri padroni?".

E Mosè ed Aharon risposero loro: "Poiché il Signore nostro Dio così ha testimoniato solennemente: Voi non farete mai più ritorno in Egitto. E anzi, ci porterà in un paese che stilla latte e miele, così come aveva giurato ai nostri padri".

E quando i dignitari del Faraone videro che i figli di Israele non erano disposti ad ascoltarli e a fare ritorno in Egitto, presero ad aggredirli.

Ed il Signore infuse uno spirito guerriero nei cuori degli Ebrei, che contrastarono gli Egizi; ed essi ebbero il sopravvento ed infersero una dura sconfitta agli Egiziani, che fuggirono; e in quel giorno molti egizi caddero sotto i colpi dei figli d'Israele.

Ed i notabili del Faraone tornarono in Egitto e gli dissero: "I figli d'Israele si sono dileguati e non torneranno più in Egitto". E gli riferirono anche le parole di Mosè ed Aharon.

E dopo averle ascoltate, cambiò la disposizione d'animo del Faraone e dei suoi sudditi verso i figli d'Israele, poiché si pentirono di averli fatti partire; e tutto il popolo d'Egitto esortò il Faraone ad inseguire Israele per ricondurlo ai lavori forzati.

Ed essi così parlarono tra loro: "Che errore abbiamo fatto a lasciar partire Israele dall'essere nostro schiavo!".

Ed il Signore indurì i cuori di tutti gli Egiziani, pronti ad inseguire gli Ebrei, poiché intendeva farli annegare tutti nel Mar Rosso.

Ed il Faraone si levò, fece attaccare il suo cocchio e ordinò di radunare tutto il suo popolo, per cui nel paese non rimase nessuno, se non i bambini e le donne.

E tutti gli Egiziani partirono con il Faraone per raggiungere i figli d'Israele; e l'esercito egiziano era molto numeroso e contava circa 100.000 uomini.

E tutta quest'armata, che si era mossa per inseguire gli Israeliti e farli ritornare in Egitto, si attestò vicino ai loro accampamenti a ridosso del mar Rosso.

E quando i figli d'Israele videro che gli Egiziani erano a poca distanza da loro furono presi dal panico ed invocarono il Signore.

E vedendo gli Egiziani, i figli d'Israele si divisero in quattro schiere, che rappresentavano quattro diverse strategie; e Mosè parlò ad ognuna di loro.

La prima schiera era quella formata dai figli di Reuven, Simeone e Issachar, che pensava di gettarsi a mare, poiché aveva molta paura degli Egiziani.

E Mosè disse loro: "Non abbiate paura, vedrete la salvezza che il Signore opererà oggi per voi".

La seconda schiera era quella formata dai figli di Zebulun, Beniamino e Naftali, che pensava di tornare in Egitto con gli Egiziani.

E Mosè disse loro: "Non abbiate paura, poiché come voi avete visto gli Egiziani oggi, non li rivedrete mai più".

La terza schiera era quella formata dai figli di Giuda, Dan e Giuseppe, che era pronta a combattere contro gli Egiziani.

E Mosè disse loro: "Rimanete ai vostri posti, poiché il Signore combatterà per voi e voi rimarrete in silenzio".

E la quarta schiera era quella formata dai figli di Levi, Gad e Asher, che pensava di infilarsi tra gli Egiziani e colpirli a morte; e Mosè disse loro: "Rimanete dove siete e non abbiate timore, soltanto invocate il Signore che ci salvi dalle loro mani".

E quindi Mosè si isolò dalla sua gente e pregò il Signore dicendo: "O Signore Dio del creato, ti prego, salva questo Tuo popolo che hai fatto uscire dall'Egitto e fa' sì che gli Egiziani non debbano vantarsi del loro valore e della loro potenza".

Ed il Signore disse a Mosè: "Perché Mi invochi ad alta voce? Ordina ai figli d'Israele di mettersi in cammino; e tu, alza la tua verga, stendi il tuo braccio verso il mare e fendilo in due parti e i figli d'Israele potranno così attraversarlo".

E Mosè obbedì, alzò la sua verga verso il mare che si divise in due parti.

E le acque del mare si suddivisero in dodici parti e i figli d'Israele lo attraversarono a piedi, coi loro calzari, come uno che attraversa una strada di terra battuta.

Ed il Signore mostrò ai figli d'Israele uno dei tanti portenti in terra e in mare, tramite Mosè ed Aharon.

E quando gli Israeliti attraversavano il mare, gli Egizi presero ad inseguirli, ma a questo punto le acque del mare ripresero il loro stato naturale e si riversarono su di loro, sommergendoli ad uno ad uno, cosicchè nessuno si salvò, tranne il Faraone, che ringraziò il Signore e in Lui prestò piena fede, dato che non lo aveva fatto morire in quella circostanza con tutto il suo popolo.

Ed il Signore ordinò ad un angelo di prenderlo tra gli Egiziani e di condurlo nel paese di Ninive dove vi regnò per molti anni.

Ed in quel giorno, il Signore salvò Israele dalle mani degli Egiziani, e i figli d'Israele videro perire tutti gli Egiziani e videro anche i miracoli che il Signore aveva operato in terra d'Egitto e sul Mar Rosso.

E allora Mosè cantò coi figli d'Israele un inno in onore del Signore, nel giorno in cui, alla loro presenza, sbaragliò gli Egiziani.

E tutto Israele cantò: "Canterò al Signore che si dimostrò eccelso, cavallo e cavaliere precipitò nel mare" e l'inno intero è riportato nel Libro della Torà di Dio.

E dopo questi avvenimenti, i figli d'Israele proseguirono per il loro cammino e si accamparono a Marà e qui il Signore impose ad Israele statuti e leggi e comandò loro di seguire le Sue vie e di servirLo.

E da Marà continuarono per Elim, e qui trovarono dodici fonti d'acqua e settanta palmizi e si accamparono presso le acque.

Poi partirono da Elim e giunsero al deserto di Sin; era il quindicesimo giorno del secondo mese dopo la loro uscita dall'Egitto.

E in quel tempo il Signore diede da mangiare la manna ai figli d'Israele; e il Signore faceva scendere ogni giorno questo nutrimento dal cielo.

E gli Ebrei mangiarono la manna per quaranta anni, per tutto il periodo che rimasero nel deserto, fino a quando entrarono in possesso della terra di Canaan.

E partirono dal deserto di Sin e si accamparono ad Alush.

E da Alush proseguirono per Refidim. E quando furono a Refidim, Amalek, il figlio di Elifaz, figlio di Esaù e fratello di Zefò, venne e attaccò Israele.

E portò con sé 1.800 uomini, maghi e indovini, e combattè Israele a Refidim.

E condussero contro Israele una battaglia fiera e cruenta e il Signore diede Amalek e la sua gente nelle mani di Mosè e dei figli d'Israele e nelle mani di Giosuè, figlio di Nun, l'Efratita, che era il servitore di Mosè.

E gli Ebrei sconfissero e passarono a fil di spada Amalek e la sua gente, ma quella battaglia fu molto dura per loro.

Ed il Signore disse a Mosè: "Scrivi in un libro il ricordo di questo grande evento e consegnalo poi nelle mani di Giosuè, figlio di Nun e tuo servitore; e comanderai ai figli d'Israele questo precetto: Quando arriverete nella terra di Canaan dovrete cancellare per sempre di sotto il cielo la memoria di Amalek!".

E Mosè eseguì l'ordine divino e scrisse in un libro quanto era avvenuto e aggiunse: "Ricordati di ciò che ti fece Amalek durante il tuo viaggio di uscita dall'Egitto. Quando ti assalì sulla strada e colpì tutti coloro che, affranti, erano rimasti indietro, mentre tu eri stanco e stremato e, così facendo, non temette Dio. E quando il Signore tuo Dio ti darà tregua da tutti i tuoi nemici che ti circondano nella terra che sta per darti in eredità, affinché tu ne prenda possesso, cancellerai il ricordo di Amalek di sotto al cielo, non dimenticarlo! E il re che avrà misericordia di Amalek o del suo ricordo o della sua discendenza, ebbene, dovrà rendermene conto e lo farò scomparire dalla sua gente".

E Mosè scrisse tutti questi precetti in un libro e comandò ai figli di Israele di metterli in pratica.

E gli Israeliti partirono da Refidim e si accamparono nel deserto di Sinai, nel terzo mese della loro uscita dall'Egitto.

E in quei giorni venne il midianita Reuel, suocero di Mosè, con la figlia Zipora e i suoi due figli, poiché aveva avuto notizia dei miracoli che il Signore aveva fatto ad Israele, dopo che lo aveva liberato dalla schiavitù d'Egitto.

E Reuel raggiunse Mosè nel deserto dove erano accampati, di fronte al monte del Signore. E Mosè andò incontro al suocero con grandi onori e tutto Israele dietro a lui.

E Reuel con i suoi figli rimase tra la gente di Israele per molti giorni e Reuel conobbe Dio da quei giorni in poi.

E nel sesto giorno del terzo mese dell'uscita dei figli d'Israele dall'Egitto, il Signore diede loro i dieci comandamenti sul monte Sinai.

E tutto Israele ascoltò questi comandamenti e si rallegrò assai in Dio in quel giorno.

E la Maestà di Dio fu sul monte Sinai e Dio chiamò Mosè ed egli si presentò e, avvolto da una densa nube, salì sul monte.

E Mosè rimase sulla montagna per quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiare pane e senza bere acqua e il Signore lo istruì sugli statuti e sulle leggi da insegnare ai figli d'Israele.

Ed il Signore scrisse i dieci comandamenti, che aveva pronunciato ai figli d'Israele, su due tavole di pietra per consegnarli a Mosè e comandarli ai figli d'Israele.

E al termine dei quaranta giorni e delle quaranta notti, dopo che ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, Dio gli consegnò le tavole di pietra, incise dal dito di Dio.

E quando i figli di Israele videro che Mosè tardava a scendere dal monte, si raccolsero intorno ad Aharon e gli dissero: "Non sappiamo cosa sia successo all'uomo Mosè. Per cui, adesso, facci un dio che cammini alla nostra testa, altrimenti ti uccidiamo!".

Ed Aharon ebbe grande paura del popolo e ordinò di portargli dell'oro per farne un vitello di metallo fuso.

Ed il Signore disse a Mosè, prima che scendesse dal monte: "Va', scendi, poiché si è corrotto il tuo popolo che hai fatto uscire dalla terra d'Egitto. Si sono costruiti un vitello di metallo fuso, si sono prostrati dinanzi a lui; ebbene, lascia che la mia collera si accenda contro di loro e che Io li distrugga, dato che sono un popolo di dura cervice".

E Mosè supplicò il Signore e pregò a favore del popolo a causa del vitello di metallo fuso che aveva costruito; e Mosè discese dal monte con in mano le due tavole di pietra, che Dio gli aveva consegnato per istruire Israele.

E quando Mosè si avvicinò all'accampamento e vide il vitello che il popolo aveva costruito, si accese di sdegno e ruppe le tavole ai piedi del monte.

E arrivato all'accampamento, Mosè prese il vitello, lo gettò nel fuoco e lo triturò fino a ridurlo in polvere; quindi sparse la polvere nell'acqua e la fece bere ad Israele.

E furono passati a fil di spada circa 3.000 uomini che avevano costruito il vitello.

E l'indomani Mosè così parlò al popolo: "Salirò dal Signore, forse potrò espiare i peccati che avete commesso davanti a Lui".

E Mosè salì nuovamente sul monte del Signore e ci rimase quaranta giorni e quaranta notti.

E durante questi quaranta giorni, Mosè chiese a Dio di perdonare Israele ed il Signore ascoltò la sua preghiera.

E quindi il Signore ordinò a Mosè di scolpire due tavole di pietra e di portargliele in alto sul monte per vergarci i dieci comandamenti.

E Mosè obbedì e scese per tagliare le due tavole; quindi salì nuovamente presso il Signore sul monte Sinai e Dio scrisse sulle tavole i dieci comandamenti.

E Mosè rimase ancora con Dio per quaranta giorni e quaranta notti e il Signore lo ammaestrò ancora sugli statuti e sulle leggi da impartire ad Israele.

E Dio comandò ai figli di Israele di costruire un Tabernacolo, per farvi risiedere il Suo Nome in mezzo al popolo, e il Signore gli mostrò la forma del Tabernacolo e di tutti gli arredi annessi.

E dopo i quaranta giorni, Mosè scese dalla montagna con in mano le due tavole.

E Mosè si presentò ai figli d'Israele e riferì loro tutte le parole del Signore; e impartì i precetti, le leggi e gli statuti che il Signore gli aveva insegnato.

E Mosè riferì ai figli d'Israele l'ordine di Dio di costruire un Santuario per poter risiedere tra loro.

Ed il popolo si rallegrò molto per tutto il bene che il Signore aveva concesso loro, tramite Mosè, per cui disse: "Tutto quello che il Signore ti ha detto, lo faremo".

Ed il popolo si levò come un'unica persona e recò offerte volontarie in onore del Tabernacolo del Signore, ed ognuno fece la propria offerta al Signore per intraprendere l'opera di costruzione del Santuario e di tutti i suoi accessori.

E tra i figli d'Israele ognuno portava ciò che possedeva per dare il via ai lavori del Tabernacolo del Signore, oro, argento, rame e ogni cosa che serviva per la costruzione.

E si presentarono anche gli artigiani più provetti, che costruirono il Santuario conformemente al dettato divino; e i più abili fra gli incaricati ad eseguire i lavori costruirono gli arredi e i materiali per i servizi sacri, secondo quanto il Signore aveva comandato a Mosè.

Ed i lavori per la costruzione del Santuario furono completati in cinque mesi e i figli d'Israele fecero tutto ciò che il Signore aveva comandato a Mosè.

Ed i figli d'Israele portarono a Mosè nel Santuario tutti gli arredi e gli strumenti che il Signore gli aveva fatto vedere.

E quando Mosè vide che il lavoro ultimato era stato eseguito secondo il dettato divino, benedì i figli d'Israele.

 

 

 

Libro di Levitico (vaykrà)

 

 

E nel 23esimo giorno del dodicesimo mese, Mosè prese Aharon e i suoi figli, gli fece indossare le vesti sacerdotali e li unse con l'olio sacro come gli aveva prescritto il Signore; e in quello stesso giorno, Mosè compì tutti i sacrifici così come gli aveva ordinato il Signore.

E, in seguito, Mosè convocò Aharon e i suoi figli e disse loro: "Per sette giorni rimarrete davanti all'atrio del Santuario, secondo l'ordine divino".

Ed Aharon ed i suoi figli eseguirono tutto ciò che aveva prescritto il Signore, tramite Mosè, e rimasero per sette giorni davanti all'ingresso del Tabernacolo.

E nell'ottavo giorno, che era il primo giorno del mese, nel secondo anno dell'uscita dei figli d'Israele dall'Egitto, Mosè concluse la costruzione del Santuario; ed introdusse nella tenda della radunanza tutti gli arredi sacri e all'interno del Santuario tutti gli arnesi, così come gli aveva prescritto il Signore.

E Mosè chiamò Aharon e i suoi figli, i quali sacrificarono gli animali da offrire in olocausto e in espiazione per se stessi e per i figli d'Israele, secondo quanto aveva comandato Dio a Mosè.

E in quel giorno, i due figli di Aharon, Nadav e Avihù, presentarono un fuoco estraneo davanti al Signore, che non era stato richiesto, per cui il Signore sprigionò una fiamma che li bruciò ed essi morirono in quel giorno dinanzi al Signore.

E da quel giorno in poi, dopo che Mosè ebbe finito di erigere il Santuario, i preposti ai figli di Israele iniziarono a portare i loro sacrifici davanti al Signore per la consacrazione dell'altare.

Ed ogni giorno, per dodici giorni consecutivi, il preposto alla propria tribù presentava il proprio sacrificio nel Santuario.

E tutte le offerte che venivano portate giornalmente dal preposto ad ogni tribù erano un vassoio di argento pesante 130 sicli, una bacinella d'argento pesante 70 sicli, secondo il peso in uso nel Santuario, entrambe ricolme di fior di farina come offerta farinacea. E una ciotola del peso di 10 sicli d'oro piena di incenso. E un giovane toro, un montone, un agnello nato entro l'anno come olocausto (olah). E un capro, quale sacrificio espiatorio (chattat). E come sacrificio di riconciliazione (shelamim), due tori, cinque montoni, cinque caproni, cinque agnelli nati entro l'anno.

E così erano soliti fare i dodici preposti alle tribù, giorno dopo giorno, per dodici giorni.

E dopo ciò, nel tredicesimo giorno del mese, Mosè ordinò ai figli di Israele di celebrare la Pasqua (Pesach).

Ed i figli di Israele celebrarono la Pasqua nel giorno stabilito, ossia nel 14esimo giorno del mese, come Dio aveva prescritto a Mosè.

E nel primo giorno del secondo mese, il Signore così parlò a Mosè: "Tu, tuo fratello Aharon e i dodici preposti ad ogni tribù censite i maschi di tutta la comunità dei figli d'Israele, dai vent'anni in su".

E Mosè obbedì ed Aharon si presentò con i dodici preposti di Israele e censirono gli Israeliti nel deserto di Sinai.

E tutti i censiti dei figli d'Israele, secondo le case paterne, dai vent'anni in su, erano 603.550.

Ma i Leviti secondo le loro case paterne non furono censiti in mezzo ai loro fratelli.

Ed il numero dei primogeniti israeliti, dall'età di un mese in su, fu di 22.273. Ed il numero dei Leviti dall'età di un mese in su fu di 22.000.

E Mosè dispose i sacerdoti ed i Leviti, ciascuno al suo servizio e al suo onere, per servire nella tenda della radunanza del Santuario, come il Signore gli aveva ordinato.

E nel ventesimo giorno del mese, la Nuvola fu rimossa dal Santuario della Testimonianza.

Ed in quel tempo i figli di Israele proseguirono il loro cammino dal deserto di Sinai, e camminarono per tre giorni e la Nuvola li accompagnò nel deserto di Paran e qui si accese la collera del Signore contro Israele, che aveva preteso carne da mangiare.

E il Signore esaudì la loro richiesta e diede loro la carne, che mangiarono per un mese intero.

E dopo ciò l'ira del Signore si accese contro il popolo e il Signore provocò una grande morìa di gente che in quel posto fu sepolta.

Ed i figli d'Israele chiamarono quel luogo Kivroth Ha-taavà (i sepolcri della concupiscenza), poiché lì fu sepolto il popolo concupiscente.

Ed essi partirono da Kivroth Ha-taavà e raggiunsero Hazeroth, che si trova nel deserto di Paran.

E quando i figli di Israele erano a Hazeroth, l'ira del Signore si accese contro Miriam, che aveva sparlato di Mosè, per cui, colpita da lebbra, era bianca come la neve.

E Miriam venne segregata fuori dal campo per sette giorni e quando fu riammessa, dopo la guarigione, il popolo partì da Hazeroth, e si accampò nella parte estrema del deserto di Paran.

E in quel tempo, il Signore disse a Mosè di inviare dodici uomini, uno per ogni tribù, al fine di esplorare il paese di Canaan.

E Mosè inviò i dodici uomini, che arrivarono nella terra di Canaan per esplorarla e visitarla; ed essi perlustrarono tutto il paese, dal deserto di Tsin sino a Rechov sulla via di Hamath.

E al termine di quaranta giorni, giunsero da Mosè ed Aharon e riferirono le loro impressioni; e dieci di loro parlarono male del paese che avevano esplorato e dissero ai figli d'Israele: "Sarebbe meglio per noi tornare in Egitto e non avventurarci in questa terra, che divora i suoi abitanti".

Ma Giosuè, figlio di Nun, e Calev, figlio di Jefunnè, che erano tra coloro che avevano esplorato il paese, dissero invece: "Il paese è molto, ma molto buono. E se il Signore ci è favorevole, ci porterà in questo paese e ce lo darà, poiché è una terra che stilla latte e miele".

Ma gli Ebrei non ne erano convinti e preferirono dare retta alle parole dei dieci esploratori che avevano denigrato il paese.

Ed il Signore che ascoltò le lamentele dei figli d'Israele si adirò e così giurò: " Nessuno di questa generazione perfida, dai venti anni in su, vedrà il paese, tranne Calev, figlio di Jefunnè e Giosuè, figlio di Nun. La gente di questa ingrata generazione perirà nel deserto ma i loro figli entreranno nel paese e lo erediteranno".

Così la collera del Signore si accese contro Israele e lo fece vagabandore nel deserto per quaranta anni, fino all'estinzione di quella generazione ingrata, che si era ribellata al Signore.

Ed il popolo stazionò nel deserto di Paran per molto tempo e quindi riprese il proprio cammino nel deserto, diretto verso il mar Rosso.

E in quel tempo Corach, figlio di Itzhar, figlio di Kehath, figlio di Levi, prese con sé alcuni uomini tra i figli d'Israele e insieme si ribellarono e manifestarono contro Mosè, Aharon e l'intera comunità.

Ed il Signore si adirò contro di loro e la terra si aprì e li inghiottì con le loro famiglie e le loro proprietà.

E dopo questo episodio, il Signore fece vagabondare il popolo intorno al monte Seir per tanti giorni.

E in quel tempo il Signore disse a Mosè: "Non fate la guerra contro i figli di Esaù, poiché Io non vi darò del loro territorio neppure quanto ne copre la pianta di un piede, dato che promisi il monte Seir come possesso ereditario ad Esaù".

Per questo motivo, nei tempi passati, i figli di Esaù fecero la guerra contro i figli di Seir, che il Signore sottomise al loro dominio; e i figli di Esaù sterminarono i figli di Seir e presero possesso della loro terra fino ai giorni nostri.

Perciò il Signore disse ai figli di Israele: "Non combattete contro i figli di Esaù, che sono vostri fratelli, giacché nessuna porzione della loro terra vi appartiene; tuttavia, con il denaro potrete acquistare da loro cibo da mangiare e acqua da bere".

Ed i figli d'Israele fecero come aveva detto loro il Signore.

E gli Israeliti, che percorrevano il deserto, girarono intorno al monte Seir per molti giorni, senza però sconfinare nel territorio dei figli di Esaù e per diciannove anni continuarono lungo lo stesso percorso.

E in quel tempo morì Latianus, re dei Chittiti, nel suo 45esimo anno di regno, che corrispondeva al 14esimo anno dall'uscita dei figli d'Israele dall'Egitto.

E i suoi sudditi lo seppellirono nel palazzo che si era fatto costruire nella terra dei Chittiti e al suo posto fu incoronato Abianus, che regnò per 38 anni.

Ed in quei giorni, dopo 19 anni, i figli di Israele oltrepassarono il confine del territorio dei figli di Esaù e pervennero lungo la strada del deserto di Moav.

Ed il Signore disse a Mosè: "Non assediate i Moabiti e non combatteteli, poiché Io non vi darò la loro terra".

E gli Israeliti attraversarono il deserto di Moav per 19 anni senza scontrarsi con gli abitanti del posto.

E nel 36esimo anno dell'uscita di Israele dall'Egitto, il Signore colpì il cuore di Sichon, re degli Emorei, che si accingeva a combattere i Moabiti.

E Sichon inviò degli ambasciatori a Be'or, figlio di Yonus, figlio di Bil'am, consigliere del re d'Egitto e a Bil'am suo figlio per chiedergli di maledire Moav, così da poterlo poi sbaragliare in guerra.

E gli ambasciatori arrivarono insieme a Be'or, figlio di Yonus e a suo figlio Bil'am dalla città di Pethor in Mesopotamia; e Be'or e suo figlio Bil'am giunsero in città e maledirono Moav e il loro re, alla presenza di Sichon, re degli Emorei.

Quindi Sichon uscì con tutto il suo esercito e si diresse verso Moav per muovergli guerra e lo sbaragliò e il Signore diede i Moabiti nelle mani di Sichon che colpì a morte il loro re.

E Sichon conquistò a mano armata tutte le città di Moav; e soggiogò anche Heshbon, che era una delle principali città moabite; e Sichon collocò i suoi dignitari e i suoi uomini a Heshbon, che, in quei giorni, diventò così una città del suo regno.

Per questo si vantavano i conquistatori Be'or e Bil'am col dire: "Venite a Heshbon! Sia riedificata e ristabilita la città di Sichon!. Guai a te, Moav! Sei perduto o popolo di Kemosh!". Così è scritto nel Libro della Torah di Dio.

E dopo aver sottomesso Moav, Sichon mise dei guardiani nelle città che aveva conquistato; e molti moabiti caddero in quella battaglia contro Sichon, che, dal canto suo, fece prigionieri giovani e fanciulle e colpì a morte il loro re; dopo di ciò, Sichon fece ritorno al suo paese.

E Sichon, dopo aver fatto molti doni e aver regalato oro e argento a Be'or e a suo figlio Bil'am, li congedò; ed essi ritornarono in Mesopotamia, alla loro casa e al loro paese.

E in quel tempo, i figli di Israele attraversarono il deserto di Moav e tornarono e girarono intorno al deserto di Edom.

E nel primo mese del quarantesimo anno dall'uscita dell'Egitto, tutto il popolo d'Israele arrivò nel deserto di Tsin e si attendò a Kadesh e qui morì e venne sepolta Miriam.

E in quel tempo Mosè inviò degli ambasciatori ad Adad, re di Edom, per dirgli: "Così parla il tuo fratello Israele: Lasciami passare, per favore, per il tuo paese; noi non devieremo per campi o vigne e non berremo acqua dai tuoi pozzi; permettici soltanto di percorrere la strada maestra, finchè avremo oltrepassato il tuo confine".

Ed Edom gli rispose: "Non passerai per il mio territorio!". Ed Edom uscì con tutto il suo grande esercito per sbarrare il passo al popolo d'Israele.

E i figli di Esaù rifiutarono di far passare Israele attraverso il loro paese; e gli Ebrei cambiarono rotta per evitare il combattimento.

Poiché, in precedenza, il Signore aveva comandato ai figli di Israele di non muovere guerra ai figli di Esaù; per questo gli Israeliti avevano cambiato strada, evitando di scontrarsi con loro. Pertanto, partirono da Kadesh e arrivarono al monte Hor.

E in quel tempo il Signore disse a Mosè: "Di' a tuo fratello Aharon che morirà su questo monte e non raggiungerà il paese che Io ho dato ai figli di Israele".

Ed Aharon salì sul monte Hor, secondo l'ordine divino e morì nel primo giorno del quinto mese del quarantesimo anno (dall'uscita dell'Egitto). Ed Aharon morì a 123 anni sul monte Hor.

E quando il cananeo re di Arad, che abitava nel sud, venne a sapere che gli Israeliti stavano percorrendo la via delle carovane, approntò il suo esercito per muovere loro guerra.

Ed i figli di Israele, che lo temevano molto perché aveva un grande e forte esercito, decisero di fare ritorno in Egitto.

E i figli di Israele tornarono indietro e dopo tre giorni di cammino si accamparono a Mosroth Benei Jaakan, temendo molto il re di Arad.

Tuttavia, non volendo tornare sui propri passi, rimasero a Benei Jaakan per trenta giorni.

E quando i Leviti videro che i figli di Israele non volevano continuare il cammino, nel loro sacro furore per Dio, si levarono e attaccarono i loro fratelli e ne uccisero non pochi, costringendo tutti gli altri a tornare sul monte Hor.

E mentre tornavano, il re Arad era sul piede di guerra per combattere Israele.

Ed Israele fece un voto al Signore dicendo: "Se darai questo popolo nelle mie mani, io raderò al suolo le sue città".

Ed il Signore esaudì il voto di Israele e gli sottomise il Cananeo; Israele distrusse loro e le loro città e chiamò quel luogo Hormà (devastazione completa).

E gli Israeliti partirono dal monte Hor e si accamparono ad Ovoth; e da Ovoth si mossero per raggiungere Ijjè ha-avarim, al confine di Moav.

Ed i figli di Israele inviarono a Moav dei messi per dir loro: "Lasciateci passare per il vostro paese al fine di raggiungere la nostra destinazione".

Ma i Moabiti non permisero ad Israele di passare per il loro territorio, perché li temevano; infatti, pensavano che gli Israeliti avrebbero fatto a loro ciò che avevano fatto a Sichon, re degli Emorei, dopo che lo avevano espropriato della sua terra e avevano ucciso molti dei suoi uomini.

Moav proibì così ad Israele di attraversare il suo paese, e, del resto, il Signore aveva ordinato ad Israele di non far guerra a Moav, per cui Israele cambiò percorso.

Ed i figli di Israele partirono dal confine di Moav ed arrivarono al di là dell'Arnon, che è il confine di Moav, fra Moav e fra l'Emoreo; e si accamparono al confine del regno di Sichon, re degli Emorei, nel deserto di Kedemoth.

E gli Ebrei inviarono ambasciatori a Sichon, re degli Emorei, per dirgli: "Lasciaci passare per il tuo paese; noi non devieremo per campi o vigne e non berremo acqua dai tuoi pozzi; andremo per la strada maestra, finché avremo oltrepassato il tuo confine". Ma Sichon vietò ad Israele di passare per il suo confine.

E Sichon raccolse il suo popolo e uscì contro Israele nel deserto e lo combattè a Jahats.

Ed il Signore diede Sichon, re degli Emorei, nelle mani di Israele, che lo battè a fil di spada e vendicò in questo modo Moav.

Ed i figli di Israele conquistarono il paese di Sichon da Arnon sino a Jabboc, fino al confine dei figli di Ammon, e saccheggiarono le città conquistate.

E dopo averle occupate, Israele si insediò nelle città degli Emorei.

E gli Israeliti decisero di combattere contro gli Ammoniti e di conquistare tutto il loro paese.

Ed il Signore disse ai figli di Israele: "Non assediate e non combattete gli Ammoniti, poiché non vi darò alcunché del loro territorio".

E gli Israeliti ascoltarono la parola di Dio e non mossero guerra agli Ammoniti.

Ed i figli d'Israele cambiarono rotta e andarono per la via di Bashan verso il paese di Og, re di Bashan, il quale uscì per combattere contro Israele; ed egli aveva molti uomini valorosi ed un esercito potente, tra cui molti guerrieri emorei.

Ed Og, re di Bashan, era un guerriero prode e suo figlio Naaritz era dotato di una potenza straordinaria, ed era molto più forte del suo genitore.

Ed Og pensò: "Ecco, tutto l'accampamento di Israele sottostà a pochi metri da qui, e potremo sterminarlo in un sol colpo, anche senza ricorrere alle spade e alle lance".

Ed Og salì sul monte Jahaz e raccolse un masso enorme, grosso più di tre metri, lo sollevò sulla sua testa, pronto a scagliarlo contro l'accampamento dei figli di Israele, con l'intento di ammazzare tutti.

E intervenne un angelo di Dio, che fece cadere il masso sulla testa di Og; e il masso cadde sul collo di Og, che stramazzò a terra per il suo peso.

E in quel tempo, il Signore aveva detto ai figli di Israele: "Non abbiate paura di lui (Og), poiché Io ho dato lui, tutto il suo popolo e tutto il suo paese nelle vostre mani e voi gli farete fare la stessa fine di Sichon".

E Mosè scese verso il nemico con un manipolo di uomini e uccise Og, colpendolo con la sua verga al tallone.

Quindi gli Ebrei inseguirono i figli di Og e tutto il suo popolo e li colpirono a morte sino a che non rimase alcun superstite.

E dopo ciò, Mosè mandò alcuni uomini ad esplorare Ja'zer, che era una città grande e piena di vita.

E gli uomini, che entrarono a Ja'zer e la esplorarono, avevano fede in Dio e combatterono contro gli abitanti della città.

Ed essi conquistarono Ja'zer e i suoi villaggi e il Signore diede la città nelle loro mani ed essi scacciarono l'Emoreo che vi risiedeva.

E gli Israeliti conquistarono il paese dei due re emorei, le sessanta città che si trovavano al di là del Giordano, dal torrente Arnon fino al monte Hermon.

Ed i figli d'Israele partirono e s'accamparono nella pianura di Moav, dal lato del Giordano verso Gerico.

Ed i Moabiti, quando vennero a sapere ciò che era successo ai due re emorei, Sichon e Og, ebbero molta paura dei figli di Israele.

E gli anziani di Moav dissero: "Ecco, se i due re degli Emorei, Sichon ed Og, che erano i più forti sulla faccia della terra, non sono riusciti a tener testa ai figli di Israele, come potremo farlo noi? Ecco, in passato, ci inviarono dei messaggeri per chiederci di attraversare il nostro paese e noi glielo negammo; ora ritorneranno con le loro armi e distruggeranno noi ed i superstiti dell'esercito di Sichon".

E Moav ed il suo popolo, angosciati a causa dei figli di Israele, si radunarono per decidere sul da farsi.

E gli anziani di Moav decisero di chiamare Balak, figlio del moabita Tzippor e di incoronarlo loro re in quel frangente, dato che Balak era un uomo molto saggio.

E gli anziani di Moav mandarono una delegazione ai Midianiti per stipulare una pace con loro, dal momento che fra i due popoli c'era ostilità e uno stato di belligeranza, che durava da quando Adad, figlio di Bedad, re di Edom, aveva sbaragliato Midian nella battaglia di Moav.

E i Moabiti stipularono un trattato di pace con i Midianiti e gli anziani di Midian vennero a Moab per sottoscriverlo.

E gli anziani di Moab si consultarono con gli anziani di Midian per decidere cosa fare per salvarsi da Israele.

E i Moabiti dissero agli anziani di Midian: "Ora i figli di Israele devasteranno tutti i nostri territori, come fa il bue con l'erba del campo, considerando ciò che hanno fatto ai due re emorei, che erano molto più forti di noi".

E gli anziani di Midian dissero ai Moabiti: "Abbiamo sentito dire che quando Sichon, re degli Emorei, combattè contro di voi, vi sconfisse e conquistò la vostra terra grazie a Be'or, figlio di Yonus e suo figlio Bil'am, che erano stati chiamati dalla Mesopotamia per maledirvi; fu grazie al loro anatema che Sichon riuscì a prevalere su di voi e a conquistare la vostra terra. Ora, fate venire anche voi il figlio Bil'am, che abita nel suo paese; pagatelo affinché venga qui e maledica il popolo che temete".

E la proposta dei Midianiti piacque molto ai Moabiti, che mandarono una delegazione da Bil'am, figlio di Be'or.

E così Balak, figlio di Tzippor, re di Moab, inviò degli ambasciatori da Bil'am, per dirgli: "Ecco un popolo, uscito dall'Egitto, ricopre la superficie del paese e mi sta di fronte. Ora vieni, maledici per me questo popolo, poiché è più forte di me. Forse potrò batterlo e cacciarlo via dal paese, dato che ho sentito che chi tu benedici è benedetto e chi tu maledici è maledetto".

E i messi di Balak vennero da Bil'am e lo presero con sé per maledire il popolo che avrebbe combattuto contro Moav.

E Bila'm venne da Balak per maledire Israele, ma il Signore gli disse: "Non maledire questo popolo perché è benedetto".

E Balak, giorno dopo giorno, chiedeva con insistenza a Bil'am di maledire Israele, ma Bil'am non lo assecondava, perché non poteva trasgredire la parola del Signore.

E quando Balak vide che Bil'am non poteva esaudire la sua richiesta, prese e se ne andò via, e anche Bil'am ritornò al suo paese.

Ed i figli di Israele partirono dalla pianura di Moav e si accamparono nei pressi del Giordano, da Beth-jesimoth fino ad Evel Hashittim, al margine della pianura di Moav.

E quando gli Ebrei erano accampati nella pianura di Shittim, cominciarono a fornicare con le donne di Moav.

E quando gli Ebrei erano vicini a Moab, i Moabiti piantarono le loro tende di fronte all'accampamento d'Israele.

E i Moabiti, che temevano i figli di Israele, presero le loro donne più belle e seducenti e fecero loro indossare gioielli e abiti preziosi.

E i Moabiti misero queste donne all'ingresso delle loro tende affinché attirassero l'attenzione dei figli di Israele, che in questo modo sarebbero entrati da loro e avrebbero rinunciato a combattere.

E i Moabiti usarono questo stratagemma con gli Ebrei, mostrando le loro figlie e le loro mogli agli ingressi delle tende; ed i figli di Israele, presi dalla concupiscenza, si fermavano davanti alle tende delle donne moabite.

E se avveniva che un ebreo si fermava all'ingresso della tenda e vedeva una moabita di belle forme, ecco che veniva irretito e le diceva cosa voleva; e mentre parlavano tra loro, uscivano gli uomini dalle tende e così dicevano agli Israeliti: "Certamente voi sapete che noi siamo fratelli, perché discendiamo da Lot e da suo fratello Abramo, per cui perché non vi fermate qui con noi e mangiate insieme a noi il nostro pane e la carne dei nostri sacrifici?".

E i Moabiti con le loro proposte suadenti e con frasi adulatorie convincevano gli Ebrei ad entrare nelle loro tende e qui, dopo aver sacrificato alle loro divinità, mangiavano insieme la carne dei sacrifici.

Poi davano da bere molto vino agli Israeliti, che si ubriacavano e fornicavano con le moabite.

Così fecero i Moabiti ad Israele nella pianura di Shittim; e per questo motivo la collera del Signore divampò contro Israele; e Dio scatenò una pestilenza che provocò la morte di 24.000 Israeliti.

E un uomo della tribù di Simeone, che si chiamava Zimrì, figlio di Salu, si accoppiò davanti al popolo con una donna midianita, Cozbì, figlia di Zur, re di Midian.

E quando Pinhas, figlio di Elazar e nipote del sacerdote Aharon, vide questa indecenza, afferrò una lancia, si avventò di corsa sulla coppia e trafisse a morte entrambi e in questo modo s'arrestò la mortalità dei figli d'Israele.

E dopo questo episodio, il Signore così parlo a Mosè e ad Elazar, figlio del sacerdote Aharon: "Censite tutta la congrega dei figli d'Israele dai vent'anni in su, tutti coloro che possono arruolarsi nell'esercito".

E Mosè ed Elazer censirono i figli d'Israele in base alle loro famiglie; e il numero dei censiti d'Israele fu di 700.730.

Ed il numero dei figli di Levi, dall'età di un mese in su, fu di 23.000; e fra questi non c'era alcuno dei censiti da Mosè e da Elazar, che censirono gli Israeliti nel deserto di Sinai.

Poiché il Signore aveva detto loro che sarebbero morti nel deserto, per cui non ne rimase in vita alcuno, tranne Calev, figlio di Jefunnè e Giosuè, figlio di Nun.

E dopo il censimento, il Signore disse a Mosè: "Di' ai figli d'Israele di vendicarsi sui Midianiti, per quello che vi hanno fatto".

E Mosè obbedì, e gli Israeliti scelsero 12.000 uomini, mille per ogni tribù, che si diressero verso Midian.

E gli Ebrei si armarono contro Midian e uccisero ogni maschio e i loro cinque re; e Bila'am, figlio di Be'or, lo uccisero con la spada.

Ed i figli di Israele catturarono le donne di Midian, i loro bambini e tutto il loro bestiame.

E presero tutto il bottino e tutta la preda e le portarono a Mosè e ad Elazar, nella pianura di Moav.

E Mosè, Elazar e i preposti alla congrega uscirono festosamente incontro a loro.

Ed essi divisero il bottino di guerra di Midian e in questo modo i figli d'Israele vendicarono Midian per ciò che gli avevano fatto.

 

 

 

Elle hadevarim (Queste sono le parole) - Deuteronomio

 

 

Ed in quel tempo il Signore disse a Mosè: "Ecco, i tuoi giorni si avvicinano al momento della morte, per cui chiama il tuo servitore Giosuè, figlio di Nun, e avvicinatevi insieme alla tenda della radunanza ed Io gli impartirò le mie disposizioni". E Mosè eseguì.

Ed il Signore si manifestò nella tenda in una colonna di nube, che stazionò all'ingresso della tenda.

Ed il Signore ordinò a Giosuè figlio di Nun: "Sii forte e coraggioso, perché tu condurrai i figli d'Israele nella terra che Io giurai di dar loro ed Io sarò con te".

E Mosè disse a Giosuè: "Sii forte e coraggioso, poiché tu darai in possesso questa terra ai figli d'Israele, e il Signore sarà con te, non ti lascerà e non ti abbandonerà, per cui non avere paura e non ti deprimere".

E Mosè convocò tutto il popolo d'Israele e gli disse: "Voi avete visto tutto il bene che il Signore, vostro Dio, vi ha fatto nel deserto. Ed ora osservate tutte le parole di questa Legge e procedete lungo la via che vi ha indicato il Signore vostro Dio, senza sbandare a destra o a sinistra".

E Mosè insegnò ai figli d'Israele gli statuti, le leggi e le norme da osservare nel paese così come gli aveva comandato il Signore.

Ed egli insegnò la via del Signore ed i Suoi precetti, che sono scritti nel Libro della Legge (Torà) di Dio, che è stato consegnato da Dio ai figli d'Israele per mano di Mosè.

E quando Mosè ebbe terminato di impartire le leggi ai figli d'Israele, il Signore gli disse queste parole: "Sali sul monte Avarim e lassù morirai e ti ricongiungerai al tuo popolo così come ha fatto tuo fratello Aharon".

E Mosè salì come gli aveva ordinato il Signore e morì là, nel paese di Moav, secondo il volere di Dio, nel quarantesimo anno dell'uscita dei figli d'Israele dalla terra d'Egitto.

Ed i figli d'Israele piansero Mosè nelle pianure di Moav per trenta giorni e terminarono i giorni del pianto per la morte di Mosè.

 

 

 

Libro di Giosuè

 

 

E dopo la morte di Mosè, il Signore parlò a Giosuè figlio di Nun e gli disse: "Or dunque lèvati, passa il fiume Giordano per entrare nel paese che Io ho dato ai figli d'Israele e che tu darai loro in eredità. Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà sarà vostro, e i vostri confini si estenderanno dal deserto e dal Libano fino al grande fiume Eufrate. Nessuno ti potrà contrastare per tutti i giorni della tua vita; come sono stato con Mosè così sarò con te; solamente sii forte e coraggioso, avendo cura di osservare tutta la legge che Mosè ti ha comandato, non sviando dalla via che ti ha indicato, né a destra né a sinistra, affinché tu riesca in tutto ciò che farai".

E Giosuè impartì quest'ordine agli ufficiali d'Israele: "Passate attraverso il campo e date quest'ordine al popolo: Preparatevi dei viveri, perché di qui a tre giorni passerete il Giordano per prendere possesso del paese".

E gli ufficiali d'Israele obbedirono e ordinarono al popolo di eseguire l'ordine di Giosuè.

E Giosuè inviò due uomini per spiare il paese di Gerico; ed essi partirono per esplorare Gerico.

E, trascorsa una settimana, essi tornarono nell'accampamento e riferirono a Giosuè: "Il Signore ha dato in nostra mano tutto il paese e gli abitanti del luogo hanno una grande paura di noi".

E dopo ciò, Giosuè si levò di buon'ora e con tutto Israele partì da Shittim; e Giosuè e tutto Israele attraversarono il Giordano; e Giosuè aveva 82 anni quando passò con Israele il fiume Giordano.

E nel decimo giorno del primo mese, il popolo uscì dal Giordano e si accampò a Ghilgal, all'estremità orientale di Gerico.

Ed i figli d'Israele celebrarono Pesach a Ghilgal, il quattordicesimo giorno del mese, come sta scritto nella Torà di Mosè.

E la manna cessò di comparire il giorno dopo Pesah e da quel giorno i figli d'Israele mangiarono i prodotti del paese di Canaan.

E Gerico era completamente sbarrata e fortificata per timore dei figli di Israele, nessuno ne usciva o vi entrava.

E nel primo giorno del secondo mese, il Signore così parlò a Giosuè: "Lèvati, poiché Io do in tua mano Gerico, con il suo re e il suo popolo; voi tutti, uomini di guerra, circondate la città, girandole intorno una volta e così farai per sei giorni con i sacerdoti che suoneranno i corni d'ariete. E avverrà che quando suoneranno a distesa i corni d'ariete e tutto il popolo alzerà alte grida, le mura della città cadranno e ognuno potrà entrare e accedervi".

E Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato il Signore.

E nel settimo giorno, essi circondarono la città per sette volte e i sacerdoti suonarono a distesa i corni d'ariete.

E quando iniziò il settimo giro, Giosuè disse al popolo: "Gridate forte, perché il Signore ha dato tutta la città nelle vostre mani. E la città con tutto ciò che contiene sarà consacrata al Signore con un anatema, per cui guardatevi bene da ciò che è votato all'anatema, affinché non siate voi stessi votati allo sterminio, prendendo qualcosa d'interdetto e rendendo così maledetto il campo d'Israele. Per cui, tutto l'argento, l'oro e gli oggetti di rame e di ferro saranno consacrati al Signore ed entreranno nel Tesoro del Santuario".

E il popolo gridò forte e i sacerdoti diedero fiato ai corni d'ariete e le mura di Gerico crollarono e il popolo irruppe dentro la città, ognuno per conto proprio e così conquistarono la città; e votarono allo sterminio tutto ciò che si trovava in città, passando a fil di spada uomini, donne, bambini, vecchi, buoi, pecore e asini.

E incendiarono tutta la città; solo gli oggetti d'argento, d'oro, di rame e di ferro vennero risparmiati, per offriri al Tesoro del Santuario.

E in quell'occasione, Giosuè giurò solennemente: "Maledetto sia colui che riedificherà Gerico; egli ne getterà le fondamenta sul suo primogenito e innalzerà le porte sul più giovane (dei suoi figli)".

Ed Achan, figlio di Carmi, figlio di Zabdi, figlio di Zerah, della tribù di Giuda, trasgredì l'interdetto e prese del bottino e lo nascose nella sua tenda, per cui la collera di Dio divampò contro Israele.

E dopo che i figli d'Israele tornarono nell'accampamento, dopo aver incendiato Gerico, Giosuè mandò degli uomini per spiare la città di Ai, che doveva essere conquistata.

E dopo averla esplorata, gli uomini tornarono da Giosuè e gli dissero: "Non occorre che si muova tutto il popolo; sono sufficienti 3.000 uomini per conquistare la città di Ai, dal momento che ha pochi abitanti".

E Giosuè ascoltò il loro consiglio e partirono 3.000 guerrieri che si scontrarono con gli abitanti di Ai.

Ma la battaglia si rivelò più dura del previsto e i guerrieri di Ai uccisero 36 Israeliti, che fuggirono davanti al popolo di Ai.

E quando Giosuè vide ciò, si stracciò le vesti e si gettò col viso a terra davanti al Signore; egli e gli anziani d'Israele si sparsero la cenere sul capo.

E Giosuè disse: "O Signore, perché hai fatto passare il Giordano a questo popolo? Ahimè, che potrò dire io, adesso che Israele ha voltato le spalle ai suoi nemici? Ora lo verranno a sapere i Cananei e tutti gli abitanti del paese e ci circonderanno e faranno sparire il nostro nome dalla terra".

Ma Dio disse a Giosuè: "Perché ti sei prostrato con la faccia a terra? Tirati su, ciò è avvenuto perché Israele ha peccato e ha preso dal bottino interdetto; Io non potrò stare con voi se non distruggete l'interdetto di mezzo a voi".

E Giosuè si alzò e convocò tutto il popolo e portò gli Urim, come ordinato da Dio, e fu ritenuta colpevole la tribù di Giuda, per cui venne imprigionato Achan, figlio di Carmi.

E Giosuè disse ad Achan: "Dimmi, figliuolo, che cos'hai fatto?".

Ed Achan rispose: "Ho visto tra le spoglie un bel mantello di Shin'ar e 200 sicli d'argento e una verga d'oro del peso di 50 sicli; ho bramato quegli oggetti e me li sono presi; ecco sono nascosti in terra in mezzo alla mia tenda.

E Giosuè mandò degli uomini che entrarono nella tenda di Achan, prelevarono gli oggetti e li portarono a Giosuè.

E Giosuè prese Achan e gli oggetti, insieme ai suoi figli, alle sue figlie e a tutto ciò che gli apparteneva e li fece salire nella valle di Achor.

E Giosuè li bruciò tutti col fuoco e tutto Israele lapidò Achan; e in quel luogo, che fu chiamato valle di Achor, coprirono Achan con un cumulo di pietre; e la collera di Dio si placò; e quindi Giosuè ritornò ad Ai per conquistarla.

E il Signore disse a Giosuè: "Non aver paura e non disperare, poiché Io do in tua mano il re di Ai e il suo popolo; e tu farai a loro ciò che hai fatto a Gerico e al suo re; prenderete per voi soltanto il bottino e il bestiame; stai in agguato dietro la città".

Giosuè seguì l'ordine di Dio e scelse 30.000 prodi guerrieri e li fece partire per tendere un'imboscata alla città.

Ed egli diede loro quest'ordine: "Quando vedrete che noi scapperemo apposta davanti a loro ed essi usciranno per inseguirci, in quel momento verrete fuori dal vostro nascondiglio e vi impadronirete della città". E così fecero.

E quando Giosuè arrivò per combattere, gli uomini di Ai uscirono dalla città per contrastare Israele, ignari del fatto che fosse in agguato dietro la città.

E Giosuè e gli Israeliti, facendo finta di avere la peggio, scapparono verso il deserto.

E tutto il popolo di Ai fu chiamato a raccolta in città per inseguire gli Ebrei; e tutti uscirono dalla città, per cui la città rimase sguarnita.

E, a questo punto, i guerrieri, che stavano in agguato, uscirono dai loro nascondigli ed entrarono velocemente in città, la occuparono e la incendiarono; e gli uomini di Ai, guardandosi indietro, videro che il fumo della città saliva al cielo e non vi fu per loro alcuna possibilità di fuggire né da una parte né dall'altra.

Per cui la gente di Ai rimase intrappolata tra i figli di Israele, avendo gli uni da una parte e gli altri dall'altra; e Israele li sbaragliò in modo che non rimase di loro alcun superstite.

Ed i figli di Israele catturarono vivo Melosh, re di Ai e lo portarono da Giosuè, che lo impiccò ad un albero.

Ed i figli d'Israele tornarono nella città in fiamme e passarono a fil di spada tutti gli abitanti.

E il numero di quelli che morirono in quel giorno, fra uomini e donne, fu di 12.000; Israele prese per sé soltanto il bestiame e il bottino della città, secondo l'ordine che Dio aveva dato a Giosuè.

E quando tutti i re che erano al di qua del Giordano e tutti i re di Canaan, vennero a conoscenza del male che gli Ebrei avevano fatto a Gerico e ad Ai, si radunarono, intenzionati a combattere Israele.

Gli abitanti di Ghiv'on, d'altro canto, temendo la morte se si fossero confrontati con Israele, agirono con astuzia; e si presentarono a Giosuè e a tutto Israele dicendo: "Siamo venuti da un paese lontano e vi chiediamo di fare un'alleanza con noi".

E gli abitanti di Ghiv'on erano riusciti ad ingannare i figli di Israele, i quali accettarono di fare con loro un patto di pace, stipulato da un solenne giuramento fra i capi della radunanza; in seguito, però, gli Israeliti vennero a sapere che quelli erano dei loro vicini.

Tuttavia, i figli d'Israele non li uccisero, per il giuramento che avevano fatto con loro in nome di Dio; li fecero però diventare degli spaccalegna e dei portatori di acqua.

E Giosuè disse loro: "Perché ci avete ingannati in questo modo?". Ed essi gli risposero: "Perché i tuoi servi sono venuti a sapere ciò che avevate fatto a tutti i re emorei, per cui abbiamo temuto molto per le nostre vite e abbiamo agito in tale modo".

E Giosuè in quel giorno li destinò a diventare spaccalegna e acquaioli e li sparpagliò come servitori tra tutte le tribù di Israele.

E quando Adoni-Tzedek, re di Gerusalemme, udì ciò che Giosuè e i figli di Israele avevano fatto a Gerico e ad Ai, mandò a dire a Hoham, re di Hebron, a Piram, re di Jarmuth, a Jafia, re di Lachish e a Dvir, re di Eglon: "Venite subito in mio aiuto, così potremo sbaragliare gli Israeliti e gli abitanti di Ghiv'on che hanno fatto con loro un patto di pace".

Ed essi si radunarono insieme e i cinque re degli Emorei salirono con tutti i loro eserciti, numerosi come la sabbia in riva al mare.

E tutti costoro si accamparono dirimpetto a Ghiv'on e presero ad attaccarla; e gli abitanti della città mandarono a dire a Giosuè: "Vieni subito in nostro aiuto poiché i re emorei si sono radunati insieme per combattere contro di noi".

E Giosuè arrivò da Ghilgal con i suoi guerrieri e piombò di sorpresa sui cinque re emorei e inflisse loro una dura sconfitta.

Ed il Signore li mise in rotta davanti ad Israele, che li sbaragliò a Ghiv'on e li inseguì per la via che sale da Beth Horon fino a Makedà.

E mentre quelli fuggivano, il Signore li colpì dal cielo con grossi chicchi di grandine, per cui furono più numerosi i morti per la grandine che non quelli uccisi dalle spade degli Ebrei.

E i figli d'Israele continuarono ad inseguirli e a colpirli a morte.

E al calar del sole, dopo un giorno di battaglia, Giosuè così parlò davanti al suo popolo: "Sole, fermati su Ghiv'on, e tu, luna, sulla valle di Ayalon, fino a che la nazione si vendicherà dei suoi nemici!".

Ed il Signore ascoltò l'esortazione di Giosuè e trattenne il sole in mezzo al cielo per trentasei ore e anche la luna rimase al suo posto e non si affrettò a compiere il suo tragitto.

E mai, né prima né poi, avvenne che il Signore esaudì la voce di un essere umano, dal momento che Dio combattè per Israele.

Quindi Giosuè cantò questo inno nel giorno in cui il Signore sottomise gli Emorei a lui ed ai figli d'Israele; e così inneggiò davanti al popolo: "O Signore, Tu hai fatto grandi cose e hai operato grandi portenti; chi è come Te? Le mie labbra canteranno le lodi in onore del Tuo Nome. Tu sei il mio Dio e la mia rocca, la mia alta torre, a Te alzerò un nuovo cantico di ringraziamento e Te invocherò, poiché Tu sei la forza della mia salvezza. Tutti i re della terra Ti ringrazieranno, i principi del mondo Ti glorificheranno, e i figli d'Israele gioiranno nella Tua salvezza e canteranno e loderanno la Tua potenza. In Te, o Signore, abbiamo confidato; e abbiamo proclamato che sei Tu il nostro Dio, poiché sei stato Tu il nostro rifugio e la nostra fortezza contro i nostri nemici. Te solo abbiamo invocato e non ci siamo vergognati, in Te abbiamo riposto la nostra fiducia e siamo stati salvati; quando Ti abbiamo chiamato a gran voce Tu hai ascoltato la nostra preghiera e hai salvato le nostre vite dalla spada del nemico; Tu ci hai mostrato la Tua grazia, Tu ci hai salvato e hai rallegrato i nostri cuori mostrando la Tua potenza. Tu ci hai tratto in salvo e hai redento il Tuo popolo con il Tuo braccio; Tu ci hai esauditi dai cieli della Tua Santità, Tu ci hai salvato dalle miriadi di nemici. Il sole e la luna hai fermato nel cielo, e hai scatenato la Tua ira contro i nostri oppressori, sancendo i Tuoi decreti su di loro. Tutti i principi della terra sono insorti, i re delle nazioni si sono radunati insieme e si sono mossi alla Tua presenza, desiderosi di combatterTi. Ma Tu Ti sei levato contro di loro nel Tuo sdegno e hai riversato su di loro la Tua collera; Tu li hai travolti nella Tua furia e li hai fatti cadere con la Tua saggezza. I popoli sono stati colti dal terrore nei Tuoi riguardi, i regni sono crollati sotto la Tua furia, Tu hai umiliato grandi re nel Tuo sdegno. Tu hai versato la Tua ira su di loro, la Tua collera li ha raggiunti; Tu hai riversato su loro la loro iniquità e li hai distrutti nella loro malvagità. Essi sono caduti nella trappola che avevano preparato e i loro piedi sono rimasti impigliati nella rete che avevano dispiegato. La Tua mano ha colpito tutti i Tuoi nemici che si dicevano sicuri di conquistare il paese con le loro armi e di occupare le città con la loro forza militare; Tu li hai svergognati e li hai umiliati; Tu li hai terrorizzati nella Tua collera e li hai distrutti nella Tua furia. La terra ha tremato al fragore della tempesta che hai scatenato su di loro; Tu non hai risparmiato le loro anime dalla morte e le hai spedite agl'inferi. Tu li hai inseguiti nella bufera e li hai dissolti nel Tuo turbine; Tu, che hai trasformato la loro pioggia in grandine, li hai fatti cadere in fosse profonde perché non potessero più uscirne fuori. I loro cadaveri sono come pattume gettato per strada. Essi si sono dissolti nella Tua furia e Tu hai salvato il Tuo popolo nella Tua onnipotenza. Perciò i nostri cuori gioiscono in Te e i nostri animi si esaltano nella Tua salvezza. Le nostre lingue racconteranno il Tuo valore e noi canteremo e loderemo i Tuoi portenti. Poiché Tu ci hai salvati dai nostri nemici e da coloro che ci hanno attaccati, Tu li hai distrutti davanti a noi e li hai messi in fuga al nostro arrivo. E così possano perire tutti i tuoi nemici, o Signore, e i malvagi possano essere dispersi come pula al vento, mentre i Tuoi amati possano essere come alberi a ridosso di corsi d'acqua".

E Giosuè e tutto Israele con lui tornarono al campo di Ghilgal, dopo aver sbaragliato i re emorei, che non ebbero superstiti tra i loro guerrieri.

E i cinque re emorei fuggirono a piedi dal campo di battaglia e si nascosero in una caverna; e Giosuè, che li cercava, non riusciva a trovarli.

Ma poi venne riferito a Giosuè: "I re sono stati trovati e si nascondono in una spelonca".

E Giosuè disse: "Mettete dei guardiani all'imboccatura della caverna per impedire che ne escano fuori". E così fu fatto.

E Giosuè, dopo aver sbaragliato gli Emorei, ordinò di stanare i cinque re dalla spelonca.

E Giosuè chiamò tutto Israele e così parlò ai suoi ufficiali: "Mettete i vostri piedi sui colli di costoro, senza timori e senza sgomento".

E gli ufficiali eseguirono l'ordine e ognuno di loro mise il proprio piede sul collo di quei re e Giosuè disse loro: "Così Dio faccia a tutti i vostri nemici!".

Quindi Giosuè impartì l'ordine ed essi uccisero i re e li gettarono dentro la spelonca e poi misero delle grosse pietre all'imboccatura; e in quel medesimo giorno, Giosuè prese Makedà e fece passare a fil di spada tutta la città.

E votò allo sterminio tutta la città e fece al suo re e alla sua popolazione ciò che avevano fatto a Gerico.

Poi Giosuè e tutto Israele passarono da Makedà a Libnah che fu espugnata e il Signore la diede nelle mani di Giosuè, che passò a fil di spada il re e la sua gente, come a Gerico.

E da Libnah passarono a Lachish per combattervi e Horam, re di Gaza, venne in aiuto a Lachish ma Giosuè sconfisse lui e la sua gente e non risparmiò nessuno.

E Giosuè conquistò Lachish con tutto il suo popolo e anche qui fece ciò che aveva fatto a Libnah.

E da qui Giosuè passò ad Eglon, che fu espugnata; e anche qui passarono a fil di spada tutta la popolazione.

E da Eglon si diressero a Hebron e qui combatterono e rasero al suolo la città; e Giosuè con tutto Israele tornò a Dvir, la espugnò e passò a fil di spada tutta la popolazione.

E qui votarono allo sterminio ogni persona, senza che ne scampasse alcuna e fecero al re e alla sua gente ciò che avevano fatto alla città di Gerico.

E Giosuè sbaragliò così tutti i re emorei da Kadesh-Barnea fino a Gaza e conquistò il loro paese in un solo colpo, poiché il Signore aveva combattuto per Israele.

E Giosuè con tutto Israele fece ritorno al campo di Ghilgal.

E quando Yavin, re di Hatzor, venne a sapere ciò che Giosuè aveva fatto ai re emorei, mandò dei messi a Yovav, re di Madon, a Lavan, re di Shimron, a Yafil, re di Ahshaf e a tutti gli altri re emorei, per dir loro: " Presto, venite da noi e aiutateci a sconfiggere i figli di Israele, prima che essi ci attacchino e ci facciano fare la fine degli altri re emorei".

E tutti costoro, diciassette re in tutto, ascoltarono l'appello di Yavin, re di Hatzor e uscirono con i loro eserciti, formando un'armata immensa, come la sabbia in riva al mare, con tanto di cavalli e di carri in grandissima quantità; e si accamparono insieme presso le acque di Merom, pronti alla guerra contro Israele.

Ed il Signore disse a Giosuè: "Non li temere, perché domani, a quest'ora, io farò in modo che siano tutti uccisi davanti a voi; voi taglierete i garretti ai loro cavalli e incendierete i loro carri".

E Giosuè, con tutti i suoi armati, all'improvviso piombò addosso ai nemici e li colpì a morte ed il Signore li diede nelle loro mani.

E gli Israeliti inseguirono tutti quei re con i loro eserciti e li uccisero senza lasciare superstiti e Giosuè fece a loro ciò che gli aveva ordinato il Signore.

E in quello stesso tempo Giosuè tornò a Hatzor ed espugnò la città, la incendiò e passò a fil di spada tutta la popolazione; e da Hatzor Giosuè passò a Shimron, che fu rasa al suolo.

E da lì andò ad Ahshaf che subì la stessa sorte di Shimron.

E da Ahshaf, Giosuè si diresse ad Adulam dove colpì a morte tutta la gente che vi si trovava e così fece ad Adulam ciò che aveva fatto a Shimron e ad Ahshaf.

E Giosuè espugnò e rase al suolo tutte le città di quei re, uccidendo allo stesso modo re e popolazioni.

E gli Ebrei presero il bottino delle città e il bestiame e passarono a fil di spada tutta la popolazione, senza risparmiare alcuno.

Come aveva comandato Dio a Mosè così fecero esattamente Giosuè e tutto Israele.

E Giosuè ed i figli d'Israele conquistarono in questo modo il paese di Canaan, come aveva comandato loro il Signore, dopo aver ucciso tutti i loro trentuno re.

E presero possesso anche dei territori dei re di Sichon e di Og, che si trovavano sull'altra sponda del Giordano, che erano già stati conquistati da Mosè e consegnati alle tribù di Reuven e di Gad e a metà della tribù di Menashe.

E Giosuè sconfisse tutti i re che erano al di qua della riva del Giordano e diede il loro territorio in eredità alle nove tribù e mezzo di Israele.

Giosuè battagliò per cinque anni contro questi re e assegnò le loro città ai figli d'Israele; e il paese conobbe un periodo di tranquillità tra le città degli Emorei e dei Cananei.

E in quel tempo, che corrispondeva al quinto anno in cui i figli d'Israele avevano varcato il Giordano e avevano cessato di combattere i Cananei, iniziò un periodo di grandi e furiosi combattimenti tra i figli di Edom e i figli di Hittim.

E nel suo 31esimo anno di regno, Abianus, re degli Ittiti, uscì con il suo immane esercito alla volta di Seir per combattere contro i figli di Esaù.

E quando Hadad, re di Edom, ne fu informato, uscì incontro al nemico con la sua possente armata e i due eserciti si scontrarono sulla piana di Edom.

E gli Ittiti ebbero il sopravvento sui figli di Esaù, che lasciarono sul campo 22.000 uomini e si dileguarono per mettersi in salvo.

E gli Ittiti, che li inseguivano, riuscirono a catturare vivo il re idumeo Hadad, che fu portato davanti ad Abianus.

Ed Abianus ordinò di mettere a morte Hadad, re di Edom, che venne così eliminato nel suo 48esimo anno di regno.

E gli Ittiti continuarono ad inseguire i figli di Edom e a colpirli a morte, per cui, alla fine, Edom si sottomise a loro.

E gli Ittiti dominarono sugli Idumei sottomessi, e, da allora in poi, le due popolazioni furono riunite sotto un unico regno.

E da allora i figli di Edom non poterono più ribellarsi e il loro regno fu annesso a quello degli Ittiti.

Ed Abianus mise degli ispettori in Edom, che venne sottomesso e diventò suo tributario; e dopo ciò, Abianus rientrò nel suo paese.

E al suo ritorno a Hittim, si fece costruire un palazzo, imponente e fortificato, che diventò la sua residenza reale; e così continuò a regnare in tutta sicurezza sul suo popolo e su Edom.

E in quel tempo, dopo che Israele aveva sottomesso i Cananei e gli Emorei, Giosuè era ormai vecchio e in età molto avanzata.

Ed il Signore disse a Giosuè: "Ora che sei diventato vecchio e sei in età molto avanzata rimane ancora una grande parte del paese da conquistare. Per cui ora spartisci l'eredità di questo paese fra nove tribù e la mezza tribù di Menashe". E Giosuè eseguì immediatamente l'ordine di Dio.

Ed egli spartì l'eredità dell'intero paese fra le tribù d'Israele, in base alle divisioni concordate.

Soltanto alla tribù di Levi non fu assegnata alcuna eredità, poiché i sacrifici offerti a Dio col fuoco sono il suo retaggio, come aveva detto Dio a Mosè.

E Giosuè assegnò il monte Hebron a Caleb, figlio di Jefunè, come porzione in più rispetto ai suoi fratelli, come aveva detto Dio a Mosè.

Pertanto Caleb e i suoi figli ricevettero Hebron in eredità fino al giorno d'oggi.

E Giosuè spartì a sorte l'eredità dell'intero paese fra tutto Israele, così come aveva comandato il Signore.

Ed i figli d'Israele diedero le città che spettavano ai Leviti dalla loro propria eredità, così come dei contadi per gli armenti e altre proprietà, eseguendo in questo modo i comandamenti del Signore; e il territorio fu così diviso a sorte, tra chi era più o meno numeroso.

Ed essi ereditarono il paese conformemente ai confini stabiliti e i figli d'Israele diedero ognuno una parte del loro territorio ereditato a Giosuè figlio di Nun.

E secondo la parola del Signore, a Giosuè fu assegnata la città che aveva richiesto, Timnat-Serah, che si trova a ridosso del monte di Efraim e qui si insediò e visse.

E tali furono le eredità che ebbero il sacerdote Elazar, Giosuè, figlio di Nun, e i capi delle tribù dei figli d'Israele secondo la spartizione a sorte eseguita a Shilò, davanti al Signore, all'entrata del tabernacolo.

Ed il Signore diede tutto il paese ai figli d'Israele, che lo presero in possesso secondo quanto aveva detto loro Dio, e secondo quanto aveva promesso ai loro padri.

Ed il Signore diede loro requie da tutti i nemici che li circondavano, per cui nessuno di costoro potè combatterli e Dio li sottomise a loro: e di tutte le buone parole che l'Eterno aveva dette ai figli d'Israele, nessuna andò a vuoto, poiché tutte si avverarono.

E Giosuè convocò tutti i figli d'Israele e li benedì e comandò loro di servire il Signore, e quindi si accommiatò e ognuno fece ritorno alla propria città e al proprio insediamento.

Ed i figli di Israele servirono l'Eterno durante tutta la vita di Giosuè ed il Signore diede loro la tranquillità tutt'intorno, per cui vissero sicuri nelle proprie città.

E in quei giorni morì Abianus, re degli Ittiti, nel suo 38esimo anno di regno, che era anche il settimo anno di regno su Edom; ed egli fu sepolto nel palazzo che si era fatto costruire e Latinus gli subentrò e regnò per cinquanta anni.

E durante il suo regno Latinus combattè contro gli abitanti di Briantia e di Mania, che erano figli di Elisha, figlio di Yavan, e li sconfisse facendoli diventare suoi tributari.

E Latinus, quando venne a sapere che gli Idumei si erano ribellati al giogo degli Ittiti, li attaccò, li colpì e li sottomise nuovamente al suo dominio, per cui Edom rimase per sempre sottomesso agli Ittiti.

E per molti anni non ci fu un re in Edom, dal momento che gli Idumei erano sudditi del re degli Ittiti.

E nel 26esimo anno dal passaggio del Giordano, che corrispondeva al 66esimo anno dall'uscita degli Ebrei dall'Egitto, Giosuè aveva raggiunto i 108 anni d'età.

E Giosuè convocò tutto Israele, gli anziani, i giudici e gli ufficiali, dopo che il Signore aveva dato requie al popolo liberandolo da tutti i nemici intorno; e Giosuè così parlò davanti a loro: "Ecco, io sono vecchio e avanti negli anni e voi avete visto tutto ciò che il Signore ha fatto a tutti i popoli che ha cacciato dinanzi a voi, poiché ha combattuto per voi. Ed ora applicatevi risolutamente ad osservare e a mettere in pratica tutto ciò che è scritto nel Libro della Legge di Mosè, senza sviare nè a destra nè a sinistra, senza mescolarvi con le nazioni che sono rimaste nel paese e senza nominare in alcun modo i loro dèi; siate invece fedeli al vostro Dio, come avete fatto fino ad oggi".

E Giosuè si raccomandò molto con i figli d'Israele di servire il Signore per tutta la loro vita.

E tutto Israele proclamò: "Noi serviremo l'Eterno, nostro Dio, per tutti i giorni della nostra vita; noi, i nostri figli, i figli dei nostri figli, e la nostra discendenza per sempre!".

E Giosuè stipulò in quel giorno un patto con il popolo e quindi rimandò ognuno alla propria città e al proprio retaggio.

E avvenne in quegli anni, quando dimoravano sicuri nelle loro città, che i figli di Israele seppellirono i feretri dei loro capi tribù che avevano trasportato dall'Egitto, ognuno nella propria porzione di terra ereditata; e in questo modo i figli d'Israele diedero sepoltura ai dodici figli di Giacobbe, ciascuno nella terra che era stata assegnata in eredità.

E questi sono i nomi delle città entro le quali furono sepolti i dodici figli di Giacobbe, i cui feretri furono portati dall'Egitto.

Reuven e Gad furono sepolti a Romia, oltre il Giordano, nella terra che Mosè aveva assegnato alle loro discendenze.

Simeone e Levi furono inumati nella città di Manda, che era stata assegnata alla tribù di Simeone, e in un terreno della città che apparteneva ai Leviti.

Giuda fu seppellito nella città di Babià, che sta di fronte a Betlemme.

Le ossa di Issachar e Zevulun furono inumate a Sidone, nella porzione assegnata in eredità alle loro discendenze.

Dan fu sepolto nella città di Eshtael, assegnata alla sua tribù; e Naftali e Ascer furono seppelliti a Kadesh-Naftali, ognuno nel terreno che apparteneva alle loro tribù.

E le ossa di Giuseppe furono inumate a Sc'hem, nel terreno che Giacobbe aveva acquistato da Hamor e che era stato dato in eredità ai figli di Giuseppe.

E Beniamino fu sepolto a Gerusalemme di fronte a Gebuseo, che era stato assegnato alla tribù di Beniamino; e gli Ebrei inumarono i loro padri, ognuno nella città di appartenenza.

E alla fine del secondo anno, Giosuè, figlio di Nun, morì all'età di 110 anni; e Giosuè fu a capo (letteralmente= giudicò) del popolo d'Israele per 28 anni, e durante tutto questo periodo Israele servì il Signore.

E le restanti opere di Giosuè, le sue battaglie, gli ammonimenti e le esortazioni che pronunciò davanti a Israele, e tutti i comandamenti che impartì loro con i nomi delle città che Israele conquistò in quel periodo, sono riportati nel Libro che Giosuè lasciò ai figli di Israele e nel Libro delle Guerre del Signore, che Mosè e Giosuè scrissero per i figli d'Israele.

Ed i figli d'Israele seppellirono Giosuè entro il territorio di sua proprietà a Timnath Serah, che si trova nella contrada montuosa di Efraim.

E anche Eleazar, figlio di Aharon, morì in quei giorni e fu sepolto a Ghivat Pinhas, che era stata assegnata a suo figlio Pinhas, a ridosso del monte di Efraim.

E in quel tempo, dopo la morte di Giosuè, i Cananei risiedevano ancora nel paese e Israele decise di annettere i loro territori.

Ed i figli di Israele consultarono il Signore chiedendo: "Chi di noi salirà per primo per muovere guerra contro i Cananei?". E il Signore rispose: "Salirà Giuda".

Ed i figli di Giuda dissero ai figli di Simeone: "Venite con noi nel paese che ci è toccato in sorte e combatteremo contro i Cananei e in seguito noi verremo con voi in quello che è toccato a voi". E i figli di Simeone si unirono ai figli di Giuda.

E i figli di Giuda andarono a combattere i Cananei, e il Signore fece vincere i figli di Giuda che a Bezek sbaragliarono 10.000 soldati cananei.

E a Bezek combatterono contro il re Adoni Bezek, che fuggì davanti a loro; ed essi lo inseguirono e lo catturarono e gli mozzarono i pollici delle mani e gli alluci dei piedi.

E Adoni Bezek disse: "Settanta re, a cui erano stati mozzati i pollici delle mani e gli alluci dei piedi, raccoglievano gli avanzi del cibo sotto la mia mensa; ed ecco, quello che feci io, in quel tempo, adesso Dio me lo fa scontare". Ed essi lo condussero a Gerusalemme e qui morì.

E i figli di Simeone andarono con i figli di Giuda e sconfissero i Cananei e li passarono a fil di spada.

Ed il Signore fu con i figli di Giuda, che presero possesso della regione montuosa e i figli di Giuseppe salirono a Beth El, detta anche Luz, e il Signore fu con loro.

E i figli di Giuseppe esplorarono Beth El; e videro un uomo che usciva dalla città, lo fermarono e gli dissero: "Mostraci la strada per entrare in città e noi non ti faremo del male".

E quell'uomo mostrò loro la via per entrare in città e i figli di Giuseppe passarono la gente della città a fil di spada.

E lasciarono libero quell'uomo con tutta la sua famiglia; ed egli si recò nel paese degli Ittiti e vi costruì una città, che chiamò Luz; e gli Israeliti abitarono nelle loro città e servirono il Signore durante tutta la vita di Giosuè e degli anziani che sopravvissero a Giosuè e che avevano veduto tutte le grandi opere che il Signore aveva compiuto a favore di Israele.

E gli anziani capeggiarono Israele dopo la morte di Giosuè per diciassette anni.

E tutti loro combatterono le battaglie contro i Cananei e il Signore li diede nelle mani di Israele affinché prendesse possesso delle loro terre.

E il Signore mantenne la parola che aveva dato ad Abramo, Isacco e Giacobbe e il giuramento che aveva fatto a loro di dare in retaggio alla loro discendenza la terra dei Cananei.

E Dio diede a Israele tutto il paese di Canaan, come aveva giurato ai nostri padri e gli diede la tranquillità ai confini, per cui dimorarono in sicurezza nelle loro città.

Benedetto sia il Nome del Signore in eterno, amen e amen. Siano forti e coraggiosi tutti coloro che confidano in Dio!

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] il commento nel testo dice: con ciò si capisce il verso 'e fu quando erano nel campo, e Caino si alzò' ecc. cioè quando si trovarono assieme nel campo, ognuno alla sua occupazione, uno contadino e l'altro pastore; questo fu il motivo per cui Caino si alzò per uccidere il fratello come verrà spiegato.

[2] Con ciò; si capisce perchè venne maledetta la terra, come è scritto 'tu sei maledetto più della terra che aprì la sua bocca per prendere' ecc. poiché anche la terra peccò quando Caino mise la terra su di Abele, perchè rimase calma e tranquilla e non si ribellò, ed invece 'aprì la sua bocca proprio per prendere il sangue di Abele.

[3] da ciò si capisce il doppio linguaggio: 'ascoltate' la mia voce, per tornare al rapporto carnale matrimoniale - 'udite' la mia parola - le mie scuse per aver ucciso il ragazzo.

 

[4] con ciò capisco la frase 'e non c'è poichè lo prese Dio' - significa 'non c'è sotto la neve come,invece, gli altri, poichè 'Dio lo prese' - prese lui solo e non gli altri.

[5] da ciò capisco perchè si chiama Noè (tranquillità) ed anche Menahem (questo ci consolerà) essendo che 'questo ci consolerà' non c'entra con il nome Noè bensì con Menahem. Il padre menzionato nel verso precedente lo chiamò Noè perchè la terra era calma e tranquilla nei suoi giorni, però il 'dicendo' del verso significa che ciò che gli altri lo chiamavano Menahem era dovuto al fatto che 'costui ci consolerà' oppure vice versa, come sembra da questo libro.

[6] Ciò è il contrario di quanto dicono i Saggi, di benedetta memoria, che Na'ama era la sorella di Tubal Cain, figlia di Lemech che si era sposata con Noè. In questo testo, però, risulta che sia stata la figlia di Hanoch. Forse i Saggi avevano ricevuto che il nome della moglie di Noè era Na'ama e trovarono scritto solo Na'ama sorella di Tubal Cain, figlia di Lemech e pensavano che si trattasse di lei. Essi non avevano visto questo libro che dichiara chiaramente che si tratta di un'altra Na'ama, la figlia di Hanoch.

[7] Da ciò si capisce che il verso -'E Dio si ricordò di Noè e di tutti ecc. che erano sull'arca' si riferisce a quando erano sull'arca e non al momento che precedette l'entrata nell'arca come invece sembrerebbe. Inoltre non si capisce il legame con il verso seguente 'E Dio sollevò un vento ecc. e le acque si abbassarono' perchè sembra collegato col fatto che Dio ricordò ecc. - Invece è come spiega questo libro che ciò era dovuto alla situazione insostenibile all'interno dell'arca.

[8] Da ciò si capisce perchè Noè non uscì subito dall'arca quando vide che si asciugarono le acque ecc. e perchè doveva aspettare? Il motivo è che il comando di Dio era su di lui di aspettare un anno intero.